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Autore: miseichan    12/09/2011    13 recensioni
“E’ un pervertito, agente. Lo sbatta in galera, mi faccia questa cortesia.”
“Giovane, come ti chiami?”
“Matteo Fiori.”
“E lei signorina?”
“Veronica Cristina Sandra Merogliesi.”
“Sei un pervertito, giovane?”
“No, agente.”
“Tu sei un pervertito e lo sai benissimo.”
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutto fuorché uno sbaglio'
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Bugie bianche

                                                                                                

            ≈ Parlami di lei ≈

 

 

 

“Immagino che chiedere ancora sarebbe inutile.”
“Immagini bene.”
Veronica sospirò, arrendendosi al silenzio.
“Profumi di cloro.” sussurrò, stringendo di più la mano di Matteo. Il pollice di lui la carezzò lieve, lasciandole intuire un sorriso che non poteva vedere. Già, non si vedeva niente. 
“Anche tu.” rispose Matteo “Piccola ranocchia.” aggiunse poi, avvicinandola a sé con uno strattone.
“Smettila.” lo rimbrottò lei, finendogli contro: non vedeva niente, lo aveva già detto?
“Perché?” fece Matteo “Mi piace tanto.”
“Cosa?”
Lui sembrò pensarci su un attimo, svagato: “Ranocchietta.” decise alla fine, fermandosi.
Veronica smise di sgridarlo: era un uomo, in fondo, ed è risaputo che non bisogna indossare ciambelle verdi a forma di rana davanti a un uomo. Ne va della dignità della donna in questione.
Perché, si chiese poi, lei una dignità l’aveva ancora?
“Ora c’è una discesa.” la informò Matteo.
Veronica inarcò un sopracciglio: ricordandosi in ritardo che lui non poteva vederlo.
“Mi dici dove diavolo…”
“No.” la interruppe subito lui, intraprendendo la discesa “Stai attenta e segui i miei passi.”
“Te lo ha mai detto nessuno,” cominciò Veronica, sarcastica “che scendere scarpate in piena notte non è un’attività ricreativa esattamente sicura?”
Matteo ridacchiò, scorgendo una mano alzata in lontananza: “Ci siamo quasi.” sussurrò.
“E’ una mia impressione, o si fa sempre più buio?” bisbigliò Veronica.
“Stiamo entrando in una grotta.” spiegò lui “Fra un po’ tornerà la luce.” le assicurò.
Veronica non seppe cosa ribattere: tutto si aspettava fuorché la grotta. Dove diamine erano andati a cacciarsi? 
“Ah.” bisbigliò a un tratto lei “Mi ero quasi dimenticata di commentare il…”
Matteo sorrise, divertito dallo stupore che si era dipinto sul viso della ragazza. Veronica si fermò, lo sguardo fisso davanti a sé, incapace di muovere un altro passo.
“Ti piace?” chiese Matteo.
Veronica si limitò ad annuire.
Erano in una grotta enorme, fiocamente illuminata. Osservò i giochi di luci ed ombre e si lasciò trascinare da Matteo, incantata. Più si addentravano e più persona spuntavano: una ventina, forse raggiungevano anche i trenta; appartati un po’ ovunque, intenti nelle più disparate attività. Qualche altro passo e un nuovo, inaspettato, rumore attirò l’attenzione di Veronica: “E’ acqua?” chiese, alludendo allo sciabordio sospetto.
Matteo girò l’angolo e indicò un’appartata conca d’acqua: sotto il livello della terra, grande, ben nascosto, semplicemente incantevole. Veronica si girò, allarmata, accorgendosi per puro caso dell’assenza della mano di Matteo nella propria: lo trovò a pochi passi, a torso nudo, intento ad abbassarsi i jeans. 
Sgranò gli occhi, sconcertata: “Che ti prende, ora?” saltò su, mentre lui poggiava gli abiti su uno spuntone roccioso.
