Mi
dispiace così tanto. Il mio ragazzo mi aveva fatto passare
la voglia
di scrivere, quel coglione, ma a voi non frega niente e io non
parlerò a vanvera. xD
D'accordo,
faccio un'introduzione breve così pubblico subito.
u.ù
Capitolo
più lungo del solito per farmi personare delle gravi
assenze. u.ù
Prometto
che cercherò di pubblicare il prossimo capitolo per il 2,
perché le
idee ci sono, ma la scuola è imminente. Devo trovar il tempo
per
metter tutto nero su bianco. Auguratemi buona fortuna, insomma. xD
Per
oggi niente Dimitri e PapàDiBea, ma non dimenticatevi di
loro, sono
importanti al fine della trama. u.ù
Beeene,
passiamo ai ringraziamenti, su. <3
Ringrazio
le persone che hanno inserito la storia tra le seguite:
-
Bbw87
-
Fairness
-
Mareike Tiaycia
-
OlandeseVolante
-
Nadine_Rose
-
niacara07
-
Norine
-
Prusskj_Lazur
-
ChyoChan
-
la_regina
-
Luc
-
thegreenlady
Coloro
che la hanno inserita tra le ricordate:
-
fedecaccy
-
Rayne
-
ElleBi
Coloro
che la hanno inserita tra le preferite:
-
chyo
-
xxGiuls.
-
kikka23
-
elly04
-
Karota
-
Luna_LoveDark
-
liz89
-
sarr
-
elly04
- orsetta17
-
Remedios la Bella
E
infine la magnifica ragazza che ha trovato il tempo di recensire:
-
Fairness
Ad
AppenaTrovoUnAttimoSoloPerRespirare,
Schizophrenia.
Salviamoci
la pelle.
-Open
Wounds.
Campo
di sterminio di Buchenwald, Germania.
27
Dicembre 1943
21:30
Mark
non si era dato peso di portare ancora da mangiare alla deportata,
scosso dagli avvenimenti della Vigilia. Aveva affidato il compito ad
un allievo milite che aveva conosciuto per caso. Si chiamava Derek,
credeva di ricordare, sì, Derek Keller, era decisamente un
bravo
soldato, ma Mark era convinto che non sarebbe mai diventato un buon
nazista: impacciato, timido, gli occhi azzurri troppo grandi lo
facevano sembrare un ragazzino di sedici anni, e tendeva a riporre
troppa fiducia nelle persone. A Mark però stava decisamente
simpatico, non era come uno dei manichini al servizio di Hitler, con
la divisa in perfetto ordine e che era prono ad uccidersi per
obbedire persino a suo padre. Non era come stava diventando lui
stesso.
Il
ragazzo aveva accettato il compito, di buon grado e Mark iniziava a
sentire la sua vita come un qualcosa di tremendamente monotono, da
quando aveva smesso di portare cibo alla ragazza e di rimanere a
dormire sotto la finestra, con le spalle che premevano contro la
parete. Quel giorno si sentiva talmente vuoto che aveva evitato anche
di tornare in casa per cena: con un po' di fortuna il padre non si
sarebbe nemmeno accorto della sua assenza. Era rimasto al poligono di
tiro, tutto il giorno, dalle sei e mezzo di quella stessa mattina.
Decise che sarebbe andato a trovarla, dopotutto non gli costava
niente e non le doveva spiegazioni, se varcava quella soglia. Era
sempre casa sua, no?
Rifece
il percorso a grandi passi. Non aveva neanche fame, non aveva voglia
di chiedere alla domestica se era avanzato del cibo per lui, non ce
n'era motivo. Probabilmente anche Derek aveva portato del cibo alla
ragazza e se n'era tornato a casa. Anche lui avrebbe voluto tornare a
casa, a Berlino. Alla sua vera casa, ma probabilmente
quell'abitazione nemmeno ci sarebbe stata più dopo otto
anni.
Avevano lasciato Berlino quando Mark aveva appena dodici anni: aveva
vissuto a Dachau, nel campo di lavoro, da degli amici del padre che
faceva i soldati lì, mentre Hans Schreiber era a combattere
sui
fronti. Nel luglio del '37, avevano mandato il padre di Mark a
Buchenwald, come comandante e Mark lo aveva seguito, un anno prima di
arruolarsi a sua volta.
Si
fermò davanti alla porta, quando udì un piccolo
gemito di dolore.
Femminile: doveva per forza appartenere alla ragazza.
Avvertì un
moto di rabbia: la torturavano, sì, di giorno in giorno, ma
mai in
quella stanza. Mai sotto i suoi occhi. Gli diede inspiegabilmente
fastidio e aprì di scatto la porta, indossava ancora la sua
divisa
nazista e reggeva l'arma tra le mani, come un qualunque soldato.
