Film > Alexander
Segui la storia  |       
Autore: Barsine    10/05/2006    4 recensioni
Voglio tornare ad essere il Gran Re. Anzi, il Gran Re più potente del mondo!
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E TIMO

PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E TIMO

Capitolo 8

 

 

 

 

 

   Dio dio dio di tutti gli dei, l’aveva avuto ad un palmo di distanza; gli aveva parlato con affetto e sensualità, non gli era sembrato nemmeno lui, quel presuntuoso soldato che aveva incontrato al laghetto. La sua voce non era stata irrisoria, il suo sguardo non era stato duro, le sue mani quando l’avevano toccato sembravano aver impresso un marchio di fuoco indelebile sulla sua schiena, un marchio che ancora bruciava così appassionatamente.

   Non ebbe il tempo di recuperare i suoi pensieri che vorticavano selvaggi nella sua testa, non ebbe il tempo di liberarsi dal suo odore - da quell’odore che aveva sentito prepotente anche senza esserglisi stretto addosso - non ebbe il tempo di scacciare la sua immagine dalla mente, che un’altra ombra, ancora più imponente di quella di Efestione, si proiettò sul muro ancora bianco. Passo dopo passo, il mantello svolazzava come le ali di un pipistrello, e, man mano che si avvicinava, l’ombra pareva espandersi tanto da poter inghiottire Alessandro immobile e tremante.

   «Mia carissima Ippolita.» la voce pareva tuttavia dolce e pacata. Nonostante questo, Alessandro continuò a guardare di fronte a sé, impietrito. «Mi sembra che tu non abbia ancora cominciato.»

   Alessandro sibilò un sorrisetto acuto e finalmente si voltò. «Mio re. Mio signore. Perdonami, ma sto cercando di immaginare qualcosa che possa addirsi alla maestosità delle mura del tuo palazzo. Non vorrei sfigurare accanto ai maestri che hanno dipinto prima di me.»

   Dario si accostò alla pittrice con le sopracciglia corrugate. «Hai il viso tutto sporco, mia carissima.»

   «Oh!» sorrise di nuovo «Mi aiuta a scaricare la tensione.»

«Capisco.» inspirò profondamente, e, da così vicino, avvertì il profumo dei capelli di Ippolita. Un profumo particolare, che sembrava ricordargli qualcosa… «Comunque mi fa piacere che tu non abbia fretta, e che anzi tu rifletta. Mi piacciono le donne che riflettono. Significa che si interrogano, e questo è indice di intelligenza e sensibilità. Non amo le persone frettolose, che fanno le cose tanto per farle.» e sorrise, a sua volta, molto caldamente, appoggiando una mano inanellata sulla spalla di Ippolita «Sono sicuro che dalle tue manine uscirà qualcosa di veramente originale. Non vedo l’ora di vedere la tua creazione. Ma non ti voglio mettere fretta, ora me ne andrò. Buon lavoro.»

   Quando il re se ne fu andato, Alessandro tirò un lungo sospiro di sollievo e si massaggiò lo stomaco che durante tutta la conversazione era stato torturato da acute fitte di tensione.

   E, dopo che si fu permesso qualche minuto per riprendersi, finalmente si decise a stendere l’intonaco.

 

 

   Si abbandonò indolente nella vasca tra il profumo intenso del gelsomino e le mani di Bagoas che gli lavavano via la polvere di henna dai capelli.

   «Che piacere rilassarsi di nuovo nelle stanze di questo palazzo. Cominciavo a sentirne la nostalgia.»

   Bagoas sorrise premuroso e continuò a passare le sue mani dolci e delicate tra i capelli di Alessandro. «Dario ti ha detto qualcosa?»

«Mi ha detto che ama le donne che riflettono.» ridacchiò «Comunque alla fine, esasperato, ho cominciato a buttar giù qualcosa sulla parete.»

«Davvero? E cosa?» e cominciò a scorrere le mani umide sul suo petto.

«Non lo so esattamente, per ora. Ho gentilmente proibito a Dario di controllare i lavori finché non saranno terminati. Forse, a lavoro compiuto, almeno lui riuscirà a trovare qualche bellezza nel mio affresco.»

«Sai perfettamente cosa succederà se non gli piace.»

