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Autore: braver than nana    18/08/2011    2 recensioni
Dal primo capitolo: «Per fortuna che all’arrivo dovrebbe esserci Joe ad aspettarmi. Potrà sicuramente darci una mano con queste.» disse distrattamente battendo una mano sulle valigie con un sorriso sulle labbra, lui la guardò con un’espressione di scuse ma Lauren rise di nuovo, spingendolo verso due posti liberi. Quando si sistemarono dovettero aspettare qualche minuto prima che il loro vagone iniziasse a muoversi con fluidità.
Mancava veramente poco e sarebbe arrivato. La sua nuova casa, la sua nuova vita era dritta davanti a lui. [Future!Kurt in Michigan. Crossover degli Starkid!]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Kurt Hummel
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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01 – Travelling.

 

Il viaggio fino all’aeroporto non era durato neanche una mezz’ora, passata nel totale silenzio da parte dei due uomini seduti uno di fianco all’altro nel pick-up di Burt Hummel, e quando in lontananza si poté scorgere la figura non poi così imponente dell’edificio Kurt perse il primo battito. Aveva preso solo un aereo nella sua vita che lo aveva portato nella città dei suoi sogni e adesso stava per salire su quello che lo avrebbe fatto volare fino alla sua nuova casa.

Sul tabellone dei voli Detroit era uno degli ultimi nella tabella di marcia ma solo quel nome, scritto a caratteri cubitali nel grande schermo lo fece sorridere per qualche istante, sospirando per impazienza e aspettativa. Si riprese dopo poco, girandosi verso il padre che trascinava due delle immense valigie che il più giovane era riuscito a riempire intimandogli di darsi una mossa. Dovevano fare il check-in, imbarcare i bagagli e salutarsi, tutto nell’arco di un’ora scarsa, tempo che a entrambi sembrava veramente troppo poco.

Corsero da un lato all’altro dell’aeroporto guidati più dall’istinto che da una vera conoscenza del posto ma a dieci minuti dall’imbarco la voce metallica della solita signorina fastidiosa annunciò il volo spingendoli verso il gate d’imbarco dove una fila piuttosto lunga si era accalcata. Un vociare sempre più intenso li tolse momentaneamente dall’imbarazzo dei saluti imminenti ma quando furono a sole quattro persone dal turno di Kurt si guardarono negli occhi.

Entrambi sapevano che quel momento sarebbe dovuto arrivare, che avrebbero dovuto dirsi quelle due parole di circostanza che li avrebbe fatti arrossire e che alla fine si sarebbero abbracciati frettolosamente, come era giusto che succedesse. Perché Kurt sapeva che per qualsiasi cosa suo padre avrebbe potuto mettersi in macchina e viaggiare fino a Ann Arbor in qualsiasi istante se avrebbe avuto bisogno di lui, perché Burt anche se era restio a pensarlo, sapeva che il suo bambino era cresciuto e che era il momento per lui di farsi da parte e lasciarlo andare. Il fucile infondo era ancora nello sgabuzzino e non avrebbe avuto nessuna remora e correre nel Michigan per puntarlo contro qualche mascalzone che avrebbe potuto mettergli gli occhi addosso. Non stava andando poi così lontano e il paese nel quale avrebbe vissuto per i prossimi quattro anni -quattro anni! Erano così tanti! Ragionò con le mani sudate- era giusto qualche chilometro a nord dell’Ohio, non dall’altra parte del mondo. E i telefoni! Esistevano i telefoni anche se, lo sapevano benissimo tutti e due, le telefonate sarebbero durate quel tanto per raccontare come trascorrevano le giornate e come erano le lezioni, avrebbero parlato del tempo, oggi qua a piovigginava, da voi?, e dei progressi di Finn come meccanico in officina.

Rimasero occhi negli occhi per qualche secondo e si sorrisero.

«Mi raccomando, chiamaci appena arrivi. Carole sarà in pensiero.»

«Certo papà.»

«Li hai presi i biglietti del treno che devi prendere? E i soldi per il taxi? Ancora mi chiedo perché non ha visto per una navetta per arrivare al campus. Sicuro di non aver lasciato a casa quella specie di poltiglia puzzolente che metti ogni ser…»

Le mani pallide e curate del più piccolo si posarono sulle spalle del genitore che ormai aveva raggiunto in altezza cercando di calmare il fiume di parole che gli stava rivolgendo, tirandolo in quell’abbraccio che entrambi aspettavano. Si strinsero per qualche secondo, concentrandosi sulla consistenza di quei rari momenti e Kurt dovette trattenersi dal non cadere nella malinconia che lo inseguiva da tutto il giorno.

«Stammi bene, Kurt.»

«Starò bene.»

