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Autore: Maybe Charlie Knows    06/09/2011    2 recensioni
Tutti hanno dei segreti.
Lo sa bene anche Charlot Valenti, che nel mondo di lustrini e feste oltre ogni limite in cui vive nasconde alla gente ben più di quanto il trucco pesante e l'atteggiamento estremo lascino trasparire. Nel turbine di stelle della sfolgorante New York City, Charlot seppellisce problemi di sangue e di lacrime. Fra una coinquilina filosofeggiante, un gruppo di amici da nottate alcoliche e un cognome avvolto da un passato misterioso, Charlot sente di avere il mondo ai propri piedi. Nulla potrebbe andare storto.
Ma lo strato di ghiaccio che ricopre il suo cuore non è così spesso, anche la minima scossa minaccia d'infrangere il precario equilibrio con cui la ragazza convive.
La cosa che Charlie adorava di più dei rave party di quel genere era propri il ridursi delle luci a centinaia di piccoli fasci. In quel momento sulla folla, che riempiva il casermone tanto da eliminarne in apparenza i confini, pendevano strascichi di un bianco abbacinante, che scomparivano ad intervalli irregolari. Per pochi secondi, ogni persona si ritrovava sotto un riflettore che la poneva al centro della pista da ballo, sotto gli occhi stancati dal buio di tutti i presenti. Un momento di gloria, che svaniva in fretta ma che durava abbastanza da concedere la possibilità di gridare, cantare ed esaltarsi sotto gli occhi di tutti. [Cit. Prologo]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Scoop

 

 

 

Scoop

Tutti i Miei Sbagli

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 2 – Scoop [Part 1 – I Bet You Look Good on the Dancefloor]

 

 

 

 

 

 

 

 

You look at me,

it’s like you hit me with lightning.

 

(Ellie Goulding – Starry Eyed)

 

 

Il Gilmoure era il più grande locale della 5th Avenue, nota soprattutto per boutique e sedi industriali. Occupava gli ultimi due piani di uno dei grattacieli più alti, compreso il tetto di questo, che veniva utilizzato come terrazza nelle sere meno fredde della metropoli. Gli abitanti dell’Upper East Side si erano ormai abituati al fracasso che incominciava alle 22:00 e non terminava prima delle 07:00, nonostante le norme che regolavano la confusione delle discoteche nei distretti cittadini.

Il Gilmoure era l’omaccione benevolente che aveva accettato le loro anime come orfanelle smarrite sin dalla loro prima notte a New York City.

Due anni prima, Charlie aveva fatto la conoscenza di Freddie proprio nel caldo abbraccio delle mura del Gilmoure, il quale aveva anche assistito alle disastrosi evoluzioni della breve storia fra i due ragazzi. Sempre al Gilmoure, Evie aveva comprato due once di fumo da una sottospecie di rapper mancato, che poi avevano scoperto chiamarsi Calvin Jones.

- Avevo detto discrezione. – il commento acido di Charlie si perse nel suono martellante di un brano elettro-punk, pompato al massimo dalle innumerevoli casse del locale. Kimberly, al suo fianco, soffoco un risolino, varcando con lei la soglia illuminata da neon colorati, mentre alle loro spalle l’ascensore foderato di specchi si chiudeva.

- Buon compleanno, Charlie. –

La stanza era già sommersa di gente. Il lungo bancone, adorno di luci violette, era forse l’unica fonte d’illuminazione concreta, mentre sulla pista da ballo le palle stroboscopiche non presentavano che ombre e sorrisi della folla danzante. Charlie era certa che al piano superiore regnasse il medesimo caos.

Un’insegna in lontananza recava scritto il suo nome a caratteri cubitali.

- Voi, siete tutti matti! – esclamò, mentre tre figure dai contorni indefiniti le balzavano addosso: nonostante la bassa statura, per cui spesso in molti la scambiavano per una ragazzina, Carrie era una vera furia quando si scolava qualche gin di troppo. Immediatamente, stretta nell’abbraccio dell’amica, Calvin e un ragazzotto che lei non aveva mai visto, perse l’equilibrio con una risata. I quattro rovinarono sul pavimento, sotto gli sguardi divertiti dei presenti.

- Buon onomastico! – strillò Carrie, stritolandola in un abbraccio caloroso mentre erano entrambe stese a terra, ignorando gli orli dei loro vestiti esageratamente corti che scoprivano più del lecito. Fra le proteste della festeggiata, che davanti a quelle manifestazioni d’affetto pubbliche solitamente reagiva con un disperato bisogno d’insulina, la rossa le schiocco un rumoroso bacio sulla guancia, mentre il dj cambiava rapidamente canzone in qualcosa dalle cadenze molto più punk rock.

- Signori e signore, abbia l’onore questa sera di ospitare la festa di compleanno della nostra più vecchia cliente, Charlot Vetriolo Valenti!

Una volta toltasi il peso alcolico di Carrie di dosso, Charlie si rimise in piedi massaggiandosi pesantemente le tempie con le dita, e scuotendo di tanto in tanto il capo con fare esasperato – Quale di voi idioti ha avuto la malsana idea di ingaggiare Dominic come dj? – disse, coprendo il volto appena con la chioma sciolta di capelli mossi, giusto per nascondere il sorriso. Ma una poderosa pacca sulla schiena, che una figura sconosciuta la assesto, la costrinse ad alzare il volto e a cancellare la smorfia dalla bocca, aprendola per respirare.

- Te l’avevo detto, che la tua sorpresa sarebbe stata stupefacente! – la voce di Evie, apparsa dal nulla al suo fianco insieme a Yorek, il quale aveva tentato di ucciderla, non aveva nulla di malizioso o ambiguo. Comprendeva la soddisfazione pura di una persona molto arguta, gli stratagemmi della quale funzionano sempre alla perfezione. La brunetta si portò le mani al volto, spalancando la bocca in una sgradevole finzione di stupore, fra le risate generali di una muta battuta che Evie fu contenta di non aver capito.

Lo scorrere inesorabile del Tempo è stato cantato, nel corso della storia, dai poeti più illustri, e dibattuto dai filosofi più acuti, ma nessuno probabilmente carpirà mai la vera essenza di un’entità capricciosa: mentre ogni minuto di quella notte sembrava scivolare fra le dita, Charlie non riusciva a spiegarsi come, man mano che le ore volavano, si sentisse sempre più giovane e libera. Arrivò però il momento in cui, davanti ad un altro bicchierino di Sambuca vuoto, la ragazza non si chiese più nulla.

E proprio mentre il tempo sembrava essersi fatto troppo veloce per vivere a pieno ogni secondo, tutto rallentò. Si fermò il mondo, perché lei potesse scorgerlo fra la folla.

- Butta giù questo. E’ una ricetta speciale del barista, offre la casa. – Dominic sorrise, allungando il braccio dalla postazione da deejay per porgere a Charlie un lungo bicchiere colmo di uno strano liquido rosastro. Senza farsi pregare, la ragazza inghiottì, beandosi della sensazione di bruciore a gola e stomaco che giunse poco dopo: davanti a lei, in piedi per miracolo su una delle grandi casse per la musica, si stagliava lo spettacolo di oltre cento persone che si dimenavano e si contorcevano. Se fosse stata appena più sobria, avrebbe riconosciuto “Doe Deer” dei Crystal Castles come la canzone che stava facendo tremare il locale in quel momento, ma la concentrazione si riversava quasi interamente sull’equilibrio necessario per ballare sopra una piattaforma instabile come quella. Al suo fianco, impegnate in un sensuale ancheggiamento, Yuki e Kim le sorrisero. – Ti stai divertendo? – strillò quest’ultima. Il sorriso della mora fu più che eloquente.

Non seppe esattamente come fece a scorgerlo. Si parla di fortuna, di sorte, e subito viene da sorridere davanti al pensiero che qualcuno stia giocando a dadi con le nostre azioni, ma nei momenti più impensati è questione di secondi, di un piccolo gesto dettato dal caso, che cambia le carte in tavola. Quella notte si trattò proprio di quello.

Charlie scosse i capelli a ritmo di musica, poi si fermò. Allungò lo sguardo verso i divanetti, dai quali proveniva il trambusto causato da un rissa fra Carrie, palesemente ubriaca, ed una biondina dall’aspetto frivolo. Le luci ad intermittenza giocavano a favore dello spettacolino, rendendolo quasi macabro, surreale. Le bastò spostare lo sguardo di qualche centimetro.

