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Autore: AsiaAddicted    20/08/2011    2 recensioni
Cinque ragazzi, una sola decisione da prendere.
Cinque ragazzi, un solo disastro da evitare.
Cinque ragazzi, un solo destino a cui non possono scappare.
Un incubo non può uccidere. Un incubo non ha mai ucciso nessuno, giusto?
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sì, son tornata in fretta, lo so. In realtà per pubblicare questo volevo aspettare di avere già pronto il terzo, ma starò tutto il weekend da mio padre e non so quando riuscirò a scrivere, e dato che questo era già pronto perchè in realtà sarebbe dovuto andare insieme al primo, ho deciso di postarlo già ora.
Qua verranno introdotti i tre restanti protagonisti, forse sarò un po' ripetitiva ma è necessario esserlo per gli avvenimenti futuri..quindi..scusate da ora se dirò un po' le stesse cose, prometto che dal terzo capitolo ci saranno novità (:
P.s: ringrazio tutti quelli che stanno seguendo questa storia, davvero, grazie per avermi dato un'opportunità!


K.
 
- Kev, sveglia, muoviti, oggi è peggio del solito. 
Il ragazzo aprì gli occhi, piano, scoprendosi ancora una volta a dormire sul lavoro.
Si alzò lentamente dalla sedia, sbuffando, mentre pensava alle parole che gli aveva detto il suo compagno poco prima. Era inutile, non si ricordava perché quello sarebbe stato un giorno pesante.
Con tutti i problemi che gli passavano per la testa si aspettavano anche che si ricordasse certe cose?
- In caso te lo stessi chiedendo, oggi c’è quell’evento importante a cui parteciperanno quei pezzi grossi della moda, e se non è tutto pronto fra qualche ora ci andiamo di mezzo tutti, quindi muovi il culo e dacci una mano. 
Mentre un ragazzo biondo pronunciava quelle parole gli lanciò una tovaglia e Kevin, ancora mezzo stordito dal sonno, andò al tavolo scoperto più vicino a lui.
Non aveva mai avuto problemi di sonno, insomma aveva sempre fatto sogni fuori dalla norma, ma non gli dispiacevano. Però ultimamente qualcosa non andava. Iniziavano con la solita tranquillità, per poi trasformarsi in un abisso di  terrore e stranezze, stranezze inquietanti, non piacevoli come al solito.
Cercava di non lasciarsi trasportare, però si ritrovava sempre sveglio, abbracciato alle sue stesse ginocchia, a cercare di calmarsi dopo un incubo fin troppo reale.
Pian piano si risvegliò dall’intorpidimento post-sonno e riprese i ritmi, cominciando a lavorare seriamente per quanto uno come lui potesse farlo.
Era sempre stato un tipo distratto, Kevin.
Uno dei soliti ragazzi “sfigatelli”, che erano divertenti ma non abbastanza “giusti”, dolci ma non abbastanza “giusti”,  intelligenti ma non abbastanza “giusti”…insomma, era uno di quei ragazzi che non erano mai stati abbastanza “giusti” per permettersi di  avere una vita piena e soddisfacente, mettiamola così.
Avendo bisogno di un lavoro per riuscire a pagare la sua parte d’affitto della casa che condivideva con il coinquilino, si era ritrovato a fare il cameriere in un grand hotel di Los Angeles, in cui viveva da quand’era nato.
Avrebbe voluto continuare gli studi, ma non ne aveva il tempo in quel periodo.
Era di discendenza asiatica, i suoi genitori erano nati a Hong Kong ma quando sua madre era rimasta incinta di lui avevano deciso di trasferirsi in America e provare a costruirsi una vita lì.
Inutile dire che c’erano riusciti e Kevin era cresciuto nelle vesti di perfetto cittadino americano.
Aveva tratti tipicamente orientalizzanti, capelli neri e abbastanza lunghi,  occhi castano scuro. Un ventunenne nella norma, insomma.
- Hey Kev, hai un minuto? - era un ragazzo piuttosto basso a parlare da dietro le spalle di Kevin.
- Oh, Noah..Beh, in realtà non lo avrei, no. - disse rimettendosi a preparare il tavolo su cui stava lavorando.
- Ah eddai, sono io, capiranno! 
Kevin stava per rifiutare ancora e scusarsi quando uno dei suoi compagni esordì dicendo che poteva andare, ma che aveva solo cinque minuti.
Entrambi ringraziarono e si diressero verso il corridoio vicino all’enorme sala da pranzo.
- Che succede? - chiese Kev fermandosi e appoggiandosi contro il muro.
- E’..è successo di nuovo. Ho di nuovo..ho di nuovo visto quelle cose.
Il più grande sgranò gli occhi.
- Ok, ok. Va tutto bene. Non pensarci troppo, sono solo incubi, non è reale. 
- Sì ma..
- Sta tranquillo ok? Un incubo non ha mai ucciso nessuno, non preoccuparti. 
L’asiatico si stacco dal muro e si diresse nuovamente verso la sala.
- Scusa Noah, oggi è una giornata abbastanza pesante, dobbiamo muoverci. Domani mi racconti meglio! - disse poi prima di entrare.
Kevin non aveva mai detto nulla a Noah dei suoi sogni, pensava che sapere che non era l’unico ad avere visioni del genere l’avrebbe solo agitato di più. A volte gli balenava in testa l’idea di parlargliene, però non l’aveva mai fatto sul serio, si era solo limitato a rifletterci sopra e rassicurarlo. 
Mentre ricominciava ad apparecchiare, Kevin si chiedeva perché lui e quel ragazzo avessero così tante cose in comune. Così tante e inquietanti cose in comune.
 