Si allontanarono rivolgendosi uno sguardo imbarazzato e con lentezza di avvicinarono all’ultima tappa all’interno del terminal. Il più piccolo posò la borsa che aveva tenuto per il viaggio e la posò nel recipiente di plastica guardandolo con diffidenza per colpa dello strato di polvere che di sicuro avrebbe sporcato il tessuto chiaro e appoggiò l’orologio, la cinta e la spilla a forma di aeroplano al suo fianco. Una signorina vestita di azzurro gli chiese i documenti e il biglietto e dopo che ne ebbe strappato una parte glielo restituì con un sorriso. Un attimo prima che con il solito passo svelto e impaziente il più giovane decidesse di attraversare il metal detector Burt appoggiò una mano sulla spalla del figlio, stringendo quel poco per fargli capire che lui era là, che ci sarebbe stato. Lui rispose accarezzandola e stringendo gli occhi che pungevano dalla voglia di piangere e senza voltarsi si incamminò facendo suonare il solito allarme. Rise e guardò la signorina mentre la prima lacrima si faceva strada sul suo viso e lei lo lasciò semplicemente andare, facendogli segno con la mano dopo che ebbe preso la sua roba.

Nonostante non volesse assolutamente voltarsi indietro, un istante prima di varcare le vetrate che lo avrebbero portato al piccolo pulmino già parcheggiato e carico di quella gente che avrebbe viaggiato con lui gettò lo sguardo verso l’ammasso di persone che velocemente trafficava con i loro bagagli e scosse la testa nel vedere che suo padre era già andato via. Se lo immaginava commosso mentre guidava verso casa, per fortuna c’era Carole ad aspettarlo che gli avrebbe reso tutto più facile.

Il volo, nonostante avesse il terrore di cadere e schiantarsi da qualche parte tra l’Ohio e il Michigan, passò tranquillo e incredibilmente veloce. Prima ancora di potersi abituare e poter chiedere un caffè per il quale aveva di sicuro pagato la voce di una delle hostess annunciò l’arrivo a Detroit, chiedendo di allacciare le cinture che non aveva mai tolto. Il signore che sedeva al suo fianco non gli aveva rivolto la parola neanche una volta e aveva continuato a leggere un giornale di finanza per tutto il viaggio e quando arrivò il momento di scendere si scagliò fuori dall’aereo con la velocità di un razzo guardandolo male.

Sospirò pesantemente prima di prendere la borsa sulla quale notò una leggera macchia grigia e scese lentamente. Aveva forse sperato un po’ che cambiare aria, arrivare in una città grande come Detroit la sua eccentricità non sarebbe stata più fonte di tanta repulsione per la gente che aveva attorno ma a quanto pare si era illuso. Chissà come sarebbe stata Ann Arbor, chissà come sarebbero stati i suoi compagni di corso o quelli con cui avrebbe diviso stanza e il dormitorio, o  i professori.

Quando atterrò sulla terra ferma aveva ancora una certa nausea e l’orecchio destro gli doleva un po’, ma cercò di non farci troppo caso cercando di concentrarsi sulle informazioni che aveva letto sull’aeroporto. Era immensamente grande e quegli spazi di sicuro non giovavano al suo scarso senso dell’orientamento così quando si ritrovò immerso nel traffico dovette farsi spazio a spallate per arrivare fino al ritiro bagagli dove raccolse le sue tre valigie. Erano così grandi e pesanti anche all’andata?

Era umanamente impossibile riuscire a trascinarle fino al parcheggio e quando ne ebbe la piena consapevolezza entrò nel panico. Guardandosi attorno si rese conto che praticamente nessuno gli degnava di uno sguardo e che la maggior parte delle persone con più valigie era stato così previdente di munirsi di un carrello.

«Hai bisogno di una mano?»

Una voce dolce venne da dietro la sua schiena e quando si girò trovò una ragazzina che avrebbe potuto avere la sua età rivolgergli un sorriso. I corti capelli di un particolare biondo scuro erano lasciati sciolti attorno al viso magro e pallido e due grandissimi occhi di un marrone molto particolare lo scrutavano divertiti, passando dal suo viso alle valigie che lo affiancavano.

Se avesse avuto una maggiore inclinazione al contatto fisico avrebbe di sicuro abbracciato di slancio la sua personale salvatrice, invece si limitò a sorriderle ed annuire per poi buttare un occhiata agli ingombranti bagagli che si era portato dietro, sbuffando. Lei rise e allungò una mano verso di lui.

«Io sono Lauren. Se vuoi vado a cercare un carrello, o un paio di carrelli.»

«Kurt Hummel.» disse scuotendo poco la mano piccola e fredda che aveva afferrato «se davvero fossi così gentile ti sarei riconoscente a vita. Anche perché credo di avere pochissimo tempo prima che il treno parta.»

Lei si guardò attorno scrutando attenzione la sala e si illuminò quando vicino alle vetrate individuò un paio di quelle strutture metalliche che tanto Kurt agognava. Sgattaiolò velocemente tra la folla che pian piano iniziava a diradarsi, agevolata dalla sua minuta struttura fisica, e tornò dopo poco con un’espressione di vittoria che fece ridere di gusto il ragazzo.

«Grazie mille» esultò iniziando a caricare con molta fatica la prima valigia, quella più grande, sul carrello mentre lei prendeva una seconda più piccola per cercare di impilarla sull’altra.

«Di niente. Ma sembra che tu ti stia trasferendo con tutta questa roba!»

