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Autore: Schizophrenia    25/08/2011    1 recensioni
Buchenwald,Germania,1943.
"Il lavoro rende liberi".
Per quanto questa frase viene ricordata adesso con disprezzo, collegata ai numerosi campi di sterminio utilizzati ai tempi di Hitler, non è solo al lavoro che si badava. Non è il lavoro che devono affrontare i giovani di questa storia.
Bea Gurtsieva viene dalla Russia ed è comunista, per questo viene portata nel campo di concentramento di Buchenwald e viene affidata all'allora soldato semplice Mark Schreiber.
Mark Schreiber vuole solo andarsene. Mark Schreiber si è arruolato nell'SS sperando di essere mandato in guerra, ma si ritrova lì, con suo padre, con il quale non ha un rapporto esemplare, a gestire il campo di concentramento.
"Forse fu perché Mark non aveva mai visto un corpo così bello; forse fu semplicemente perché lo attirarono i lividi di cui era ricoperta la ragazza... ma il giovane Schreiber venne scosso da brividi profondi al basso ventre, prima di avvertire l'impulso pressante di prenderla, lì, con violenza; pur sapendo chi fosse."
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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So di essere fottutamente in ritardo. ç__ç
Mi dispiace così tanto. Il mio ragazzo mi aveva fatto passare la voglia di scrivere, quel coglione, ma a voi non frega niente e io non parlerò a vanvera. xD
D'accordo, faccio un'introduzione breve così pubblico subito. u.ù
Capitolo più lungo del solito per farmi personare delle gravi assenze. u.ù
Prometto che cercherò di pubblicare il prossimo capitolo per il 2, perché le idee ci sono, ma la scuola è imminente. Devo trovar il tempo per metter tutto nero su bianco. Auguratemi buona fortuna, insomma. xD
Per oggi niente Dimitri e PapàDiBea, ma non dimenticatevi di loro, sono importanti al fine della trama. u.ù
Beeene, passiamo ai ringraziamenti, su. <3
Ringrazio le persone che hanno inserito la storia tra le seguite:
- Bbw87
- Fairness
- Mareike Tiaycia
- OlandeseVolante
- Nadine_Rose
- niacara07
- Norine
- Prusskj_Lazur
- ChyoChan
- la_regina
- Luc
- thegreenlady
Coloro che la hanno inserita tra le ricordate:
- fedecaccy
- Rayne
- ElleBi
Coloro che la hanno inserita tra le preferite:
- chyo
- xxGiuls.
- kikka23
- elly04
- Karota
- Luna_LoveDark
- liz89
- sarr
- elly04
- orsetta17
- Remedios la Bella
E infine la magnifica ragazza che ha trovato il tempo di recensire:
- Fairness


Ad AppenaTrovoUnAttimoSoloPerRespirare,
Schizophrenia.





Salviamoci la pelle.

-Open Wounds.




Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
27 Dicembre 1943
21:30

Mark non si era dato peso di portare ancora da mangiare alla deportata, scosso dagli avvenimenti della Vigilia. Aveva affidato il compito ad un allievo milite che aveva conosciuto per caso. Si chiamava Derek, credeva di ricordare, sì, Derek Keller, era decisamente un bravo soldato, ma Mark era convinto che non sarebbe mai diventato un buon nazista: impacciato, timido, gli occhi azzurri troppo grandi lo facevano sembrare un ragazzino di sedici anni, e tendeva a riporre troppa fiducia nelle persone. A Mark però stava decisamente simpatico, non era come uno dei manichini al servizio di Hitler, con la divisa in perfetto ordine e che era prono ad uccidersi per obbedire persino a suo padre. Non era come stava diventando lui stesso.
Il ragazzo aveva accettato il compito, di buon grado e Mark iniziava a sentire la sua vita come un qualcosa di tremendamente monotono, da quando aveva smesso di portare cibo alla ragazza e di rimanere a dormire sotto la finestra, con le spalle che premevano contro la parete. Quel giorno si sentiva talmente vuoto che aveva evitato anche di tornare in casa per cena: con un po' di fortuna il padre non si sarebbe nemmeno accorto della sua assenza. Era rimasto al poligono di tiro, tutto il giorno, dalle sei e mezzo di quella stessa mattina. Decise che sarebbe andato a trovarla, dopotutto non gli costava niente e non le doveva spiegazioni, se varcava quella soglia. Era sempre casa sua, no?