Freddie era di profilo, ma era impossibile che la ragazza non lo riconoscesse: la folta chioma di capelli rasta, raccolti in una fascia colorata e in una serie di elastici, era inconfondibile. Con in mano il solito bicchiere colmo di birra scura, chiacchierava amabilmente con un drappello di ragazzi, sicuramente pendenti dalle sue labbra dopo qualche frase filosofica buttata a casaccio. C’era solo un ragazzo che, nonostante fosse in mezzo al gruppetto, non appariva interessato alla conversazione. La ragazza si fermò, strizzando gli occhi per avere una migliore visibilità in quel falso buio, senza sapere bene cosa la spingesse a tanta curiosità. La fascetta che circondava il capo del ragazzo era la stessa che gli aveva visto addosso la volta precedente, ma i capelli sembravano tagliati di fresco; qualcosa di diverso nell’aspetto dello sconosciuto c’era. Da quella distanza, Charlie non riusciva a scorgere molto di lui, solo un bicchiere di liquido fosforescente nei fasci luminosi del Gilmoure; ma, nell’istante in cui posò lo sguardo sul ragazzo, fu consapevole che la stava guardando.

Sorrise. Un sorriso reale, istintivo comparve sulle labbra sottili, dipinte di un bel rosso scuro: smise immediatamente di ballare, come incantata dal processo di fortuna che si stava compiendo in lei attraverso quello sconosciuto. Uno qualunque, eppure la attirava come una calamita: nella sua testa, aiutata dall’oscurità complice come sempre, si formò l’immagine del sorriso con cui, ne era sicura, il ragazzo la stava ricambiando. Passarono i secondi, mentre il deejay rapidamente cambiava canzone. – Ehi! – si riscosse soltanto quando Yuki la afferrò per una spalla. Charlie si volse di scatto, con un sussultò spaventato, a guardare l’amica – Devi vomitare? – le chiese quella preoccupata, ma con la vista annebbiata da tutti i drink che aveva ingurgitato. Lanciando un’ultima occhiata in direzione del punto in cui era apparso il ragazzo, ora sfocato, Charlie scosse la testa e si lanciò sul pubblico del Gilmoure, pronta per gettare la propria anima sopra un fiume di mani.

S’incontrarono qualche ora, o forse cent’anni dopo, quasi richiamati da un istinto animale, primordiale di caccia alla preda della nottata.

Infilarsi nei bagni del Gilmoure era sempre un’impresa: il primo gesto dopo essere entrati nel locale solitamente era quello di attaccarsi alla bottiglia, perciò salire le scale per il secondo piano e poi trovare il buio e nascosto corridoio non era certo facile, traballando e colpendo gente in continuazione. Dopo essersi chiusa in uno dei cubicoli per un quarto d’ora, scaricando la vescica e attendendo che la nausea da alcol si attenuasse, Charlie uscì barcollando sui tacchi a spillo. La coppia che poco prima aveva urtato era ancora appartata contro la parete rivestita di soffice tappezzeria rossa, ma per il resto il corridoio era deserto. La ragazza afferrò l’orlo del proprio vestito, anche questo rosso, nascondendo per quanto possibile le cosce coperte soltanto da un paio di sottili parigine nere, ma chinandosi perse l’equilibrio: appoggiò la schiena al muro per non finire a gambe all’aria, per poi lasciarsi scivolare a terra. Chiuse gli occhi, godendo dell’aria viziata e del clima di nichilismo che vi aleggiava. Qualcuno, in un punto remoto della sala, gridò.

Un’ombra comparve dall’altra estremità del corridoio, inciampando nel gradino d’entrata che da sempre tradiva gli ignari avventori. Una bestemmia uscì dalla bocca ancora protetta da un velo di oscurità: Charlie aprì gli occhi, posandoli sull’alto ragazzo che avanzava con passi misurati verso i bagni, una mano appoggiata alla parete probabilmente per mantenersi in piedi. Quando il viso dello sconosciuto incontrò il fascio di luce di una delle lampadine del corridoio, la ragazza poté osservarlo bene.

Era proprio la stessa persona del rave party organizzato per il ritorno di Freddie, il ragazzo che lei aveva beccato a fissare Evie e Yorek; senza la stramba compagnia di amici dalla quale era stato circondato in quell’occasione, aveva un’aria un po’ meno svampita nonostante gli scotch che doveva essersi scolato. La giacca nera e i pantaloni in pelle aderenti gli conferivano un aspetto da rockstar tenebrosa, non troppo piazzato, e anche se sicuramente aveva tagliato i capelli in quei giorni, sul capo aveva una zazzera spettinata di un castano scuro, comune. Nel complesso era di bell’aspetto, anche se forse la luce del sole avrebbe rivelato un orrore dove l’alcol e il buio dipingevano la bellezza.

In quel momento, Charlie decise di rimettersi in piedi: con gran fatica, appoggiò i palmi delle mani alla parete dietro di sé, facendo leva per rialzarsi. I tacchi alti non aiutavano, ma barcollante riuscì ad issarsi e a riacquistare una postura decente: se anche il ragazzo non l’aveva notata in precedenza, la confusione nella sua testa la rendeva abbastanza audace per tentare un approccio brutale, senza pretese. Non intendeva rimanere sola quella notte.

Ma non appena furono entrambi sotto lo stesso getto di luce, Charlie seppe che non ci sarebbe stato bisogno di presentazioni: un sorrisetto malizioso, quasi beffardo aleggiava sul volto dello sconosciuto e nei suoi occhi. La ragazza li fissò, cercando di capirne il colore, trovandovi semplicemente la stessa domanda che da un po’ albergava nella sua di mente. “Io e te, tesoro: che ne dici?”. Non ci fu nemmeno bisogno che Charlie gli bloccasse la strada con il finto attacco di tosse da rigetto che aveva programmato: qualunque cosa lo stesse portando nei bagni del Gilmoure, qualunque cosa la stesse portando fuori di lì, questa era già stata rimossa da ogni pensiero.

Fu lui il primo a parlare, con la voce rauca di chi ha buttato via la propria gola sulle strofe di una canzone. – E così tu sei Charlie. – scandì lentamente ogni sillaba mentre le squadrava l’espressione del viso, affermandosi la propria posizione di vantaggio grazie ad una conoscenza del nome di cui la brunetta non godeva. – L’amichetta di Freddie. – Charlie notò con la coda nell’occhio il giovane mettersi le mani in tasca, rilassando la schiena per assumere una posa che trasudava sicurezza. La frecciatina per niente velata gli provocò un moto di soddisfazione che allargò il ghigno, provandone uno di riflesso sul volto della ragazza. Attorno a loro, i contorni del mondo erano sfocati e privi di qualsiasi importanza.

En garde.

- E tu sei l’amichetto di Adam. – il ragazzo poté scorgere un piacere quasi sadico nel modo in cui Charlie rispose alla sua battuta: negli occhi scuri brillava già la vittoria. Lo sconosciuto aggrottò le sopracciglia, accusando visibilmente il colpo come qualcosa di poco influente sull’esito di quella battaglia. Si squadrarono, pronti ad un nuovo assalto, nonostante brillasse nei loro occhi la consapevolezza che entrambi avrebbero portato a casa un premio quella sera.

- Touché. – con una scrollata di spalle, egli trasformò il ghignò malizioso in un sorrisetto sardonico, che rese finalmente giustizia al suo fascino sciupato, proprio come quello di un musicista tormentato. Charlie inarcò le sopracciglia, appoggiando le mani sui fianchi fasciati di seta in una posa studiata, attendendo di conoscere i risvolti di quell’interessante faccenda. – Suppongo quindi di non avere bisogno di presentazioni. – sfrontato, lo sconosciuto tornò ad attaccare con una frase apparentemente innocua. Da qualche parte, nella sala di fianco, qualcuno urlò la propria gioia quando il deejay propose un remix di “Rock N’Roll” dei Led Zeppelin. Di fronte, la ragazza aveva un bivio. “In fondo, sei furbo, eh?” pensò, fissando intensamente quegli occhi di cui non riusciva ancora a distinguere il colore: conoscere il suo nome implicava il vantaggio di poter collegare la sua faccia a persone, luoghi, fatti che, nel caso fosse successo qualcosa di sgradevole alla giovane, avrebbero potuto aiutarla a fare una personale giustizia; ma l’anonimato garantiva qualcosa di puramente passeggero, qualcosa che poi avrebbe dimenticato in un delirio alcolico e che non avrebbe poi necessitato di spiegazioni. Garantiva libertà assoluta in quella notte di sfrenatezza.

