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Autore: marguerite_murcielago    17/08/2011    1 recensioni
Cit/: Quando usciva di casa, così come una donna Babbana sceglieva il vestito più carino, il rossetto più acceso – rigorosamente intonato alle scarpe e alla borsetta – e si spruzzava l’ultima fragranza uscita sul mercato, per essere al top, anche lei selezionava con cura infinita le boccette da cui attingere; provava il contenuto di una, la bacchetta alzata accanto alla testa, le sopracciglia corrugate per la concentrazione, aveva un moto di disgusto e lo rimetteva a posto.
Di solito sceglieva subito la base, tre boccette di un intenso rosso vermiglio, e se le versava addosso, incauta. Poi pensava a cosa andava a fare e sceglieva la testa, tre essenze selezionate accuratamente per dare agli altri la netta impressione di essere come loro; ed infine, il centro, il cuore, estraeva le essenze più particolari, così che nessuno si dimenticasse di chi era lei.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Chang, Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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A sad Ravenclaw.
(La vita, infatti, consiste per loro in una feroce lotta individualista)

 
« Accomodati, signorina Granger.» rispose Sophy, gelida.
« Signora Weasley, ormai.»
« Ah.» lasciò cadere il discorso e voltò le spalle a Hermione, indicando di malagrazia una poltroncina bianca. Versò il thé nelle tazzine, tanto nervosa da dimenticare la bacchetta.
Alla fine le porse la sua tazzina (stavolta nera e rossa e bianca) e sprofondò nella chaise longue con espressione annoiata. Hermione Granger si passò una mano tra i capelli arruffati, nervosa, poi sollevò lo sguardo sull’ex compagna di scuola.

Te l’ha detto Cho? O mi hai riconosciuta?
Tra loro corse un silenzio tranquillo, almeno finché le tazze non si svuotarono. Sophy stava già per impugnare la bacchetta e ordinare alla teiera di fare il suo lavoro, quando Hermione posò il cucchiaino che aveva tra le mani e la fissò, improvvisamente combattiva.
« Non ti avevo riconosciuta, a King’s Cross.» esordì. Nessuna risposta. « Tua figlia… dove è stata Smistata?» aggiunse, un po’ più impacciata. Questo riempì Sophy di considerevole esultanza, e la fece sorridere soddisfatta.
« Corvonero, come me.»
« Congratulazioni!»

Niente più niente.
Lo vide arrivare, quel colpo, come Lily Potter, per fare un paragone azzeccato, aveva visto l’Avada Kedavra, sentì un colpo sulle costole, e gli occhi castani di Hermione si indurirono come schegge. « Hai raccontato a tua figlia della Seconda Guerra Magica?»
Sono passati vent’anni.
« Sono passati vent’anni.»
Vent’anni senza guerra. Vent’anni da quando era partita, quella mattina. Chissà che ci avevano fatto con il corpo di Lord Voldemort, se l’avevano sepolto da qualche parte, o se avevano preferito dargli fuoco, con i Buoni a festeggiare attorno al grazioso falò.
Sophy rimase immobile per qualche secondo, dopodichè scosse la testa e, sorridendo, riempì la sua tazzina. Hermione alzò gli occhi al cielo.
« Appunto. Capisco che tu sia stata in viaggio per tutti questi anni, ma avremmo preferito – tutti noi, intendo – che ti informassi prima di raccontare quella storia ad una bambina.»
« Non m’importa.»
Hermione Granger aggrottò le sopracciglia e si alzò in piedi, la mano leggermente tremante che scivolava inconsapevolmente verso la bacchetta nella tasca della veste. Che pallida, arida icona del presente di lillà e nebbia! Ne erano usciti tutti mutilati, dalla guerra, ma loro erano stati più bravi, forse, a fingere che non fosse successo niente, quando invece era successo tutto. Poteva Schiantarla, Cruciarla, usare la magia come violenza, su di lei.
« Ti prego, vogliamo solo dimenticare.»
« Non sarò io ad impedirvelo.» ringhiò Sophy, indicandole la porta con la bacchetta.

 

Aveva deciso: poteva riempire il niente con parole di tutto. E magari avrebbe ottenuto anche un piccolo tutto con cui giostrarsi, come un prestigiatore babbano con una bestia feroce.
Le prime righe arrivarono con facilità, ma il primo ricordo – una veste rubata – le fece riabbassare la penna, gli occhi persi nel vuoto della stanza, un formicolio sulla schiena. All’improvviso, dieci dita sul viso. Sophy sussultò, divincolandosi nella luce vermiglia che sgusciava tra le fessure.
« Oh, petite, non devi piangere.» sussurrò una voce maschile, vicina al suo orecchio. Sophy inclinò la testa verso quella voce, là dove sapeva che avrebbe trovato anche le sue labbra.
Il viso attento di Lucién prese il posto delle sue dita, e lei sorrideva, un po’ sciocca e tenera, socchiudendo gli occhi chiari, e gli appoggiava le mani sugli avambracci, timidamente.
« Non sto piangendo, mon ciel.» rispose, la fronte premuta contro la sua.
« Certo, come no.»
Sophy gonfiò le guance come una bambina arrabbiata, ma l’arrivo dell’allocco di Ariella le impedì di protestare come avrebbe voluto.

   
 
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