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Autore: Less_    09/09/2011    0 recensioni
Una quindicenne stringe la mano di suo figlio di un anno. La gente la chiama "puttana", nessuno sa che è stata stuprata a 13 anni. La gente chiama un altro ragazzo "grasso". Nessuno sa che ha un serio problema che lo rende sovrappeso. La gente chiama un vecchio "brutto". Nessuno sa che ha avuto una profonda ferita al viso combattendo per il nostro paese in guerra. La gente chiama una donna "calva", ma non sa che ha il cancro.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A story about... my disease - This spring

Guardo fuori dalla mia finestra, oltre i cartoni dei clochard che affollano la stretta via sulla quale si affaccia la mia camera. Non c'è quasi nessuno, perché a quest'ora della sera, quando le ombre lunghe gettano nell'oscurità gli ultimi ritagli di luce dei tramonti sempre più lunghi, i barboni preferiscono ambire gli ultimi brandelli luminosi nei parchi della città.
C'è solo la ragazzina col figlio piccolo, quella a cui qualche volta tiro una moneta mentre non guarda, come per dirle "sono con te".
Lo faccio quasi sempre perché ha solo quindici anni e trovo spaventoso che viva per strada con un figlio piccolo. E poi lo faccio anche perché lei non mi guarda come tutti gli altri, non lo ha mai fatto.
Quando i suoi occhi si posano sul mio corpo martoriato e deforme lei non mi fa sentire come se volessi contorcermi fino a ripiegarmi in un angolo. Mi sento a posto, magari un po' segnato da un combattimento sfiancante contro la vita, ma comunque
giusto. Lei è forse l'unica a cui non abbia mai raccontato della mia malattia, ma lo stesso sembra comprendere molto più della gente a cui lo ripeto anche dieci, quindici volte al giorno.
Lei mi guarda. Ricambio il suo sorriso. So che il mio assomiglia a quello sul suo volto. Tirato. Teso. Amaro. Triste. Ma comunque un sorriso. Comunque il massimo che sia disposto a concedere a chiunque.
Quando suona il campanello infilo venti dollari nella buca delle lettere perché il fattorino li prenda. Forse ci sarebbe del resto, ma non mi importa. Voglio che lo tenga, e sono disposto anche a rimetterci, purché se ne vada e non sia costretto a vedere la recriminazione sul suo volto.
Passo davanti ai corpi molli e pallidi dei miei, seduti sul divano, afflosciati come sacchi, e reprimo la sensazione di essere in gabbia. Perché qui sono al sicuro. Almeno molto più di quanto non lo sia là fuori.
Apro la finestra e lancio una ciambella alla ragazza madre.
Le pillole che costituiscono il resto del contenuto del sacchetto sono per me. Ne mando giù qualcuna a caso mentre il sole morente della primavera sparisce oltre l'orizzonte, sprofondando le nostre miserabili vite nel buio.

   
 
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