Carpe Diem, ma solo se le recava vantaggio.

In quel momento, Charlie decise che ad ogni modo non le sarebbe importato più nulla all’alba.

- Mi basterà farmi offrire qualcosa da bere. – passandosi le mani fra la folta chioma di capelli già scompigliati, la ragazza seppe di aver fatto centro. Sul viso del giovane si leggeva una soddisfazione quasi sfacciata, che lasciava bene intendere come sarebbe finita quella serata. – Ma quale onore, con la festeggiata addirittura. – commentò in risposta, per poi farle un giocoso occhiolino sotto le luci al neon. Subito dopo, con un ampio gesto del braccio, si fece da parte, sgombrando il corridoio. – Dopo di lei. – si avventurarono così nella sala superiore del Gilmoure.

Per una legge non scritta inventata da chissà chi, mentre la sala inferiore era quella in cui in genere si scatenava la vera e propria festa, quella superiore era il luogo di ritrovo per gli intellettuali, per chi voleva ballare in tranquillità, e per le coppiette che si appartavano. La stanza relativamente meno buia e caotica rispetto alla gemella: la pista da ballo era gremita di gente che, ridendo e bevendo, si riposava prima di fare ritorno al piano inferiore, mentre un deejay teneva viva l’atmosfera in modo informale. Il bancone era lungo, una copia identica dell’altro, ma i baristi che vi lavoravano erano meno indaffarati e chiacchieravano amabilmente con i clienti.

Ovviamente però, la sala era comunque affollata: non appena i due uscirono, due ragazze salutarono Charlie, augurandole barcollanti su costose Manolo un buon compleanno. La ragazza, che era sicura di non aver mai visto prima le due, ringraziò affabile per poi afferrare per un avambraccio lo sconosciuto, rimastole dietro; prese poi un profondo respiro, prima d’inoltrarsi nella marea di persone diretta all’altro capo della stanza. Ovunque si girasse, sotto luci soffuse scorgeva sorrisi amichevoli e la tipica voglia di divertimento che animava il suo spirito. Non si volse neanche un secondo a osservare le reazioni del suo accompagnatore, ma quasi subito sentì sfilarsi dalla sua presa l’avambraccio dalla muscolatura nervosa, scattante. In un primo momento non ci fece caso, il ragazzo era perfettamente capace di tenere il suo passo senza essere guidato; poi, comprese che non si stava sottraendo al suo tocco: una mano grande, dalle dita lunghe e appena callose, cercò la sua, per stringerla con una forza quasi bruta, virile. Il primo istinto le dettò di sottrarsi a quel contatto dall’intimità che, seppur minima, sempre aveva spaventato la brunetta. Poi una sensazione di calore si sprigionò nel suo corpo, facendo comparire ancora una volta il sorriso sul suo volto: era il tocco di un amante, quello.

- Allora, cosa prende la ragazza più in vista di New York stasera? – chiese, senza nascondere la presa in giro nella voce, accomodandosi su uno degli alti e futuristici sgabelli del locale. Charlie accavallò le gambe, consapevole che l’orlo del suo vestito lasciava poco all’immaginazione. – Facciamo due vodka lemon secche? – retorica, diede l’ordine a Pablito, nome d’arte del fidato barista Pablo Gonzales: con quel gesto, prese con la forza in mano le redini della serata. Dovette capirlo anche lo sconosciuto, perché un ghigno di palese sfida si dipinse sulle labbra circondate da un lieve strato di barba ispida. – E dimmi, come mai la regina della festa non si sta scatenando in mezzo ai propri sudditi? Troppo stagediving fa male alla circolazione?  – le disse in un orecchio, per superare il forte rumore delle casse musicali. Charlie non volse subito lo sguardo su di lui, mordendosi il labbro inferiore con gli incisivi imperfetti. Ignorando il riferimento velenoso al suo status di regina del castello, la domanda era scontata, quasi banale: negli occhi chiari e poco definiti trovò poi la domanda di cui sospettava.

“Mi stavi cercando, non è vero?”. “Se speri che ti dica che ti stavo cercando, ti sbagli di grosso”.

- Invece in quel bagno si stava scatenando una festa che neanche t’immagini. Un tizio stava vendendo roba esportata dall’Iran, e una ragazza sotto effetto si era messa a ballare nuda nel water. Io sono uscita per una boccata d’aria, e sono stata trascinata via da uno sconosciuto. – parlò con serenità, come se quella palese frottola forse in realtà una quotidiana verità, senza togliere lo sguardo dagli occhi del ragazzo. Si fissarono in silenzio per un secondo, poi entrambi scoppiarono a ridere. – No, in realtà sono uscita per controllare che nel mio regno non si scatenasse l’anarchia: non voglio che i miei sudditi si ribellino. – continuò, recuperando una serietà che perse dopo aver bevuto tutto d’un sorso il primo bicchiere. - Che bontà d’animo, che magnanimità! – la prese in giro, mentre faceva segno a Pablito di servire altri due drink. Passarono i minuti a prendersi in giro e a sfiorarsi con le ginocchia, e quando anche l’ultimo giro di vodka fu svuotato ancora Charlie non sapeva dire di che colore fossero gli occhi di quel magnetico sconosciuto. Di una cosa era sicura però: le carezza dei pantaloni di pelle sulle sue finissime calze equivaleva a più di mille battute.

- Non so chi sei. Non è un’informazione rilevante, visto che non ho mai visto la metà dei presenti. – biascicò quando l’alcol ricominciò ad annebbiarle la mente, e ad allentare i freni della sua già scarsa dignità. Nonostante gli stesse sussurrando all’orecchio quelle parole, poteva scommettere che lo sconosciuto stesse sorridendo. – Ma scommetto che ti muovi bene sulla pista da ballo. Alza il culo, e stai attento a non inciampare quando sverrò ai tuoi piedi. – come un’adolescente smaliziata, Charlie ammiccò e con un salto cercò un equilibrio che già da tempo aveva perso. Pervaso dalla consapevolezza di avere in pugno la serata, il ragazzo la seguì.

 

Stop making the eyes at me, I’ll stop making the eyes at you,
and what it is that surprises me is that I don’t really want you too.
And your shoulders are frozen (cold as the night),
oh, but you’re an explosion (you’re dynamite).
Your name isn’t Rio, but I don’t care for sand
and lighting the fuse might result in a bang, b-b-bang, go!

(Arctic Monkeys – Bet You Look Good on the Dancefloor)

 

Aveva appena mosso i primi passi verso il centro della gremita pista da ballo, quando notò qualcosa che subito rovinò il bel programma nella sua mente. Mentre si sforzava di non rompere i tacchi delle costose scarpe oscillando qua e là, vide l’espressione preoccupata di Evie emergere dalle scale laterali che scendevano al primo piano. Di norma, l’avrebbe ignorata, si sarebbe nascosta alla svelta fra la miriade di corpi senza nome e avrebbe concluso in bellezza con l’amichetto di turno, ma Charlie conosceva quel volto: quando Evie aveva un brutto presentimento, che poteva essere dettata da un rissa fra ubriachi quanto da un granello di polvere su un divanetto, era impossibile che la serata prendesse una buona piega. E la brunetta sapeva che, se l’amica aveva un brutto presentimento, l’avrebbe trovata anche se fosse scappata in una remota isola della Polinesia. E l’avrebbe tediata per tutta la notte.

- Aspetta un secondo! Vieni con me! – strillò, afferrando brutalmente per l’avambraccio lo sconosciuto, ignaro della catastrofe a cui stavano andando incontro: il ragazzo le rivolse uno sguardo sorpreso, quasi deluso, per poi seguirla docilmente. Evie la scorse quasi subito, facendosi largo fra la folla a suon di gomitate.

- Houston, abbiamo un problema. – esordì subito, afferrando saldamente Charlie per una spalla, come se dalla propria espressione preoccupata non si potesse intuire la presunta gravità della situazione. La brunetta si sforzò di rimanere seria e di non rispondere male all’amica, aspettando di ascoltarla. – Che accade, sergente? – chiese, senza essere in grado di reprimere del tutto la nota di beffa. Quella mancanza le costò un’occhiataccia di fuoco da parte dell’amica, ma Charlie sapeva di non poterci fare nulla: Evie si considerava una persona estremamente sensibili alle variazioni e ai cambiamenti improvvisi, e qualsiasi scusa era buona per trovare un ostacolo, una cospirazione o qualsiasi altra meschinità. Giusto il mese prima aveva fatto evacuare la festa di addio al nubilato di un’aspirante attrice di Brodway, dopo essersi trovata non si sa come nell’impianto caldaie dell’albergo che ospitava l’evento con un tizio sconosciuto, ed aver visto uscire fumo da dietro gli ingranaggi di uno dei macchinari. Successivamente, si era scoperto che in realtà il fumo era dovuto al guardiano della hall, che approfittava del turno di pausa per godersi della sana e meritata cannabis. Normalmente, Evie si sarebbe unita allo sfortunato lavoratore, ma in quell’occasione era entrato in scena il presentimento.

