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Autore: Summer Lady    19/08/2011    1 recensioni
Questa è la prima storia che pubblico.. Spero di riuscire a portarla avanti fino alla fine perchè ci terrei molto!
Questo racconto narra dell'incontro tra una ragazza e un suo "coetaneo" non proprio.. umano.
Quest'incontro cambierà la vita della giovane che inizierà a vedere il mondo con altri occhi e che capire, ora più che mai, che non tutto è come sembra..
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAP. 2: Una lunga mattina

Quando mi alzai la mattina successiva mi sembrava che qualcuno avesse preso a calci la mia povera testa, ero disorientata e i ricordi della sera precedente piuttosto confusi.
E se mi fossi sognata tutto? Immagino la scena io, come una povera cretina, che ballavo da sola nel pieno della notte... Davvero fantastico! Effettivamente non mi sarei meravigliata se il troppo alcool mi avesse fatto avere delle allucinazioni, in fondo chi mai sarebbe potuto stare in mezzo alla neve vestito in quel modo?
Scostai le coperte e mi misi a sedere con estrema fatica, un pallido raggio di sole colpì il mio volto obbligandomi comunque a socchiudere gli occhi.
Dopo pochi secondi la porta si spalancò violentemente e mia madre entrò furibonda nella stanza. Mi guardò intensamente come se volesse trasmettermi con quello sguardo tutto il suo ribrezzo. Prima di cominciare a parlare, anzi ad urlare, fece schioccare fastidiosamente per un decina di volte la lingua sul palato. «Dove sei stata ieri sera? Sei un’irresponsabile! Non hai idea di quanto preoccupati fossimo per te!» io alzai lo sguardo, la fissai negli occhi. Quante volte avevo ascoltato i suoi rimproveri in silenzio, tenendo per me tutte le rispostacce che avrei voluto darle. Ma questa volta no, non sarei rimasta in silenzio e non avevo intenzione di farlo più! «Ah si? Eravate preoccupati? Che strano, non l’avrei mai detto! Lo sai ormai sono più di sette anni che ho un cellulare funzionante eppure ieri sera non ho ricevuto neanche una chiamata dei miei preoccupatissimi genitori, neanche un piccolo messaggino, NIENTE!» mi alzai di scatto, pessima mossa, la vista si annebbiò e per un attimo fui sul punto di svenire. Fortunatamente mi ripresi e senza aspettare che mia madre trovasse le parole adatte per rispondermi a tono, presi la mia borsetta, le mie scarpe e uscii di corsa dalla camera e poi da casa.
Meno male che la notte prima ero andata a dormire senza mettermi il pigiama, tenendo invece indosso i vestiti del giorno prima.
Appena chiusi la porta di casa mi ricordai di aver dimenticato di prendere la giacca... Un bel problema, non potevo rientrare ora! Indossavo dei vecchi jeans logori, una T-shirt con disegnati sopra Minnie e Topolino che si stringevano la mano e una felpa che recitava: “come to the dark side; we have cookies”. Ero praticamente pronta per un ballo di gala!
Stranamente quella mattina sembrava essere abbastanza caldo e quindi non sentii molto il freddo mentre mi avviavo verso la scuola.
Arrivai giusto in tempo per il suono della campanella, mi sedetti al mio banco e tirai fuori il mio quaderno degli appunti e una penna blu.
La prima ora era quella di grammatica latina... Una noia indescrivibile, così dopo pochi minuti, come spesso accadeva, emerse la mia vena artistica e iniziai a ritrarre svogliatamente la ragazza seduta di fronte a me. Quando abbozzai i capelli mi accorsi che c’era qualcosa di strano in lei, i capelli biondi erano intrecciati insieme ad un denso fumo nero, e non solo quelli! Tutto il suo corpo lo era... Era inquietante ma allo stesso tempo affascinante. Mi sentii un po’ sciocca quando ripresi il mio schizzo e vi aggiunsi tutti quei nuovi particolari.