«Certo, Bagoas, ma non posso lasciare in bianco la parete, altrimenti…» e non terminò la frase.

«Tu e la tua mania di quell’Efestione! Non potevamo condurre una vita normale lontano da qui?»

   Alessandro sorrise malizioso e afferrò Bagoas per la mano che lo stava lavando, attirandolo avido nella vasca con sé. «Basta parlare, stupido eunuco.» e prese ad accarezzare voluttuosamente il piccolo corpo di Bagoas «E’ da un po’ di tempo che io e te non ci facciamo un po’ di sana compagnia.» gli sussurrò all’orecchio, leccandogli il lobo. «Avanti, vieni qui.»

   Bagoas accondiscendente e desideroso si lasciò baciare ovunque dalle labbra di fuoco del suo compagno, stringendosi a lui quasi spasmodicamente, gettando la testa all’indietro e facendo ricadere i lunghi capelli corvini nell’acqua, mordendosi il labbro inferiore.

   Si stavano sciogliendo da ogni ragione e addentrando nei tortuosi meandri del piacere quando all’improvviso la porta della stanza sussultò sotto tre tocchi decisi e vagamente militareschi. I due, smarriti e tremanti, si guardarono per un attimo negli occhi sgranati, indecisi sul da farsi. I tre tocchi risuonarono di nuovo, come un segnale di guerra.

   «Ippolita…?» fece una voce calda e per nulla militaresca al di là della porta. «Dario mi ha indicato la tua stanza. Ti avevo promesso che ti sarei venuto a trovare una volta che avessi finito di lavorare. Disturbo?»

   Alessandro e Bagoas balzarono subitamente fuori dalla vasca, urtandosi a vicenda e scivolando malamente sul pavimento bagnato, sopprimendo a fatica un gemito di dolore. 

   Efestione udì un tonfo sordo. «Ah! Ti ho sentita! Lo so che ci sei. Vuoi aprirmi?» continuò con tono volutamente accattivante. Da Ippolita non arrivava nessuna risposta, ma Efestione non voleva saperne di darsi per vinto; restò in piedi fuori dalla porta ad ascoltare gli strani rumori che provenivano dalla stanza della bella pittrice.

   Alessandro e Bagoas nel frattempo continuavano a guardarsi terrorizzati e a muoversi scattosamente qua e là nel tentativo di ricomporre i pensieri che non c’erano e farsi venire in mente un’idea.

   «Se non vuoi vedermi dimmelo, me ne andrò.»

   Alessandro scosse nervosamente la testa, non voleva perdere Efestione così, avrebbe voluto che entrasse e che rimanesse con lui per tutta la notte; ma non poteva nemmeno fingere che Ippolita dormisse, oramai Efestione aveva inevitabilmente sentito il loro chiasso e se non gli avesse aperto avrebbe forse pensato di dare fastidio, avrebbe pensato che Ippolita non fosse interessata a lui, avrebbe pensato… scosse di nuovo la testa e si schiarì la voce più silenziosamente che poté. «Oh, Efestione.» cominciò in falsetto «Oh per gli dei, mi ero completamente dimenticata, sai, noi artiste siamo sempre così distratte!» e si fermò un istante per aspettare una risposta dal suo bello, ma quella non arrivò. «Ehm. Mi… mi ero addormentata, e, per Zeus, la tua voce così all’improvviso mi ha spaventata e sono caduta giù dal letto! Perdonami.» e rise nervosamente, in ansiosa attesa di una risposta.

   «Oh» rispose Efestione con tono non molto convinto «Mi dispiace molto. Ti sei fatta male? Aprimi, possiedo discrete nozioni di medicina.»

   Alessandro strinse spasmodicamente i denti. «Eh… no, non preoccuparti, sto benissimo.»

   Ci fu un attimo di silenzio dietro la porta. «Ti disturbo? Non vuoi che entri?»

   Alessandro si rivolse freneticamente  a Bagoas, sottovoce «Qualcosa che copra i capelli, presto!» e Bagoas scattò come frustato a cercare qualcosa che coprisse i capelli. «Eh, no, figurati, mi fa molto piacere che ti sia ricordato di venirmi a trovare!»