- Stavo comprando un balconcino fiorito giù, dall’amico di Freddie che lavora nel West Side. – cominciò a spiegare, lanciando occhiate circospette al ragazzo che si dondolava sui talloni con impazienza dietro Charlie – E ho visto Skipper, che stava vendendo roba a due ragazzine che neanche dimostravano quindici anni. Non mi fido. – quando Evie fece quel nome, anche la brunetta però non poté fare a meno di preoccuparsi: tutti conoscevano Skipper come un omaccione nerboruto, i neuroni del quale erano stati mandati in fumo dai succhi voodoo che preparava insieme al proprio coinquilino. Era noto poi che lo spacciatore avesse l’innata capacità di attirare i poliziotti dei servizi antidroga, mandando in fumo qualsiasi festa. – Ho un brutto presentimento. – concluse, ammiccando come per sottolineare una sorta d’intesa sul quadro della situazione.

Ma Charlie, dopo l’iniziale momento di panico, non era affatto preoccupata: due ragazzine che prendevano acido non era un fattore preoccupante. In una città come New York City, dove il divieto di bere sotto i ventun’anni era largamente beffato, casi del genere capitavano ogni giorno e l’occhio pigro di vigilanti e baristi solitamente non vedeva più in là di un buon compenso in denaro. Skipper era finito dentro una o due volte, mai nulla di serio, e comunque era un volto noto per i poliziotti che spesso le ragazze della loro compagnia ammaliavano con promesse invitanti e palpatine provocanti. – Beh, lasciagli fare l’unico lavoro con cui riuscirà a pagare l’affitto, Evie. – rispose noncurante, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata allo sconosciuto dietro di lei, che appariva sempre più scocciato. Quando Evie aprì la bocca per ribattere, subito la interruppe – Avanti, Evie! Stai tranquilla! Non succederà proprio un bel niente, per il semplice fatto che non sta succedendo nulla di straordinario… Se proprio ti senti così in pericolo, corri ad una cabina telefonica e dì che Jerry il Mafioso è appena stato avvistato dall’altra parte della città, così tutti i poliziotti si catapulteranno nel Queens e vivremo felici e contenti! – sorrise in un modo teatralmente innocente, facendo spallucce.

Evie, nel profondo del suo cuore, la mandò a quel paese. Bastava notare le occhiate che Charlie e quel bellimbusto dietro di lei si lanciavano di continuo per comprendere i programmi della brunetta per la serata; era sufficiente un po’ di testosterone nell’aria per fare in modo che quella cinica, irritante ed emancipata ragazza non vedesse più altro, accecata dal bisogno di mescolare i propri liquidi a quelli del maschione di turno. “Beh, ma anche tu…” Evie mise a zittire la propria coscienza con uno sbuffo infastidito, sostituendola con la presenza sempre più opprimente del brutto presentimento. – Oh, Evie, andiamo! Non puoi seriamente spaventarti per Skipper! Rilassati, fumati il cannone che hai appena comprato e trovati qualcuno con cui pomiciare… dove hai lasciato il buon Yorek? – quando poi l’amica le posò una mano sulla spalla, fu il colmo. A Evie sembrava di essere la malata mentale fuggita dal reparto psichiatrico di turno, e lo spilungone dietro Charlie la doveva pensare allo stesso modo. L’espressione del suo viso lo lasciava intendere. La biondina gli stava lanciando occhiate malevole quando questo alzò il braccio, salutando in direzione di qualcosa che subito le due si volsero a guardare.

Evie non poteva certo riconoscere i tre individui che si stavano facendo largo fra la folla, dopo aver salito le scale dal piano inferiore. Charlie sì: scrutando attentamente in mezzo al mare di invitati, notò in primo luogo l’arrapato di turno, quello che, la sera del rave party di Freddie, non aveva smesso per un secondo di lanciare occhiate di fuoco a chiunque. Dietro, lo seguivano lo strambo con la vescica debole e l’ameba, agghindata stavolta di uno smoking arancione con bordi in contrasto neri.

“ Neanche fosse Halloween.”

“E’ arrivato il circo in città o cosa?” si chiese sarcastica Evie, evidentemente infastidita dal fatto che i tre avessero offerto una scusa all’amica per non prestare attenzione al presentimento; Charlie le dedicò soltanto una lieve alzata di spalle, prima di alzarsi sulla punta delle scarpe già pericolosamente alte, sussurrando all’orecchio del suo bello sconosciuto – Chi sono? – con voce suadente, indugiando volontariamente sul lobo. Prima che il ragazzo le rivolgesse un affabile sorriso, Charlie fece in tempo a notare il modo sarcastico con cui questo alzò gli occhi al soffitto, scostandosi appena dalla sua stretta sensuale – Fanno parte della mia band. – tipico, pensò stizzita la brunetta, di un esemplare di maschio indie alternativo della periferia newyorkese, suonare in un complesso. Poche volte era successo che il suo atteggiamento da gatta morta facesse buchi nell’acqua: incrociò le braccia sotto al seno, infastidita.

- Bene, bene. – non appena i tre ragazzi li ebbero raggiunti, Charlie non esitò a prendere in mano le redini di una conversazione destinata a durare poco: sotto lo sguardo attonito di tutti, senza dar tempo a nessuno di presentarsi, incrociò le braccia sotto il senso e cominciò a parlare. – Che quadretto emozionante! Sono certa che diventeremo tutti amici! Comunque… - allungò il braccio per afferrare Evie per una spalla, trascinandola al proprio fianco contro la sua volontà. – Evie, questi sono… emh, Alfredo, Gianni ed Ermenegildo! – tutti inarcarono le sopracciglia di fronte agli inusuali nomi: sorridendo fintamente candida, la brunetta lanciò Evie addosso all’ameba dallo smoking arancione, senza badare alle proteste di lei.

- M… m… - sembrava che il tipo nervosetto, quello dalla vescica piccola, avesse la lingua annodata: i quattro ragazzi erano senza parole.

- Adoro questa canzone! – strillò poi, con un fare deciso che si rifletteva nei suoi occhi dal trucco sbavato, che non davano possibilità di scelta al suo spilungone. Lo sconosciuto lanciò un’occhiata ai propri amici, visibilmente scioccati, poi alzò le spalle e donò a Charlie un’occhiata che risolse la situazione: in pochi secondi, le loro mani furono nuovamente allacciati e i loro corpi catapultati nella folla che danzava.

Non aveva la più pallida idea di quale fosse quella canzone: nel cuore caldo della stanza iniziò a respirare un’aria nuova, adrenalinica, che le fece perdere il normale utilizzo dei cinque sensi. Sapeva cosa stava per accadere, al contempo però non riusciva a badare a nulla che non fossero le braccia di quello sconosciuto, quel nessuno, avvolte attorno al suo corpo, che con sensuale discrezione le accarezzavano la schiena in un modo che faceva scomparire la barriera di stoffa del vestito. Istintivamente, si strinsero mentre ondeggiavano su quelle note violente, aggressive, in un esotico gioco di scambi e tocchi. Charlie gli allacciò le braccia al collo, appoggiando il mento alla sua spalla per chiudere gli occhi e godere appieno di quel momento; il momento in cui si compiva il salto nel vuoto necessario per possedere l’anima di una persona per una notte, una soltanto, per poi buttarla nel cestino della spazzatura insieme a tutti gli altri ricordi.

Non memorizzò il momento preciso in cui le loro bocche si trovarono, non l’aveva mai fatto con nessuno e non aveva intenzione di cominciare in quel momento: l’unica cosa che si fissò nella sua mente fu il testo della canzone che gli altoparlanti suonarono in quel momento. Le parole grintose ma forse un pelo scontate di “My Sharona” s’insinuarono fra le loro bocche che si rincorrevano e si conoscevano, suggellando il loro muto patto di non parlarsi. Quella non sarebbe stata una canzone d’amore.

Sì, si muoveva veramente bene sulla pista da ballo.

