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Autore: BlackLilium    23/08/2011    0 recensioni
“Hai una scia di morte dietro di te, Tom, ricordatelo bene. William non si può sconfiggere. Accettalo. Vuoi andare da quella maledetta vampira rossa? Vai. Buttati. Trasformati se necessario… ma non tornare indietro!” urlò la ragazza, sentendo il sangue ribollirle nelle vene.
“Perché mi vuoi qui con te, Ada?” le chiese lui, cercando di farle dire quello che da tempo doveva ammettere a se stessa.
“Non ti voglio qui con me, stupido… ti voglio qui con noi. Nel nostro branco. Siamo lupi, diamine, è il branco la nostra famiglia!”
“Una parte della mia famiglia è là dentro, e ho intenzione di riprendermela.”
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si passava quella foto tra le mani da dieci minuti ormai, aspettando il ritorno del padre. Il sorriso dei due gemelli era di una somiglianza incredibile, nonostante fossero così diversi. Appoggiato alla carrozzeria del cofano del furgoncino, Tom sfiorava con delicatezza la guancia raffigurata di lei, sorridendo al ricordo di quel giorno: il loro primo giro in moto, la moto di Johnny King, l’intoccabile!
L’avevano rubata dal garage, mi pare ovvio, e quell’adrenalina era salita fino alla loro punta dei capelli facendoli sentire fieri e immortali. Tom aveva diciotto anni, i due gemelli quattordici. E lei era già molto carina.
“Tom, hai finito di cazzeggiare? Dammi una mano con questi barili…” lo svegliò il padre, con uno scossone.
Il ragazzo rimise la foto in tasca e caricò le ultime cose sul furgoncino scassato che avevano messo a posto qualche mese prima, dopo averlo trovato abbandonato in una discarica.
“Non siamo molto British, se ci presentiamo così…” commentò il ragazzo, salendo a bordo.
Il padre lo guardò e, con il suo inconfondibile sorriso che non si era ancora sciupato, nonostante le avversità e gli anni passati, gli rispose: “Ma noi non siamo British, siamo Lupi.”
 
 
Arrivarono alla base dei lupi in due ore scarse e, una volta parcheggiato il ferro vecchio, scaricarono i loro bagagli nel magazzino. Mark si guardò intorno: ogni volta che ci tornava, gli veniva un groppo alla gola. Scrollò le spalle e si caricò sulla schiena l’ultimo sacco di roba, entrando nella palazzina.
“Oh bene, ritorna al branco!” Sorrise Sally, accogliendolo con un abbraccio.
“Ciao Sally.”
“Ciao tesoro, ti vedo bene… avete fatto buon viaggio?”
“Sì, certo, una chiacchierata di due ore!” Commentò Tom, passando dietro di loro.
La donna sorrise: “Sempre molto eloquente, eh?”
Mark abbassò la testa, e in una frazione di secondo reagì, assumendo l’espressione e l’atteggiamento che aveva acquisito negli ultimi dieci anni: austerità, indifferenza e una faccia da schiaffi per proteggerlo dal vuoto che aveva dentro.
Sally lo portò di sopra nella sua stanza: “Il ragazzo…? Come sta?”
“L’allenamento va abbastanza bene. Calcolando che io per primo non ne ho mai avuto uno, penso stia andando alla grande.”
“Bene. I ragazzi sono impazienti di rivederlo!”
“Oh già, quasi dimenticavo… i tuoi gemellini! Crescono bene?”
“…crescono. Se sia bene, non te lo so dire! Un giorno sono pappa e ciccia, quello dopo a momenti si sbranano… e NON in senso figurato, non so se mi spiego…”
“Sì, sì, ho presente.”
Un silenzio tombale cadde una volta entrati nella stanza. Era tutto come l’avevano lasciato. Quella maledetta brandina se ne stava ancora laggiù, nell’angolo accanto alla finestra.
“Puoi sistemarti come vuoi. Butta pure via le cose che non ti piacciono, questa stanza è tua. Non ti ci ho mai fatto entrare le altre volte che sei venuto qui… non mi sembrava il momento… ma ora mi trovo con tutte le stanze occupate e quindi…”
“Va benissimo Sally, non ti devi giustificare.”
“La cena è pronta tra mezz’ora, siamo giù nella sala comune.”
“Certo, va bene.”
“E, Mark… mi dispiace ancora un sacco.”
Lui non si voltò e aprì una finestra, mentre Sally chiudeva la porta dietro di sé.
 