Rifece il percorso a grandi passi. Non aveva neanche fame, non aveva voglia di chiedere alla domestica se era avanzato del cibo per lui, non ce n'era motivo. Probabilmente anche Derek aveva portato del cibo alla ragazza e se n'era tornato a casa. Anche lui avrebbe voluto tornare a casa, a Berlino. Alla sua vera casa, ma probabilmente quell'abitazione nemmeno ci sarebbe stata più dopo otto anni. Avevano lasciato Berlino quando Mark aveva appena dodici anni: aveva vissuto a Dachau, nel campo di lavoro, da degli amici del padre che faceva i soldati lì, mentre Hans Schreiber era a combattere sui fronti. Nel luglio del '37, avevano mandato il padre di Mark a Buchenwald, come comandante e Mark lo aveva seguito, un anno prima di arruolarsi a sua volta.
Si fermò davanti alla porta, quando udì un piccolo gemito di dolore. Femminile: doveva per forza appartenere alla ragazza. Avvertì un moto di rabbia: la torturavano, sì, di giorno in giorno, ma mai in quella stanza. Mai sotto i suoi occhi. Gli diede inspiegabilmente fastidio e aprì di scatto la porta, indossava ancora la sua divisa nazista e reggeva l'arma tra le mani, come un qualunque soldato. Avrebbe anche potuto essere un caporale che si divertiva a giocare con le deportate, ne conosceva molti, ma c'erano i bordelli per quello. Di solito le detenute più belle erano mandate lì, ma fortunatamente a Bea Gurtsieva non era stato riservato lo stesso destino. Mentre la porta si apriva, si chiese come mai di tanta confusione mentale: non aveva forse abusato lui stesso del corpo della giovane, torturandola psicologicamente?
Sbatté le palpebre una, due e poi tre volte, per focalizzare bene la scena che gli si parò davanti: << Scusa, non volevo fare troppa pressione, ma sei messa davvero male >> commentò Walter, il suo migliore amico, mentre piano avvolgeva una benda attorno alla spalla della deportata che lo guardava. Mark stava esaminando attentamente gli occhi verdi della russa: non c'era timore, quando lì posava su Walter. Non sembrava avere paura di lui. Come aveva fatto a conquistarsi la sua fiducia così in fretta?!
Il ragazzo dagli occhi chiari si accorse della presenza del suo migliore amico e lo guardò, allargando le labbra in un sorriso, << Finalmente sei arrivato. Prima è passato un certo ragazzino, Keller, ha portare da mangiare. Pensavo lo facessi sempre tu, quando sono arrivato, alle quattro del pomeriggio, non eri nemmeno in camera tua. >> lo stava rimproverando con lo sguardo, era palese, ma c'era anche un'altra cosa ad illuminare quegli occhi azzurri, un barlume di... divertimento?
Mark sbuffò, richiudendosi frettolosamente la porta alle spalle e poggiando il fucile contro il muro, allontanandosi. Preferiva non averlo a portata di mano, altrimenti avrebbe sicuramente deciso di far fuori il suo migliore amico, e non era una buona idea, visto che sembrava averlo aspettato tanto. << Ero ad allenarmi, Walter, come un qualsiasi soldato >> borbottò, in risposta, prima di raggiungere i due. Potrei sempre ucciderlo a mani nude, pensò. Gli sembrava l'unica soluzione possibile a tutto quello. << E tu, se permetti, cosa ci fai qui? >> chiese ancora, palesemente scocciato. La presenza del suo migliore amico non lo infastidiva, no di certo, era il modo premuroso nel quale sfiorava la spalla della ragazza con le bende che lo irritava da morire.
Walter scrollò le spalle, sempre mostrando un gran sorriso, in risposta alla sguardo giusto un tantino infastidito del suo migliore amico, << Ti avevo detto che mi avrebbe fatto piacere conoscere Bea >> rispose, come se non ci trovasse nulla di strano. Come se fosse andato semplicemente a far visita ad una vecchia amica.
<< Devi andartene, Walter. Ti avevo detto che ti avrei fatto entrare, ma non adesso. Se mio padre ci vede ammazza prima me, poi te ed in fine lei >> disse, indicando con un cenno del capo la ragazza dai morbidi boccoli neri come la pece. Walter le aveva medicato solo le braccia, notò. Non sapeva se esserne felice o meno, forse sotto quegli abiti logoro c'erano ferite che necessitavano di essere disinfettate più di altre. Non era affar suo, non avrebbe dovuto preoccuparsene e, sicuramente, Walter Hoffmann non avrebbe dovuto preoccuparsene.
