HEADING BLACK.
Tekken Challenge -Set NERO.
UNA COME TE – (Mistrust) -
L'uomo può credere all'impossibile,
non crederà mai all'improbabile. (Oscar Wilde) Anna Williams
Al buio i suoi pensieri
diventavano più tangibili, le sue idee sembravano più realizzabili.
Poteva essere un problema, data
la tipologia di idee che solitamente le balzavano in testa.
L’ultima genialata in ordine cronologico l’aveva presa una notte di primavera, sola a
finirsi un pacchetto intero di sigarette, sulla terrazza di un hotel di Tokyo.
Impulsiva, dopo aver schiacciato
il mozzicone della diciannovesima sigaretta della sera, era uscita e si era
presentata alla G Corporation, chiedendo di parlare con il suo vecchio amico Kazuya
Mishima, per proporsi come guardia del corpo.
Probabilmente, se avesse atteso
l’alba, un paio d’ore dopo, la luce avrebbe cancellato quell’idea stupida dalla
sua testolina castana e confusa.
Non era mai riuscito ad
impedirselo: stare da sola la faceva pensare, e lei di pensare sensatamente non
ne era evidentemente capace.
Il sospiro nel sonno di Lee che dormiva
al suo fianco, pacifico come sempre dopo un party ben riuscito, la distrasse un
secondo: Alla luce della radiosveglia, che segnava le quattro di notte,
intravedeva appena il suo petto nudo che si alzava con il respiro.
Serata grandiosa, quella appena
conclusa. Sontuoso party nella villa a sud di Osaka di Lee, con ospiti Vips ed ex combattenti dei vari tornei.
Ottima compagnia, ottimo buffett, ottimi cocktails,
seguiti da un’ottima notte di passione nell’alcova con Anna.
Così doveva essere la vita.: Il
più piacevole possibile. La guerra era finita, gli eroi avevano vinto, e i
vinti stavano per essere puniti.
Ma poi Anna aveva sbirciato le
ultime notizie dal suo iPhone, per trovarsi a leggere
sul touch screen, la frase:
“NINA WILLIAMS: Respinta la richiesta di
grazia. Esecuzione fissata per domani.”
Non riusciva a prendere sonno.
Avrebbe dovuto essere stanca morta per la serata appena trascorsa, appagata
dall’amplesso che aveva appena avuto con Lee e anche abbastanza brilla. Avrebbe
dovuto crollare sui cuscini di quel lussuoso letto, ed invece si ritrovava a
pensare. Con la mente stranamente lucida nonostante tutto l’alcool ingerito, ma
senza riuscire a spiegarsi perché.
Meglio prendere una boccata
d’aria. Un giro a piedi nel parco della tenuta. Silenziosa, scivolò fuori dalle
lenzuola di seta – Lee non si svegliò -
e si infilò la prima cosa che le capitò a tiro aprendo la cabina
armadio, senza accendere la luce ma facendosi luce con il cellulare.
Un leggero e corto abito blu
scuro. Inciampò in un paio di decolté nere, che decise di prendere in mano per
infilarsele fuori dalla stanza, insieme alla pochette che aveva utilizzato
durante la serata, con le sigarette dentro.
Lasciò in punta di piedi la
stanza, scendendo al piano di sotto, per poi infilarsi le scarpe ed uscire da
una delle porte finestre che davano sul parco, avvolta dalla luce della luna
piena. Si accese una sigaretta, fissando
il nulla, e dopo una boccata di fumo riuscì a formulare il primo pensiero
concreto della serata:
Ed
ora?
Ed immediatamente, un altro
pensiero, apparentemente senza legame alucno con
quello precedente affiorò:
La
599 GTB Fiorano. E’ la più veloce.
Tokyo era a quattro ore d’auto
dalla villa. Con la 599, ben guidata,
si poteva raggiungere in due ore.
La sigaretta venne lasciata
cadere a terra, mentre Anna Williams girava i tacchi e tornava all’interno
della villa, in direzione del mini laboratorio della villa: C’era una cosa che
Lee conservava gelosamente, e che aveva portato da Tokyo per mostrarla, in via
del tutto riservata, ad un paio di suoi ospiti interessati ad acquistarla.
“1-6 -4-1-5” batté sulla tastiera
numerica dell’armadietto porta chiavi del garage. Questo si aprì.
“Cosa stai facendo?” Anna
trasalì, voltandosi di scatto. Davanti a sé si ritrovò il volto leggermente
accigliato di quella che soleva chiamare ‘Il piccolo Robot di Casa’, ovvero Alisa.