Avrebbe anche potuto essere un caporale che si divertiva a giocare
con le deportate, ne conosceva molti, ma c'erano i bordelli per
quello. Di solito le detenute più belle erano mandate
lì, ma
fortunatamente a Bea Gurtsieva non era stato riservato lo stesso
destino. Mentre la porta si apriva, si chiese come mai di tanta
confusione mentale: non aveva forse abusato lui stesso del corpo
della giovane, torturandola psicologicamente?
Sbatté
le palpebre una, due e poi tre volte, per focalizzare bene la scena
che gli si parò davanti: << Scusa, non volevo
fare troppa
pressione, ma sei messa davvero male >>
commentò Walter, il
suo migliore amico, mentre piano avvolgeva una benda attorno alla
spalla della deportata che lo guardava. Mark stava esaminando
attentamente gli occhi verdi della russa: non c'era timore, quando
lì
posava su Walter. Non sembrava avere paura di lui. Come aveva fatto a
conquistarsi la sua fiducia così in fretta?!
Il
ragazzo dagli occhi chiari si accorse della presenza del suo migliore
amico e lo guardò, allargando le labbra in un sorriso,
<<
Finalmente sei arrivato. Prima è passato un certo ragazzino,
Keller,
ha portare da mangiare. Pensavo lo facessi sempre tu, quando sono
arrivato, alle quattro del pomeriggio, non eri nemmeno in camera tua.
>> lo stava rimproverando con lo sguardo, era palese, ma
c'era
anche un'altra cosa ad illuminare quegli occhi azzurri, un barlume
di... divertimento?
Mark
sbuffò, richiudendosi frettolosamente la porta alle spalle e
poggiando il fucile contro il muro, allontanandosi. Preferiva non
averlo a portata di mano, altrimenti avrebbe sicuramente deciso di
far fuori il suo migliore amico, e non era una buona idea, visto che
sembrava averlo aspettato tanto. << Ero ad allenarmi,
Walter,
come un qualsiasi soldato >> borbottò, in
risposta, prima di
raggiungere i due. Potrei sempre ucciderlo a mani nude,
pensò. Gli
sembrava l'unica soluzione possibile a tutto quello. << E
tu,
se permetti, cosa ci fai qui? >> chiese ancora,
palesemente
scocciato. La presenza del suo migliore amico non lo infastidiva, no
di certo, era il modo premuroso nel quale sfiorava la spalla della
ragazza con le bende che lo irritava da morire.
Walter
scrollò le spalle, sempre mostrando un gran sorriso, in
risposta
alla sguardo giusto un tantino infastidito del suo migliore amico,
<<
Ti avevo detto che mi avrebbe fatto piacere conoscere Bea
>>
rispose, come se non ci trovasse nulla di strano. Come se fosse
andato semplicemente a far visita ad una vecchia amica.
<<
Devi andartene, Walter. Ti avevo detto che ti avrei fatto entrare, ma
non adesso. Se mio padre ci vede ammazza prima me, poi te ed in fine
lei >> disse, indicando con un cenno del capo la ragazza
dai
morbidi boccoli neri come la pece. Walter le aveva medicato solo le
braccia, notò. Non sapeva se esserne felice o meno, forse
sotto
quegli abiti logoro c'erano ferite che necessitavano di essere
disinfettate più di altre. Non era affar suo, non avrebbe
dovuto
preoccuparsene e, sicuramente, Walter Hoffmann non avrebbe dovuto
preoccuparsene.
<<
Non mandarlo via >> gli aveva chiesto lei. Mark Schreiber
si
stupì di sentirla parlare, a parte la sera della vigilia non
avevano
mai veramente parlato, e quel tono lo faceva sentire male. Era
strano, caldo, dolce. Era un tono di parlare che nessuno gli aveva
mai rivolto, nemmeno Walter; e quegli occhi verdi sembravano di nuovo
pieni di speranza, quella sera, che il soldato biondo, in piedi, non
riuscì ad evitare di osservarlo, lentamente, mentre cercava
di
lottare contro quella voglia di sfiorarla.
<<
D'accordo, dieci minuti >> borbottò Mark,
incrociando le
braccia al petto ed andandosi a sedere in un angolo della stanza.
Adorava Walter con tutto se stesso, ma era piombato lì senza
nemmeno
avvertirlo, e questo gli piaceva un po' meno.
Aveva
promesso ai due dieci minuti, ma passarono due ore. Due ore durante
le quali Mark si era beato delle risa di Walter e di Bea, finendo
completamente disteso sulle assi di legno del pavimento. Il suo amico
parlava di suo madre che faceva il medico lì,
descrivendoglielo, e
Bea ascoltava; Walter raccontava qualche sciocchezza che avevano
fatto da piccoli, e Bea rideva; Walter guardava Mark e poi Bea, ma
nessuno rideva, quando faceva scorrere il suo sguardo attento sui due
giovani.