<< Non mandarlo via >> gli aveva chiesto lei. Mark Schreiber si stupì di sentirla parlare, a parte la sera della vigilia non avevano mai veramente parlato, e quel tono lo faceva sentire male. Era strano, caldo, dolce. Era un tono di parlare che nessuno gli aveva mai rivolto, nemmeno Walter; e quegli occhi verdi sembravano di nuovo pieni di speranza, quella sera, che il soldato biondo, in piedi, non riuscì ad evitare di osservarlo, lentamente, mentre cercava di lottare contro quella voglia di sfiorarla.
<< D'accordo, dieci minuti >> borbottò Mark, incrociando le braccia al petto ed andandosi a sedere in un angolo della stanza. Adorava Walter con tutto se stesso, ma era piombato lì senza nemmeno avvertirlo, e questo gli piaceva un po' meno.
Aveva promesso ai due dieci minuti, ma passarono due ore. Due ore durante le quali Mark si era beato delle risa di Walter e di Bea, finendo completamente disteso sulle assi di legno del pavimento. Il suo amico parlava di suo madre che faceva il medico lì, descrivendoglielo, e Bea ascoltava; Walter raccontava qualche sciocchezza che avevano fatto da piccoli, e Bea rideva; Walter guardava Mark e poi Bea, ma nessuno rideva, quando faceva scorrere il suo sguardo attento sui due giovani.
<< Forse adesso è il caso che vada >> disse il ragazzo dagli occhi azzurri, alzandosi e sorridendo alla ragazza dai capelli scuri, << Tornerò a trovarti, il prima possibile, te lo prometto >> le disse e Mark sapeva, conoscendo Walter da praticamente una vita, che lui manteneva sempre le sue promesse e quella fatta ad una ragazza non sarebbe stata diversa. Soprattutto perché Walter sembrava avere un debole per le persone in difficoltà, come quella povera ragazza. << Mi accompagni alla porta? >> chiese subito dopo a Schreiber, voltandosi verso quest'ultimo. Mark sapeva che voleva parlargli da solo, non perché il suo amico conoscesse la porta quasi meglio di lui, ma glielo leggeva negli occhi.
<< Certo >> rispose, quasi subito, seguendolo a passi lenti fuori dalla camera, senza dimenticarsi di chiudere la porta alle loro spalle. Pochi istanti di assoluto silenzio e furono entrambi fuori di casa. Davanti a loro si stagliava unicamente il campo di concentramento di Buchenwald di notte: le anime che arrancavano per sopravvivere, senza neanche un motivo reale per farlo. Non ce n'erano: ogni giorno della loro vita sarebbe stato insulsamente e orribilmente uguale all'altro, finché non sarebbero diventati troppi stanchi e quindi uccisi.
<< Di cosa volevi parlarmi? >> chiese Mark, dando per scontato che comunque il suo migliore amico non ci avrebbe girato attorno più di tanto. Walter di solito non si faceva troppi problemi a parlargli in faccia, con assoluta sincerità.
Walter sospirò, non sembrava aver tanta voglia di scherzare. << Quante volte viene torturata? >> gli chiese, come se ci tenesse davvero a saperlo, e forse era sul serio così.
Mark scrollò le spalle, << Non ne ho la minima idea, Walter >> rispose. Lui non la vedeva spesso, nemmeno voleva vederla spesso, dopo la Vigilia, ma anche prima, lui le portava solo da mangiare la sera, quando capitava, e spesso gli sembrava di notare tagli e lividi sempre nuovi, ma non si era mai messo a contarli. << Credo spesso, comunque. In un tempo compreso tra mattina e pomeriggio >> aggiunse, stringendosi nelle spalle. Non era troppo abituato a preoccuparsi per i deportati o a parlare di loro con il suo migliore amico.
<< Credo che potrebbe riportare gravi infezioni, se non viene curata adeguatamente >> sospirò l'altro, lanciando uno sguardo verso l'esterno. Alla neve che ricopriva interamente il campo di concentramento, sebbene ogni santo giorno i deportati fossero costretti a spalarla.
Il soldato semplice gli rivolse lo sguardo, inarcando un sopracciglio. Aveva forse intenzione di aiutarla? Lui non poteva. << Lo so, Walter, ma morirebbe comunque. Sai ciò che succede a quelle come lei, vero? >> "E' già una fortuna che non l'abbiano mandata in quei luridi bordelli che allestiscono per le ragazze più carine", aggiunse mentalmente. Non aveva mai sentito la necessità di frequentare quei posti. << Mi hai già messo abbastanza in difficoltà con mio padre. Se vede quelle ferite fasciate, mi caccerà di casa, ne sono convinto >> continuò a parlare, lo sguardo ancora rivolto fuori.