“Ho voglia di farmi un bagno.” rispose Matteo, candidamente.
“Hai passato il pomeriggio in piscina.” soffiò Veronica, mentre uno spiffero gelido la raggiungeva maligno.
“Non è la stessa cosa.” ridacchiò il ragazzo, avvicinandosi cauto, un ghigno affatto rassicurante in volto. Le poggiò le mani sulle spalle e cominciò a toglierle il cappotto: “Vieni con me.” sussurrò, carezzevole.
Veronica restò un attimo interdetta, tentata di spegnere il cervello e tuffarsi così, sul momento. Poi il freddo ebbe la meglio sull’impeto del cuore: “Si gela.” sussurrò, sorridendo con le labbra livide “E non sono ancora pronta a morire di ipotermia, ma grazie lo stesso per l’offerta. A luglio potrei anche accettarla, non si sa mai.”
“E’ calda, ranocchietta.” sorrise Matteo, strusciandole il naso sulla spalla “Fammi compagnia.”
“Calda?” balbettò Veronica, poggiandosi al suo braccio per mantenere un qualche equilibrio “Come… non può essere calda, Teo.”
Mentre lo diceva, si accorse del vapore. Aveva notato che l’aria era strana, quasi rarefatta, ma non era riuscita a capirne il motivo fino ad allora: vide il vapore che, impalpabile, si alzava dallo specchio d’acqua.
Veronica ignorò i tentativi del ragazzo di spogliarla e, incerta, si sfilò una scarpa: avvicinò l’alluce al bordo della vasca e ve lo immerse, curiosa. Si ritrasse, stupita, scontrandosi con il petto di Matteo: “E’ calda.” esclamò.
“Non mi dire.” sospirò lui, alzando gli occhi al cielo “Ora mi lasci finire il lavoro?” chiese, afferrando i bordi del maglione. Una questione di attimi, poi, ed erano immersi fino al collo.
“Si tocca.” sussurrò Veronica, confortata. 
“Peccato.” s’imbronciò Matteo, attirandola a sé “Mi piacevi molto in versione koala.”
“Non stringevo troppo?” sorrise lei, allacciandogli le gambe attorno alla vita.
Matteo le poggiò una mano sul fianco, carezzandola piano. “Assolutamente no.”
Quando sollevò lo sguardo, però, incontrò due occhi azzurri spauriti e confusi. Schiuse le labbra, l’impressione di essersi perso qualcosa: “Tutto bene?” chiese, la voce stranamente incerta.
Veronica distolse lo sguardo.
“Ronnie?”
Era stato poco più di un sussurro.
Matteo la fissava senza capire: cosa diavolo era successo?
“Parlami di Sofia.” disse Veronica.
Matteo sentì le parole, ma la sua attenzione era tutta per il tono di lei: lontano, estraneo, non suo.
“Come?” 
“Il costume.” sbottò Veronica, lo sguardo fisso sul petto di Matteo.
Lui prese un bel respiro. Non sarebbe stato semplice.
“Che costume, ragazzina?” soffiò, alzandole fermamente il mento per guardare quegli occhi inaspettatamente timidi e allarmati.
“Il tuo, stupido idiota.” mugugnò Veronica, premendo improvvisamente entrambe le mani contro il suo petto “Il tuo dannatissimo costume di Batman!”
Tirò su con il naso, scuotendo il capo, l’espressione frustrata: “Non doveva essere nero, fra l’altro: io me lo aspettavo blu. E lo cercavo blu. Sì, perché tu avevi detto che lo avevi di Superman. E quindi io cercavo e mi aspettavo un costume blu e rosso di Superman. E invece non lo trovavo. Poi incontro il bambolotto. Mi dice che ne devo cercare uno nero. Per colpa del caffè, del succo o di non so che cosa. Nero di Batman. E io lo cerco nero. Ma incappo in qualcosa di bianco, di dannatamente bianco. In quella sgualdrina francesina che non sa neanche pronunciare il tuo diavolo di nome e che…”
Veronica si bloccò, il respiro accelerato. Prese diversi profondi respiri.
