Raiting:
Verde.
Timeline:
Post 5x13.
“Message”
[betato da Trappy]
Sali
sulla tua Corvette perfettamente pulita e impeccabile com’è sempre
stata – tralasciando il triste episodio in cui l’hai prestata a
Michael per il suo drammatico tentativo di fuga con il suo
figlioccio, che ti ricorda di non concedergliela mai più – e giri
rabbiosamente la chiave per metterla in moto.
Ti
abbandoni contro il sedile in pelle, godendoti il suo potente rombo,
come se potesse invaderti la testa e far piazza pulita di tutti i
pensieri che ti si arrovellano dentro.
Ti
chiedi cosa ti sia passato per la mente il giorno in cui ti sei convinto
ad aprire una tua agenzia, quando potevi firmare quel cazzo di
contratto con Gardner e startene buono al tuo posto, senza troppe
rotture a fracassarti il cervello e le palle, finché un sorriso spunta
sulle tue labbra.
Lo
sai fin troppo bene che non ne saresti mai stato capace, ma lo stress
lavorativo è davvero difficile da sopportare, soprattutto adesso
che, quando rientri a casa, non c’è Justin ad aspettarti con il
suo sorriso che disperde in un attimo ogni tua congettura,
lasciandoti pervadere solo dalla voglia di sentirlo ridere,
sussurrare e ansimare, sempre e solo stretto tra le tue braccia, in
un groviglio complicato delle lenzuola o dei cuscini sparpagliati sul
parquet.
Inutile
mentire: ti manca più dell’aria; ti è necessario anche più
dell’aria, ma non puoi far altro che aspettare e guardarlo
splendere in mezzo ai suoi continui successi.
Sei
orgoglioso, fottutamente orgoglioso...e sai di averlo “cresciuto” nel migliore dei modi, ma neanche tu
sai cosa pagheresti perché ti venisse lasciato più tempo da
trascorrere con lui, senza doverglielo chiedere; senza dover
combattere con i sensi di colpa che si aggrovigliano e ti si
stringono allo stomaco ogni volta che ti senti di rubargli tempo,
ogni volta che ti senti di troppo.
Lanci
un’occhiata al cellulare silenzioso gettato sul sedile accanto e
desisti dal comporre il suo numero, inserendo la marcia e
immettendoti nel traffico.
Vorresti
sentire la sua voce, ma temi d’interromperlo durante uno dei suoi
momenti d’ispirazione e sai che non potresti perdonartelo, anche se
lui farebbe e direbbe di tutto pur di rassicurarti e non farti
sentire in colpa.
Raggiungi
il tuo palazzo e senza troppo entusiasmo sali fino all’ultimo piano,
facendo scorrere la grossa porta e muovendo i primi passi in
quell’enorme spazio chic, quanto vuoto e apatico.
Sembra
che, da quando lui non vive più lì, ci sia fin troppo ordine, che
tutto sia perfettamente statico, immobile e impegnato a prendere
polvere – proprio come te – nell’attesa del suo ritorno.
La
cucina non l’hai praticamente più usata, se non per prepararti
qualche caffè la mattina, mangiando un boccone sempre e solo fuori,
perché qualsiasi cosa sembra essere insapore senza il suo sorriso
compiaciuto, mentre gusta la sua ennesima prova culinaria
perfettamente riuscita; e il frigo è sempre praticamente vuoto - tanto che sei convinto abbia perfino l’eco - ora
che fare la spesa ti sembra inutile e noioso.
Nel
bagno non hai mai spostato niente di suo. Lo spazzolino è al suo
posto, così come l’asciugamano gemello del tuo o la schiuma da
barba.
Solo
il bagnoschiuma nella doccia o lo shampoo ti sei concesso di usarli
qualche volta, per sentirti addosso qualche traccia del suo odore,
anche se non sarà mai lo stesso se non è sulla sua pelle; e anche
se odorarlo senza poterti stringere a lui fa ancora più male.