Walter guardò nella sua stessa direzione ed annuì, << Ma tu non vuoi che muoia, lei non è come "tutte quelle come lei", no? >> sembrava sicuro delle sue parole, ma non stava incolpando Mark,non stava dicendo niente. Il suo tono di voce era calma mista a preoccupazione, forse per le sorti del suo migliore amico o della ragazza stessa.
<< Non la conosco >> ammise l'altro, sospirando. Ed era strano. Era strano da parte sua. Era strano che la sua risposta non fosse stata "E' solo un altro paio di braccia per la fabbrica del campo". C'era qualcosa di strano anche nel suo tono di voce, sembrava stanco.
<< Potrebbe morire sul serio >> Walter rivolse nuovamente lo sguardo all'amico, che cercava di dimostrarsi ancora impegnato ad esaminare la neve centimetro per centimetro.
<< Sei un medico? >> non voleva sembrare scocciato o scettico, ma lo fu.
<< Mio padre lo è >> il tono della conversazione stava prendendo decisamente una piega ironica e questo non poteva che far bene ad entrambi.
<< Anche volendo aiutarla, dove le trovo le cose? >> non poteva cerco rubarle all'infermeria del campo: non avevano poi molto per curare i deportati, non rispettava le norme igieniche, dopotutto loro non erano importanti quanto un ariano che aveva bisogno di un medico, proprio no. Erano solo feccia, no? Lui però forse stava iniziando a rifletterci su davvero.
Hoffmann scrollò le spalle, << Se vieni a trovarmi in questi giorni, cerco di farti avere qualcosa >>. Poco dopo aver detto queste parole si avvicinò al suo migliore amico e gli sfiorò la spalla, prima di abbracciarlo. Mark non lo respinse, ma non ricambiò il gesto, considerandolo molto poco virile e da bravo militare nazista, abbracciare un altro uomo. << Puoi farcela >> cercò di rassicurarlo Walter e forse quelle parole lo colpirono davvero, perché il soldato dai capelli biondi sorrise, nel buio del campo di concentramento di Buchenwald.


Weimar, Germania
28 Dicembre 1943
7:20

Mark sospirò, davanti alla porta di casa Hoffmann, indeciso se bussare o meno. Stava davvero accettando di aiutare una sconosciuta, in cambio della sua vita, oltretutto? Forse no, non lo avrebbero ucciso, ma poteva scordarsi di rimanere un militare, se l'avessero scoperto. Perché aiutare una comunista quando tutto ciò che hai intorno ti spinge a sorreggere il partito nazionalsocialista? Era davvero giusto? Quale concezione avrebbe dovuto avere di giusto e sbagliato? Erano gli altri ad essere sbagliati, per quello che erano, oppure erano loro stessi quelli a sbagliare mettendo fine alla loro vita? Non capiva, e non voleva capire. Voleva solo che Bea non morisse.
Non pensava mai a lei con il suo vero nome, la cosa le dava una sorta d'identità, non ci aveva mai fatto caso, ennesima stranezza.
Dalle sue labbra fuoriuscì un altro sospiro, e si passò una mano tra i capelli biondi, prima di bussare. Ad aprire venne, poco dopo, la signora Hoffmann. La salutò con un sorriso, chiedendogli se Walter era in casa, e la donna gli disse che poteva raggiungerlo al piano superiore, nella sua camera: strano, Walter non era mai stato un ragazzo mattiniero, era sicuro che lo avrebbe trovato sì, nella sua camera, ma a dormire.
Quando fu dinanzi alla porta che lo separava dal suo migliore amico non esitò come aveva fatto prima, la aprì, trovandosi di fronte Walter vestito e preparato, disteso sul suo letto ed intento a leggere un libro. << Buon giorno >> lo salutò, divertito, andando a sedersi accanto a lui, sul letto. Stava sorridendo, di primo mattino: era decisamente una giornata strana.
<< Buon giorno, soldato, è martedì mattina... niente allenamenti? >> il suo tono di voce era stato alquanto ironico, ma aveva alzato gli occhi dal libro, ancoraprima di richiuderlo e poggiarlo sul comodino accanto a letto, catalizzando tutta la sua attenzione sull'amico che gli si era seduto accanto.
Mark scrollò le spalle, << Possono fare a meno di me, una volta ogni tanto, in fondo mi alleno molto più di tutti gli altri. Potrò anche prendermela una giornata di ferie >> rispose, con ironia, ritrovandosi a pensare che quel mese non era la prima volta che lo faceva. Forse avrebbe dovuto smettere, ma quella mattina, mentre osservava la sua divisa, prima di indossarla, si era affrettato senza nemmeno capire perché accanto all'armadio, alla ricerca di abiti civili.