 
“Tooom!” Un urlo esaltato percorse tutto il corridoio.
Alan gli saltò sulle spalle, scaraventandolo a terra.
“Ehi, cucciolo, non si gioca per i corridoi, la mamma non te l’ha detto?”
“Io almeno la madre ce l’ho, pirla che non sei altro...!” ribattè Alan.
“Oh, grazie, giochiamoci sempre la carta del povero orfanello! Ma grazie!” Rise Tom, facendo forza sulle braccia per alzarsi.
Con qualche pacca sulla spalla, Alan lo portò in camera sua, facendogli appoggiare le cose a terra.
“Come va qui in base?”
“Oh, non me ne frega un cazzo, Tom… guarda cos’ho trovato.” Disse lui, sfilando dalla tasca un pezzo di carta stropicciato.
Glielo aprì sulle ginocchia e lo guardò con occhi esaltati, in attesa di una reazione.
La locandina nera citava un concerto rock in uno dei locali più di nicchia della città. Impossibile entrarci se non si era maggiorenni e cazzuti. E Tom era maggiorenne e cazzuto.
Il lupo ridacchiò e fece scivolare a terra il pezzo di carta.
Alan lo raccolse e glielo spiaccicò in faccia: “Ma hai capito che cos’è?! Cioè… il concerto! Solo loro, ok?! A due metri dal palco! Potremmo essere a due metri dal palco! E se è un unplugged, sarà pure solo una pedana insulsa!”
“Sì, e forse ci arrivi pure a mezzo metro!”
“Sì, e…” Alan si bloccò; “…non prendermi in giro, tu! Anzi, ti lascio qui il volantino così ci pensi su.”
“Sì, sì, d’accordo…”
“E non trattarmi come un bambino! Sarebbe una figata assurda!” Esclamò il ragazzo, uscendo dalla camera per lasciarlo da solo.
Tom si tuffò sul letto a pancia sotto e agguantò il cuscino. Chiuse per un secondo gli occhi e in quell’istante sentì una lama accarezzargli la spalla e scendere lungo il collo, inarcandosi poi sotto il mento.
Tom sorrise.
“Ada… levati di mezzo.”
La ragazza sorrise e si sedette su di lui a carponi, stringendo al presa.
“Ada… non te lo ripeto.”
La lupa ritrasse il coltello e fece per scendere, premendo il suo petto sulla schiena di lui, per poi scivolare di lato, scavalcandolo con la gamba ben tesa.
Piantò gli anfibi a terra e andò ad aprire una finestra.
“La cena è in tavola tra poco, Tom. Quando hai finito di far giocare mio fratello…”
“Ada…!”
“…che c’è? Ti sto dicendo che ci sono delle moto da mettere a posto, giù in garage. Dacci un occhio.”
“E tuo padre? Non le sa mettere a posto?”
“Mio padre non sa che ci sono.”
Tom si mise a sedere sul letto, la cosa stava diventando interessante.
“E chi le ha portate ‘un po’ di moto da mettere a posto’ in garage?”
“Mmh… amici…” disse lei, giocando con la punta del coltello tra le dita.
“Sì, sì… d’accordo… ho capito.”
Tom si alzò e si levò la maglietta, rimanendo in canotta.
Ada piantò il coltello a terra e si sistemò uno stivale, stringendo i lacci tra le borchie.
“C’è qualche novità qui in base?” Chiese lui.
“Mio padre non torna da due notti. La mamma non è preoccupata, ma io sì.”
“Hai visto qualche movimento strano?”
“Non saprei, ma finora si sono mossi solo in due per cercarlo, e sono tornati a casa senza nemmeno un graffio. È tutto troppo tranquillo, non so se mi spiego.”
“Sì, perfettamente. Ma che pista stava seguendo?”
“Non ne ho idea. Nessuno me ne parla, perché sai com’è… ho solo sedici anni! Che palle…”
“Appena saprò qualcosa, te ne parlerò, promesso.”
“Grazie Tom, ma dubito parleranno. C’è una quiete troppo irreale per essere autentica.”
Il ragazzo la guardò, china com’era sotto i folti capelli ricci.
“Se ti va, potremmo uscire in perlustrazione una di queste sere. Io sono abbastanza avanti con il mio allenamento… non saremmo indifesi.”
“D’accordo, ma non ti assicuro niente. La mamma lupa è molto protettiva con i suoi cuccioli e il coprifuoco non risparmia nessuno!”
Tom le lanciò un’occhiatina di sfida: “Dove sono quelle moto?”
 
 -:-:-:-
 
Buongiorno. L’estate volge al termine, e io torno con un piccolo sequel della storia dei due gemelli dannati!
Spero vi piaccia!
B.L.
  
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