Nel
terzo cassetto – quello che non apri mai, quasi fosse off-limits
per te – c’è ancora qualcosa di suo, così come nella parte
sinistra dell’armadio: cose che ha lasciato; tracce della sua
presenza nel loft, per ricordarti che presto tornerà e che potrete
godervi quegli sporadici momenti al massimo, senza
alcuna stupida scusa, giustificazione o rimpianto,
pensando solo e soltanto a voi stessi e tagliando letteralmente fuori
il resto del mondo da quel posto perfetto e magico in cui potete
vivere solo voi due.
Sbuffi
scocciato, lanciando la ventiquattrore sul divano per poi toglierti
la costosa giacca dal taglio perfetto, che sembra modellarsi come una
seconda pelle sul tuo corpo, e allenti la cravatta.
Lanci
un’occhiata al telefono e, dopo aver notato la luce lampeggiante
della segreteria, premi il pulsante e ti versi un bicchiere di Jim
Beam, ascoltando il susseguirsi di messaggi, senza troppa attenzione.
Il
primo è di Michael che, isterico come al solito, ti impone
di richiamarlo al più presto,
mentre ti accusa di essere letteralmente sparito e di aver dato
l’ennesimo forfait alla cena che aveva organizzato per ieri sera.
Non
è per essere stronzo – o forse sì – ma proprio non ti passa
neanche nell’anticamera del cervello di trascorrere ore in
compagnia di suo marito, futuro Dalai Lama, e di quel ragazzino
complessato, sessualmente confuso e isterico del suo figlioccio.
Ti
riprometti di richiamarlo, ma le tue buone intenzioni svaniscono
rapidamente, come fumo nel vento, nel dimenticatoio, col cambiare
della voce riprodotta dalla segreteria; stavolta è Linz.
Sorridi,
appoggiandoti a una delle travi, mentre la sua voce squillante riempe
il loft e senti il cuore alleggerirsi quando ti comunica che tra
cinque giorni, lei e il tuo piccolo Gus, voleranno fino a Pittsburgh
perché tuo figlio non resiste più dallo starti lontano; e neanche
immagina quanto per te sia lo stesso.
Posi
il bicchiere per afferrare il cordless e richiamarla immediatamente,
anche solo per sentire per qualche minuto la voce del tuo bambino,
quando un altro “bip” si diffonde nell’aria, per informarti del
terzo e ultimo messaggio.
«Ciao.»
senti pronunciare con voce incerta, e il tuo cuore sembra sprofondare
dentro di te, prima di risalire all’improvviso e partire per una
maratona di pulsazioni a rotta di collo. «Avrei voluto
chiamarti al cellulare ma avevo paura di disturbarti al lavoro, così
ti ho chiamato a casa.» lo
senti soffermarsi per un attimo e ne approfitti per chiudere gli
occhi e respirare profondamente, immaginando di vedere i suoi capelli
dorati e lisci, e quei lapislazzuli splendenti dei suoi occhi che ti
guardano con lo stesso immutato e grande amore. «Non c’è
un vero motivo...avevo solo bisogno di dirti ‘ben tornato a casa’
anche se non sono lì, perché è tra le cose che mi mancano di più
quando rientro. Mi manca dirtelo e sentirti chiedere come mi è
andata la giornata, prima che tu mi racconti la tua e ti lamenti per
ore dei tuoi facoltosi clienti che ti arricchiscono ogni giorno di più.»
lo senti ridacchiare, anche se con una lieve punta di amarezza, e non
puoi far altro che ricambiare con un sorriso. «Ci sono
giorni in cui qualsiasi cosa io faccia o veda, ho l’istinto di
voltarmi e parlarti. Mi sento un idiota, ma mi viene naturale. È
naturale per me cercarti con lo sguardo anche in una città in cui
non abiti, per ridere con te di qualcosa di buffo che vedo, proprio
come quando passeggiavamo per Liberty Avenue, o chiederti un
consiglio quando c’è qualcosa che mi turba...»
lo senti sospirare e diventa difficile anche per te continuare a
respirare. «...ed è naturale perfino voltarmi nella
doccia, convinto di trovarti lì per me o cercarti tra le lenzuola
per abbracciarti.» la sua voce
s’incrina e tu vorresti solo averlo vicino per abbracciarlo forte e
sussurrargli che va tutto bene; tutto perfettamente bene
e di non preoccuparsi; e come ti aspetteresti dall’uomo che hai
cresciuto, trova ancora il coraggio di parlare senza piangere: «Mi
manchi, Brian.» confessa
candidamente e ti trattieni a stento dal pronunciare un “mi manchi
anche tu”, solo perché sai che non potrebbe sentirti e che quindi
sarebbe inutile. «Semplicemente mi manchi da morire, e
voglio che tu lo sappia...che te lo ricordi sempre, e che tu sappia
anche che non vedo l’ora di tornare a Pittsburgh.»