«Diciamo che è più o meno così. Essendo il primo anno non avevo assolutamente idea di quanta roba mi sarebbe servita per i primi mesi. Così ho praticamente svuotato uno dei miei armadi.»

La ragazza lo guardò stranito per qualche secondo mentre con un braccio appoggiato al tessuto pregiato della borsa si riposava dalla fatica che aveva fatto per sollevare l’ultima valigia e poi scoppiò a ridere.

«Sei un ragazzo davvero particolare Kurt.»

«Lo prenderò come un complimento» scherzò, ma quando il grande orologio dell’aeroporto entrò nel suo campo visivo il sorriso che quella ragazza gli aveva portato scomparve all’istante. Il treno che avrebbe dovuto prendere per arrivare a Ann Arbor sarebbe partito dopo cinque minuti scarsi e lui non aveva neanche la più pallida idea di come arrivare alla stazione da quel posto.

Si girò terrorizzato verso la sua nuova amica e lei gli sorrise, appoggiando una mano sul suo braccio scoperto dalla camicia a mezze maniche verde pallido che aveva indossato che, secondo lui, si intonava al colore dell’aereo.

«I treni per l’Università fanno sempre un sacco di ritardo. Abbiamo tutto il tempo.»

«Ma come…»

«Belle Arti immagino.» quando Kurt annuì con ancora la bocca aperta per la sorpresa, lei era quasi sul punto di scoppiare a ridere nuovamente in faccia al ragazzo ma si trattene sorridendogli apertamente e annuendo con un’espressione che avrebbe dovuto apparire saggia. «Ormai sono diventata brava a riconoscere le matricole.»

«Anche tu studi all’Università del Michigan?»

«Esattamente.»

Lauren posò il suo borsone su uno dei carrelli che le borse del ragazzo avevano già riempito abbondantemente e si incamminò. Kurt guardò quella misera sacca con diffidenza, sperando che tutti i suoi vestiti non fossero ammassati lì dentro, ma per non offenderla tenne ogni commento per sé. Infondo era la sua unica speranza di arrivare tutto intero e con tutti i suoi vestiti al campus e quindi le sorrise inforcando uno dei due carrelli per seguirla.

La stazione era praticamente un tutt’uno con l’aeroporto e quindi poterono arrivare praticamente sulla piattaforma senza incrinarsi qualche costola a forza di trascinare valigie anche se purtroppo dovettero abbandonare tutto prima di arrivare sul binario sei, dal quale avrebbero preso il treno per Ann Arbor. Con molta difficoltà Kurt cercava di trattenere l’emozione, guardandosi attorno con così tanta foga che di sicuro una volta arrivati gli avrebbe fatto male il collo, ma almeno risparmiava la povera ragazza che aveva deciso di fargli da guida con tutta la vagonata di domande sulla scuola che aveva in testa dal primo momento in cui aveva deciso di studiare lì.

Rimasero in silenzio per un po’ di minuti mentre la gente iniziava ad accalcarsi sul binario e Kurt poté notare che molti erano ragazzi della sua età che sicuramente arrivavano da ogni parte del paese per il suo stesso motivo. Era così esaltante pensare che avrebbe studiato in una scuola così variegata, così rinomata e prestigiosa.

«Te lo avevo detto che faceva sempre ritardo.» disse la ragazza guardando l’orologio che aveva al polso, distraendolo dai suoi pensieri lungimiranti.

Quando la voce metallica dell’altoparlante annunciò l’imminente arrivo del treno lui scattò immediatamente in piedi cercando di allungare il collo il più possibile seguendo il tragitto delle rotaie. La ragazza di fianco a lui si mise al suo fianco e dopo avergli picchiettato sulla spalla indicò il lato opposto della stazione verso il quale stava strizzando gli occhi facendolo arrossire. Il treno stava arrivando, era enorme e rallentò sempre di più fino a fermarsi esattamente di fronte a loro.

Kurt sorrise alla ragazza e insieme cercarono di sollevare le valigie, e per fortuna un ragazzino alto dai corti capelli ricci li aiutò per poi scomparire tra la folla.

«Per fortuna che all’arrivo dovrebbe esserci Joe ad aspettarmi. Potrà sicuramente darci una mano con queste.» disse distrattamente battendo una mano sulle valigie con un sorriso sulle labbra, lui la guardò con un’espressione di scuse ma Lauren rise di nuovo, spingendolo verso due posti liberi. Quando si sistemarono dovettero aspettare qualche minuto prima che il loro vagone iniziasse a muoversi con fluidità.

Mancava veramente poco e sarebbe arrivato. La sua nuova casa, la sua nuova vita era dritta davanti a lui.

 

Fine.

 

Inizia ad entrare in scena qualcuno. Dal prossimo capitolo, quando avrò il tempo di scriverlo visto che mi hanno ufficialmente tolto il computer e quindi dovrò fare tutto su carta sperando di avere tempo per ricopiare, vedremo qualcuno in più, lo giuro. Mi dispiace se gli aggiornamenti andranno a rilento, ma spero di portare avanti questo progetto che mi sta molto a cuore.

Baci, Nacchan.

   
 
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