[Scritta
per il TVG!Fest con prompt
Caroline/Jeremy - “Peter Pan”]
Questa
storia fa parte della trilogia “Cappuccetto
Rosso e altri racconti.”
Dedicata alla Zia
Aika e a Tailer, perché hanno
visto nascere questa storiella con i loro occhietti.
(Anche se non potrà mai eguagliare le meravigliose
favole della zia Aika <3)
Car(o)line Pan.
Tutti i bambini, tranne uno, crescono.
Lo sanno presto che cresceranno e
Wendy lo seppe a questo modo.
Un giorno, quando aveva due anni,
giocando in un giardino, colse un fiore e lo portò di corsa a sua madre.
C'è da pensare che la bimba, in
quell'atteggiamento, sembrasse deliziosa,
poiché la signora Darling appoggiò le mani al
cuore ed esclamò:
“Oh,
perché non puoi restare così per sempre?”
Questo fu tutto quanto passò tra di loro
sull'argomento, ma, da allora,
Wendy seppe che sarebbe dovuta
crescere.
Peter Pan. James Matthew Barrie
“Jeremy!”
L’esclamazione di Caroline si
diffuse lungo i corridoi.
“Piccolo mostro! Jeremy vieni
subito qui.”
Ridendo, il bambinetto sgusciò
fuori dal letto e incominciò a correre in direzione delle scale.
Erano solo le nove del mattino,
ma la scena che si stava proponendo in casa Gilbert era ormai diventata
un’abitudine a tutte le ore del giorno, specialmente da quando Elena aveva
avuto il permesso di organizzare dei pigiama party con le sue amiche.
In quel momento, Caroline stava
sfrecciando per i corridoi in pigiama. Aveva i capelli arruffati e gli occhi
impastati dal sonno, ma il dettaglio più insolito del suo aspetto erano gli
scarabocchi viola simili a stelle presenti su entrambe le guance della
ragazzina. Quei segni a pennarello contenevano un messaggio indelebile
piuttosto semplice da interpretare: Jeremy Gilbert è stato qui.
“Torna subito indietro! O dico
a tutti che giochi con le bambole di Elena!”
Caroline continuò a minacciare
il bambino durante l’inseguimento; snocciolò perfino una lunga serie di
soprannomi poco carini, ma Jeremy non si fermò. Ancora in pigiama, il piccolo
le fece una pernacchia e si precipitò in giardino.
“Stupidotto, non hai neanche le
ciabatte! Ti bucherai tutti i piedi” gli fece notare Caroline, squadrandolo con
aria altezzosa dalla porta d’ingresso. Mise le mani sui fianchi come aveva
visto fare molte volte a mamma Gilbert e Jeremy la imitò.
“A me mica mi servono le
ciabatte!” dichiarò il più piccolo, in tono di voce orgoglioso. Aveva
un’espressione talmente monella, che Caroline si trattenne a fatica
dall’attraversare il giardino a piedi nudi per raggiungerlo e dargli uno
scappellotto.
“Io sono Peter Pan!”
Caroline sbuffò.
“E va bene, allora!” annunciò a
quel punto, dando le spalle al giardino. “Tanto prima o poi dentro ci devi
tornare per forza.”
Caroline salì le scale di
corsa, diretta verso il bagno. Jeremy si lasciò cadere a terra e incrociò le
braccia sul petto con aria più che mai cocciuta. Fare gli scherzi a Caroline
era uno dei suoi passatempi preferiti e non perché la trovasse antipatica:
tutt’altro. Quando Jeremy prendeva in giro la bambina, lei non lo ignorava come
Bonnie. E nemmeno andava a denunciare il fattaccio ai signori Gilbert, come
invece faceva sempre Elena. Caroline lo inseguiva per tutta la casa
lanciandogli dietro oggetti a casaccio e minacciando di metterlo in ridicolo di
fronte a sua sorella e i suoi compagni di scuola. Jeremy trovava la cosa
divertente, forse - e soprattutto - perché nella maggior parte dei casi
Caroline finiva addirittura per giocare un po’ con lui alla fine del litigio.
E a Jeremy non dispiaceva per
niente la sua compagnia.
Il ragazzino rimase immobile
ancora per qualche minuto, le gambe incrociate sull’erba e le braccia serrate
al petto. Quando finalmente si decise a raggiungere la porta d’ingresso, l’aria
da pestifero era stata sostituita da un’espressione confusa: che Caroline si
fosse arrabbiata davvero con lui, quella volta?