Non fu difficile dimenticare tutto quanto, dimenticarsi del presentimento di Evie, o degli amici della band: l’unico contatto con la realtà che la risvegliò da quella fase trascendentale che l’insieme degli elementi le provocava fu la sensazione di qualcosa di freddo e dura fra le scapole. Neanche si era resa conto che, con piccoli passi, avevano raggiunto la rampa di scale che portava alla terrazza del Gilmoure, facendosi largo tra la folla senza interrompere il gioco delle loro lingue, le loro carezze, la loro stessa danza. Si sentì semplicemente spingere contro il corrimano, intrappolata nel corpo smilzo ed alto di quello sconosciuto che aveva saputo intrappolarla anche con uno sguardo fra la folla. La scomodità della schiena piegata all’indietro contro il ferro, sotto l’impeto dei baci del ragazzo, non era nulla rispetto alla sensazione straordinaria che si provava attraverso questi. Fu chiaro ad entrambi che dovevano salire: in un barlume di lucidità, Charlie si chiese come avrebbero fatto, davanti ai gradini dell’elegante scala a chiocciola. Poi, si disse che anche cadere non avrebbe cambiato nulla. Stavano già precipitando.

Ci misero secoli per arrivare senza farsi realmente del male, barcollanti per il fervore e per l’alcol, ma alla fine lo sconosciuto le aprì la porta che portava alla terrazza.

Era un luogo che Charlot aveva adorato s’in dal primo istante: sembrava che tutta New York City s’inchinasse ai suoi piedi, sfiorando quelle stelle invisibile che sempre le portavano fortuna. Manhattan era un’immensa distesa di tetti e luci e insegne, la vita brulicava dalle strade e l’identità di ogni persona spariva in quei cumuli di cemento che avevano piegato il mondo. Esistevano solo le persone che avevano la fortuna di trovarsi al Gilmoure, a ridere e a bruciarsi nell’alcol, anche con gli uragani, al riparo sotto la leggera tettoia che copriva i lunghi tavoli illuminati da lampadine multicolori. Tutto il parapetto in cemento armato era circondato da divanetti lunghi e morbidi, arancioni.

Quella sera di settembre una brezza fresca animava l’aria ricca di smog della metropoli. Un gruppetto di ragazzi sedeva per terra al centro della struttura, in cerchio, discutendo di politica estera mentre ochette attillate massaggiavano loro le spalle e cercavano di raggranellare i soldi per un altro drink. L’odore tipico di fumo straniero aleggiava sotto la tettoia. Sepolta nell’ombra, una coppia si dava da fare senza curarsi della presenza di altri.

Nessuno si curò di loro mentre si avviavano verso l’angolo fuori dalla protezione della tettoia, afferrando i vestiti dell’altro come per strapparli lì, con New York davanti. Evidentemente più a proprio agio in quell’ambiente del ragazzo, Charlie lo fece indietreggiare con dolce fermezza fino a farlo sedere su uno dei soffici divanetti, guidandolo anche con gli sguardi che di sottecchi gli lanciava prima di tornare sulla sua bocca. Non sarebbero stati interrotti, questo lo sapevano: al Gilmoure, l’edonismo libero era un culto a cui tutti portavano un rispetto quasi religioso.

Gli si sedette sopra a cavalcioni, lasciando che il vestito si alzasse praticamente fino a scoprirle i glutei. Subito furono le mani del ragazzo a proteggere quella nudità. Si trasformarono in un groviglio di arti e sospiri che nessun altro avrebbe udito, sotto tutti i rumori della città. Mentre le dita del ragazzo scendevano frenetiche ad accarezzarle le cosce, quelle di Charlie già saggiavano la consistenza delle pelle dell’addome e del ventre, intrufolatesi sotto la sua maglia. Una muscolatura nervosa, non evidente ma tonica, quella dello sconosciuto. Non passò molto tempo prima che la ragazza cercasse la cerniera dei pantaloni del moretto, solleticando con tocchi esperti l’erezione prominente di quest’ultimo: un gemito roco gli sfuggì dopo quel gesto, ed egli riuscì a soffocarlo solo piantando i denti nella pelle morbida della spalla scoperta di Charlie.

Non appena avvertì le dita del ragazzo scostarle le mutandine da sotto il vestito ed avanzare irruenti tocchi nei suoi punti più sensibili, Charlie miagolò soddisfatta, donando soltanto una frase spezzata ad una sicurezza a cui da tempo aveva rinunciato. – Hai…? – non aggiunse altro, il suo copro parlò per lei: le tasche vuote del ragazzo lasciavano immaginare che i preservativi fossero rimasti in un cassetto, lontani da quel mondo fatto di rischi. E Charlie non commentò, ma si strusciò ancora più profondamente contro lo sconosciuto: era rischioso, era da incoscienti, ma la ragazza era abituata a salti nel vuoto peggiori. La pillola che ogni mese ingoiava insieme ad una Diet Coke era più che sufficiente, al diavolo tutte quei bei discorsi moralisti sul sesso sicuro: un virus letale non era la prospettiva peggiore nella sua vita di eccessi.

Furono minuti intensi, veloci, minuti in cui lei gli conficcò le unghie nella schiena non tanto per la passione, quanto per imprimere il proprio marchio su un semplice oggetto di scena in quel dramma comico che era la sua vita. Il suo palcoscenico era costellato di amori furtivi e volubili, di anni bruciati e di silenzi che nei suoi pensieri evitava come la peste: una drammaturgia che assumeva contorni assurdi e surreali, e che al tempo stesso sapeva di una realtà che molti spacciavano per finzione. E dire che Shakespeare non le stava neanche simpatico.

E quando, superata la scossa elettrica irradiata dal basso ventre in tutto il corpo nel momento dell’orgasmo, anche il ragazzo raggiunse il piacere fra le sue braccia, Charlot gli strinse la braccia attorno al collo con passione ambigua: come il cappio dell’impiccato, segnava la fine di ogni contatto con quello sconosciuto. Ancora prima che il loro superficiale rapporto fosse giunto al termine, egli si era trasformato in passato, e la brunetta si era proiettata in avanti, con nuovi progetti in mente e nuovi affetti da ricercare. Sorrise, appoggiando una guancia contro la sua nuca, ascoltando il suo respiro affannoso avviarsi lentamente verso una nuova calma, avendo sfogato di ogni istinto. Sotto di loro, New York irradiava una luce brillante, artificiosa, l’unico riflettore di cui la ragazza aveva bisogno. Andava tutto bene.

 

 

Oh, there ain't no love, no Montagues or Capulets,
are just banging tunes and DJ sets and...
dirty dancefloors, and dreams of naughtiness!
Well, I bet that you look good on the dancefloor,
I don't know if you're looking for romance or,
I don't know what you're looking for.

 

(Arctic Monkeys – Bet You Look Good on the Dancefloor)

 

 

Evan McLair, al piano di sotto, non si stava divertendo per niente. Al contrario della sua coinquilina, aitanti sconosciuti e fisicità spinta erano molto lontani dalla dimensione in cui si trovava in quel momento il suo pensiero. Certo, avrebbe preferito di gran lunga dimenticare tutto e spassarsela come sempre: ma non le riusciva d’ignorare il presentimento.

Sedeva su uno dei divanetti della sala, un bicchiere di colmo di gin tonic che la guardava attraente dal tavolino di cristallo che aveva davanti, le braccia incrociate sotto il seno. Aveva ordinato da bere tanto per passare il tempo, non avrebbe ritrovato la voglia di sballarsi finché i suoi dubbi sulla “sicurezza” i quella festa non se ne sarebbero andati. D’altro canto però, le persone da cui era attorniata le stavano facendo provare un irrefrenabile voglia di seppellirsi nell’alcolismo. La mano foresta parcheggiata sulla sua coscia era un ottimo motivo di suicidio.

- Sul serio, dolcezza, parlo di amore libero, parlo di emozione e wow! Hai due tette da favola. – quando Charlie l’aveva piantata in asso per andare a succhiare via la faccia al belloccio di turno, Evie era rimasta intrappolata nella bizzarra compagnia di questo. Il tizio dall’ormone scattante, che si era presentato come Eddie “The Tune” Turner, da quando se n’erano andati i piccioncini decantava le lodi del suo seno e aveva tentato più volte di baciarla, mancando la mira a causa dei fumi dell’alcol e finendo disteso sulle sue ginocchia. Alla sua destra, invece, Vescica Debole accennava di tanto in tanto qualche sillaba, sputacchiando un po’, senza mai riuscire a terminare la frase. Smoking Arancione stava semplicemente zitto, in un angolo.

