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Autore: SFLind    25/08/2011    2 recensioni
Stoccolma è una città grande e splendida, e ogni giorno persone da tutto il mondo non fanno altro che arrivare, per testare la fama. Per riconsiderarne il nome di "Venezia del Nord".
Qui abita Eva, ordinaria ventenne francese, che non ama altro se non la città. Lavora al bar sotto casa, dove ogni giorno trova conforto e un passatempo.
Ma a Stoccolma abita anche qualcun altro. Qualcuno che ha già incontrato Eva, e continua a dimenticarla. Un avvenente ragazzo con cui non ha niente in comune. Che al contrario di lei, non fa altro che cercare qualcosa che per lui valga la pena ricordare.
O forse qualcuno che sia altrettanto egoista.
Questa è una storia per cui m'impegnai tantissimo, adesso dopo tanto l'ho ripresa in mano. Vi prego di commentare, grazie :)
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. LA RAGAZZA DEL BAR;

Velkommen”.
Questa è l’insegna che trionfa sul modesto zerbino posizionato all’ingresso di casa Schonen.
Piccolo e quasi insignificante, da il benvenuto a chiunque passi da quella porta, e un po’ di nostalgia a chi invece lo guarda di sfuggita, uscendo dall’uscio, immaginando il momento in cui lo si guarderà di nuovo al ritorno.
Così un ragazzo entra a testa bassa nell’ascensore condominiale. Il viso immerso nella sciarpa azzurra, i capelli biondi coprono le orecchie e gli occhi, di cui non si riesce a distinguere il colore, ma che è impossibile non capire siano chiari.
Nel suo aspetto esile e gracile sembra ancora più piccolo, in quel largo ascensore.
Abita al quinto piano di un palazzo a Karlaplan, nella capitale svedese, e come ogni giorno si diverte a leggere le istruzione d’emergenza, aspettando di arrivare al piano terra.
Uscendo dall’ascensore incontra una ragazza, lo fissa insistentemente.
Che nervoso.. Che c’è da guardare in questo modo..” pensa infastidito, ma declina con un dolce sorriso, che nessuno oltre a lui sa essere falso.
Chissà a quante persone rivolgerà quel sorriso ogni giorno. Chissà quante gli crederanno. Chissà quante capiranno che sono solo bugie.
 
Ma può considerarsi una bugia qualcosa che viene fatta solo per far sentire meglio una persona?
 
Esce di casa come ogni giorno a passo lento. Ama quell’aria fredda.
 
Respirala.
Ti rigenera.
 