Jeremy si fissò le punte dei piedini
scalzi. Non lo aveva nemmeno rincorso fino al giardino – ma no, quello è perché
non aveva le ciabatte! - e nemmeno lo
aveva aspettato pronta ad afferrarlo nel caso si fosse introdotto in casa.
Il bimbo raggiunse camera sua
di corsa e, dopo aver controllato che Caroline non gli stesse tendendo un
agguato, si fiondò sul letto con scarsa delicatezza. Allungò un braccio per
recuperare una manciata di fogli e dei pastelli dal comodino e – in un silenzio
fin troppo insolito per un bimbo iperattivo come lui- incominciò a disegnare.
***
TOC TOC.
Caroline bussò alla porta del
piccolo Gilbert.
Le guance della bambina erano
ancora rigate di pennarello, ma con l’aiuto del sapone (e dell’incredibile
pazienza di Miranda) era riuscita a cancellare la maggior parte degli
scarabocchi a forma di stella. Adesso, tra le mani, reggeva un cartoncino colorato:
lo stesso cartoncino che un paio di minuti prima qualcuno aveva fatto scivolare
sotto la porta in camera di Elena.
La scritta “SCUSA CARLINE” –
Jeremy doveva essersi perso una “o” per strada-
troneggiava sul davanti del foglio a caratteri storti e tremolanti.
Dopo il suo nome e quello del
suo personaggio dei fumetti preferito, “Scusa” era stata la prima parola che
Jeremy aveva imparato a scrivere. Come tutti i bambini piccoli si vergognava a
riconoscere ad alta voce di aver commesso una marachella e così aveva preso l’abitudine di chiedere perdono
disegnando, allegando all’immagine un
gigantesco “SCUSA” in stampatello maiuscolo. Caroline questo lo sapeva bene,
perché sia lei, sia le sue amiche avevano ricevuto diversi cartellini colorati
di quel tipo nel corso degli ultimi mesi. L’ultimo raffigurava un bambino e una
bambina sorridenti (il bambino aveva un cappello alla Peter Pan) e lo stava
rimirando proprio in quel momento.
“Jeremy?”
Caroline smise di osservare il
disegno e si introdusse nella cameretta, cercando il piccolo Gilbert con lo
sguardo. Lo trovò quasi subito, acquattato sotto la scrivania. Aveva le gambe
incrociate e un’espressione serissima dipinta in viso.
“Shhhh!” la ammonì il bambino,
appoggiandosi un indice sulle labbra. “Sennò ci sentono gli indiani!”
Caroline sbuffò.
“Guarda che non sono venuta per
giocare con te! Volevo solo dirti grazie del disegno e….”
“A terra!”
Jeremy non le permise di
completare la frase. Sgusciò fuori dal suo nascondiglio e le prese la mano,
cercando di trascinarla sotto la scrivania.
“Devi venire nel rifugio anche
tu! Così ci fai scoprire!”
“Jeremy, smettila!” lo intimò
Caroline, pur abbassando lievemente il tono di voce. Solo quando raggiunse il
bimbo nel suo nascondiglio, si accorse del cappellino di carta colorato di
verde che si era infilato in testa. Per somigliare di più a Peter Pan aveva
recuperato una spadina di plastica dalla cesta dei giochi e si era infilato dei
calzini antiscivolo verdi. L’unica cosa che a Caroline non tornava era il
mantello nero da Zorro: probabilmente Jeremy doveva avere le idee un po’
confuse.
“Peter Pan non ha il mantello!” gli sussurrò,
quasi incominciasse davvero a sospettare che gli indiani potessero sentirli.
“Si che ce l’ha!” la rimbeccò
il bambino con aria scontrosa. “Si vede proprio che tu non lo conosci!”
“ Questo, perché Peter Pan è
uno stupido!” annunciò Caroline, sistemandosi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
Jeremy spalancò la bocca,
offeso.
“Non è vero!”
“Sì che è vero! È stupido,
perché non vuole crescere. Sai che pizza restare sempre piccoli?”
“Io non voglio crescere mai!”
dichiarò il bambino, sgusciando fuori dal suo rifugio (evidentemente si era già
dimenticato degli indiani) e brandendo la sua spada giocattolo. “Voglio andare
all’Isola che non c’è e combattere contro i pirati! E poi voglio giocare con i
bimbi sperduti e vivere nel rifugio. Che è un po’ come la casa sull’albero di
Matt però più grande! E sai, ci sono anche le sirene lì. Ti piacciono le
sirene?”