- V-vuoi q-qualcos’a-altro da b-bere? – le chiese Vescica, mentre disgustata spostava la mano di The Tune dalla propria coscia. Nonostante il riccio fosse stato gentile nei suoi confronti, gli scoccò un’occhiataccia degli di un assassino armato di mitra. Aveva ancora il bicchiere pieno e lui le poneva una domanda del genere, ridicolo. Ma non rispose: si era rifugiata in un freddo silenzio che sperava scongiurasse i futuri tentativi di approccio dei tre.

Proprio non capiva perché Charlie dovesse essere così egoista, a volte. “Non sto facendo un dramma per nulla, è una questione seria.” pensò risoluta, stringendo le labbra. In cuor suo sapeva di stare un po’ esagerando, ma questo non dava il diritto all’amica di lasciarla in compagnia di bifolchi e sfigati, ignorando ogni avvertimento per andare a spassarsela con il primo che passava.

“Hai organizzato tu la sua festa. Lei non si sente responsabile.” la sua coscienza la stava tormentando con pensieri controversi: era come dialogare con una persona tremendamente irritante, poco importava che si trattasse di lei stessa. – Insomma, parlo di emozione, di amore da favola e di tette libere… - continuò a biascicare lo sconosciuto, accasciandosi contro di lei. Quando le appoggiò la testa sulla spalla, come se si stesse assopendo, Evie non riuscì a trattenere un verso di ribrezzo: non era così che aveva immaginato quella serata.

- D-dai, basta E-Eddie! – Vescica Debole tentò un debole pugno contro lo stomaco dell’amico, allungandosi oltre la ragazza. Purtroppo però, aveva calcolato male le distanze, perciò il suo colpo andò a vuoto senza che il mascalzone sentisse nulla; in compenso, perdendo l’equilibrio a causa di quello sbilanciamento, Vescica appoggiò con pesantezza il gomito sulla coscia scoperta di Evie. – Ahia cazzo! – esclamò la bionda, nonostante il dolore non fosse eccessivo. Era talmente irritata da aver reagito come ad una provocazione per quell’errore innocente del ragazzo. – Ma sei deficiente? – strillò, senza riuscire ad evitare che alcune persone si voltassero in sua direzione, confuse. Vescica si ritrasse, come un cagnolino bastonato.

Li avrebbe mollati volentieri, e in futuro avrebbe negato qualsiasi contatto con quei tipi. Non perché fossero particolari sfigati, anzi, oggettivamente non li avrebbe considerati cattivi e banali a priori: sembrano persone stravaganti, ma tutto sommato simpatiche. Ma era la situazione che aveva fatto precipitare qualsiasi tipo di comunicazione: Evie non era interessata minimamente a loro, ma solo a tenerseli stretti perché rappresentavano l’unico contatto con Charlie in quel momento. Il suo spilungone sarebbe tornato a riprendersi la propria combriccola di squinternati, oppure Charlie sarebbe passata da lei per recuperare le chiavi della macchina dalla sua borsa. Era questione di attimi, in cui doveva convivere con quelli e il presentimento.

Fu proprio dopo aver formulato quell’ultimo pensiero che Evie scorse qualcosa di particolarmente importante: uno dei ragazzi che di tanto in tanto avevano intravisto all’università si trovava a poca distanza da loro. In realtà, l’aveva incontrato anche prima, ma non l’aveva di certo riconosciuta: la socializzazione a livello costruttivo non era negli interessi principali della festa. La biondina strinse gli occhi, osservandolo alla ricerca del dettaglio sbagliato che aveva attirato la sua attenzione. Poi sussultò.

Al fianco dell’universitario c’erano Skipper e Baz, uno dei tanti agganci dello spacciatore per procurarsi roba importata dall’Oriente. Immediatamente, il presentimento tornò ad essere uno spillo appuntito che tentava di perforarle lo stomaco. Nonostante avesse in passato fatto affari con quella gentaglia, non le piaceva l’enorme profitto che stavano ricavando dalla festa di Charlie: stavano vendendo tanta, troppa roba. Roba che dovevano aver comprato a poco prezzo, visto che nessuno di loro possedeva una grande quantità di denaro. Roba tagliata male quindi, o poco sicura. In poche parole insomma, cibo per poliziotti. Ed Evie non voleva grane: né lei né Charlie si potevano permettere di essere collegate a faccende del genere.

Poi, come un’apparizione, venne la conferma al suo presentimento, ciò che fece scattare il campanello di allarme rosso nella sua testa: un uomo, sulla trentina circa, si aggirava attorno ai due spacciatori, recitando bene la parte di uno strafatto qualunque, uno fra i tanti invitati per caso. Evie strinse gli occhi: nessuno ancora l’aveva riconosciuto tranne lei, anche se Skipper e Baz avrebbero dovuto scattare sull’attenti alla sola vista dell’uomo. Questi si faceva chiamare Davis, ma la ragazza non sapeva quale fosse il suo vero nome: tutto ciò che sapeva era che tre mesi prima era stato lui a far mettere dentro una certa Clarissa Zarkovskaja, che in una serata aveva distribuito quasi un chilo di coca per chissà quante centinaia di dollari. Ad una delle loro feste. Evie sapeva che stavano tenendo d’occhio il loro giro e gli eventi da loro organizzati.

- Alzati, su. – in un attimo, prese la decisione: diede una pacca sulla spalla di Vescica con rabbia, fissandolo con decisione. In qualche modo, avrebbe trovato Charlie e se la sarebbero svignata.

Sulla terrazza del Gilmoure invece era in corso la discussione del secolo: il gruppetto di intellettuali chic dediti all’erba che aveva preso posto al centro del posto stava discutendo animatamente della crisi economica che stava attanagliando l’America. Uno degli schieramenti in quel momento stava difendendo a spada tratta il presidente Obama, mentre una pipa nella quale era stato mischiato tabacco a fumo veniva fatta girare di bocca in bocca.

L’imprecazione che si levò alta nel cielo nero della metropoli non interruppe né sconvolse la conversazione: il linguaggio di Charlot Valenti non era dei più fini, e questo era risaputo. Specie se questa scopriva di dover tornare a casa con qualche altro danno ai vestiti. – Merda! Mi sono sporcata! – di cosa esattamente si fosse insudiciato l’abitino rosso della ragazza, questo lei non lo chiarì. Ma la grande macchia che aveva sul ventre lasciava poco all’immaginazione. Cercando di rimediare al danno, Charlie incominciò a sfregare la mano sulla stoffa, senza grandi risultati: intanto, seduto sui divanetti, lo sconosciuto che era con lei cercava di rimettersi a posto in fretta il cavallo dei pantaloni. Trattenendosi dallo sghignazzare.

- Tu… - quando fu sicuro di riuscire a contenere le risate, il ragazzo abbozzò un principio di discorso: si rialzò in piedi, avvicinandosi a Charlie; ancora impegnata a cercare di pulire il proprio vestito, questa gli lanciò un’occhiata truce. – Tu prendi la… - egli fece un ampio gesto con la mano, ed indossò un’espressione che doveva essere esemplificativa. Come un adolescente, sembrava spaventato dal pronunciare parole collegate al sesso e alla prevenzione. “Tanto grande, quanto piccolo il cervellino” pensò Charlie, con un velo di amarezza.

- Non ti preoccupare, cocco, la mia vagina è sicura. – rispose, sorridendogli con un velo di sarcasmo in viso. Tentò un ultima volta di mitigare il danno sulla stoffa causato da quei dieci minuti di sesso, poi decise di lasciare perdere con uno sbuffo infastidito. Appoggiò le mani sui fianchi, guardando il ragazzo. – Hai una sigaretta? – domandò poi, pur sapendo che la risposta sarebbe stata negativa. Aveva già sondato le tasche del ragazzo, alle ricerca di preservativi. – Non fumo. – lo sconosciuto alzò le mani come se fosse stato sotto tiro dalle pistole della polizia. Charlie inarcò le sopracciglia, di fronte a quell’atteggiamento quasi difensivo: forse aveva pensato che, visto il rancore per la macchia sul vestito, senza nicotina ella gli sarebbe saltata addosso per sbranarlo.

- Però mi sembra che i tuoi amici lì abbiano da fumare in abbondanza. – aggiunse il ragazzo in fretta, per poi sorridere sghembo, dando per scontato che la ragazza conoscesse tutti gli invitati alla propria festa di compleanno. Charlie lanciò un’occhiata frettolosa al gruppetto di aspiranti new-hippie che stazionava al centro del terrazzo, cercando di riconoscerne qualcuno: quando ebbe la sensazione che fra loro vi fosse anche il cugino di una delle ex ragazze di Freddie, allora prese per mano lo sconosciuto, più con la decisione della dominatrice che con reale affetto.

