A sad Ravenclaw.
(La vita, infatti, consiste
per loro in
una feroce lotta individualista)
« Accomodati,
signorina
Granger.» rispose Sophy, gelida.
« Signora Weasley, ormai.»
« Ah.» lasciò cadere il discorso
e voltò le spalle a Hermione, indicando di malagrazia una
poltroncina bianca.
Versò il thé nelle tazzine, tanto nervosa da
dimenticare la bacchetta.
Alla fine le porse la sua
tazzina (stavolta nera e rossa e bianca) e sprofondò nella chaise longue con espressione annoiata.
Hermione Granger si passò
una mano tra i capelli arruffati, nervosa, poi sollevò lo
sguardo sull’ex
compagna di scuola.
Te
l’ha detto Cho? O mi hai riconosciuta?
Tra loro corse un silenzio
tranquillo, almeno finché le tazze non si svuotarono. Sophy
stava già per
impugnare la bacchetta e ordinare alla teiera di fare il suo lavoro,
quando
Hermione posò il cucchiaino che aveva tra le mani e la
fissò, improvvisamente
combattiva.
« Non ti avevo riconosciuta,
a King’s Cross.» esordì. Nessuna
risposta. « Tua figlia… dove è stata
Smistata?» aggiunse, un po’ più
impacciata. Questo riempì Sophy di
considerevole esultanza, e la fece sorridere soddisfatta.
« Corvonero, come me.»
« Congratulazioni!»
Niente
più niente.
Lo vide arrivare, quel
colpo,
come Lily Potter, per fare un paragone azzeccato, aveva visto
l’Avada Kedavra,
sentì un colpo sulle costole, e gli occhi castani di
Hermione si indurirono
come schegge. « Hai raccontato a tua figlia della Seconda
Guerra Magica?»
Sono
passati vent’anni.
« Sono passati
vent’anni.»
Vent’anni
senza guerra. Vent’anni da quando era
partita, quella mattina. Chissà che ci avevano fatto con il
corpo di Lord
Voldemort, se l’avevano sepolto da qualche parte, o se
avevano preferito dargli
fuoco, con i Buoni a festeggiare attorno al grazioso falò.
Sophy rimase immobile per
qualche secondo, dopodichè scosse la testa e, sorridendo,
riempì la sua
tazzina. Hermione alzò gli occhi al cielo.
« Appunto. Capisco che tu sia
stata in viaggio per tutti questi anni, ma avremmo preferito
– tutti noi,
intendo – che ti informassi prima di raccontare quella storia
ad una bambina.»
« Non m’importa.»
Hermione Granger aggrottò le
sopracciglia e si alzò in piedi, la mano leggermente
tremante che scivolava
inconsapevolmente verso la bacchetta nella tasca della veste. Che
pallida,
arida icona del presente di lillà e nebbia! Ne erano usciti
tutti mutilati,
dalla guerra, ma loro erano stati più bravi, forse, a
fingere che non fosse
successo niente, quando invece era
successo tutto. Poteva Schiantarla,
Cruciarla, usare la magia come violenza, su di lei.
« Ti prego, vogliamo solo
dimenticare.»
« Non sarò io ad
impedirvelo.» ringhiò Sophy, indicandole la porta
con la bacchetta.
Le prime righe
arrivarono con
facilità, ma il primo ricordo – una veste
rubata
– le fece riabbassare la penna, gli occhi persi nel vuoto
della
stanza, un formicolio sulla schiena. All’improvviso, dieci
dita sul viso. Sophy
sussultò, divincolandosi nella luce vermiglia che sgusciava
tra le fessure.
«
Oh, petite, non devi
piangere.» sussurrò una voce maschile, vicina al
suo orecchio. Sophy inclinò la testa verso quella voce,
là dove sapeva che
avrebbe trovato anche le sue labbra.
Il viso
attento di Lucién
prese il posto delle sue dita, e lei sorrideva, un po’
sciocca e tenera,
socchiudendo gli occhi chiari, e gli appoggiava le mani sugli
avambracci,
timidamente.
«
Non sto piangendo, mon ciel.» rispose,
la fronte premuta
contro la sua.
«
Certo, come no.»
Sophy
gonfiò le guance come
una bambina arrabbiata, ma l’arrivo dell’allocco di
Ariella le impedì di
protestare come avrebbe voluto.