PREZZEMOLO, SALVIA, ROSMARINO E
TIMO
Capitolo 8
Dio dio dio di tutti gli dei, l’aveva avuto ad un palmo di
distanza; gli aveva parlato con affetto e sensualità, non gli era
sembrato nemmeno lui, quel presuntuoso soldato che aveva incontrato al
laghetto. La sua voce non era stata irrisoria, il suo sguardo non era stato
duro, le sue mani quando l’avevano toccato sembravano aver impresso un
marchio di fuoco indelebile sulla sua schiena, un marchio che ancora bruciava
così appassionatamente.
Non ebbe il tempo di recuperare i suoi pensieri che vorticavano selvaggi
nella sua testa, non ebbe il tempo di liberarsi dal suo odore - da
quell’odore che aveva sentito prepotente anche senza esserglisi stretto
addosso - non ebbe il tempo di scacciare la sua immagine dalla mente, che
un’altra ombra, ancora più imponente di quella di Efestione, si
proiettò sul muro ancora bianco. Passo dopo passo, il mantello
svolazzava come le ali di un pipistrello, e, man mano che si avvicinava,
l’ombra pareva espandersi tanto da poter inghiottire Alessandro immobile
e tremante.
«Mia carissima Ippolita.» la voce pareva tuttavia dolce e
pacata. Nonostante questo, Alessandro continuò a guardare di fronte a
sé, impietrito. «Mi sembra che tu non abbia ancora
cominciato.»
Alessandro sibilò un sorrisetto acuto e finalmente si
voltò. «Mio re. Mio signore. Perdonami, ma sto cercando di
immaginare qualcosa che possa addirsi alla maestosità delle mura del tuo
palazzo. Non vorrei sfigurare accanto ai maestri che hanno dipinto prima di
me.»
Dario si accostò alla pittrice con le sopracciglia corrugate.
«Hai il viso tutto sporco, mia carissima.»
«Oh!» sorrise di nuovo «Mi aiuta a scaricare la
tensione.»
«Capisco.» inspirò
profondamente, e, da così vicino, avvertì il profumo dei capelli
di Ippolita. Un profumo particolare, che sembrava ricordargli qualcosa…
«Comunque mi fa piacere che tu non abbia fretta, e che anzi tu rifletta.
Mi piacciono le donne che riflettono. Significa che si interrogano, e questo
è indice di intelligenza e sensibilità. Non amo le persone
frettolose, che fanno le cose tanto per farle.» e sorrise, a sua volta,
molto caldamente, appoggiando una mano inanellata sulla spalla di Ippolita
«Sono sicuro che dalle tue manine uscirà qualcosa di veramente
originale. Non vedo l’ora di vedere la tua creazione. Ma non ti voglio
mettere fretta, ora me ne andrò. Buon lavoro.»
Quando il re se ne fu andato, Alessandro tirò un lungo sospiro di
sollievo e si massaggiò lo stomaco che durante tutta la conversazione
era stato torturato da acute fitte di tensione.
E, dopo che si fu permesso qualche minuto per riprendersi, finalmente si
decise a stendere l’intonaco.
Si abbandonò indolente nella vasca tra il profumo intenso del
gelsomino e le mani di Bagoas che gli lavavano via la polvere di henna dai
capelli.
«Che piacere rilassarsi di nuovo nelle stanze di questo palazzo.
Cominciavo a sentirne la nostalgia.»
Bagoas sorrise premuroso e continuò a passare le sue mani dolci e
delicate tra i capelli di Alessandro. «Dario ti ha detto qualcosa?»
«Mi ha detto che ama le donne che
riflettono.» ridacchiò «Comunque alla fine, esasperato, ho
cominciato a buttar giù qualcosa sulla parete.»
«Davvero? E cosa?» e
cominciò a scorrere le mani umide sul suo petto.
«Non lo so esattamente, per ora. Ho
gentilmente proibito a Dario di controllare i lavori finché non saranno
terminati. Forse, a lavoro compiuto, almeno lui riuscirà a trovare
qualche bellezza nel mio affresco.»
«Sai perfettamente cosa succederà
se non gli piace.»
«Certo, Bagoas, ma non posso lasciare in
bianco la parete, altrimenti…» e non terminò la frase.
«Tu e la tua mania di
quell’Efestione! Non potevamo condurre una vita normale lontano da
qui?»