<<
Forse adesso è il caso che vada >> disse il
ragazzo dagli
occhi azzurri, alzandosi e sorridendo alla ragazza dai capelli scuri,
<< Tornerò a trovarti, il prima possibile, te
lo prometto >>
le disse e Mark sapeva, conoscendo Walter da praticamente una vita,
che lui manteneva sempre le sue promesse e quella fatta ad una
ragazza non sarebbe stata diversa. Soprattutto perché Walter
sembrava avere un debole per le persone in difficoltà, come
quella
povera ragazza. << Mi accompagni alla porta?
>> chiese
subito dopo a Schreiber, voltandosi verso quest'ultimo. Mark sapeva
che voleva parlargli da solo, non perché il suo amico
conoscesse la
porta quasi meglio di lui, ma glielo leggeva negli occhi.
<<
Certo >> rispose, quasi subito, seguendolo a passi lenti
fuori
dalla camera, senza dimenticarsi di chiudere la porta alle loro
spalle. Pochi istanti di assoluto silenzio e furono entrambi fuori di
casa. Davanti a loro si stagliava unicamente il campo di
concentramento di Buchenwald di notte: le anime che arrancavano per
sopravvivere, senza neanche un motivo reale per farlo. Non ce
n'erano: ogni giorno della loro vita sarebbe stato insulsamente e
orribilmente uguale all'altro, finché non sarebbero
diventati troppi
stanchi e quindi uccisi.
<<
Di cosa volevi parlarmi? >> chiese Mark, dando per
scontato che
comunque il suo migliore amico non ci avrebbe girato attorno
più di
tanto. Walter di solito non si faceva troppi problemi a parlargli in
faccia, con assoluta sincerità.
Walter
sospirò, non sembrava aver tanta voglia di scherzare.
<<
Quante volte viene torturata? >> gli chiese, come se ci
tenesse
davvero a saperlo, e forse era sul serio così.
Mark
scrollò le spalle, << Non ne ho la minima
idea, Walter >>
rispose. Lui non la vedeva spesso, nemmeno voleva vederla spesso,
dopo la Vigilia, ma anche prima, lui le portava solo da mangiare la
sera, quando capitava, e spesso gli sembrava di notare tagli e lividi
sempre nuovi, ma non si era mai messo a contarli. <<
Credo
spesso, comunque. In un tempo compreso tra mattina e pomeriggio
>>
aggiunse, stringendosi nelle spalle. Non era troppo abituato a
preoccuparsi per i deportati o a parlare di loro con il suo migliore
amico.
<<
Credo che potrebbe riportare gravi infezioni, se non viene curata
adeguatamente >> sospirò l'altro, lanciando
uno sguardo verso
l'esterno. Alla neve che ricopriva interamente il campo di
concentramento, sebbene ogni santo giorno i deportati fossero
costretti a spalarla.
Il
soldato semplice gli rivolse lo sguardo, inarcando un sopracciglio.
Aveva forse intenzione di aiutarla? Lui non poteva. << Lo
so,
Walter, ma morirebbe comunque. Sai ciò che succede a quelle
come
lei, vero? >> "E' già una fortuna che non
l'abbiano
mandata in quei luridi bordelli che allestiscono per le ragazze
più
carine", aggiunse mentalmente. Non aveva mai sentito la
necessità di frequentare quei posti. << Mi hai
già messo
abbastanza in difficoltà con mio padre. Se vede quelle
ferite
fasciate, mi caccerà di casa, ne sono convinto
>> continuò a
parlare, lo sguardo ancora rivolto fuori.
Walter
guardò nella sua stessa direzione ed annuì,
<< Ma tu non vuoi
che muoia, lei non è come "tutte quelle come lei", no?
>> sembrava sicuro delle sue parole, ma non stava
incolpando Mark,non
stava dicendo niente. Il suo tono di voce era calma mista a
preoccupazione, forse per le sorti del suo migliore amico o della
ragazza stessa.
<<
Non la conosco >> ammise l'altro, sospirando. Ed era
strano.
Era strano da parte sua. Era strano che la sua risposta non fosse
stata "E' solo un altro paio di braccia per la fabbrica del
campo". C'era qualcosa di strano anche nel suo tono di voce,
sembrava stanco.
<<
Potrebbe morire sul serio >> Walter rivolse nuovamente lo
sguardo all'amico, che cercava di dimostrarsi ancora impegnato ad
esaminare la neve centimetro per centimetro.