“Gli affari miei.” Rispose
asciutta. “Tornatene nella tua stanza, sciò.”
L’androide sembrò scosso da un
fremito offeso. “Non hai l’autorizzazione per darmi ordini.”
“E se vuoi che non chieda a Lee
di darmela in maniera ufficiale,
vattene.”
Gli occhi verdi dell’androide
scansionarono le chiavi che aveva in mano. “Perché hai in mano le chiavi della Ferrari 599 GTB Fiorano?
Non è la tua auto. Lee ti ha regalato la Bentley Continental Supersport!”
protestò.
“SSSTTTT! Taci cretina! Se voglio
uscire con la Ferrari avrò le mie
ragioni.”
“La vuoi rubare!” Lo strillo di Alisa era così acuto che Anna fu costretta a scattare e
bloccarla fisicamente, una mano sulla bocca. “Che ti frulla in quell’ammasso di
chip, emerita stupida? Ora tornatene in camera tua e lasciami andare, tornerò
in mattinata, non preoccuparti. A piedi il tuo padrone non ci rimane.”
“Non è il mio padrone” protestò
l’androide. “E chi mi assicura che tu non mi stia imbrogliando?”
“Ma fottiti.”
“Non mi fido di te. Non mi sono mai fidata e non comprendo come Lee
possa fidarsi di una come te.”
Le mani di Anna Williams furono
percorse da un fremito. Inpirò profondamente, prima
di recuperare la sua solita faccia di bronzo e appoggiarsi alla Ferrari, le
curve del suo corpo bene in vista. “Honey” ridacchiò “Conosco
trucchetti che i tuoi circuiti vergini non possono
neppure immaginare. E ti posso garantire che se tu fossi capace di fare un
quarto delle magie celtiche di Anna Williams, il tuo Lars
non starebbe così tanto in giro con l’esercito….”
Se avesse potuto avvampare,
l’androide l’avrebbe fatto. Tutto ciò che poté fare era irrigidirsi come un
baccalà e sgranare il più possibile gli occhi color smeraldo: non si capiva se
fosse più offesa o più imbarazzata, o tutte
e due le cose contemporaneamente.
Anna Williams approfittò del suo
spiazzamento per saltare nella Ferrari ed inserire la chiave nel vano
accensione. L’auto non diede segno di volersi mettere in moto. “Che cazzo…?”
Alisa si avvicinò lentamente al
finestrino del passeggero, aperto. “Comando vocale.” Spiegò semplicemente,
appoggiandosi con i gomiti.
“Ah. Giusto. Ok. AUTO,
ACCENDITI.”
“... settato sull’impronta vocale
di Lee Chaolan.” Un mezzo sorrisetto le stendeva le
labbra dell’androide. Anna non l’aveva mai trovata così diabolicamente simile
ad una donna. “Voce che io so imitare alla perfezione.”
La donna le scoccò un’occhiata
esasperata: “Che aspettavi a dirmelo, puttanella
robotica?”
“Non me l’avevi chiesto…” sembrava si stesse sforzando di trovare un
epiteto abbastanza volgare da comparare con quello che le era appena stato
rivolto. “Troione irlandese.” Disse infine, con una nota
di soddisfazione.
Anna la fissò un attimo. Era
indecisa se ammirarla o picchiarla. “Sali in macchina, stronzetta.
Potresti addirittura essermi utile.”
“Quindi, dove si va?” cinguettò
allegramente Alisa, mezz’ora dopo, mentre
percorrevano a tutta velocità l’autostrada semideserta.
“E stattene un po’ zitta. Sto
cercando di pensare.”
“Non è per la mia curiostà. E’ per impostare il GPS. Se mi dici l’esatta via,
troverò la strada più breve per…”
“Un momento: TU hai un GPS
incorporato? E che aspettavi a dirmelo?
Alisa scrollò le spalle. “Non me
l’avevi ancora chiesto.”
Ad Anna Williams scappò un basso
ringhio minaccioso.
“Trovami in un negozio di
travestimenti. Ben fornito.”
“uhn?”
“Non discutere.”
A metà mattinata due figure
femminili, infagottate in abiti monacali neri e bianchi, scesero da un taxi a
pochi passi dall’entrata principale del Carcere di Massima Sicurezza di Tokyo.
La più giovane, quella con l’abito ancora da novizia, pagò l’autista e ringraziò
con accento straniero, abbozzando un lieve inchino.