Oggi non ha lezioni, passerà la sua giornata così come viene, a suo piacimento.
Sono solo le 9.00 del mattino, che potrà mai fare a quest’ora? Nemmeno lui lo sa.
Ha raggiunto la piazza. Un grande albero di Natale piantato nel mezzo la sovrasta. E’ enorme, sì, ma spoglio.
Sembra guardarlo solo di sfuggita per poi andare a sedere su una panchina vuota lì intorno, ma in realtà l’immagine di quell’albero è ancora lì fissa nella sua testa. Ne è affascinato forse.
E’ colpito dalla sua semplicità. Da come s’imponga anche senza tante decorazioni.
Il giornale letto quella mattina in prima pagina vantava una critica per l’annuale allestimento della piazza, quest’anno considerato un totale fallimento.
Ma no, secondo lui è perfetto.
E’ lì, solo, in quella piazza, proprio come lui. Le persone lo fissano, come fissano quel grande abete.
Non si vergognano di essere notati, osservano e basta. Con sorpresa e sdegno allo stesso tempo. Con curiosità e indignazione.
Tutto questo lo diverte.
Studia Psicologia, studia le persone. Vorrebbe studiare se stesso, ma non sa in che modo. Forse un giorno arriverà a scoprirlo, oppure troverà qualcuno che lo faccia al suo posto.
Un vecchio uomo si siede improvvisamente sulla stessa panchina. Quell’impulsività dei movimenti lo sorprende, mentre un odore forte e nauseante lo colpisce forte allo stomaco, rilasciandoli in bocca un sapore orribile.
E’ alcool.
Il signore non parla. Non guarda. Non si volta. Fissa anche lui l’albero.
Ha il viso paonazzo e i capelli sudici. Bruscamente tira fuori un sigaro e con insopportabile non curanza lo accende.
Si sorprende a fissarlo. Detesta la maleducazione. Con non-chalance si alza e senza parlare se ne va.
Ha di nuovo gli occhi bassi e il viso affondato nella sciarpa.
Ha stranamente freddo alle mani, nonostante i guanti e le tasche in cui sono ben riparate dalla neve e dal ghiaccio.
Forse è meglio entrare in un bar, ne approfitterà per fare colazione.
Si sta avvicinando alla galleria commerciale Feltoversten, ma all’angolo nota un piccolo bar mezzo vuoto.
Provare non costa niente” pensa, dirigendosi verso l’ingresso di quel bar dalla strana insegna “I’ve been there”.
I’ve been there.. Non ne afferro il senso..”.
Di fronte alla vetrine cerca di spiarne l’interno, sembra carino, nulla di speciale, accogliente.
Poi concentra il suo sguardo sulla sua immagine riflessa.
Oggi deve essere molto freddo, le sue gote sono rosse e i suoi occhi blu sembrano più scuri. Il giaccone nero gli arriva fino alle ginocchia, lo fa sembrare più basso.
Improvvisamente si accorge che le clienti sedute al tavolo dietro il vetro lo fissano in malo modo, o imbarazzate. Non sa dirlo.
Sente di nuovo il fastidio alle mani, dalle dita congelate.
Ok, basta. Entriamo adesso.. Prenderò un caffè..”.
 