un’altra breve pausa e la sua voce torna ancora a cullarti. «Ok,
credo di aver sparso sdolcinatezze a sufficienza e, prima che tu
decida di prendermi a calci la prossima volta che ci vediamo, è
meglio se mi decido a riattaccare e a riprendere a dipingere...anche
se non sai cosa darei perché tu fossi qui...ok, basta, la smetto!»
ride e tu ridi con lui. «Allora...ci sentiamo presto.
Ciao...» pronuncia, ma il
messaggio non è ancora finito. «Ah, Brian...ti amo.»
L’ultimo
“bip” ti riscuote fastidiosamente dal limbo piacevole in cui ti
eri rifugiato ascoltando la voce di Justin, ma le sue parole sono
bene impresse nella tua mente.
Incapace
di pensare ad altro accendi il computer e prendi a cambiarti
frenetico: un paio di jeans scuri, una semplice t-shirt e un maglione
verde scuro.
Tiri
fuori il primo borsone che trovi nell’armadio e, dopo aver
effettuato un paio di click con il mouse ottenendo ciò che cercavi e
aver chiamato un taxi, lo riempi delle prime cose che trovi,
gettandole alla rinfusa.
Spegni
il computer e tutte le luci, afferri il borsone e componi un numero
che conosci a memoria mentre esci in strada. Pochi squilli e la
stessa voce che poco prima ti ha rischiarato la giornata, risponde:
«Brian...» lo senti mormorare un po’ sorpreso. Forse non si
aspettava una tua chiamata così tempestiva.
«Ehi...» lo saluti, con il cuore che batte vivace nel petto.
«Hai
sentito...»
«Sì,
l’ho sentito.» lo interrompi e, nel sentire la sua voce
felice, ti
sembra di vederlo sorridere, e capisci che per una volta tanto nella
tua vita stai facendo la cosa più giusta. Hai
un
disperato bisogno di lui, proprio come sai che lui ne ha di te, e
stavolta il resto mondo con i vostri impegni dovrà andarsene
a ‘fanculo e lasciarvi fuggire nel vostro piccolo spazio di felicità.
«Ripetimi un po’ com’è il tuo indirizzo? Tra due ore sono a New
York.»
“...And i'm not gonna stand and wait,
not gonna leave until it's too much too late.
On a platform i'm gonna stand and say,
that i'm nothing on my own,
And i love you, please come home!
My song is love, is love unknown,
and i've got to get that massage home.”
Note dell’autrice:
Ebbene
sì, sono tornata ad intasare questo fandom con le mie
stupidaggini, anche se stavolta è davvero piccina
picciò!
Non so da dove mi sono uscite queste tre righe, e forse sono andata anche un po’
troppo OOC per il troppo fluffleggiare tra i nostri Britin ma,
contrariamente a quello che ho scritto nella long, io sono fermamente
convinta che dopo la lacrimosa 5x13, Brian e Justin hanno sicuramente
trovato il modo per continuare a vedersi almeno durante il
weekend...anche perché un’ora d’aereo non è praticamente nulla per i "tempi americani", considerando che, per spostarsi da una parte all’altra nella maggior parte delle loro città, si può impiegare anche più tempo!
Perciò confesso...in realtà io ho sempre pensato che la situazione potesse essere un po’
amara a volte, ma che sarebbero comunque riusciti a gestirla
egregiamente... XD e da qui, e da un graditissimo messaggio che mi
hanno lasciato in segreteria un po’ di tempo fa, è nata questa OS che, per quanto piccola e forse un po’ insipida, spero vi sia piaciuta comunque.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e commentato le precedenti OS e
vi auguro di trascorrere al meglio questi giorni che precedono la fine
dell’estate!
Un bacio e a presto.
Veronica.