Ignorò l’espressione di Matteo, non la calcolò nemmeno. E riprese:
“… Perché poi i supereroi? Me lo devi spiegare, sai? Sempre qualcosa che finisce in man. Cos’è, il complesso del Dio? O hai avuto qualche problema da bambino? Troppi cartoni? Forse troppi fumetti. O sei caduto dal seggiolone? Probabilmente anche lei è caduta. Ripetutamente. Lei tutta bianca, tutta bella, tutta perfetta. Lei che fa i carpiati. Lei che dice Mattèo. Ti spiace se dico anche io Mattèo? O ti piace? Se vuoi dico a tutti di chiamarti così: sono brava nel passaparola. Certo, Mickey nel campo è imbattibile, ma se lo coinvolgo in meno di due giorni lo sa l’intera città…”
Matteo sentì le gambe di Veronica aprirsi nel tentativo di allontanarsi. 
Strinse le mani attorno alle caviglie di lei, bloccandola. La fissava, ascoltando quell’incomprensibile fiumana di parole. Percepiva la confusione e la paura nello sguardo di lei, e non aveva la più pallida idea di cosa fare.
“… E posso far sapere a tutti anche cos’ho appena scoperto. Ho scoperto di avere degli ormoni: tanti, troppi. E vogliono sempre averla vinta loro, sai? Daniele, del resto, aveva ragione. Non che abbia la minima intenzione di farglielo sapere. Specialmente adesso che si è rimesso con la pestifera fatina. Chissà che non sia una qualche parente del candido cigno che ti accompagna. E ti abbraccia. E ti bacia. E torniamo a lei. Alla stronza che…”
“Placati.”
Veronica si zittì, sussultando a quella semplice parola. S’inumidì distrattamente le labbra, la bocca secca. Si accorse solo in quel momento della stretta ferrea attorno alle proprie caviglie. Fissò Matteo, la sua espressione seria e controllata.
Veronica lesse la muta domanda sulle labbra di lui. Cosa?
Le sembrò di sentire il battito del suo cuore sotto le dita: sorrise, pensando al luogo in cui erano, alla posizione in cui si trovavano. Era un momento perfetto. Unico. E lei? Lei era letteralmente uscita fuori di testa. Il ricovero ormai non si poteva più rimandare. 
Perché?
E la risposta le venne spontanea, lampante. Era lapalissiano, in fondo, no? Perché lei era Veronica Cristina Sandra Merogliesi. Perché sì, si trovava in un certo posto e a un certo contatto ravvicinato con un ragazzo, ma quel tale ragazzo era fidanzato e lei non una troia.
Sorrise appena, stupendosi della propria eleganza. Sovrappensiero si corresse: troia era troppo volgare; non era una meretrice.
Guardò Matteo, giudicando sommariamente ciò che si perdeva: tanto. Sospirò. 
In alcuni casi, soppesò, era meglio comportarsi da cattiva ragazza. Avrebbe potuto ignorare ogni cosa: ciò che sapeva di lui, la presenza di quel dannato fantasma bianco fra di loro, tutto. E farlo suo. Morderlo, anche.
“Parlami di Sofia.” mormorò invece, la voce tremante e lo sguardo fermo.
Matteo la squadrò incredulo, convinto di star sentendo l’eco di quello che era stato l’inizio del delirio. Le poggiò delicatamente la mano sulle labbra, timoroso di essere investito da una nuova valanga di parole che non avrebbe saputo in alcun modo gestire. Socchiuse gli occhi, una mano ancora serrata attorno alla caviglia di lei. Non doveva allontanarsi.
“Sofia?” bisbigliò, il volto leggermente pallido, la voce stranita.