La sua superiore dagli spessi
occhiali neri, le fece cenno di seguirla, ed entrambe si incamminarono a passo
svelto verso la portineria.
“Avanti” accordò il Comandante Dragunov, seduto all’interno del suo ufficio carcerario.
Sperava fosse il soldato a cui aveva ordinato di portargli un caffè. Aveva
appena passato una notte insonne e necessitava di quel caffè più dell’aria.
Purtroppo per lui, la guardia che
varcò la porta ed espresse il saluto militare non era quella a cui aveva
richiesto il caffè. “Comandante… ci sarebbero visite
per la Williams.”
“Ancora quei dannati pacifisti?
Ma non lavorano, loro? Digli che Nina Williams non vuole vedere nessuno”
“Veramente, Comandante…”
Il soldato gettò un’occhiata nervosa verso il corridoio. “Si tratterebbe di due
suore. Ecco loro sono… Vengono dall’Istituto
irlandese in cui le sorelle Williams hanno studiato e sono qui per… beh… ecco…
sono certe che la prigioniera abbia… come dire… da raccomandare l’anima prima di…
prima di stasera, ecco.”
Se si fosse parlato di qualsiasi
altra persona, Dragunov ne era certo, sarebbe
scoppiato a ridere. Rimase invece basito, trattenendo un foglio a mezz’aria,
inconsapevolmente immaginandosi Nina Williams vestire i succinti panni di una
studentessa di un Istituto Cattolico.
Fantascienza.
Però era irlandese. Quindi
probabile.
“Falle entrare nel mio ufficio.”
“Il mio nome è Suor Maria
Caterina, dell’Istituto di Saint John di Dublino, dove entrambe le sorelle
Williams hanno studiato in gioventù.” Spiegò con voce pacata la suora seduta
davanti a lui. “Siamo qui per conto della nostra Madre Superiora, Suor Maria
Grazia, emerita preside del nostro amato Istituto. Per quanto il Signore
assista quotidianamente la Superiora, essa è ahinoi troppo anziana per un
viaggio così lungo, ma ci teneva ugualmente che dessimo un ultimo conforto
all’anima della povera…”
Dragunov la studiò: Due azzurri occhi
acquosi dietro ad un sgraziato e spesso paio di occhiali. Folte sopracciglia
scure, un neo gigantesco su una guancia e la peluria sul labbro superiore. Si
ricordò perché non era un cristiano praticante. Però forse, con una sistematina, Suor Maria Caterina sarebbe anche potuta
essere passabile.
Il suo accento, poi, non tradiva
affatto la sua provenienza: uguale a quello che a volte scappava anche a Nina.
Più piacevole d’aspetto era la
novizia seduta al suo fianco, tale Maria Virginia, anche se teneva gli occhi
fissi a terra e pareva enormemente a disagio.
“Non mi risulta che la Williams
sia molto devota.”
Suor Maria Caterina scosse
debolmente la testa. “Suor Maria Grazia ne è consapevole. Ma ciononostante
aveva un grande desiderio di dare la possibilità ad una peccatrice di redimersi,
prima di ritrovarsi davanti a Nostro Signore e…”
Dragunov annuì piano. “Se avete fatto
tutta questa strada per un tentativo, deve essere molto importante per voi.”
“Estremamente importante.” Annuì
Suor Maria Caterina, aggiustandosi gli occhiali per poi passarsi una mano sul
rosario appeso alla cintura. “il potere della preghiera può….”
“Va bene, va bene! ” Si alzò,
interrompendola. “Seguitemi.” Le due suore gli rivolsero uno sguardo grato e si
alzarono, seguendolo leggere attraverso i corridoi bui del carcere.
Dragunov congedò la guardia personale di
Nina Williams, facendo poi cenno alle suore di entrare. Suor Maria Caterina
scivolò impazientemente nel corridoio della prigione di Nina, mentre l’altra
rimase indietro. “La confessione è strettamente personale, un momento di intima
comunione con la redenzione… io sono solo una
novizia, non posso assistervi.” Spiegò, restando in piedi di fianco alla porta,
gli occhi sempre piantati a terra.
“Oh.” Commentò Dragunov. Non ci aveva pensato. “E devo restare fuori anche
io?” La novizia annuì timidamente. Il Comandante annunciò alla Suora che
sarebbe stato nei paraggi, nel caso avesse avuto bisogno. Detto ciò, chiuse la porta ed andò in
guardiola. Avrebbe controllato tramite la videosorveglianza.