<<
Sei un medico? >> non voleva sembrare scocciato o
scettico, ma
lo fu.
<<
Mio padre lo è >> il tono della conversazione
stava prendendo
decisamente una piega ironica e questo non poteva che far bene ad
entrambi.
<<
Anche volendo aiutarla, dove le trovo le cose? >> non
poteva
cerco rubarle all'infermeria del campo: non avevano poi molto per
curare i deportati, non rispettava le norme igieniche, dopotutto loro
non erano importanti quanto un ariano che aveva bisogno di un medico,
proprio no. Erano solo feccia, no? Lui però forse stava
iniziando a
rifletterci su davvero.
Hoffmann
scrollò le spalle, << Se vieni a trovarmi in
questi giorni,
cerco di farti avere qualcosa >>. Poco dopo aver detto
queste
parole si avvicinò al suo migliore amico e gli
sfiorò la spalla,
prima di abbracciarlo. Mark non lo respinse, ma non ricambiò
il
gesto, considerandolo molto poco virile e da bravo militare nazista,
abbracciare un altro uomo. << Puoi farcela
>> cercò di
rassicurarlo Walter e forse quelle parole lo colpirono davvero,
perché il soldato dai capelli biondi sorrise, nel buio del
campo di
concentramento di Buchenwald.
Weimar,
Germania
28
Dicembre 1943
7:20
Mark
sospirò, davanti alla porta di casa Hoffmann, indeciso se
bussare o
meno. Stava davvero accettando di aiutare una sconosciuta, in cambio
della sua vita, oltretutto? Forse no, non lo avrebbero ucciso, ma
poteva scordarsi di rimanere un militare, se l'avessero scoperto.
Perché aiutare una comunista quando tutto ciò che
hai intorno ti
spinge a sorreggere il partito nazionalsocialista? Era davvero
giusto? Quale concezione avrebbe dovuto avere di giusto e sbagliato?
Erano gli altri ad essere sbagliati, per quello che erano, oppure
erano loro stessi quelli a sbagliare mettendo fine alla loro vita?
Non capiva, e non voleva capire. Voleva solo che Bea non morisse.
Non
pensava mai a lei con il suo vero nome, la cosa le dava una sorta
d'identità, non ci aveva mai fatto caso, ennesima stranezza.
Dalle
sue labbra fuoriuscì un altro sospiro, e si passò
una mano tra i
capelli biondi, prima di bussare. Ad aprire venne, poco dopo, la
signora Hoffmann. La salutò con un sorriso, chiedendogli se
Walter
era in casa, e la donna gli disse che poteva raggiungerlo al piano
superiore, nella sua camera: strano, Walter non era mai stato un
ragazzo mattiniero, era sicuro che lo avrebbe trovato sì,
nella sua
camera, ma a dormire.
Quando
fu dinanzi alla porta che lo separava dal suo migliore amico non
esitò come aveva fatto prima, la aprì, trovandosi
di fronte Walter
vestito e preparato, disteso sul suo letto ed intento a leggere un
libro. << Buon giorno >> lo
salutò, divertito, andando a
sedersi accanto a lui, sul letto. Stava sorridendo, di primo mattino:
era decisamente una giornata strana.
<<
Buon giorno, soldato, è martedì mattina... niente
allenamenti? >>
il suo tono di voce era stato alquanto ironico, ma aveva alzato gli
occhi dal libro, ancoraprima di richiuderlo e poggiarlo sul comodino
accanto a letto, catalizzando tutta la sua attenzione sull'amico che
gli si era seduto accanto.
Mark
scrollò le spalle, << Possono fare a meno di
me, una volta
ogni tanto, in fondo mi alleno molto più di tutti gli altri.
Potrò
anche prendermela una giornata di ferie >> rispose, con
ironia,
ritrovandosi a pensare che quel mese non era la prima volta che lo
faceva. Forse avrebbe dovuto smettere, ma quella mattina, mentre
osservava la sua divisa, prima di indossarla, si era affrettato senza
nemmeno capire perché accanto all'armadio, alla ricerca di
abiti
civili.
<<
Lo trovo giusto >> rispose l'altro, sorridendogli.
Sembrava
davvero felice di qualcosa che vedeva sul volto del suo migliore
amico, ma non riusciva nemmeno lui a capire di cosa si trattasse.
<<
Sul serio, sembravi davvero stanco in questi giorni, un po' di pausa
non può che farti bene >> aggiunse, tirandosi
a sua volta a
sedere accanto all'amico.
Schreiber
annuì, passandosi una mano tra i capelli, <<
Beh, non dovevi
darmi qualcosa? >>, se era riuscito a procurarsi
qualcosa.
Forse non sarebbe dovuto arrivare così presto, quella
mattina, c'era
la possibilità che non avesse avuto modo di fare proprio
nulla.