Veronica annuì, mordicchiando le dita di lui. Matteo liberò quelle labbra soffici, scosso.
“Non voglio parlare di Sofia.”
“Perché?”
“Perché non voglio.”
“Guarda,” ghignò Veronica “sarebbe bastata una parola di meno.”
Lui s’imbronciò, perdendo di nuovo il filo del discorso. Perché con lei era sempre così?
“Potevi limitarti ad un perché no, Matteo. Sarebbe stato molto più infantile, molto più da te.” 
“Che ti prende, Ronnie?” sussurrò, aumentando la stretta attorno alla caviglia.
“Che mi prende?” ripeté Veronica “Mi prende che sei stronzo!”
L’affermazione terminò con un grido. Breve, acuto: semplicemente terribile.
“Parlami di lei, ti ho detto.”
“No.”
“Raccontami come vi siete conosciuti, spiegami cosa ti piace di lei, perché la ami…”
“Ronnie.” mormorò Matteo, cercando di arginare la catastrofe imminente, attirandola a sé come se le probabilità di salvezza aumentassero con la vicinanza.
“… perché la ami, non è così?” lo aggredì lei “E’ la tua ragazza, certo che la ami. Raccontami, ti prego, cosa le piace, di cosa ha paura. Le sai queste cose di lei, non è vero?”
“Veronica.” provò ancora Matteo “Veronica, smettila.”
E quel breve ammonimento ebbe decisamente l’effetto contrario: quel tono inesorabile e duro diventò improvvisamente spietato, la voce che smetteva di essere contenuta per raggiungere i livelli più alti.
“E’ la tua ragazza!” gridò Veronica, livida “Tu stai con lei, con lei, con lei! Con Sofia, la biondissima avvocatessa francese. Sofia. Non con me, te ne rendi conto?”
“Ragazzina.” ringhiò Matteo, lasciandola andare di colpo.
“Hai qualche problema, Teo? Confidati con me, forza.” sibilò lei, caustica, guardandolo irriverente dal basso in alto. 
“Stai esagerando, ragazzina.”
“Io?” rise, Veronica, senza alcuna allegria “Io sto esagerando, sì, forse hai ragione.” borbottò, un’espressione seria e contrita. “Voglio rammentarti una cosa, Teo.” mormorò poi “E’ successa più di quattro giorni fa, però, non vorrei ti fosse già passata di mente. Eravamo ad una festa assieme, sai? A casa mia. Ti dice qualcosa tutto ciò, o ti sto raccontando una storia nuova?”
Il volto di Matteo non mostrava alcuna espressione. 
“Siamo finiti a letto insieme, sai Teo?” continuò lei, implacabile, avvicinandosi di un passo “Tu ed io. A rotolarci fra le lenzuola, se preferisci. O ancora… abbiamo giocato al dottore, abbiamo ripassato la parte pratica dell’anatomia, abbiamo… no, mi fermo qui, altrimenti rischio di cadere nel volgare. Se vuoi, però, uso le parole tecniche: abbiamo fatto sesso. Sesso.”
Veronica sospirò, abbassando lo sguardo e la voce: “Mi piacerebbe dire che abbiamo fatto l’amore. Mi piacerebbe un sacco, sai? Ma non lo farò. Non lo farò perché non posso e sarebbe un’immane bugia. Perché non si può fare l’amore con qualcuno se questo qualcuno è fidanzato, Teo. Te lo ha mai insegnato nessuno?”
Matteo non rispose, non la guardò. Sembrava non respirasse neanche.
“E quindi,” riprese Veronica “abbiamo fatto solo del banalissimo e dannatissimo sesso. C’è una cosa, tuttavia, che mi tormenta, Teo. Cinque paroline che proprio tu ti sei fatto scappare. Le ricordi, almeno quelle?”
Matteo fece per voltarle le spalle e Veronica sembrò non vederci più, accecata dalla rabbia. Lo afferrò per un braccio, rifilandogli un calcio sullo stinco.