“Nina…”
A sentirsi chiamare, Nina Williams
si voltò di scatto, restando coricata sulla branda. Scrutò la suora occhialuta
davanti alle sbarre della prigione, strizzando gli occhi per cercare di capire
chi fosse. La suora si tolse gli occhiali, abbozzando un mezzo sorriso.
Si alzò lentamente e raggiunse le
sbarre, ad un palmo di naso da lei.
“Giuro che questa è l’ultima cosa che avrei pensato di vedere in vita mia…” mormorò, riconoscendola. “Non credevo ci fossi
rimasta così male per la morte di Kazuya…”
“Idiota…” sussurrò l’altra,
infilandosi nuovamente gli occhiali. “E’ un travestimento.”
“Sospettavo: neppure con tutte le
buone intenzioni del mondo saresti riuscita a farti prendere da un ordine
religioso. Sei qui per provare a schernirmi dietro una parvenza di
confessione?”
“Sono venuta qui ad offrirti una
cosa.” Frugò in una tasca e ne estrasse un rosario, che le porse attraverso le
sbarre. Nina Williams lo prese con la punta delle dita, fissandolo sospettosa.
Poi la sorella slacciò quello che aveva alla cintura e si mise a tastarne i
grani, come se stesse pregrando. “La croce si apre e dentro vi è un minuscolo
dispositivo laser.” Spiegò, congiungendo le mani davanti al volto e mettendosi
in posizione di preghiera. Nina la fissò un attimo, prima di fare lo stesso.
Chi le osservava dalla telecamera
di sorveglianza poteva avere davvero l’illusione che la suora stesse
somministrando gli ultimi conforti religiosi alla condannata.
“Il laser, seppur minuscolo, può
fondere e tagliare il ferro. Oltre che, ovviamente, far fuori qualcuno. E’ una
minuscola e fantastica arma di nanotecnologia made in
Violet System… sei pregata
di restituirmela, dopo l’utilizzo. Non desidero che facciano ricadere la colpa
della tua fuga su Lee e quindi su di me.”
“E chi mi dice che non sia una
sonora fregatura?” mormorò la bionda, sgranando a sua volta il rosario e
tastando la croce, notando che un lato della superficie di metallo si poteva
davvero aprire.
“Ti conviene fidarti, stronzetta”
“Di una come te? Dovrei essere
proprio alla frutta per poter credere
davvero ad una delle tue stronzate. E perché poi…?”
Gli occhi azzurri di Anna si
ridussero a due fessure. “Perché ho giurato che sarei stata io ad ammazzarti, e
non voglio che nessuno mi tolga questo enorme piacere.”
“Se la metti così, può avere un
senso.” Nina Williams sorrise, dietro alle perle del rosario. “anche se mi
disgusta doverti un favore.”
“…basta
che tu faccia in modo che nessuno arrivi a me, o a Lee. Sai, mi ha cavato fuori
dai casini, dopo quella faccendaccia con Kazuya e la
G. Corporation…” Agendo come una misericordiosa
suora, Anna Williams passò la mano attraverso le sbarre e accarezzò il volto di
Nina, che stette al gioco, fingendo commozione. “Tra quattro giorni ci
incontreremo al porto di Shanghai. E li ci batteremo davvero…
questa volta a terra non ci finirò io, cara.”
La bionda sorrise, annuendo. “Ti
darò maggiori istruzioni quando sarò fuori di qui.”
Pochi minuti dopo Suor Maria
Caterina, visibilmente commossa e provata, uscì dalla porta che conduceva all’ala
della prigione dedicata a Nina Williams. Sulla soglia la novizia l’accolse con
uno sguardo accorato, mentre il Comandante sopraggiungeva per scortarle fuori.
“Le ho consegnato il rosario di
Suor Maria Grazia… come da volontà della madre Superiora…” spiegò la suora. “Spero che questo non sia un problema…”
Dragunov scosse la testa. Trovava davvero
incredibile l’incontro a cui aveva assistito, e non se la sentiva di ritirare
il rosario alla condannata. Ne era sembrata così sollevata da avercelo tra le
mani. Mai e poi mai avrebbe pensato che Nina Williams potesse essere religiosa.
Come cambiano le persone davanti alla morte…
Sarebbe stato attento che non lo
potesse usare come arma, magari per strangolare qualcuno, e avrebbe potuto
lasciarglielo fin sul patibolo.
E poi, dai, che sciocchezza… che male
poteva fare un rosario?
“Accidenti…
devo dire che sei stranamente convincente nei panni di una suora.”