<< Lo trovo giusto >> rispose l'altro, sorridendogli. Sembrava davvero felice di qualcosa che vedeva sul volto del suo migliore amico, ma non riusciva nemmeno lui a capire di cosa si trattasse. << Sul serio, sembravi davvero stanco in questi giorni, un po' di pausa non può che farti bene >> aggiunse, tirandosi a sua volta a sedere accanto all'amico.
Schreiber annuì, passandosi una mano tra i capelli, << Beh, non dovevi darmi qualcosa? >>, se era riuscito a procurarsi qualcosa. Forse non sarebbe dovuto arrivare così presto, quella mattina, c'era la possibilità che non avesse avuto modo di fare proprio nulla. Forse non avrebbe dovuto esserne preoccupato, ma gli era difficile da spiegare, e forse non voleva nemmeno capire.
<< Oh, sì, certo >>, Walter sorrise e si alzò dal letto, << Ne ho parlato con mio padre e ... >>
<< Sei pazzo?! >> lo interruppe il soldato semplice, sorpreso. Il suo migliore amico non gli era mai sembrato così stupido. << Tuo padre lavora nello stesso campo di concentramento dove lavora mio padre, sono inoltre molto amici, quando credi che ci metterà a farlo sapere a mio padre e l'SS a fucilarmi insieme ad un carico di ebrei? >> si stava arrabbiando, era evidente, e poi Mark era di per sé un tipo che si arrabbiava molto facilmente, non gli servivano troppi motivi per farlo, ma stavolta li aveva sul serio.
Il giovane Hoffmann inarcò un sopracciglio, << Conosci mio padre, è stato soltanto felice che almeno tu avessi iniziato a capire che l'avversione verso altri esseri umani è completamente inutile >> sbottò, dandogli le spalle ed iniziando a cercare ciò che gli aveva promesso.
Mark si passò una mano tra i capelli, lasciandosi ricadere steso sul letto. Ovviamente: conosceva il padre di Mark da quando aveva circa quattro anni, come aveva potuto, anche se solo per un momento, dubitare di lui? Stava diventando decisamente stupido, o era quella giornata ad essere fottutamente strana.
Sentì l'amico sedersi accanto a lui e alzò lo sguardo, notando che gli porgeva un sacchetto stracolmo di carta marrone, << Ci sono molte bende pulite, ovatta, disinfettante e qualche medicina che il mio caro papà a consigliato di somministrarle >> stava di nuovo sorridendo, non sembrava avercela con lui nemmeno un po'. Walter Hoffmann era così: si arrabbiava, metteva il broncio per due minuti e poi tornava a sorridere.
<< Grazie, Walter. Cercherò di stare attento >> rispose, prendendo il sacchetto con entrambe le mani ed alzandosi dal letto. Gli rivolse un sorriso, guardando ciò che reggeva tra le mani. Come avrebbe fatto ad evitare le domande impertinenti di tutti? Non gli interessava.
<< Wow... credo di non avertelo mai sentito dire durante .... beh, molti, troppi anni. Sicuro di stare bene?! >> gli chiese, con evidente sarcasmo. Si alzò a sua volta, afferrando una sciarpa che aveva poggiato sulla sedia, << Dai, usciamo, cerchiamo qualcosa da fare, ti va? >>
Mark sorrise ed annuì, non aveva voglia di tornare a Buchenwald così presto, quando gli altri soldati non avevano ancora finito di allenarsi.
Erano le nove di mattina passate, ormai, e Walter erano riuscito a farlo entrare in uno dei suoi luoghi preferiti: una libreria. Anche a Mark piaceva leggere, da ragazzo, ma da quando si era arruolato trovava sempre meno tempo. A volte lo faceva ancora, la sera, prima di andare a dormire. Lo faceva sentire bene, e lo aiutava ad estraniarsi da tutto quello che non sentiva più come suo. Non dalla Vigilia di Natale, almeno.
<< Hai visto qualcosa che ti interessa? >> chiese al ragazzo dagli occhi azzurri, che era imbambolato a fissare un romanzo rosa. Si era sempre chiesto perché a Walter quella roba piacesse così tanto; lui quando leggeva puntava su altri generi.
L'altro scrollò le spalle e gli sorrise, << Forse, niente di sicuro, e tu? >>
<< Ancora nulla. Vado a fare un giro negli altri reparti. Ci vediamo alla cassa tra mezz'ora >> propose, avviandosi già dalla parte opposta del negozio. Walter non passava mai meno di dieci minuti buoni davanti ad un libro, per decidere se acquistarlo o meno.