“Sei completamente impazzita?” sbottò lui.
“Le ricordi sì o no, Teo?” sbraitò Veronica, spintonandolo “Ricordi di aver detto: è tutto, fuorché uno sbaglio? Lo ricordi?!”
“Sì, dannazione! Lo ricordo!” urlò a sua volta Matteo, agguantandole un braccio per fermarla “E sai una cosa, ragazzina?” sibilò poi, squadrandola furioso “Lo penso tuttora.” 
Veronica sbiancò, il fiato e le parole che venivano a mancarle. 
Lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
“Tu…” sussurrò, bloccandosi subito dopo con uno strano groppo in gola. Paura? Pazzia in eccesso, più probabilmente. Cercò di liberare il braccio dalla presa di Matteo.
“Tu sei del tutto fuori!” strillò incredula “Fuori come un balcone, Teo! Un passo ancora e arrivi sulla luna! Tu lo pensi tuttora? Tu credi che non sia stato uno sbaglio?”
Veronica si passò la mano libera fra i capelli, spossata, imprecando sottovoce. Con uno scatto nervoso e repentino si allontanò da lui: l’espressione biasimevole che si assume con un cucciolo quando fa un dispetto. La sensazione di star rimproverando un cane aumentò non appena incontrò gli occhi feriti del ragazzo. Una fitta le trapassò il petto ma continuò, imperterrita:
“Uno sbaglio, Matteo, è qualcosa che non si deve fare. Uno sbaglio è tradire qualcuno. Uno sbaglio è andare a letto con una ragazza quando invece si sta assieme ad un’altra.” elencò, il tono avvilito e stremato “L’essere venuto a letto con me mentre eri già impegnato è stato uno sbaglio a priori.”
Il ragazzo scosse impercettibilmente il capo.
“Uno sbaglio” mormorò “è qualcosa che non si vorrebbe fare. E’ qualcosa che non si rifarebbe. E’ qualcosa di cui subito dopo, in seguito e per sempre ci si pente.”
Lentamente rialzò il mento, cercando lo sguardo di lei e incatenandolo prima di concludere: “Per me non è stata nessuna di queste cose.” disse “Per me, quindi, non è stato uno sbaglio.”
Veronica sussultò: “Sul serio?” bisbigliò, le braccia abbandonate lungo i fianchi, immobili.
“Sì.”
Lei sorrise per un solo istante. Un sorriso fatuo, quasi etereo.
“Allora sei completamente pazzo!” strillò indemoniata “Ti manca qualche rotella, te ne rendi conto?”
“A me?!” gridò lui in risposta “Sei tu la lunatica, ragazzina!”
“Lo rifaresti? La tradiresti di nuovo?!”
“Possibile che senti solo quello che vuoi sentire?”
“E’ quello che hai detto!”
“Ho detto anche altre cose!”
“Tutte totalmente folli, porco cane!”
“Sei tu che travisi ogni singola parola!”
Un fischio acuto e prolungato li interruppe, troncando le frasi di entrambi. Si fece spazio fra di loro, riportandoli brutalmente alla realtà: in quella grotta, nella conca d’acqua calda.
Si guardarono attorno, il respiro affannato, accorgendosi quasi per caso del capannello di persone che si era formato attorno a loro. 
Il fischio divenne irregolare, intramezzato da una risatina convulsa e apparentemente irrefrenabile. Un ragazzo si stava facendo largo verso di loro: lentamente si tolse le dita di bocca e sorrise, senza perderli di vista nemmeno per un attimo. 
Si fermò a pochi passi, sogghignando:
“Break.” decretò “Fine primo inning, ragazzi.”
Il silenzio già pesante sembrò diventare insopportabile. La tensione era palpabile, in modo quasi doloroso. Matteo sospirò, passandosi entrambe le mani sul volto. Stirò le labbra in quello che doveva essere un sorriso e che apparve invece come una smorfia.