- La colpa è di una finanza speculativa che ha prodotto generi di basso valore con miliardi di dollari, che possono essere ritenuti sprecati. Il governo non ha saputo gestire i privati, quando invece il sistema bancario dovrebbe essere strettamente controllato dall’economia di Stato… - la ragazza che stava parlando, con i capelli rasati ai lati ed uno smoking elegante addosso, dava l’impressione di poter porre fine alla crisi soltanto vendendo uno degli anelli d’oro che portava alle dita. Quando si fermò per prendere una boccata di fumo dalla pipa, Charlie s’inginocchiò a lato di uno dei presenti, un omaccione nerboruto dal volto minaccioso.

Il ragazzo osservò con attenzione ogni passo dell’opera di convincimento, le sopracciglia inarcate in un’espressione di perplessità sfacciata. Charlie, languida, avvicinò la bocca all’orecchio del tipaccio, sussurrando qualcosa che scatenò la sua potente risata baritonale. Dopo aver aspettato qualche secondo perché l’omaccione frenasse la propria ilarità, la ragazza si avvicinò ancora, con fare sensuale. Qualche secondo più tardi, in mano stringeva due lunghe sigarette, ed in volto non accennava a nascondere le tracce della soddisfazione. “Col sesso ottiene tutto, questa tizia.” pensò, notando anche che Charlie aveva bellamente ignorato la sua scelta di non fumare. Tanto peggio: in fondo, una sigarette non gli avrebbe guastato l’anima.

- Adesso non diamo la colpa all’intero governo del tracollo finanziario. Ricordati che Obama è stato eletto presidente in un momento in cui già sussisteva una profonda crisi, solo che i media v’insistevano medio. Probabilmente le sue azioni dovevano essere pianificate meglio, ma non è giusto far ricadere l’intera colpa sul suo governo: è un’azione mediatica atta a screditarlo. – nessuno si sarebbe aspettato che Charlie s’intromettesse nella discussione: rialzatasi in piedi, sorrise al proprio pubblico prima di fare scattare l’accendino sgraffignato al suo amico nerboruto, per poi passarlo insieme alla sigaretta ancora intatta allo sconosciuto con il quale ci aveva dato dentro sui divanetti.

Girò sui tacchi quasi subito, mentre sul gruppo ancora regnava un silenzio: non avrebbe ascoltato le risposte, le domande e le accuse di nessuno, preferendo coccolarsi nell’idea di aver effettuato una sfavillante uscita di scena. – Sono d’accordo. – sentì una delle voci alle proprie spalle esprimere il proprio giudizio ad alta voce, e ciò le fece intuire di aver ottenuto quanto desiderato. Qualcun altro avrebbe difeso ciò che aveva detto, si sarebbero messi tutti a discutere di nuovo, e la sua frase sarebbe semplicemente rimasta impressa nelle loro menti senza che nessuno la contestasse realmente. Mentre riportava la sigaretta alle labbra, un nuovo sorriso le nacque involto, insieme alla consapevolezza di avere ancora una volta affermato il suo ruolo di capobranco.

Come alle scuole elementari, dove la leader sceglieva per prima la bambola con cui giocare; come alle superiori, dove chi comandava era in grado di screditare chi le piaceva di meno, e decideva il programma di ogni giorno; come in un ufficio di Wall Street, dove chi s’imponeva era il primo ad arrivare in alto. Imporre le proprie idee, senza lasciare scampo agli altri, era l’unico modo per sopravvivere insieme alla scelta di fare ciò che più aggrada, a dispetto di cosa vogliono gli altri.

- Complimenti. – quasi si spaventò quando la voce del ragazzo senza nome la raggiunse. Si era quasi dimenticata di lui, di ciò che c’era stato prima della sua plateale affermazione in quel piccolo gruppetto di finti intellettuali. Si voltò a guardarlo, sempre sorridendo, ma con freddezza: l’aveva seguita lontano dal centro del terrazzo, dal lato opposto rispetto al punto in cui avevano consumato le loro voglie. Sul suo viso recava un’espressione serafica, che nascondeva un’ironia che punse l’orgoglio della ragazza. Ma fra le dita stringeva la sigaretta che gli aveva passato.

- Vuoi aggiungere anche la tua opinione alla discussione? – domandò Charlie, mantenendo un’espressione di assoluta tranquillità in viso, spostando lo sguardo sullo spettacolare panorama di cui poteva usufruire. Aveva la netta impressione che quell’inizio di conversazione non avrebbe portato a nulla di buono. – Oh, no. Sono certo che il tuo intervento sia bastato per sollevare un polverone. – la risposta del ragazzo la lasciò di stucco. Non che si aspettasse qualcosa di particolare, ma di certo non aveva pensato potesse esordire con un attacco diretto nei suoi confronti. Perché, dal tono di voce dello sconosciuto, si poteva intuire la battaglia che stava per avere inizio.

En garde.

- Non capisco ciò che intendi dire. – assunse un atteggiamento da finta tonta, anche se l’emozione rabbiosa e combattiva che si leggeva nei suoi occhi si allontanava parecchio da quella frase. Notò con ira crescente che il ragazzo si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere. – Scusami, ma la parte della paladina di Obama non ti si addice proprio! – parlava come se la conoscesse da una vita, e la parte peggiore era che ci aveva azzeccato in pieno. Charlie non era democratica, sapeva soltanto di non essere assolutamente repubblicana. La presa sul filtro della sigaretta d’un tratto divenne molto più forte del necessario. – Commento molto arguto, basato su solide fondamenta. – commentò, palesemente sarcastica, alzando gli occhi al soffitto di un nero pece, buio.

- Oh, non te la prendere, reginetta del ballo, se qualcuno non la pensa come te. – c’era un’arroganza sfacciata e ostentata con orgoglio nelle sue parole. La ragazza lo guardò allibita per una risposta simile: quello che doveva essere il passatempo di una mezzoretta si stava tramutando in un intralcio alla serata. Charlie non era il tipo da porgere l’altra guancia, per niente rose e fiori in situazioni che minacciavano la stabilità della sua supremazia. Botanicamente parlando, era più una pianta carnivora.

- Io m’interesso dello scambio di opinioni che non siano basate su dieci minuti di sesso. – ribatté, stizzita ed intenzionata a non dare neanche una piccolissima soddisfazione a quel tamarro di periferia. Dentro di lei, una rabbia enorme stava nascendo, insieme al desiderio di scaraventare quel sempliciotto qualunque giù dal grattacielo del Gilmoure: ma non era così che si vinceva, non lasciandosi trasportare dagli impulsi primitivi; un vincente da l’impressione di essere una persona ragionevole, difficile da scalfire. Esserlo veramente in realtà non conta molto.

- Infatti mi baso su ciò che hai detto, e sulle mie personali considerazioni che con te non centrano nulla. – adesso anche lo sconosciuto sembrava sul punto d’innervosirsi seriamente: il suo tono di voce s’era alzato, lievemente ma abbastanza da far aumentare anche il livello della tensione fra loro. Nonostante avesse dichiarato di non fumare, le boccate con le quali stava consumando la sigarette si stavano facendo sempre più frenetiche. – Obama si è lasciato sfuggire la situazione di mano: ha creduto che riempiendo la gente di false promesse gli americani potessero diventare un popolo di lavoratori onesti. Ma questo è il Paese delle opportunità solo per chi sa come fregare gli altri, e i suoi vanagloriosi ideali non fermeranno la crisi economica. – Charlie si sforzò per non fargli intendere di essere rimasta a bocca aperta.

- Obama si è impegnato più di tutti per rendere gli Stati Uniti una civiltà migliore, che viene denigrata alle spalle dalle nuove superpotenze orientali. Rappresenta la svolta, e l’unica cosa che non gli permette di cambiare realmente questo mondo sono gli ottusi, falsi moralisti che si rifiutano di dargli fiducia. – Con un gesto rapido, la ragazza si avvicinò al parapetto della terrazza e sul cemento grigio spense la sigaretta, ormai ridotta ad un inutile mozzicone bollente. Udì i passi dello sconosciuto che si avvicinavano alla sua schiena, per compiere le sue medesime azioni. – Non si producono soldi con l’impegno. – insieme, lasciarono cadere i loro mozziconi già, perché la strada di New York inghiottisse il momento in cui avevano deciso di fare la reciproca conoscenza. – Nemmeno con lo scredito. – in pochi secondi, Charlie seppe cosa fare.