Forse non avrebbe dovuto esserne preoccupato, ma gli era difficile da
spiegare, e forse non voleva nemmeno capire.
<<
Oh, sì, certo >>, Walter sorrise e si
alzò dal letto, <<
Ne ho parlato con mio padre e ... >>
<<
Sei pazzo?! >> lo interruppe il soldato semplice,
sorpreso. Il
suo migliore amico non gli era mai sembrato così stupido.
<<
Tuo padre lavora nello stesso campo di concentramento dove lavora mio
padre, sono inoltre molto amici, quando credi che ci metterà
a farlo
sapere a mio padre e l'SS a fucilarmi insieme ad un carico di ebrei?
>> si stava arrabbiando, era evidente, e poi Mark era di
per sé
un tipo che si arrabbiava molto facilmente, non gli servivano troppi
motivi per farlo, ma stavolta li aveva sul serio.
Il
giovane Hoffmann inarcò un sopracciglio, <<
Conosci mio padre,
è stato soltanto felice che almeno tu avessi iniziato a
capire che
l'avversione verso altri esseri umani è completamente
inutile >>
sbottò, dandogli le spalle ed iniziando a cercare
ciò che gli aveva
promesso.
Mark
si passò una mano tra i capelli, lasciandosi ricadere steso
sul
letto. Ovviamente: conosceva il padre di Mark da quando aveva circa
quattro anni, come aveva potuto, anche se solo per un momento,
dubitare di lui? Stava diventando decisamente stupido, o era quella
giornata ad essere fottutamente strana.
Sentì
l'amico sedersi accanto a lui e alzò lo sguardo, notando che
gli
porgeva un sacchetto stracolmo di carta marrone, << Ci
sono
molte bende pulite, ovatta, disinfettante e qualche medicina che il
mio caro papà a consigliato di somministrarle
>> stava di
nuovo sorridendo, non sembrava avercela con lui nemmeno un po'.
Walter Hoffmann era così: si arrabbiava, metteva il broncio
per due
minuti e poi tornava a sorridere.
<<
Grazie, Walter. Cercherò di stare attento >>
rispose,
prendendo il sacchetto con entrambe le mani ed alzandosi dal letto.
Gli rivolse un sorriso, guardando ciò che reggeva tra le
mani. Come
avrebbe fatto ad evitare le domande impertinenti di tutti? Non gli
interessava.
<<
Wow... credo di non avertelo mai sentito dire durante .... beh,
molti, troppi anni. Sicuro di stare bene?! >> gli chiese,
con
evidente sarcasmo. Si alzò a sua volta, afferrando una
sciarpa che
aveva poggiato sulla sedia, << Dai, usciamo, cerchiamo
qualcosa
da fare, ti va? >>
Mark
sorrise ed annuì, non aveva voglia di tornare a Buchenwald
così
presto, quando gli altri soldati non avevano ancora finito di
allenarsi.
Erano
le nove di mattina passate, ormai, e Walter erano riuscito a farlo
entrare in uno dei suoi luoghi preferiti: una libreria. Anche a Mark
piaceva leggere, da ragazzo, ma da quando si era arruolato trovava
sempre meno tempo. A volte lo faceva ancora, la sera, prima di andare
a dormire. Lo faceva sentire bene, e lo aiutava ad estraniarsi da
tutto quello che non sentiva più come suo. Non dalla Vigilia
di
Natale, almeno.
<<
Hai visto qualcosa che ti interessa? >> chiese al ragazzo
dagli
occhi azzurri, che era imbambolato a fissare un romanzo rosa. Si era
sempre chiesto perché a Walter quella roba piacesse
così tanto; lui
quando leggeva puntava su altri generi.
L'altro
scrollò le spalle e gli sorrise, << Forse,
niente di sicuro, e
tu? >>
<<
Ancora nulla. Vado a fare un giro negli altri reparti. Ci vediamo
alla cassa tra mezz'ora >> propose, avviandosi
già dalla parte
opposta del negozio. Walter non passava mai meno di dieci minuti
buoni davanti ad un libro, per decidere se acquistarlo o meno.
Mark
Schreiber buttava un'occhiata su qualche copertina interessante, ma
non c'era niente che lo colpisse in alcun modo. Forse era soltanto
perché i suoi pensieri erano fissi sulla ragazzina, che
forse
stavano torturando proprio in quel momento. Era ormai un chiodo fisso
da quattro giorni, per lui, il pensiero di lei. Iniziava ad averne
seriamente abbastanza, ma sentiva il bisogno di parlarle, di vederla
ancora. Forse avrebbe dovuto fare un salto da lei, tornato a casa. In
quel momento, sentiva il bisogno di aiutarla, e si promise che
avrebbe fatto di tutto per riuscirsi e, alla fine, ce l'avrebbe
fatta, ne era sicuro. Dopotutto Walter era stato capace di farsela
quasi amica, perché lui non avrebbe dovuto? D'accordo, lui
era
iscritto al partito nazista da quando aveva dieci anni.