Alessandro sorrise malizioso e afferrò Bagoas per la mano che lo
stava lavando, attirandolo avido nella vasca con sé. «Basta
parlare, stupido eunuco.» e prese ad accarezzare voluttuosamente il
piccolo corpo di Bagoas «E’ da un po’ di tempo che io e te
non ci facciamo un po’ di sana compagnia.» gli sussurrò
all’orecchio, leccandogli il lobo. «Avanti, vieni qui.»
Bagoas accondiscendente e desideroso si lasciò baciare ovunque
dalle labbra di fuoco del suo compagno, stringendosi a lui quasi
spasmodicamente, gettando la testa all’indietro e facendo ricadere i
lunghi capelli corvini nell’acqua, mordendosi il labbro inferiore.
Si stavano sciogliendo da ogni ragione e addentrando nei tortuosi
meandri del piacere quando all’improvviso la porta della stanza
sussultò sotto tre tocchi decisi e vagamente militareschi. I due, smarriti e tremanti, si guardarono per un
attimo negli occhi sgranati, indecisi sul da farsi. I tre tocchi risuonarono di
nuovo, come un segnale di guerra.
«Ippolita…?» fece una voce calda e per nulla
militaresca al di là della porta. «Dario mi ha indicato la tua
stanza. Ti avevo promesso che ti sarei venuto a trovare una volta che avessi
finito di lavorare. Disturbo?»
Alessandro e Bagoas balzarono subitamente fuori dalla vasca, urtandosi a
vicenda e scivolando malamente sul pavimento bagnato, sopprimendo a fatica un
gemito di dolore.
Efestione udì un tonfo sordo. «Ah! Ti ho sentita! Lo so che
ci sei. Vuoi aprirmi?» continuò con tono volutamente accattivante.
Da Ippolita non arrivava nessuna risposta, ma Efestione non voleva saperne di
darsi per vinto; restò in piedi fuori dalla porta ad ascoltare gli
strani rumori che provenivano dalla stanza della bella pittrice.
Alessandro e Bagoas nel frattempo continuavano a guardarsi terrorizzati
e a muoversi scattosamente qua e là nel tentativo di ricomporre i
pensieri che non c’erano e farsi venire in mente un’idea.
«Se non vuoi vedermi dimmelo, me ne andrò.»
Alessandro scosse nervosamente la testa, non voleva perdere Efestione
così, avrebbe voluto che entrasse e che rimanesse con lui per tutta la
notte; ma non poteva nemmeno fingere che Ippolita dormisse, oramai Efestione
aveva inevitabilmente sentito il loro chiasso e se non gli avesse aperto
avrebbe forse pensato di dare fastidio, avrebbe pensato che Ippolita non fosse
interessata a lui, avrebbe pensato… scosse di nuovo la testa e si
schiarì la voce più silenziosamente che poté. «Oh,
Efestione.»
cominciò in falsetto «Oh per gli dei, mi ero completamente
dimenticata, sai, noi artiste siamo sempre così distratte!» e si
fermò un istante per aspettare una risposta dal suo bello, ma quella non
arrivò. «Ehm. Mi… mi ero addormentata, e, per Zeus, la tua
voce così all’improvviso mi ha spaventata e sono caduta giù
dal letto! Perdonami.» e rise nervosamente, in ansiosa attesa di una
risposta.
«Oh» rispose Efestione con tono non molto convinto «Mi
dispiace molto. Ti sei fatta male? Aprimi, possiedo discrete nozioni di
medicina.»
Alessandro strinse spasmodicamente i denti. «Eh… no, non
preoccuparti, sto benissimo.»
Ci fu un attimo di silenzio dietro
la porta. «Ti disturbo? Non vuoi che entri?»
Alessandro si rivolse
freneticamente a Bagoas, sottovoce
«Qualcosa che copra i capelli, presto!» e Bagoas scattò come
frustato a cercare qualcosa che coprisse i capelli. «Eh, no, figurati, mi
fa molto piacere che ti sia ricordato di venirmi a trovare!»
Bagoas fu pronto poco dopo con un
velo persiano color porpora con cui coprì svelto i capelli biondi di
Alessandro. «Ma così si vede l’orecchino!» imprecò
sommessamente, e infilò anche il vistoso gioiello sotto il velo,
nascondendo poi le intere orecchie.