Caroline tentennò un po’ prima
di scuotere il capo con fermezza.
“Preferisco diventare grande!
Lo sai, i grandi possono fare un sacco di cose che i piccoli non possono fare.
Tipo sposarsi e andare alle sfilate!”
“Io non ci voglio andare alle
sfilate!” si lamentò Jeremy, mettendo il broncio. “E comunque, se poi diventi
grande ,all’Isola che non c’è non ci puoi venire.”
“Però potrei fare tante altre cose belle!” gli
fece notare Caroline, d’un tratto ravvivata. “Come fare la maestra. O
l’attrice! E poi quando divento grande, avrò anche un marito. E sarà altissimo,
ma anche bello. Insomma un po’ come un principe. E avremo tanti bambini
buonissimi (mica come te che sei una peste!) E staremo tutti assieme anche
quando i bambini saranno grandi e avranno altri bambini e noi saremo vecchi.
E…”
“Che noia!” si lamentò a quel
punto Jeremy: per i suoi standard era già stato tranquillo fin troppo a lungo.
“Io voglio lottare con i pirati!”
Caroline gli scoccò un’occhiata
irritata.
“Guarda che se non cresci avrai
sempre paura del buio!” lo rimbeccò, indicando la lucetta a forma di paperino
che il piccolo teneva sulla scrivania.
“Io non ho paura del buio!”
ribatté prontamente l’altro, incrociando
le braccia sul petto. “Io sono Peter Pan e Peter Pan non può avere paura del
buio, perché ci sono le fatine che gli fanno luce quando è notte.” sollevò la
spada e si preparò a colpire un nemico invisibile. “Caroline, tu sei Wendy?”
domandò improvvisamente, dimenticandosi dell’agguato e saltellando fino a
raggiungere la bambina.
“Che cosa?”
“Wendy vuole crescere e tu
anche. Sei Wendy, no?” le fece notare, come se si trattasse di un’ovvietà.
Caroline gli scoccò un’occhiata
titubante.
“Forse un pochetto.” Ammise
infine, ripensando alla favola di Peter Pan. Non voleva dare ragione a Jeremy,
però Wendy le piaceva. Era forte, coraggiosa e tanto dolce. Aveva vissuto
avventure bellissime per poi decidere di abbandonare l’Isola, i bimbi sperduti
e il suo Peter Pan, pur di continuare a crescere e avere a sua volta una
famiglia: era in gamba, quella Wendy.
“Allora se sei Wendy…” Jeremy mise da parte la
spadina e sorrise a Caroline con aria da birbante. “…Ci giochi un po’ con me
che sono Peter?” domandò, inclinando leggermente il capo in attesa di una sua
risposta.
Caroline sospirò.
“E va bene!” si arrese infine.“
Ma solo cinque minuti!”
Jeremy rise e le diede una
spinta.
“Uffa! Non incominciare già a
parlare come i grandi, Wendy!” la schernì, prendendo a saltare sul letto.
“Mica mi avrai spinto
nanerottolo? Adesso ti faccio vedere io!” esclamò una stizzita Caroline,
rubandogli la spada.
“Io non sono “nanerottolo”! Io
sono Peter Pan!” cinguettò Jeremy tra un salto e l’altro, continuando a ridere.
La bambina si arrampicò sul
letto a sua volta.
“E va bene! Peter Pan!”
Anche Caroline incominciò a
ridere. Balzò a terra giusto in tempo per evitare che i piedini irrequieti di
Jeremy pestassero il bigliettino di scuse “SCUSA CARLINE”.
“Non ci hai messo una “O”. gli
fece notare poco dopo, prendendo il disegno e adagiandolo sulla scrivania.
Jeremy le fece la linguaccia.
“All’Isola che non c’è non si
va mai a scuola! Quindi le parole le scrivo come voglio io!”
Spiegò, scendendo dal letto per
raggiungere la ragazzina. “è che è un po’ tanto lunghetto il tuo nome.” Si
giustificò infine con aria seria, infilando le mani nel barattolo dei pastelli.
“Ma se vuoi provo a scriverlo di nuovo!”
“Jeremy…” Caroline tirò fuori
da uno degli scaffali il libro di Peter Pan e prese a sfogliarlo. “…Tu pensi
davvero che certi bambini possano restare per sempre piccoli?”