Forse
fu proprio il pensiero di Bea, che gli fece cadere gli occhi su di un
frasario tedesco-russo. Lo prese e se lo rigirò tra le mani:
era
scritto quasi tutto in alfabeto cirillico, ma decise di comprarlo lo
stesso. Avrebbe imparato. Sorrise: l'idea lo divertiva parecchio, non
si era mai avventurato in una lingua diversa, e forse quello era
proprio il momento giusto per farlo. Sapeva dire pochissime cose in
russo, e non ci aveva parlato molto con la ragazza,che sembrava
parlare bene il tedesco, solo che a volte sembrava non capire qualche
parola.
Raggiunse
Walter alla cassa e comprò il frasario, mentre l'amico aveva
preso
due libri di cui non era riuscito a leggere i titoli.
Campo
di sterminio di Buchenwald, Germania.
28
Dicembre 1943
18:57
Mark
era molto cauto. Era rientrato in casa e aveva portato
frettolosamente tutto in camera sua. Non aveva idea di dove potesse
essere finito il padre, quindi si limitava a guardarsi incontro,
prima di girare ogni angolo. Probabilmente lo avevano anche avvertito
che non si era presentato agli allenamenti, ma lo avrebbe affrontato
quella sera, se fosse stato necessario. Sperava proprio di no,
avrebbe preferito essere mandato a combattere sul fronte, anche se
non ci pensava da un bel po'di tempo. Non aveva incontrato nessuno,
eccetto Derek, che aveva dimesso dal compito, riprendendolo per
sé.
Raggiunse
frettolosamente la cucina, portando il frasario tedesco-russo con
sé.
Si trovò di fronte proprio chi cercava: una donna sulla
quarantina,
alta, con la veste a righe che contraddistingueva i deportati, e
aveva un fazzoletto, a nascondere i capelli biondo chiaro. Era una
serva, lavorava in casa Schreiber da molto tempo, e non aveva mai
parlato troppo con lui, ma da quel poco, Mark aveva capito che era
russa, forse poteva aiutarlo. In quel momento la donna stava
preparando la cena. Mescolava qualcosa in una scodella, poggiandosi
al tavolo. Sembrava molto più vecchia e stanca dei suoi
anni, ma i
suoi occhi scuri ispiravano fiducia e, forse un tempo, dolcezza.
Il
ragazzo si sedette accanto al tavolo, osservandola, <<
Come ti
chiami? >> chiese, guardandola, finché la
donna non alzò, gli
occhi, sembrava sorpresa dal fatto che uno dei due membri della
famiglia gli rivolgesse la parola per una cosa così futile.
Sembrava
essersi quasi dimenticata del suo nome, dopotutto lei era solo un
numero. Un numero appuntato sulle vesti. << Yelena
>>
rispose, con un appena marcato accento russo nel tono. Pareva stanca,
stanca sul serio, mentre preparava la cena, ma a Mark quella donna
serviva, in quel momento, quindi avrebbe impedito che fosse uccisa,
così come avrebbe impedito che fosse uccisa Bea.
<<
Da dove vieni, Yelena? >> chiese ancora, aveva cercato di
assumere un tono di voce gentile e calmo. Beh, calmo lo era quasi
sempre; quanto alla gentilezza.. lasciava un po' a desiderare, ma
avrebbe potuto lavorarci. Forse, con un po' d'impegno.
La
donna corrugò la fronte, stava pensando. Forse si sforzava
di capire
da cosa venisse fuori tutto quell'interessamento. <<
Mosca >>
rispose alla fine, << Posso chiederle perché
le interessi
tanto? >> sembrava aver imparato a portare rispetto alla
famiglia tedesca. Forse perché quello era l'unico modo che
avesse
per sopravvivere.
Mark
scrollò le spalle, << Puoi insegnarmi la tua
lingua? >>
le mostrò il frasario, sperando che ne avesse scelto uno con
qualcosa di utile sopra. Dubitava però che ne avrebbe
trovati altri.
Di quei tempi, nessuno voleva andare di certo in Russia, non dalla
Germania.
Yelena
si voltò verso il soldato, osservandolo per qualche secondo
e
smettendo di fare ciò che stava facendo. Sembrava
visibilmente
sorpresa e forse anche confusa, e a Mark la cosa non sfuggì,
<<
E' per una... amica >> si affrettò ad
aggiungere, anche se non
era una sua amica. Forse avrebbe dovuto trovare il modo di far
sì
che diventasse tale, era una situazione difficile.