«Però continui a
lasciarmi fuori!» commentò Efestione in un lieve sorriso.
«Fammi le sopracciglia,
presto, le sopracciglia!» fece, rivolgendosi nuovamente a Bagoas «E
truccami un poco; solo un poco, però, gli ho detto che stavo
dormendo!». E Bagoas schizzò fulmineo a prendere bistro e
carminio. «Ehm… mi sto ricomponendo, non credo sia rispettoso
accogliere un ospite così affascinante nello stato in cui mi trovo
ora!» cercò di prendere tempo con Efestione.
«Ne sono lusingato, mia
carissima, ma a me le belle donne piacciono anche appena sveglie!»
Alessandro rise nervosamente
mentre le mani esperte e sollecite di Bagoas in tutta fretta gli scurivano le
sopracciglia col bistro e gli ravvivavano le guance col carminio.
«Presto, scomponi il letto e gettami una vestaglia molto larga!» e
in pochissimi attimi fu accontentato. «Ora nasconditi!»
«Se sei stanca e non ti va
di vedermi, dimmelo. Dopotutto sono io che ti sono venuto a cercare ad un
orario così scomodo. Ma tu sembri sempre così…
impegnata!» l’ultima frase gli uscì quasi come un lamento. E
lo credeva davvero. Quell’attesa lo stava facendo impazzire, ogni istante
che trascorreva davanti a quella porta serrata faceva accrescere in lui il
desiderio di scoprire chi era quella donna così misteriosa. Non
c’era forse aggettivo che avrebbe potuto descriverla meglio; era quel
mistero che lo titillava inesorabilmente, quel fascino che probabilmente mancava
a tutte le altre donne che aveva incontrato fino a quel momento, quelle altre
donne che gli sorridevano impudiche e che in una situazione come quella non
avrebbero perso tempo ad aprirgli e ad accoglierlo senza pudori. Sempre di
più, impalato davanti ad una porta chiusa, si rendeva conto di essere in
balia delle velleità di quella donna. Avrebbe potuto andarsene,
stizzito, tanto più che aveva mille altre bellissime donne – anche
più belle di Ippolita – pronte ad aspettarlo nelle loro
malinconiche stanze. E invece era lì, ad aspettarla. Lei, una sconosciuta appena arrivata a palazzo. Se lei avesse aperto la porta, lui sarebbe
entrato. Se lei avesse deciso di non
aprire la porta, lui sarebbe rimasto lì, dolorosamente, fuori. Tutto
dipendeva da lei, non più
dalla sua volontà, che in fatto di donne non era mai stata scontentata.
Ad interrompere i suoi pensieri fu
la porta che si aprì, ed Ippolita che uscì dal buio della sua
stanza col fiatone, sibilando con un filo di voce: «Ciao.»
Efestione sollevò il sopracciglio
destro, osservandola perplesso. Portava i suoi bellissimi capelli raccolti in
un velo purpureo decorato con qualche ghirigoro dorato.
«E’ per non lasciar
scompigliare i capelli durante il sonno.» ridacchiò incerto
Alessandro, accortosi dello sguardo di Efestione.
«Capisco. Allora, posso
entrare?» sorrise caldamente e con un’acuta vena di impazienza che
non si curò di camuffare.
Non riusciva davvero a capire il
perché. Perché Ippolita si ostinava a nascondere le forme del suo
corpo sotto quelle vesti così larghe e sformate? La stava osservando
incessantemente mentre lo accoglieva nella sua stanza sobria e poco illuminata;
l’unica lampada che bruciava sul tavolino accanto al letto scolpiva i
suoi lineamenti e risaltava la linea delle sue labbra stuzzicanti.
La stava osservando e con gli
occhi cercava di spingersi sotto quella vestaglia blu che copriva interamente
il suo corpo, mentre si coricava sul letto facendo attenzione a far suonare
ogni suo movimento come una provocazione: sedendosi prima piano, sorridendole,
sollevando poi le gambe e allungandole lentamente sul letto, e infine, senza
staccare gli occhi da lei, passandosi quasi spontaneamente una mano tra i
capelli mentre stendeva la testa sull’alto cuscino. Osservò le sue
reazioni.