Mark Schreiber buttava un'occhiata su qualche copertina interessante, ma non c'era niente che lo colpisse in alcun modo. Forse era soltanto perché i suoi pensieri erano fissi sulla ragazzina, che forse stavano torturando proprio in quel momento. Era ormai un chiodo fisso da quattro giorni, per lui, il pensiero di lei. Iniziava ad averne seriamente abbastanza, ma sentiva il bisogno di parlarle, di vederla ancora. Forse avrebbe dovuto fare un salto da lei, tornato a casa. In quel momento, sentiva il bisogno di aiutarla, e si promise che avrebbe fatto di tutto per riuscirsi e, alla fine, ce l'avrebbe fatta, ne era sicuro. Dopotutto Walter era stato capace di farsela quasi amica, perché lui non avrebbe dovuto? D'accordo, lui era iscritto al partito nazista da quando aveva dieci anni.
Forse fu proprio il pensiero di Bea, che gli fece cadere gli occhi su di un frasario tedesco-russo. Lo prese e se lo rigirò tra le mani: era scritto quasi tutto in alfabeto cirillico, ma decise di comprarlo lo stesso. Avrebbe imparato. Sorrise: l'idea lo divertiva parecchio, non si era mai avventurato in una lingua diversa, e forse quello era proprio il momento giusto per farlo. Sapeva dire pochissime cose in russo, e non ci aveva parlato molto con la ragazza,che sembrava parlare bene il tedesco, solo che a volte sembrava non capire qualche parola.
Raggiunse Walter alla cassa e comprò il frasario, mentre l'amico aveva preso due libri di cui non era riuscito a leggere i titoli.



Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
28 Dicembre 1943
18:57

Mark era molto cauto. Era rientrato in casa e aveva portato frettolosamente tutto in camera sua. Non aveva idea di dove potesse essere finito il padre, quindi si limitava a guardarsi incontro, prima di girare ogni angolo. Probabilmente lo avevano anche avvertito che non si era presentato agli allenamenti, ma lo avrebbe affrontato quella sera, se fosse stato necessario. Sperava proprio di no, avrebbe preferito essere mandato a combattere sul fronte, anche se non ci pensava da un bel po'di tempo. Non aveva incontrato nessuno, eccetto Derek, che aveva dimesso dal compito, riprendendolo per sé.
Raggiunse frettolosamente la cucina, portando il frasario tedesco-russo con sé. Si trovò di fronte proprio chi cercava: una donna sulla quarantina, alta, con la veste a righe che contraddistingueva i deportati, e aveva un fazzoletto, a nascondere i capelli biondo chiaro. Era una serva, lavorava in casa Schreiber da molto tempo, e non aveva mai parlato troppo con lui, ma da quel poco, Mark aveva capito che era russa, forse poteva aiutarlo. In quel momento la donna stava preparando la cena. Mescolava qualcosa in una scodella, poggiandosi al tavolo. Sembrava molto più vecchia e stanca dei suoi anni, ma i suoi occhi scuri ispiravano fiducia e, forse un tempo, dolcezza.
Il ragazzo si sedette accanto al tavolo, osservandola, << Come ti chiami? >> chiese, guardandola, finché la donna non alzò, gli occhi, sembrava sorpresa dal fatto che uno dei due membri della famiglia gli rivolgesse la parola per una cosa così futile.
Sembrava essersi quasi dimenticata del suo nome, dopotutto lei era solo un numero. Un numero appuntato sulle vesti. << Yelena >> rispose, con un appena marcato accento russo nel tono. Pareva stanca, stanca sul serio, mentre preparava la cena, ma a Mark quella donna serviva, in quel momento, quindi avrebbe impedito che fosse uccisa, così come avrebbe impedito che fosse uccisa Bea.
<< Da dove vieni, Yelena? >> chiese ancora, aveva cercato di assumere un tono di voce gentile e calmo. Beh, calmo lo era quasi sempre; quanto alla gentilezza.. lasciava un po' a desiderare, ma avrebbe potuto lavorarci. Forse, con un po' d'impegno.
La donna corrugò la fronte, stava pensando. Forse si sforzava di capire da cosa venisse fuori tutto quell'interessamento. << Mosca >> rispose alla fine, << Posso chiederle perché le interessi tanto? >> sembrava aver imparato a portare rispetto alla famiglia tedesca. Forse perché quello era l'unico modo che avesse per sopravvivere.
Mark scrollò le spalle, << Puoi insegnarmi la tua lingua? >> le mostrò il frasario, sperando che ne avesse scelto uno con qualcosa di utile sopra. Dubitava però che ne avrebbe trovati altri. Di quei tempi, nessuno voleva andare di certo in Russia, non dalla Germania.