“Stupido conservatore conformista.” “Progressista ipocrita.”

Si doveva sbarazzare di quel tipo.

- Charlie! – un nuovo ululato disturbò il gruppetto radunato al centro della terrazza, ora immerso in un’impegnata discussione sul riciclaggio. I presenti scoccarono una veloce occhiataccia a quella Barbie parlante di Evan McLair, una persona con cui non avevano mai parlato e che avevano visto soltanto su Facebook, ma che godeva di molteplici reputazioni contrastanti. La ragazza aveva appena fatto il proprio ingresso dalla porta collegata alla scala a chiocciola, con al seguito quelli che sembravano le sue conquiste della serata.

Charlie ringraziò quella misteriosa presenza che controllava l’universo, l’esistenza della quale continuava a negare a voce, per aver dato alla luce una migliore amica dotata di tempismo perfetto. Voltandosi a sorridere all’amica però, la brunetta poté constatare che ancora qualcosa non quadrava: il presentimento era vivo e vegeto nei suoi occhi cerulei, e non sotto sei piedi di come etilico come aveva sperato. Quando Evie la raggiunse, caracollando sui tacchi, per afferrarle una spalla con la mano, non riuscì a reprimere un sospiro rassegnato. – Che..? -

- C’è Davis, Charlie. Scoppierà un casino bello grosso, me lo sento! – a Charlie bastò quel nome per farle rizzare i capelli: nessuno che frequentasse i loro giri, e che avesse la prudenza di tenersi informato per non finire al fresco, conosceva la leggenda di Davis il Terribile Agente in Borghese. – Quello che ha fatto arrestare la Zarkovskaja? – domandò, sbiancando clamorosamente. Un rapido sguardo rivolto al proprio sconosciuto le fece intuire che era argomento noto per quella compagnia, anche se Ormone Scattante dava l’impressione di non ricordare nemmeno il proprio nome in quel momento. – Ne sei sicura? – domanda inutile: quando entrava in scena il presentimento, Evie acquistava una singolare abilità di separare il bene dal male. Il motivo era semplice: avrebbero perso molto più della vita con una loro bravata sui giornali nazionali. Non c’era tempo da perdere.

- Andiamocene. – nessuna delle due pensò neanche per un secondo di fermarsi un minuto di più per avvertire Kimberly, Freddie e il resto della compagnia. Dovevano sbrigarsi, e se qualcuno rimaneva incastrato in qualche affare più grande e rognoso di loro, non erano certo affari di Evie e Charlie: una cauzione era semplice da pagare, anche se salata; un titolo sulla prima pagina del New York Times era una gatta molto più grossa da pelare. – A-aspettate, d-dateci u-u-un p-passaggio! – Vescica Debole sembrava disperato come un bambino dimenticato all’uscita dell’asilo, mentre Ameba reggeva a fatica Ormone Scattante. Il primo dei tre scattò in avanti con stupefacente prontezza, bloccando il passo di Evie che già si dirigeva verso l’uscita.

- Sì, sì, stasera faccio da taxi, ma muovetevi, o vi lascio con le palle nella merda! – sbraitò Charlie, sul punto di mollare un sonoro ceffone a quel pivellino che si era permesso di intralciare Evie. Prima l’aitante erede di Richard Nixon, poi un infante di circa vent’anni. – Non fate così tanto casino, cretini, o ci sarà un’evacuazione di massa che ci catapulterà tutti in un mare di cacca! – sibillò Evie, afferrando con una forza sorprendente per uno scricciolo come lei Vescica Debole ed Ameba, per poi trascinarli tutti verso le scale del Gilmoure. Charlie e l’altro ragazzo si affrettarono a seguirli, imprecando sottovoce: nessuno di loro si sarebbe reso conto del reale pericolo scampato fino a quando non sarebbero stati lontani, al sicuro.

Poi accadde.

- Ma che diavolo succede? – improvvisamente, Charlie si fermò, senza pensare al ragazzo che la stava seguendo. Mentre questo quasi inciampava per non colpirla arrivandole addosso e facendole del male, la ragazza si guardò attorno: alla nuca permaneva lo strano formicolio che l’attanagliava quando qualcuno la osservava da distante. Con la coda nell’occhio infatti, aveva avvistato qualcosa. Qualcosa che l’aveva bloccata, impedendole di proseguire la propria fuga senza aver controllato: un’inquietante sensazione le pervase lo stomaco, mischiandosi all’adrenalina causata dalla notizia della presenza di Davis. Qualcosa di losco, di abbagliante. Ma cosa?

- Charlie! Non è il momento di essere lunatica, okay? Muoviti, puttana! – il fine richiamo di Evie la riportò alla realtà, o almeno parzialmente sul piano di fuga dal Gilmoure che andava effettuato. Non si scansò al tocco dello sconosciuto, che prendendola per mano la condusse verso la scala a chiocciola, soltanto perché buona parte dei suoi pensieri erano ancora fissi su ciò che pochi attimi prima l’aveva sconvolta. Bisognava pensare a raccattare i soprabiti, la borsa, le chiavi della macchina che aveva parcheggiato poco distante dall’ingresso… bisognava pensare ad un mucchio di cose, ma per una ragione che ancora faticava a capire il tempo si era fermato al momento in cui aveva capito che qualcosa non stava funzionando oltre a tutto. Bisognava pensare a…

- Aspettatemi fuori, devo fare una cosa! Cinque minuti! – erano ormai arrivati, dopo aver attraversato quegli oceani di folla e parole vuote che erano le due sale del Gilmoure, all’ascensore che li avrebbe portati fuori da quell’incubo. Ma sarebbe stato troppo semplice: banale ed increscioso, sorse un problema. Charlie si volse a fissare con rabbia malcelata il controverso sconosciuto, che le rivolse un rapido sorriso sghembo prima di lasciarle la mano e tornare indietro, verso la pista da ballo. “Hai ballato veramente molto bene, stasera.” un pensiero, un flash improvviso, abbagliante come era stato ciò che l’aveva spinta a bloccarsi sulla terrazza. Velocità. – Che gli prende? – Evie pose la domanda senza sapere di aver innescato i complessi meccanismi del cervello dell’amica, che già delineavano una nuova prospettiva per il futuro prossimo. – Nulla… Vedrai. – tutti stavano aspettando lei.

E nessuno si sarebbe perso lo spettacolo.

 

 

La notte che sorride ha denti fragili
per tutti i calci che l’aspettano.
Generalmente lei non dà la confidenza
a tutti quelli che si atteggiano troppo.

(Subsonica – Albascura)

 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE

 

D’accordo, non mi dilungherò troppo con commentini vari, sarò più spiccia e tecnica. Spero solo di non essere caduta in cliché banali e di non avervi annoiato! Sono in ritardo, lo so: spero che spendere più tempo del previsto su questo capitolo abbia alzato la qualità di questa mia buffonata.

“Io e te, tesoro: che ne dici?”, ovvero “You and me, babe: how about it?” è un verso della canzone Romeo and Juliet dei Dire Straits.

En garde” è un’espressione comunemente usata nella scherma, deriva dal francese e significa “In guardia”.

“Scommetto che ti muovi bene sulla pista da ballo”, ovvero “I bet that you look good on the dancefloor” è un riferimento all’omonima canzone degli Arctic Monkeys.

“Houston, abbiamo un problema” celebre frase dello sbarco sulla Luna del ’69, dell’equipaggio dell’Apollo 13.

“E’ arrivato il circo in città o cosa?”, ovvero “Has the circus come to town or what?” di Mini McGuinness, dalla serie TV Skins.

La frase di Shakespeare a cui si riferisce Charlie è la celeberrima “La vita non è che un'ombra che cammina; un povero attore, che s'agita e si pavoneggia per un ora sul palcoscenico e che poi scompare nel silenzio. È un racconto narrato da un idiota, pieno di furia e di rumore, senza alcun significato”.

“Botanicamente parlando, era più una pianta carnivora.” è una frase ispirata al film Basta che Funzioni, di Woody Allen.

Preciso inoltre che niente di ciò che riguarda la discussione su Obama e sulla crisi economica è stato scritto a scopo di lucro o per propaganda. Le opinioni dei miei personaggi NON sono le mie, e ciò che è narrato è a puro scopo d’intrattenimento.

 

 

 

Bye!

 

 





 

 

  
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