Quando la porta si apre, una campanella suona, la ragazza intenta a  servire un tavolo infondo alla sala, volge la coda dell’occhio verso di lui, e immediatamente torna a concentrarsi sulle ordinazioni.
Nota un tavolino più piccolo e due sedie. Decide che siederà lì.
Prende un giornale dall’ingresso, giusto per comportarsi normalmente. E’ solo e non ha nient’altro da fare, anche se quella stessa mattina di giornali ne aveva letti abbastanza, senza rimanere colpito da nessuna notizia.
Siede, toglie giubbotto, sciarpa e guanti. Infila un paio di occhiali dalla montatura nera e prende il piccolo menù marrone eretto su quel piccolo tavolo nero.
Quanti tipi di caffè..” nota impressionato. Troppi forse, perché possa scegliere.
Perché possa conoscerli tutti.
Per qualche minuto il suo sguardo salirà dal basso verso l’alto di quel menù per parecchie volte, e scenderà verso il basso altrettante.
Uno solo lo ispira particolarmente, o almeno, è il nome che lo colpisce maggiormente.
Frappuccino Italiano al caramello. Caffè, latte, panna, caramello.. una bomba calorica! Bah.. Opterò per un caffè lungo..”. Forse un po’ amareggiato per il doversi accontentare di un amaro caffè, guarda fuori dalla finestra. E’ tutto bianco, nevica e le persone lottano contro un vento gelido.
Poggia il menù, incrocia le dita e vi poggia la fronte. Sente ancora freddo. Gli occhi bassi, odia portare gli occhiali.
Ha un leggero mal di testa, gli pulsano le tempie. Pensa che dovrebbe comprare un cappello.
Arriva una ragazza con dei grossi occhiali marroni. E’ lì in piedi di fronte a lui, un block notes e una matita in mano. Non gli rivolge lo sguardo, fissa solo la sciarpa, accidentalmente caduta per terra. La ragazza si piega e la raccoglie, poi la poggia sulla sedia in modo che non possa scivolare ancora. Si ricompone e senza parlare lo guarda, infine sorride.
Questa volta è lui a fissarla. Questa volta però non sorriderà. Ordinerà il suo caffè e basta.
La cameriera continua a non parlare, ma non manda via il sorriso. E’ sempre lì, sul suo viso lentigginoso.
Un visino da bambina, maglione a collo alto e grembiule marroni. Due occhiali che le cerchiano gli occhi cervoni.
China la testa, annota l’ordinazione e gira i tacchi.
Lui continuerà a fissarla da dietro, ne comincerà a delineare i difetti fisici.
E’ troppo magra, il viso smagrito e scarno, i capelli troppo rossi.. Fisicamente non è niente di che.. Sorride come una bambina..”, continuerà con metodica freddezza.
Toglie gli occhiali dal viso con inconscia superbia.
Non sopporta la monotonia. Non tollera le persone ordinarie. Odia qualsiasi routine. Detesta le mode e chi ciecamente le segue, chi non si distingue dalla massa.
Risultato: quella ragazza del bar non gli era altro se non indifferente, invisibile.
Divertito dalle sue stesse deduzioni aspetta il suo caffè, insieme a cui vedrà tornare quell’apparente bambina troppo cresciuta.
Sorridente, servirà prima tutti gli altri tavoli precedenti al suo, parlerà con i suoi clienti e saluterà quelli che vanno. E ancora con quell’ordinario sorrisino arriverà a servire anche lui, poggiando l’enorme tazza di caffè bollente su quel piccolo tavolo scuro, dove lui, ignorando lei, continuerà a leggere il suo giornale con non curanza e con totale disinvoltura. Poi lo abbasserà per degustare la sua scelta, sorprendendosi però di trovare anche un morbido muffin con scaglie di cioccolato al fianco.
Vorrebbe dire di non aver ordinato alcun muffin, ma la cameriera ha già lasciato lo scontrino ed è tornata a servire un altro tavolo.
Su quel pezzo di carta numerata non vi è alcuna traccia di un dolce, solo le trenta corone di caffè lungo con una zolletta di zucchero.
Non oserà toccare quel muffin. Lo lascerà lì a raffreddare sino alla fine, aspettando che qualcuno venga a riprenderselo. Rimarrà lì per altri venti minuti, prima che la stessa cameriera, appena liberata da un po’ dei clienti che intanto, passata l’ora di punta, saranno usciti, tornerà al tavolo per prendere il conto. Sorprendendosi però di trovare ancora lì sia il muffin che il ragazzo a cui lo aveva lasciato.
La ragazza rimane lì in piedi a fissare il dolce, chissà con quali pensieri nella testa. Un po’ dispiaciuta forse per il vederlo ancora lì intero.
Lui le ricorda distaccatamente di non aver pagato per un muffin.
- Non si preoccupi, è un omaggio della casa.. Con questo freddo non riceviamo molti clienti, e mi dispiacerebbe dover finire per portare a casa tutto ciò che rimane. Era appena uscito dal forno.. Vuole che lo riscaldi adesso? – dice allora lei, tornando gentilmente a sorridere.
Ma lui non ha voglia di aspettare ancora. Lui non ha ordinato quel muffin.
-No, grazie.. Lo mangerò più tardi, sarà freddo comunque. Arrivederci – risponde lui alzandosi dalla sedia e prendendo quel freddo muffin in mano.
Poi declinerà con un formale sorriso, un insolito, enigmatico e falso sorriso, che sfoggiato sul suo viso assume sempre un’aria ironicamente angelica.
Ma questa volta non sortirà l’effetto desiderato, questa volta vedrà soltanto spegnersi il vivace verde degli occhi della cameriera e sparire il sorriso da quel volto lentigginoso.
Rimane lì in piedi, indeciso se dirigersi verso la porta, nervosamente imbarazzato com’è, o restare curiosamente a capire cosa è inconsciamente scattato tra i due.
Ma lei non si farà tanti problemi. No, lei chinerà la testa e tornerà a rifugiarsi dietro il suo bancone, con lo sguardo basso. Come un cane torna alla sua cuccia dopo essere stato rimproverato.
Lui davvero non capisce, anche se vorrebbe. Si sorprende stranamente interessato alla situazione, ma non può rimanere. Ha salutato ormai e ha detto che se ne sarebbe andato, forse un giorno sarebbe tornato per un altro caffè. Ma nemmeno lui ne ha la certezza.
Non crede di doversi dispiacere, dopotutto lui ha solamente sorriso.
Dopotutto,è solo la ragazza del bar.
 
   
 
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