Yelena si voltò verso il soldato, osservandolo per qualche secondo e smettendo di fare ciò che stava facendo. Sembrava visibilmente sorpresa e forse anche confusa, e a Mark la cosa non sfuggì, << E' per una... amica >> si affrettò ad aggiungere, anche se non era una sua amica. Forse avrebbe dovuto trovare il modo di far sì che diventasse tale, era una situazione difficile.
La donna prese tra le mani il frasario, iniziando a sfogliarlo, curiosa, << Posso aiutarla, sì, ma ci vorrà del tempo. Quando vuole iniziare? >>
<< Stasera stessa >>, il tono del ragazzo era deciso.
Lei scosse appena il capo, << Cosa potrei insegnarle in poche ore, mentre preparo la cena? >>
<< Il mio nome e Mark e ne ho un bisogno urgente. Ho anche bisogno che prepari qualcosa di più per quest'amica, stasera. Puoi farlo? >>
Yelena lo osservò ancora e sembrò lasciarsi convincere. << Posso insegnarti qualcosa adesso - sospirò - ma devi dedicare alla lingua almeno due ore al giorno, e promettere che un giorno mi spiegherai perché hai bisogno del mio aiuto, Mark >> concesse, pur non sembrando troppo convinta. Chissà come era riuscito a strapparle quella concessione.
<< Perfetto >>, Schreiber si lasciò sfuggire un sorriso.
<< Come si chiama quest'amica, lo sai, vero? >> a Mark sembrava strano che non gli avesse ancora rivolto tutte quelle domande, ma una domanda del genere sembrava accettabile. Aveva chiesto il nome di lei, non aveva chiesto effettivamente chi fosse lei, sarebbe stata una domanda molto più difficile a cui dare una risposta.
<< Bea >>
<< E' il vezzeggiativo di Beatrisa. Davvero un bel nome, dovrebbe essere portato da una persona che rende felici gli altri >> Yelena sorrise. Sembrava molto affezionata alla sua cultura russa, sebbene non fosse in Russia da diversi anni.
Mark l'ascolto attentamente, << Vezzeggiativo? >> la interruppe per qualche minuto, senza capirne esattamente il significato.
<< Sono come dei diminutivi, alcuni di loro perdono il significato, perché vengono pronunciati da tutti, è come un'abitudine, ma ci sono dei modi in cui ti chiamano solo le persone care. Mio marito mi chiamava Yelenushka >>, gli occhi le si riempirono di lacrime, sembrava persa di ricordi, non triste.
Il soldato semplice annuì, ascoltandola attentamente. Chissà Bea quale funzione aveva assunto, per quella ragazza chiusa a poche stanza da loro. La osservò attentamente, quando parlò del marito, << Dov'è tuo marito, adesso? >> le chiese.
<< Faceva propaganda comunista. E' stato portato subito a fare delle docce, e non è più tornato. Questo non è un campo femminile, ma mi hanno tenuta a lavorare qui. Non so perché, ma nonostante tutto, credo che mi sia andata bene >>
Mark ascolta, sembrava interessato alla vita di quella donna. Non era mai stato ad ascoltare un deportato, ed effettivamente si era appena reso conto che nessuno di loro avrebbe avuto una storia felice da raccontare. Yelena aveva perso il marito, chissà tutti gli altri chi avevano perso. Sicuramente qualcuno di importante e di caro. Per un momento, un lungo momento, lo trovò ingiusto.
Mentre preparava la cena, la donna cercò di insegnargli qualche breve frase in russo e parte dell'alfabeto cirillico.


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
28 Dicembre 1943
22:01

Mark aveva affrontato il padre. Non era stato difficile quanto aveva pensato, solo noioso come sempre. Dopo era tornato da Yelena, che aveva preparato qualcosa di più sostanzioso del solito brodino per Bea. Era andato a prendere anche il sacchetto che gli aveva dato Walter e si era diretto in camera della ragazza. Era entrato, senza farsi troppi problemi. Senza bussare. Vedeva la ragazza distesa, inerte, sul letto, stavolta le notava: nuove ferite sul suo corpo. Le si avvicinò, porgendole la ciotola. << Dobroy vecher* >> la salutò, cercando di sorridere, pur notando il cattivo stato della ragazza. Aveva un forte accento tedesco comunque.
Lei alzò lo sguardo verso di lui, palesemente sorpresa: non sembrava riuscire a credere che parlasse russo, ma ne sembrava anche sollevata, << Ciao >> mormorò, nella lingua del ragazzo, sicuramente più comprensibile per lui. Gli prese la ciotola, tirandosi lentamente a sedere.