Alessandro sorrise nervosamente,
torcendosi le mani dietro la schiena, cercando di non lasciarsi andare alle
irresistibili sensazioni che lo stavano travolgendo, cercando di non fare caso
alla sensualità così prorompente che trasudava la sola pelle di
quel soldato, e si ritrovò a benedire Bagoas per avergli lanciato una
veste così larga.
«Oh, che sfacciato.»
cominciò Efestione, sollevandosi un poco, volgendosi verso di lei,
appoggiando la testa sulla mano destra. «Mi sono steso senza che tu nemmeno
mi avessi dato il permesso! Sono proprio un rozzo soldato.»
Alessandro non riusciva a smettere
di ridacchiare. «Ma figurati, sarai stanco, immagino.»
«Perché
non ti stendi qui vicino a me? Così parliamo meglio.» sorrise, e
osservò con occhi rapaci Ippolita che si sedeva rigida accanto a lui.
«Rilassati, mi sembri pensierosa.»
«No, è che… in
confidenza, non mi aspettavo di essere accolta subito così caldamente a
palazzo.» si sforzò di controllare le sue emozioni e di assumere
un tono il più pacato possibile.
Efestione sorrise e cercò,
appoggiandole una mano sul fianco, di farla coricare accanto a sé, ma
invano, Ippolita era irremovibile sulla sua inspiegabile posizione. Allora non
si sentì di andare oltre e prese a parlare. «Pensavo, oggi, che
strano avere una pittrice donna a palazzo. Io sono macedone, e so che in Grecia
non esistono molte donne in grado di intraprendere mestieri così
importanti. Voglio dire…» ebbe paura di averla offesa.
«Sì, lo so, noi donne
non abbiamo molta libertà. Ma è tutta opera di mio padre.
E’ lui che, innamoratissimo di mia madre, non ha mai creduto
nell’inferiorità della donna.» e mentre raccontava
ciò che si inventava sul momento gli sembrò di poter riuscire a
non pensare ad Efestione accanto a lui steso sul suo letto, così
disponibile ed invitante. «Da piccola mi indirizzò all’amore
per la pittura, e mi disse che non gli interessava se mai mi fossi sposata con
un buon marito che mi avesse tenuta segregata nel gineceo ad allattar bambini,
lui voleva che io diventassi qualcuno in grado di competere nella
società con la sovrabbondanza di maschi.» e nascose il suo sorriso
con la mano nella maniera più femminea che gli riuscì.
«Ricordo che mi portava nelle case dei nobili suoi amici ad ammirare i
quadri dei più grandi pittori dell’epoca.»
«Lo
sai come vengono considerate le donne come te da alcuni greci…»
rilevò assorto Efestione.
Alessandro sorrise, e questa volta
con atteggiamento rilassato. «Sì, certo. Le cosiddette puttane di
lusso. Gli uomini che pensano così non hanno considerazione presso di
me, sono ottusi e ignoranti, e innegabilmente invidiosi. Pensano che noi donne
non siamo in grado di imporci nella società.»
Efestione ascoltava assorto,
fissando i suoi occhi brillanti.
«In
realtà io non sono mai nemmeno entrata in un bordello, e chi mi conosce
lo sa, sono una donna per bene. Mi sono sempre comportata onestamente e mi sono
guadagnata la fama grazie al mio lavoro.» e si interruppe per qualche
istante, mordendosi il labbro inferiore. Cosa sarebbe successo se non fosse
stato in grado di dipingere qualcosa di accettabile sulle pareti del palazzo?
Ippolita sarebbe stata marchiata come una boriosa cialtrona e sarebbe stata
allontanata dal palazzo, nonché irrisa dallo stesso Efestione. Cambiò
discorso. «Dicevo, io sono una donna per bene. Non sono di certo come una
di quelle che usano il proprio corpo per raggiungere i loro scopi. E non sono
nemmeno una di quelle facili a concedersi. Saffo diceva che la fanciulla
vergine è come una mela posta sul ramo più alto
dell’albero, e tutti si accaniscono per coglierla, ma lei continua a
splendere rigogliosa e pura lassù. E, aggiungo io, una volta colta, non
fa più gola come quando sembrava così irraggiungibile.»