---
 
N.
 
Quando Kevin rientrò nella sala, Noah rimase da solo ne corridoio con niente di risolto.
Era un ragazzo abbastanza bassino per i suoi diciott’anni, con corporatura nella norma, occhi d’un verde intenso e capelli corti e castano chiaro.
Era il figlio del proprietario dell’hotel, e solo recentemente era venuto a vivere con suo padre perché quell’ultimo voleva che imparasse l’arte del mestiere dato che avrebbe dovuto prendere il suo posto prima o poi.
Studiava, ma i suoi studi non l’avrebbero portato da nessuna parte: era intrappolato nel destino che i suoi genitori avevano scelto per lui.
Noah detestava suo padre, e detestava Los Angeles.
Preferiva vivere con sua madre nella sua amata Irlanda. Lì non aveva incubi, lì andava tutto bene.
Insomma, intorno a lui le cose non erano mai state molto normali, capitavano avvenimenti che neanche lui sapeva spiegarsi, e a volte..a volte gli sembrava di avere qualche strano potere.
Era stupido a pensarlo, si ripeteva ogni volta.
Non sapeva esattamente se erano solo coincidenza o che, ma ad esempio a volte gli capitava di sentir tremare la terra se era leggermente contrariato per qualcosa, oppure di riuscire a far rinvigorire un fiore semplicemente stando a fissarlo per un po’ di tempo.
Gli piaceva pensare che non dipendesse da lui.
Insomma, la natura ormai faceva casino in tutto il mondo, continuava a dirsi che non c’era nulla di strano.
Ma capitava così tante volte.
Comunque, la in Irlanda succedevano solo cose piacevoli. Sentiva presenze, a volte, ma non aveva paura. 
Invece ora quest’ultime non lo lasciavano dormire.
Probabilmente Noah non sapeva che non era il luogo ad aver fatto cambiare le cose, ma il periodo.
 
---
 
G.
 
Dopo aver apparecchiato centinaia di tavoli di tutte le dimensioni, i camerieri giacevano immobili sulle sedie.
Kevin era particolarmente sconvolto e stava quasi per riaddormentarsi, se non fosse stato per Gil.
- Scansafatiche! - urlò un ragazzo alto e dalla pelle abbastanza scura, sbattendo la mano sul tavolo in cui era semi-sdraiato l’asiatico.
- MA CHE..GIL, LA DEVI FINIRE. - sbraitò a sua volta Kevin, alzandosi di scatto dalla sedia.
- Ahahaha eddai amigo, era solo un gioco! Dormi sempre!
“Ah, scusa se non dormo di notte, scusa.” pensava fra se e se il ghiro della situazione.
- Non fate quelle facce, voi avete praticamente finito, noi dobbiamo cucinare senza sosta fino a sta sera!
- Beh non è colpa mia se hai deciso di fare il cuoco. - lo canzonò Kev, seguendolo in cucina.
Se non aveva nessun compito al più piccolo piaceva guardare Gil cucinare, era una persona molto aperta e divertente, come la maggior parte dei messicani.
Gil aveva ventiquattro anni, e viveva a Los Angeles da quando ne aveva tredici.
Lui e la sua (alquanto numerosa) famiglia si erano trasferiti là per il lavoro del padre, e a L.A il figlio maggiore aveva scoperto la sua passione per la cucina, fino a diventare uno dei cuochi dell’hotel Casablanca che, diciamocelo, non era certo uno degli hotel di più basso livello, anzi.
Gil era un mago ai fornelli, il fuoco sembrava letteralmente ubbidirgli. Letteralmente.
Kevin non aveva mai visto nessuno di più abile in quel settore.
Ma dietro a quella maschera tutta sorrisi, si nascondeva un passato difficile e un presente duro da sopportare.
Il messicano dagli occhi neri quanto la pece e i capelli ricci e scuri aveva sempre dovuto lottare per mantenere la famiglia insieme al padre, essendo il più grande. Aveva fatto di tutto, persino rubato, per garantire sempre “qualcosa” agli altri.
Ora che aveva quel lavoro fisso e viveva da solo era un po’ più facile, ma aiutava sempre la sua famiglia quando ce n’era bisogno. Era un bravo figlio e un gran fratello.
Però ultimamente le cose con cui aveva sempre convissuto erano diventate più pesanti e invadenti del solito.
Non aveva mai creduto a cose come “sesto senso” o “creature magiche” e robe varie, eppure la sua vita sembrava esserne contornata.
Non aveva mai dato peso a quegli spiriti che gli sembrava di vedere o a quelle risate che gli sembrava di sentire, ma non poteva fare lo stesso con quelle urla strazianti e quel sangue, quel sangue che intingeva i suoi sogni e la sua mente da qualche mese ormai.
Non ce la faceva più. Tentava di essere come era sempre stato, tentava di non pensarci, ma era difficile.
Non sapeva quanto avrebbe resistito senza uscire di testa.
  
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