“Non credevi, eh? Ho frequentato
davvero un Istituto Cattolico, a Dublino. So come parlano e ragionano quelle
rancide pinguine. Tu, piuttosto…”
“Mentre raggiungevamo la prigione
ho dato una sbirciatina a qualche video su youtube di
film con suore… così, per prepararmi.” Spiegò Alisa con un sorrisetto complice. “Allora non odi così
tanto tua sorella…”
“La odio abbastanza da volerla
uccidere con le mie mani. Un plotone di esecuzione non mi toglie la
soddisfazione di vederla in un lago di sangue grazie a me.”
Alisa si lisciò l’abito da novizia.
“Certo. Ovvio.” Mormorò, sarcastica.
Il tassita
le lasciò davanti al garage in cui avevano nascosto la Ferrari.
Occhiali, sopracciglia, baffetti
e neo finto caddero a terra insieme all’abito talare. Le decolté nere tornarono
ai piedi di Anna, mentre anche Alisa si sbarazzava
del travestimento ed apriva la Ferrari, estraendone una bottiglietta di liquido
infiammabile con cui cosparse il garage.
Mentre la Ferrari 599 GTB Fiorano usciva, Anna Williams gettò la sigaretta a terra.
Le fiamme cancellarono il loro passaggio.
“Non ci posso credere che siete
partite alle quattro di notte solo per far shopping a Tokyo e siete tornate
ora, alle 9 di sera!” esclamò Lee, vedendole tornare con la Ferrari carica di
pacchi e bustine. “Questa non me la dai a bere!”
Anna, indossati i suoi nuovi
occhiali da sole di Gucci, gli schioccò un bacio a stampo. “Honey, non guardare me… Alisa moriva dalla voglia di rifarsi il guardaroba!”
Alisa scese dalla macchina con la sua
razione di pacchi e buste, sorridendo con aria colpevole.
“…ma
siete partite stamattina alle QUATTRO” L’uomo allargò le braccia, impotente.
“Sei sconvolta, è chiaro.”
“Per cosa?” domandò, fingendo
indifferenza, mentre apriva la scatola delle Manolo Blahnik
e le provava ammirandosi davanti allo specchio dell’entrata. Un cameriere solerte
le portò un bicchiere di cocktail, che lei sorseggiò con gusto.
“Anna, andiamo, smettila di recitare… in fondo è normale… per
quanto anche io abbia odiato Kazuya, quando ho visto
il cadavere sono rimasto quasi shockato… immagino tu
per tua sorella e…”
“Io non ho visto nessun cadavere,
Darling.”
“Beh, certo…
l’esecuzione ci sarà tra mezz’ora. Ma tu
non la guarderai.”
“Darling, tu non sei nessuno per poter dar ordini ad Anna Williams.”
“E’ un consiglio, non un ordine.
Anzi, sai che ti dico? Andiamo a mangiare Chez Maxim.”
“Non dormo da più di 24ore… ho la
pelle poco riposata, Baby…”
Stropicciandosi gli occhi con aria melodrammatica, si lasciò cadere sul divano
candido, accendendo la tv nonostante le proteste di Lee.
“BREAKING
NEWS: Nina Williams evade dal carcere di sicurezza di Tokyo…”
Lee Chaolan
rimase a bocca aperta. Imitandolo temendo di essere scoperta, Alisa Boskonovitch finse
sorpresa.
Dando le spalle ad entrambi, Anna
Williams sorrise. “Darling, non credo sia sicuro per me restare in Giappone con
quella pazza furiosa di mia sorella in circolazione…
che ne dici se ce ne andiamo? Tipo… tipo a Shanghai?”
Non
ci posso credere!!!!Ce l’ho fatta!!! Ho scritto di nuovo!!!
Santo
potere delle Ferie!!!!!
Beh,
e sono indietro come la coda del maiale a leggere e recensire le ff altrui… mi vergogno di me
stessa!
Nel
frattempo, DARLINGS, eccovi questa: non è granchè, ma
è meglio di Fable. Forse.
Diciamo
che ho perso un po’ il mio Tocco Magico
(Risate Generali, voce in fondo alla platea che urla “Quale Tocco
Magico?)
Cercherò
di rimettermi in carreggiata.
PS:
per la citazione, giuro di non esserne riuscita a trovare una, nella mia
memoria. Perciò mi sono affidata a Wikiquote e ho
preso la prima cosa che mi piaceva. Oscar Wilde, as usual.
Un
beso,
EC.