La
donna prese tra le mani il frasario, iniziando a sfogliarlo, curiosa,
<< Posso aiutarla, sì, ma ci vorrà
del tempo. Quando vuole
iniziare? >>
<<
Stasera stessa >>, il tono del ragazzo era deciso.
Lei
scosse appena il capo, << Cosa potrei insegnarle in poche
ore,
mentre preparo la cena? >>
<<
Il mio nome e Mark e ne ho un bisogno urgente. Ho anche bisogno che
prepari qualcosa di più per quest'amica, stasera. Puoi
farlo? >>
Yelena
lo osservò ancora e sembrò lasciarsi convincere.
<< Posso
insegnarti qualcosa adesso - sospirò - ma devi dedicare alla
lingua
almeno due ore al giorno, e promettere che un giorno mi spiegherai
perché hai bisogno del mio aiuto, Mark >>
concesse, pur non
sembrando troppo convinta. Chissà come era riuscito a
strapparle
quella concessione.
<<
Perfetto >>, Schreiber si lasciò sfuggire un
sorriso.
<<
Come si chiama quest'amica, lo sai, vero? >> a Mark
sembrava
strano che non gli avesse ancora rivolto tutte quelle domande, ma una
domanda del genere sembrava accettabile. Aveva chiesto il nome di
lei, non aveva chiesto effettivamente chi fosse lei, sarebbe stata
una domanda molto più difficile a cui dare una risposta.
<<
Bea >>
<<
E' il vezzeggiativo di Beatrisa. Davvero un bel nome, dovrebbe essere
portato da una persona che rende felici gli altri >>
Yelena
sorrise. Sembrava molto affezionata alla sua cultura russa, sebbene
non fosse in Russia da diversi anni.
Mark
l'ascolto attentamente, << Vezzeggiativo?
>> la
interruppe per qualche minuto, senza capirne esattamente il
significato.
<<
Sono come dei diminutivi, alcuni di loro perdono il significato,
perché vengono pronunciati da tutti, è come
un'abitudine, ma ci
sono dei modi in cui ti chiamano solo le persone care. Mio marito mi
chiamava Yelenushka >>, gli occhi le si riempirono di
lacrime,
sembrava persa di ricordi, non triste.
Il
soldato semplice annuì, ascoltandola attentamente.
Chissà Bea quale
funzione aveva assunto, per quella ragazza chiusa a poche stanza da
loro. La osservò attentamente, quando parlò del
marito, <<
Dov'è tuo marito, adesso? >> le chiese.
<<
Faceva propaganda comunista. E' stato portato subito a fare delle
docce, e non è più tornato. Questo non
è un campo femminile, ma mi
hanno tenuta a lavorare qui. Non so perché, ma nonostante
tutto,
credo che mi sia andata bene >>
Mark
ascolta, sembrava interessato alla vita di quella donna. Non era mai
stato ad ascoltare un deportato, ed effettivamente si era appena reso
conto che nessuno di loro avrebbe avuto una storia felice da
raccontare. Yelena aveva perso il marito, chissà tutti gli
altri chi
avevano perso. Sicuramente qualcuno di importante e di caro. Per un
momento, un lungo momento, lo trovò ingiusto.
Mentre
preparava la cena, la donna cercò di insegnargli qualche
breve frase
in russo e parte dell'alfabeto cirillico.
Campo
di sterminio di Buchenwald, Germania.
28
Dicembre 1943
22:01
Mark
aveva affrontato il padre. Non era stato difficile quanto aveva
pensato, solo noioso come sempre. Dopo era tornato da Yelena, che
aveva preparato qualcosa di più sostanzioso del solito
brodino per
Bea. Era andato a prendere anche il sacchetto che gli aveva dato
Walter e si era diretto in camera della ragazza. Era entrato, senza
farsi troppi problemi. Senza bussare. Vedeva la ragazza distesa,
inerte, sul letto, stavolta le notava: nuove ferite sul suo corpo. Le
si avvicinò, porgendole la ciotola. << Dobroy vecher*
>>
la salutò, cercando di sorridere, pur notando il cattivo
stato della
ragazza. Aveva un forte accento tedesco comunque.
Lei
alzò lo sguardo verso di lui, palesemente sorpresa: non
sembrava
riuscire a credere che parlasse russo, ma ne sembrava anche
sollevata, << Ciao >> mormorò,
nella lingua del ragazzo,
sicuramente più comprensibile per lui. Gli prese la ciotola,
tirandosi lentamente a sedere.