La biondina si chiamava Sharon, aveva la faccia di un dolce angioletto, un sorrisino sempre malizioso e un modo di fare da super star. La classica cocca dei prof, all’apparenza perfetta, SOLO all’apparenza però! Era una di quelle che cambiava ragazzi come si cambiano le mutande (ammesso che lei le cambiasse), una persona che giocava con i sentimenti delle persone e per la quale la parola amicizia era un termine più vuoto della mia scatola di biscotti al sale marino che finivo sempre in quattro e quattr’otto.
Mi guardai intorno, Sharon non era l’unica ad essere incatenata tra le ombre, molti altri lo erano. Tuttavia c’erano anche ragazzi avvolti da una luce bianca e luminosa ed altri ancora da una luce piena di sfumature di ogni colore!
A distogliermi dai miei pensieri fu il mio compagno di banco «Ehi! Figo quel tatuaggio!» stava indicando la mia mano sinistra posata sul banco. Sul mio anulare era disegnato un anellino, composto da figure tribali molto simili a quelle sul braccio di Seth.. Oh cavolo!
Vedendomi impallidire il ragazzo accanto a me preferì fingere di non avermi mai chiesto niente e credo che iniziò a trovare il latino piuttosto interessante.
Dal canto mio meglio così. Cercai di ricordare qualche dettaglio riguardante la decorazione impressa sulla mia pelle, ma niente: lo zero assoluto, nada de nada!
Bene, perfetto anzi ottimo direi; il mio sogno da sempre.
E fu in quel momento che presa dal panico mi voltai verso la finestra e vidi Seth che mi salutava con un cenno della mano e con un sorriso incredibile stampato sulla faccia. Be’ fin qui tutto normale, lo salutai a mia volta cercando di mascherare la mia tensione. Dopo qualche secondo capii cosa mi disturbava in tutta questa vignetta e quasi più del tatuaggio... L’aula in cui mi trovavo era situata al terzo piano!!!
Inclinai un po’ la sedia per vedere meglio, forse un po’ troppo perchè persi presto l’equilibrio e rovinai a terra con un gran tonfo. Mi ritrovai una miriade di occhi puntati addosso e sentii sgignazzare più di qualcuno. Si girò anche Sharon che con tono straffottente mi disse: «Oh, povera cara! Cos’è successo? Queste sedie non sono adatte a reggere il tuo peso forse?» la guardai divertita: principiante! «No» risposi «Non credo sia questo il motivo. Infatti se la tua sedia ti regge ancora non credo possa avere dei problemi con me!» Questa volta la classe scoppiò in una sonora risata e Sharon, diventata paonazza, si rigirò di scatto senza aggiungere altro. Ecco queste sono le soddisfazioni della vita!
Anche Seth, ancora appollaiato fuori dalla finestra, rideva divertito. Dovevo parlare con lui! Magari mi avrebbe dato qualche spiegazione, magari sapeva qualcosa.
Finalmente suonò la campanella che indicava la fine della prima ora. Come avrei resistito ancora cinque ore con tutti quei dubbi e perplessità?
Non appena la professoressa della seconda ora entrò in classe le domandai di uscire e mi avviai verso i bagni. Come era accaduto la prima volta che lo avevo incontrato, Seth era appoggiato al muro, intento a guardare nel nulla. Anche questa volta il suo abbigliamento lasciava molte perplessità. Ai piedi portava un paio di anfibi slacciati, i pantaloni, decorati con una fantasia militare, gli arrivavano poco sotto il ginocchio. Questa volta portava una maglietta bianca a maniche corte. Lo osservai un attimo, avrei voluto chiedergli un sacco di cose!