Efestione sorrise, ammaliato
dall’innocente e sicuramente inconsapevole sensualità di quella
donna davanti a lui. Ippolita era dunque vergine? Questo era il motivo della
sua ritrosia che pareva quasi timore? Che meraviglia essere steso sul letto di
una vergine, pensava, che meraviglia aver varcato la soglia della porta di
quella stanza incontaminata, mai visitata da nessun altro uomo, che meraviglia
sapere che se fosse riuscito ad averla sarebbe stato per lei il primo.
Bagoas, avvolto nelle tenebre del
suo nascondiglio, rideva sommessamente. Non avrebbe mai immaginato che Iskander potesse immedesimarsi
così bene nei panni di una donna. Vergine, per giunta.
«Sei la prima donna che
sento parlare così, in questo palazzo.» intervenne Efestione.
«Ti confesso una cosa, sono un po’ stanco delle conquiste facili.
Sono un guerriero, amo combattere, amo sudare e farmi male. Guarda.» e le
mostrò una profonda cicatrice sul petto. «Vedi? A me queste cose
non spaventano. Mi ammaccano il corpo, ma non l’animo. Sono orgoglioso
delle mie ferite: raccontano di me, di quello che ho vissuto. Sin da piccolo
sono stato educato alle armi come tutti i nobili macedoni, quando regnava
ancora re Filippo. E sono cresciuto così, come un rozzo guerriero
macedone. Non amo le città che si arrendono al mio passaggio senza
opporre resistenza, non amo le città che aprono le loro porte e si fanno
espugnare con poca fatica, anzi, addirittura con mal celata connivenza. Mi
piacciono gli assedi. Mi piace combattere e non sapere se vincerò o
perderò.
E amo soprattutto non fermarmi
mai. E’ un senso di insoddisfazione che non riesco a saziare. Non amo
stabilirmi in una città. Io devo andare avanti, conquistare insieme con
i miei commilitoni. E purtroppo in questo periodo non c’è nulla da
fare, mi annoio. Il nostro re non ha altre ambizioni, non ha interesse a
guidarci a conquistare terre nuove. Probabilmente pensa che già occupi
tutte le terre emerse. Ma l’India, per esempio, chi mai potrà
conquistare l’India?
Se Dario non ha ambizioni
particolari che tengano allenato lo spirito di noi guerrieri, e se nemmeno le
donne qui si fanno più lo scrupolo di lasciarsi desiderare,
inevitabilmente cadiamo nell’ozio e nella noia.»
Alessandro si accorse che qualcosa
era cambiato. Ora le mani di Efestione non cercavano più di sfiorarlo,
ma gesticolavano accanitamente; e i suoi occhi non lo guardavano più
libidinosi, ma fissavano intensamente un punto indefinito nella stanza, assorti
nel discorso che si stava districando. Si sentì libero di osservare il
suo viso e di restare incantato da quel piglio guerriero che aveva visto
rammollito tra gli ozi del palazzo di Dario quando quel pomeriggio si erano
visti davanti alla parete bianca, dalla voce aspra e schietta che aveva sentito
incrinarsi nell’ipocrisia quando poco fa stava tentando di sedurlo. Si
accorse che probabilmente il tempo stava volando senza che loro due se ne
accorgessero.
Efestione si sollevò un
poco e accostò la bocca all’orecchio di Ippolita, sorridendo
complice. «Ti confesso una cosa: al maschio piace far la guerra. Vedi,
è un istinto di natura. Non si può negare al maschio la
possibilità di conquistare. E magari di trovare quella città
così speciale e in qualche modo attraente in grado di cancellare ogni
senso di insoddisfazione, ogni desiderio di spingersi oltre.»
Alessandro non poteva fare a meno
di concordare. Sin da quando l’aveva rifiutato quella sera al laghetto si
era incaponito di volerlo conquistare;
si era risvegliato qualcosa di guerriero anche in lui. Ed ora aveva capito che,
se voleva che Efestione provasse lo stesso intenso desiderio nei suoi
confronti, avrebbe dovuto lasciar emergere il suo spirito guerriero.
Dal canto suo Efestione riprese a
guardare Ippolita e a sentirsi, lì, sul letto, accanto a lei, senza
averla neppure baciata, per un momento quasi innamorato. E dichiarò
guerra aperta a quella donna così intrigante e involontariamente
seducente.
L’avrebbe avuta, a tutti i
costi. Avrebbe avuto la mela più alta dell’albero.