<<
Tutto bene? >>, aveva ripreso a parlare tedesco. Aveva
imparato
davvero poco, quella sera, ma ci provava. Per adesso stava tentando
di fare conversazione con lei, ma sembrava un'impresa ardua, visto
che nemmeno lo aveva guardato in faccia. Il ragazzo si disse che
probabilmente lo odiava, ma avrebbe cercato di farle cambiare idea e
ci sarebbe anche riuscito, ne era sicuro.
<<
Sì. Walter non è venuto? >> la
ragazza non sembrava molto in
vena di parlare, ma appariva agli occhi di Mark come un cucciolo di
gatto, tremante, bagnato e impaurito. Si ripeté che era
normale: non
era mai stato gentile con lei, probabilmente ne era sorpresa. La
ragazza iniziò a mangiare, <<
Cos'è? >> chiese, poco
dopo, perplessa, riferendosi a ciò che la sua gamella
conteneva.
Mark
scrollò le spalle, << Walter aveva un po' da
fare... è
qualcosa di meglio rispetto a ciò che mangi di solito
>>
rispose l'altro, rivolgendole un sorriso appena accennato.
<<
Spasiba**
>>, non capì la risposta di lei, ma non disse
nulla,
osservandola mangiare lentamente. << Da quando parli
russo? >>
gli chiese ancora, lei, quando ebbe terminato di mangiare, poggiando
la ciotola vuota ad un lato del letto.
<<
Sto imparando >> disse, osservandola. Sembrava davvero
molto
debole. Pensò che forse Walter aveva ragione: forse stava
davvero
troppo male. Qualcuno avrebbe dovuto aiutarla, beh, era andato
lì
per quello. Non riusciva più a vederla come una stupida
mocciosa,
sebbene la cosa sembrasse strana persino a lui. << Vieni,
devi
lavarti e cambiare le bende >> disse, tentando di
mostrarsi
gentile. Non era una cosa che gli riusciva bene, ma almeno si
sforzava.
Lei
gli rivolse lo sguardo: i grandi occhi verbi apparivano a Mark come
deboli, stanchi e pieni di dubbio e scetticismo, << Sai
farlo?
>> gli aveva chiesto, quasi dubitasse delle sue
capacità; e
forse aveva le sue ragioni visto che il ragazzo passava tre quarti
della sua vita a giocare alla guerra.
Nonostante
tutto, il tedesco si lasciò sfuggire una sono risata,
<< Sei
incredibile >> commentò, osservandola: gli
occhi scuri pieni
d'allegria, una volta tanto, in quel buco polveroso.
<<
Perché? >>
<<
Non mi stai chiedendo se vogliono in realtà ucciderti, mi
stai
chiedendo se sono in grado di cambiare una benda! Sei incredibile
>>
ripeté lui, scuotendo il capo, ancora più
divertito, porgendole la
mano per aiutarla ad alzarsi. Lo pensava sul serio. D'accordo, non
aveva mai parlato con i deportati, ma dubitava seriamente che un
altro qualsiasi essere umano si sarebbe comportato nel suo stesso
modo.
Bea
sembrava ancora perplessa, apparendo fin troppo ingenua agli occhi
del soldato, << Beh, non so se nei sei in grado
>> gli
aveva risposto ancora, con una naturalezza disarmante anche per un
tipo come Mark Schreiber.
Lui
rise ancora, mentre la ragazza si alzava, appoggiandosi alla sua
mano. Il ragazzo la portò nel bagno che fortunatamente era
poco
distante, o almeno ilsuo baglio lo era, senza dimenticare di
trascinare con sé il pacco con le cose che gli aveva dato
Walter. Si
richiuse la porta alle spalle, << Prima laviamo le
ferite, poi
le disinfettiamo >> disse, alla russa, cercando un
asciugamano
pulito. Quando lo ebbe trovato, lo poggiò accanto al
lavandino,
prima di avvicinarsi a Bea, << Fammi vedere dove ti hanno
fatto
male >> disse, serio, osservandola.
Bea
abbassò lo sguardo, senza rispondere.
<<
Allora? >> stava iniziando a scocciarsi. Si arrabbiava in
fretta e non gli piace che non gli si rispondesse.
Esitò,
<< ...Ovunque >>
<<
Allora togliti i vestiti >>
Lei
abbassò lo sguardo, e lui capì. <<
Ti cambio le bende alle
spalle. A lavarti magari ci pensiamo domani >>, non lo
avrebbe
detto, con un'altra persona, ma non era riuscito a trattarla male.
Non come avrebbe fatto in altre situazioni.
Quella
giornata si era rotto qualcosa nel soldato semplice Mark Schreiber.
Era
troppo confuso per capire cosa, ma era successo.
*
Dobroy vecher: Buona sera. (russo)
**
Spasiba: Grazie. (russo)