   Bagoas fu pronto poco dopo con un velo persiano color porpora con cui coprì svelto i capelli biondi di Alessandro. «Ma così si vede l’orecchino!» imprecò sommessamente, e infilò anche il vistoso gioiello sotto il velo, nascondendo poi le intere orecchie.

   «Però continui a lasciarmi fuori!» commentò Efestione in un lieve sorriso.

   «Fammi le sopracciglia, presto, le sopracciglia!» fece, rivolgendosi nuovamente a Bagoas «E truccami un poco; solo un poco, però, gli ho detto che stavo dormendo!». E Bagoas schizzò fulmineo a prendere bistro e carminio. «Ehm… mi sto ricomponendo, non credo sia rispettoso accogliere un ospite così affascinante nello stato in cui mi trovo ora!» cercò di prendere tempo con Efestione.

   «Ne sono lusingato, mia carissima, ma a me le belle donne piacciono anche appena sveglie!»

   Alessandro rise nervosamente mentre le mani esperte e sollecite di Bagoas in tutta fretta gli scurivano le sopracciglia col bistro e gli ravvivavano le guance col carminio. «Presto, scomponi il letto e gettami una vestaglia molto larga!» e in pochissimi attimi fu accontentato. «Ora nasconditi!»

   «Se sei stanca e non ti va di vedermi, dimmelo. Dopotutto sono io che ti sono venuto a cercare ad un orario così scomodo. Ma tu sembri sempre così… impegnata!» l’ultima frase gli uscì quasi come un lamento. E lo credeva davvero. Quell’attesa lo stava facendo impazzire, ogni istante che trascorreva davanti a quella porta serrata faceva accrescere in lui il desiderio di scoprire chi era quella donna così misteriosa. Non c’era forse aggettivo che avrebbe potuto descriverla meglio; era quel mistero che lo titillava inesorabilmente, quel fascino che probabilmente mancava a tutte le altre donne che aveva incontrato fino a quel momento, quelle altre donne che gli sorridevano impudiche e che in una situazione come quella non avrebbero perso tempo ad aprirgli e ad accoglierlo senza pudori. Sempre di più, impalato davanti ad una porta chiusa, si rendeva conto di essere in balia delle velleità di quella donna. Avrebbe potuto andarsene, stizzito, tanto più che aveva mille altre bellissime donne – anche più belle di Ippolita – pronte ad aspettarlo nelle loro malinconiche stanze. E invece era lì, ad aspettarla. Lei, una sconosciuta appena arrivata a palazzo. Se lei avesse aperto la porta, lui sarebbe entrato. Se lei avesse deciso di non aprire la porta, lui sarebbe rimasto lì, dolorosamente, fuori. Tutto dipendeva da lei, non più dalla sua volontà, che in fatto di donne non era mai stata scontentata.

   Ad interrompere i suoi pensieri fu la porta che si aprì, ed Ippolita che uscì dal buio della sua stanza col fiatone, sibilando con un filo di voce: «Ciao.»

   Efestione sollevò il sopracciglio destro, osservandola perplesso. Portava i suoi bellissimi capelli raccolti in un velo purpureo decorato con qualche ghirigoro dorato.

   «E’ per non lasciar scompigliare i capelli durante il sonno.» ridacchiò incerto Alessandro, accortosi dello sguardo di Efestione.

   «Capisco. Allora, posso entrare?» sorrise caldamente e con un’acuta vena di impazienza che non si curò di camuffare.

 

 

   Non riusciva davvero a capire il perché. Perché Ippolita si ostinava a nascondere le forme del suo corpo sotto quelle vesti così larghe e sformate? La stava osservando incessantemente mentre lo accoglieva nella sua stanza sobria e poco illuminata; l’unica lampada che bruciava sul tavolino accanto al letto scolpiva i suoi lineamenti e risaltava la linea delle sue labbra stuzzicanti.

   La stava osservando e con gli occhi cercava di spingersi sotto quella vestaglia blu che copriva interamente il suo corpo, mentre si coricava sul letto facendo attenzione a far suonare ogni suo movimento come una provocazione: sedendosi prima piano, sorridendole, sollevando poi le gambe e allungandole lentamente sul letto, e infine, senza staccare gli occhi da lei, passandosi quasi spontaneamente una mano tra i capelli mentre stendeva la testa sull’alto cuscino. Osservò le sue reazioni.