- - -

 

Hikaru mi guardava pensierosa, indecisa sul da farsi. Era stata piuttosto divertente la scenetta in classe, e la faccia di lei quando mi aveva visto fuori dalla finestra era davvero da premio oscar.
Si avvicinò a me lentamente ma con passo sicuro, pronta comunque a fare un balzo indietro all’occorrenza. Mi sforzai a mantenere un’espressione seria anche se era difficile non scoppiare a ridere! La salutai nuovamente e lei si fermò a pochi passi da me, battè le palpebre un paio di volte come se stesse cercando le parole giuste, poi prese coraggio e disse: «Lo sai che siamo al terzo piano vero?» sembrava lo dicesse più per convincere se stessa che per altro. «Si, lo so» la mia risposta non la soddisfò neanche un po’, tornò subito alla carica «Ecco appunto, e tu come ci sei arrivato alla finestra? Chi sei Peter Pan?» Il suo paragone mi fece sorridere «No, io sono meglio!» lei mi schioccò un’occhiataccia irritata, ma poi decise di far finta di niente e di passare al quesito successivo. Mi chiese del mio abbigliamento «Be’ sono un tipo caloroso sai?» la vidi alzare un sopracciglio. Avrei voluto spiegarle tante cose, ma non era ancora il momento. All’improvviso Hikaru sbottò. «Ok, questo è troppo! Va bene l’effetto dopo sbornia, ma qui rasentiamo l’incredibile! Vedo luci intorno alla gente, mi sono fatta un tatuaggio e non me ne ricordo» mi mostrò il disegno «Insomma se l’avessi fatto ieri dovrei avere la pelle almeno un po’ arrossata o che cacchio so io!» si fermò un attimo. Anche quando si arrabbiava era piuttosto carina.
La presi per mano e la accompagnai giù per le scale fino all’atrio. Poi uscimmo dalla scuola, a quel punto lei si fermò.

- - -


Che accidenti stavo facendo? Me ne stavo andando da scuola a metà della seconda ora con un ragazzo che si affaccia alle finestre del terzo piano come se fosse del tutto normale.
Afferrai il braccio sinistro di Seth, quello tatuato, e lo osservai paragonandolo all’anellino nero che stava sul mio dito. Gli stessi segni! «È il marchio del fuoco» Seth mi guardava distrattamente come se la cosa non lo riguardasse più di tanto. Il marchio del fuoco? Che cavolo poteva significare? Ma prima che potessi aprire bocca il ragazzo continuò, questa volta con un’espressione a metà tra rimorso e soddisfazione. «Hai ballato con me, per questo è comparso» Momento, momento, momento.. Quindi era tutta colpa sua??

- - -


Non mi sembrò contentissima dell’idea.. Ok forse avrei dovuto usare un po’ di più tatto, ma ormai era tardi per pensarci! Credo si stesse chiedendo cosa significava tutto ciò e soprattutto chi ero io e cosa volevo. Purtroppo ero vincolato, doveva essere lei a cercarmi, doveva essere lei a darsi le risposte. Io non potevo, anche se avrei voluto. Mi frugai nelle tasche e trovai un bigliettino tutto stropicciato, glielo porsi e lei lo prese un po’ titubante. «Se vuoi delle risposte devi farmi le domande giuste, pensaci e quando sarai pronta vieni da me» dettò ciò mi resi invisibile ai suoi occhi e mi spostai(spostai? appostai?) poco più lontano, volevo osservarla ancora un po’, vedere la sua reazione.
Lei rimase in piedi disorientata, poi si concentro sul foglietto che le avevo dato. Sospirò e si voltò, tornando all’interno dell’edificio.

- - -


Ormai non capivo più niente, ancora una volta le mie emozioni erano terribilmente in contrasto tra loro. Da un lato avevo paura, dall’altro provavo uno strano senso d’appagamento. Non sapevo che fare, come comportarmi!
Appena finite le lezioni sarei andata in biblioteca a fare delle ricerche. Ora come ora sapevo per certo solo una cosa: Seth era la chiave!

  
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