<< Tutto bene? >>, aveva ripreso a parlare tedesco. Aveva imparato davvero poco, quella sera, ma ci provava. Per adesso stava tentando di fare conversazione con lei, ma sembrava un'impresa ardua, visto che nemmeno lo aveva guardato in faccia. Il ragazzo si disse che probabilmente lo odiava, ma avrebbe cercato di farle cambiare idea e ci sarebbe anche riuscito, ne era sicuro.
<< Sì. Walter non è venuto? >> la ragazza non sembrava molto in vena di parlare, ma appariva agli occhi di Mark come un cucciolo di gatto, tremante, bagnato e impaurito. Si ripeté che era normale: non era mai stato gentile con lei, probabilmente ne era sorpresa. La ragazza iniziò a mangiare, << Cos'è? >> chiese, poco dopo, perplessa, riferendosi a ciò che la sua gamella conteneva.
Mark scrollò le spalle, << Walter aveva un po' da fare... è qualcosa di meglio rispetto a ciò che mangi di solito >> rispose l'altro, rivolgendole un sorriso appena accennato.
<< Spasiba** >>, non capì la risposta di lei, ma non disse nulla, osservandola mangiare lentamente. << Da quando parli russo? >> gli chiese ancora, lei, quando ebbe terminato di mangiare, poggiando la ciotola vuota ad un lato del letto.
<< Sto imparando >> disse, osservandola. Sembrava davvero molto debole. Pensò che forse Walter aveva ragione: forse stava davvero troppo male. Qualcuno avrebbe dovuto aiutarla, beh, era andato lì per quello. Non riusciva più a vederla come una stupida mocciosa, sebbene la cosa sembrasse strana persino a lui. << Vieni, devi lavarti e cambiare le bende >> disse, tentando di mostrarsi gentile. Non era una cosa che gli riusciva bene, ma almeno si sforzava.
Lei gli rivolse lo sguardo: i grandi occhi verbi apparivano a Mark come deboli, stanchi e pieni di dubbio e scetticismo, << Sai farlo? >> gli aveva chiesto, quasi dubitasse delle sue capacità; e forse aveva le sue ragioni visto che il ragazzo passava tre quarti della sua vita a giocare alla guerra.
Nonostante tutto, il tedesco si lasciò sfuggire una sono risata, << Sei incredibile >> commentò, osservandola: gli occhi scuri pieni d'allegria, una volta tanto, in quel buco polveroso.
<< Perché? >>
<< Non mi stai chiedendo se vogliono in realtà ucciderti, mi stai chiedendo se sono in grado di cambiare una benda! Sei incredibile >> ripeté lui, scuotendo il capo, ancora più divertito, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. Lo pensava sul serio. D'accordo, non aveva mai parlato con i deportati, ma dubitava seriamente che un altro qualsiasi essere umano si sarebbe comportato nel suo stesso modo.
Bea sembrava ancora perplessa, apparendo fin troppo ingenua agli occhi del soldato, << Beh, non so se nei sei in grado >> gli aveva risposto ancora, con una naturalezza disarmante anche per un tipo come Mark Schreiber.
Lui rise ancora, mentre la ragazza si alzava, appoggiandosi alla sua mano. Il ragazzo la portò nel bagno che fortunatamente era poco distante, o almeno ilsuo baglio lo era, senza dimenticare di trascinare con sé il pacco con le cose che gli aveva dato Walter. Si richiuse la porta alle spalle, << Prima laviamo le ferite, poi le disinfettiamo >> disse, alla russa, cercando un asciugamano pulito. Quando lo ebbe trovato, lo poggiò accanto al lavandino, prima di avvicinarsi a Bea, << Fammi vedere dove ti hanno fatto male >> disse, serio, osservandola.
Bea abbassò lo sguardo, senza rispondere.
<< Allora? >> stava iniziando a scocciarsi. Si arrabbiava in fretta e non gli piace che non gli si rispondesse.
Esitò, << ...Ovunque >>
<< Allora togliti i vestiti >>
Lei abbassò lo sguardo, e lui capì. << Ti cambio le bende alle spalle. A lavarti magari ci pensiamo domani >>, non lo avrebbe detto, con un'altra persona, ma non era riuscito a trattarla male. Non come avrebbe fatto in altre situazioni.
Quella giornata si era rotto qualcosa nel soldato semplice Mark Schreiber.
Era troppo confuso per capire cosa, ma era successo.


* Dobroy vecher: Buona sera. (russo)
** Spasiba: Grazie. (russo)


   
 
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