   Alessandro sorrise nervosamente, torcendosi le mani dietro la schiena, cercando di non lasciarsi andare alle irresistibili sensazioni che lo stavano travolgendo, cercando di non fare caso alla sensualità così prorompente che trasudava la sola pelle di quel soldato, e si ritrovò a benedire Bagoas per avergli lanciato una veste così larga.

   «Oh, che sfacciato.» cominciò Efestione, sollevandosi un poco, volgendosi verso di lei, appoggiando la testa sulla mano destra. «Mi sono steso senza che tu nemmeno mi avessi dato il permesso! Sono proprio un rozzo soldato.»

   Alessandro non riusciva a smettere di ridacchiare. «Ma figurati, sarai stanco, immagino.»

«Perché non ti stendi qui vicino a me? Così parliamo meglio.» sorrise, e osservò con occhi rapaci Ippolita che si sedeva rigida accanto a lui. «Rilassati, mi sembri pensierosa.»

   «No, è che… in confidenza, non mi aspettavo di essere accolta subito così caldamente a palazzo.» si sforzò di controllare le sue emozioni e di assumere un tono il più pacato possibile.

   Efestione sorrise e cercò, appoggiandole una mano sul fianco, di farla coricare accanto a sé, ma invano, Ippolita era irremovibile sulla sua inspiegabile posizione. Allora non si sentì di andare oltre e prese a parlare. «Pensavo, oggi, che strano avere una pittrice donna a palazzo. Io sono macedone, e so che in Grecia non esistono molte donne in grado di intraprendere mestieri così importanti. Voglio dire…» ebbe paura di averla offesa.

   «Sì, lo so, noi donne non abbiamo molta libertà. Ma è tutta opera di mio padre. E’ lui che, innamoratissimo di mia madre, non ha mai creduto nell’inferiorità della donna.» e mentre raccontava ciò che si inventava sul momento gli sembrò di poter riuscire a non pensare ad Efestione accanto a lui steso sul suo letto, così disponibile ed invitante. «Da piccola mi indirizzò all’amore per la pittura, e mi disse che non gli interessava se mai mi fossi sposata con un buon marito che mi avesse tenuta segregata nel gineceo ad allattar bambini, lui voleva che io diventassi qualcuno in grado di competere nella società con la sovrabbondanza di maschi.» e nascose il suo sorriso con la mano nella maniera più femminea che gli riuscì. «Ricordo che mi portava nelle case dei nobili suoi amici ad ammirare i quadri dei più grandi pittori dell’epoca.»

«Lo sai come vengono considerate le donne come te da alcuni greci…» rilevò assorto Efestione.

   Alessandro sorrise, e questa volta con atteggiamento rilassato. «Sì, certo. Le cosiddette puttane di lusso. Gli uomini che pensano così non hanno considerazione presso di me, sono ottusi e ignoranti, e innegabilmente invidiosi. Pensano che noi donne non siamo in grado di imporci nella società.»

   Efestione ascoltava assorto, fissando i suoi occhi brillanti.

«In realtà io non sono mai nemmeno entrata in un bordello, e chi mi conosce lo sa, sono una donna per bene. Mi sono sempre comportata onestamente e mi sono guadagnata la fama grazie al mio lavoro.» e si interruppe per qualche istante, mordendosi il labbro inferiore. Cosa sarebbe successo se non fosse stato in grado di dipingere qualcosa di accettabile sulle pareti del palazzo? Ippolita sarebbe stata marchiata come una boriosa cialtrona e sarebbe stata allontanata dal palazzo, nonché irrisa dallo stesso Efestione. Cambiò discorso. «Dicevo, io sono una donna per bene. Non sono di certo come una di quelle che usano il proprio corpo per raggiungere i loro scopi. E non sono nemmeno una di quelle facili a concedersi. Saffo diceva che la fanciulla vergine è come una mela posta sul ramo più alto dell’albero, e tutti si accaniscono per coglierla, ma lei continua a splendere rigogliosa e pura lassù. E, aggiungo io, una volta colta, non fa più gola come quando sembrava così irraggiungibile.»