Jeremy fece spallucce prima di
raggiungerla, gattonando fino alla libreria.
“Forse sì se lo chiedono a una
stella cadente.” rivelò con aria pratica, accoccolandosi accanto a Caroline.
“Però alla fine…Alla fine poi crescono tutti.”
“Tutti tranne uno, no?” domandò
Caroline, osservando con attenzione una delle illustrazioni.
Jeremy le rivolse un sorriso
orgoglioso.
“Sì!” confermò, acquattandosi
sul pavimento e attendendo con pazienza che Caroline voltasse pagina. “Tutti
tranne uno.”
***
Mystic Falls non era poi così
cambiata rispetto all’ultima volta in cui Caroline l’aveva visitata.
Certo, alcune case erano state
ridipinte e, nei giardini, gli scivoli gonfiabili che tanto andavano di moda un
paio di anni prima erano stati sostituiti con dei tappeti elastici. Ma per il
resto, Caroline faticò a convincersi che fosse passato tutto quel tempo
dall’ultima volta in cui aveva messo piede nella cittadina.
La ragazza si strinse nel
golfino e attraversò il vialetto, incuriosita dalle esclamazioni infantili che
provenivano da una delle villette: conosceva il proprietario di quella casa.
“Oliver prende Xander, ora!”
Un sorriso spontaneo illuminò
il viso di Caroline, quando il suo sguardo individuò i due bambini piccoli che
si rincorrevano in cortile. Uno dei due, il più piccolino, faticava a stare
dietro al maggiore, ma non sembrava preoccuparsene. Era buffissimo, con
quell’andatura goffa, i capelli scompigliati e i piedini scalzi che
rincorrevano i passi del maggiore.
“Oliver prende Xander!”
Il bambino più grande scoppiò a
ridere e si lasciò cadere a terra, trascinando con sé il più piccolo.
“BUM!” strillò, schiacciando il
fratellino a terra e incominciando a solleticargli il pancino. “Nessuno può
battere Peter Pan!” dichiarò, sollevando il pugno per aria in segno di trionfo.
Caroline sussultò.
Si sporse ulteriormente per
osservare i due bambini e, con sorpresa, si accorse che qualcuno stava facendo
altrettanto.
“Peter Pan, penso che tu abbia appena ferito
uno dei bimbi sperduti!”
L’uomo che fino a quel momento
aveva vegliato sul gioco dei bambini con
aria rilassata, si affrettò a raggiungere i due fratelli e prese in braccio
quello più piccolo.
“Tutto bene, Ollie?” domandò,
esaminando il visetto spaventato del piccino. Jeremy Gilbert aveva ancora
quella maniera luminosa di sorridere che Caroline non aveva mai dimenticato. I
capelli arruffati dell’uomo incorniciavano un volto dall’espressione serena, un
viso da eterno fanciullo.
I suoi lineamenti, però, si
erano fatti più maturi. Più adulti.
Caroline non poté fare a meno
di provare una leggera fitta di amarezza nell’accorgersi di quanto la favola
che un tempo era stata la preferita di Jeremy fosse stata stravolta dalla
realtà.
Peter Pan era cresciuto: era
diventato papà. Mentre Wendy, la bambina che aveva deciso di mettere da parte
le fantasie per diventare adulta, sarebbe rimasta per sempre fanciulla.
La sua attenzione tornò a
focalizzarsi sulle tre figure in giardino.
“Xander ha fatto male a me!”
stava piagnucolando il fratellino più piccolo, stropicciandosi un occhietto con
la mano.
“Non è vero!”si lamentò Xander,
sbattendo i piedi per terra. “Io l’ho spinto pianissimissimo!”
Caroline trattenne a stento una
risata: quel birbante era il perfetto ritratto di Jeremy da bambino.
“Cerca di fare più attenzione
la prossima volta.” si raccomandò semplicemente l’uomo, continuando a cullare
Oliver. Il bambino smise presto di piangere, rassicurato dal tono di voce
pacato del padre.
“Passato tutto?” domandò Jeremy,
quando se ne accorse.
Oliver annuì con vigore,
rivolgendo al padre un sorriso luminoso.