   Efestione sorrise, ammaliato dall’innocente e sicuramente inconsapevole sensualità di quella donna davanti a lui. Ippolita era dunque vergine? Questo era il motivo della sua ritrosia che pareva quasi timore? Che meraviglia essere steso sul letto di una vergine, pensava, che meraviglia aver varcato la soglia della porta di quella stanza incontaminata, mai visitata da nessun altro uomo, che meraviglia sapere che se fosse riuscito ad averla sarebbe stato per lei il primo.

   Bagoas, avvolto nelle tenebre del suo nascondiglio, rideva sommessamente. Non avrebbe mai immaginato che Iskander potesse immedesimarsi così bene nei panni di una donna. Vergine, per giunta.

   «Sei la prima donna che sento parlare così, in questo palazzo.» intervenne Efestione. «Ti confesso una cosa, sono un po’ stanco delle conquiste facili. Sono un guerriero, amo combattere, amo sudare e farmi male. Guarda.» e le mostrò una profonda cicatrice sul petto. «Vedi? A me queste cose non spaventano. Mi ammaccano il corpo, ma non l’animo. Sono orgoglioso delle mie ferite: raccontano di me, di quello che ho vissuto. Sin da piccolo sono stato educato alle armi come tutti i nobili macedoni, quando regnava ancora re Filippo. E sono cresciuto così, come un rozzo guerriero macedone. Non amo le città che si arrendono al mio passaggio senza opporre resistenza, non amo le città che aprono le loro porte e si fanno espugnare con poca fatica, anzi, addirittura con mal celata connivenza. Mi piacciono gli assedi. Mi piace combattere e non sapere se vincerò o perderò.

   E amo soprattutto non fermarmi mai. E’ un senso di insoddisfazione che non riesco a saziare. Non amo stabilirmi in una città. Io devo andare avanti, conquistare insieme con i miei commilitoni. E purtroppo in questo periodo non c’è nulla da fare, mi annoio. Il nostro re non ha altre ambizioni, non ha interesse a guidarci a conquistare terre nuove. Probabilmente pensa che già occupi tutte le terre emerse. Ma l’India, per esempio, chi mai potrà conquistare l’India?

   Se Dario non ha ambizioni particolari che tengano allenato lo spirito di noi guerrieri, e se nemmeno le donne qui si fanno più lo scrupolo di lasciarsi desiderare, inevitabilmente cadiamo nell’ozio e nella noia.»

   Alessandro si accorse che qualcosa era cambiato. Ora le mani di Efestione non cercavano più di sfiorarlo, ma gesticolavano accanitamente; e i suoi occhi non lo guardavano più libidinosi, ma fissavano intensamente un punto indefinito nella stanza, assorti nel discorso che si stava districando. Si sentì libero di osservare il suo viso e di restare incantato da quel piglio guerriero che aveva visto rammollito tra gli ozi del palazzo di Dario quando quel pomeriggio si erano visti davanti alla parete bianca, dalla voce aspra e schietta che aveva sentito incrinarsi nell’ipocrisia quando poco fa stava tentando di sedurlo. Si accorse che probabilmente il tempo stava volando senza che loro due se ne accorgessero.

   Efestione si sollevò un poco e accostò la bocca all’orecchio di Ippolita, sorridendo complice. «Ti confesso una cosa: al maschio piace far la guerra. Vedi, è un istinto di natura. Non si può negare al maschio la possibilità di conquistare. E magari di trovare quella città così speciale e in qualche modo attraente in grado di cancellare ogni senso di insoddisfazione, ogni desiderio di spingersi oltre.»

   Alessandro non poteva fare a meno di concordare. Sin da quando l’aveva rifiutato quella sera al laghetto si era incaponito di volerlo conquistare; si era risvegliato qualcosa di guerriero anche in lui. Ed ora aveva capito che, se voleva che Efestione provasse lo stesso intenso desiderio nei suoi confronti, avrebbe dovuto lasciar emergere il suo spirito guerriero.

   Dal canto suo Efestione riprese a guardare Ippolita e a sentirsi, lì, sul letto, accanto a lei, senza averla neppure baciata, per un momento quasi innamorato. E dichiarò guerra aperta a quella donna così intrigante e involontariamente seducente.

   L’avrebbe avuta, a tutti i costi. Avrebbe avuto la mela più alta dell’albero.

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Alexander / Vai alla pagina dell'autore: Barsine