“Allora potete tornare a
giocare. Forza!” esclamò l’uomo, mettendo il piccolo a terra. “Facciamo a chi
arriva ultimo?” propose poi, strizzando l’occhio a Xander, ma il bambino scosse
il capo. Si acquattò in un angolo del cortile, prese una manciata di pastelli
dall’astuccio del fratello minore e incominciò a disegnare. Era ancora nel suo
angolino, quando la signora Gilbert richiamò i piccolini per prepararli ad
andare a letto. Xander abbandonò fogli e pastelli e ,senza fare storie, si
affrettò a raggiungere l’ingresso della villa, non prima ovviamente di aver
attentato alla schiena del suo papà, balzandogli in braccio all’improvviso.
“Preso, Uncino!” gridò,
aggrappandosi al suo collo. Jeremy se lo sistemò meglio fra le braccia e gli
arruffò i capelli con un sorriso.
“Papà, guarda!” Oliver stava
agitando una mano in direzione di uno dei cespugli. “Papà, guarda! Fatina!”
annunciò con un sorriso dolce.
Jeremy si voltò sorpreso: una
lucciola aveva deciso di accoccolarsi in un angolo del giardino rischiarando a
intermittenza la superficie di alcune siepi. Istintivamente, lo sguardo di
Jeremy saettò in direzione del vialetto. Caroline si irrigidì e arretrò verso
la villa adiacente, ma l’uomo distolse lo sguardo quasi subito.
“Andiamo a nanna, bimbi
sperduti!” esclamò, prendendo Oliver per mano e accompagnando i due bambini in
casa.
Una volta rimasta sola,
Caroline si fece coraggio e attraversò la recinzione di siepi che delimitava il
giardino dei Gilbert. I ricordi si plasmarono sotto ai suoi occhi, riportando
alla luce quella ragazzina dall’aria altezzosa che per anni si era divertita a
rincorrere i compagni di gioco proprio in quello stesso cortile. La sua
attenzione venne catturata da un plico disordinato di fogli, circondato da
pastelli e matite colorate. Caroline si chinò per raccogliere il primo disegno;
un sorriso intenerito arricciò gli angoli delle sue labbra. In un angolo a
destra del cartoncino, il piccolo Xander aveva trascritto a caratteri maiuscoli
le parole “SCUSA OLLI-”.
Certe cose non cambiano mai, si
trovò a pensare, appoggiando con delicatezza il foglio sul tavolino di Oliver.
Certi dettagli finiscono per
rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno e continuano a ripetersi
all’infinito, senza mai evolversi. Senza mai cambiare.
Non i bambini, però.
I bambini crescono e diventano
adulti. Proprio come Jeremy Gilbert.
Ma in fin dei conti, rimuginò
Caroline riprendendo a percorrere il viale, c’era del vero nella favola di
Peter Pan.
Tutti i bambini prima o poi
crescono.
Tutti tranne uno una.
Nota
dell’autrice.
Anzitutto, chiedo scusa per la
lunghezza, questo è il mio ennesimo polpettone.
Secondo:questa storia come ho anticipato
nella dedica, è nata durante una conversazione su msn quindi non ero nel pieno
delle mie facoltà mentali [ma non lo sono
mai, quindi potrei anche tacere D:]
Terzo, e punto più importante di tutti:
questa storia è la seconda di una trilogia che s’intitola “Cappuccetto Rosso e
altri racconti” . La trilogia è legata a Caroline e vede alcune delle favole
più famose reinterpretate in chiave TVDiana (lol). Il primo capitolo (Little red
riding hood) lo scrissi diverso tempo fa ed è una Tyroline incentrata su
Cappuccetto Rosso. Apparentemente quel capitolo non ha nulla a che vedere con
questo, ed effettivamente le storie possono anche venire lette per conto loro
come one-shot singole. Tuttavia, il terzo e ultimo frammento si allaccia ad
entrambe le storie, pur essendo maggiormente incentrato sulla prima. La terza e
ultima parte della trilogia è ora online e s’intitola: She’s watching
over us.
Detto questo, due parole sul titolo, sui
marmocchi e fuggo. La “o” di Caroline è cerchiata, perché nel racconto Jeremy
si dimentica di inserirla nel suo disegno (grazie alla zia Aika per avermi
aiutato a scegliere il titolo!), così come nel flash-forward, Xander dimentica
di inserire la “e” di Ollie, per scrivere il soprannome del fratellino
Oliver. Per quanto riguarda i figlioli
di Jer, Oliver e Xander sono due personaggi del mio futurverse di TVD e sono
stati introdotti per la prima volta QUI.
Occhei, ho finito.
Un abbraccio grande
Laura