“Ciao Don.” mormorò lugubre.
Veronica, il respiro accelerato, bramava una rapida via di fuga: qualsiasi cosa pur di allontanarsi da lui il più possibile. 
Quando il saluto di Matteo le giunse alle orecchie si voltò verso l’ultimo arrivato: indossava solo un paio di jeans ormai del tutto fradici. Una bottiglia di champagne in mano, un sorriso luminoso stampato in faccia. I capelli e gli occhi erano chiarissimi, anomalamente chiari: doveva essere del nord, pensò Veronica. Norvegia, Svezia, Scandinavia... qualcosa del genere.
“In mancanza di un’adeguata presentazione da parte del mio disattento amico permetti che ci pensi da solo: io sono Donatello, per gli amici Don. Con chi ho l’onore di...”
“Vedi di non rompere stasera, Don.” s’intromise la voce sorda di Matteo, interrompendolo “Perché non ci lasci soli, così possiamo riprendere da dove eravamo rimasti?”
Il sopracciglio biondo di Donatello s’inarco mentre il suo sorriso diventava ironico.
“Dici?” chiese, passandosi lentamente la punta della lingua sulle labbra “Così da finire di scannarvi in santa pace?”
“Esattamente.”
“Non sparare stronzate, cortesemente, Matt.” sorrise serafico Donatello, per niente scalfito “Perché invece non mi presenti la tua amica?”
Matteo scosse la testa.
“No. Non tutto ti riguarda, sai?”
“Certo.” acconsentì il ragazzo, placido “Probabilmente non mi riguardavano neanche tutte le belle informazione che prima avete tanto gentilmente quanto incautamente sbandierato ai quattro venti. Eppure non credo sia il caso di farmi crescere un’aureola e fingere di non aver sentito alcunché.”
Veronica osservò entrambi: la posizione tesa di uno e quella apparentemente calmissima dell’altro e decise che la situazione non le piaceva per niente. Non gradiva il senso di controllo che Donatello sembrava emanare né il modo forbito e provocatorio con cui si esprimeva. 
“Sono Veronica.” disse, ponendosi fra i due e tendendogli una mano. Le dita tremavano appena, a riprova del nervosismo che da troppo tentava di tenere a bada.
La stretta di Donatello fu salda, avvolgente. Voleva essere rassicurante, sicuramente.
“Donatello, Veronica.” sussurrò Matteo “Veronica, Donatello.”
“In ritardo come sempre, Matt.” sorrise il biondo senza distogliere lo sguardo da quello di Veronica.
“Donatello Tartigro.” specificò Matteo, sfiorando il braccio di Veronica, avvicinandosi appena “Il ragazzo con il maggiore numero di agganci che io conosca. Se mai avessi  bisogno di un favore, di qualsiasi genere, non esitare a contattare Don. Conosce tutti e quasi nessuno lo conosce.”
L’ultima frase suonò come una nota dolente, riecheggiando ambiguamente nell’aria.
Donatello sembrò non notarla: sfoggiando un sorriso smagliante mimò il gesto di togliersi un cappello e porse un biglietto umido a Veronica.
“Umilmente al vostro servizio, madame.” sussurrò, stringendo subito dopo le dita di lei.
Fece per attirarla a sé quando Matteo mosse minaccioso un passo in avanti, poggiando entrambe le mani sulle spalle di Veronica. 
“Resta al tuo posto, Don.”
“Te la rubo solo per qualche minuto, promesso.” sorrise quello senza lasciare la mano di Veronica.
“Non è il caso.”
Donatello rise, guardando Matteo come si fa con un bambino che è in errore ma ancora non lo sa: “Non sei nella posizione di giocare a fare il geloso, giovane Fiori.”
Quando le mani di Matteo la lasciarono andare, lei provò lo strano e inopportuno desiderio di schiaffeggiarlo brutalmente.
“Ti va una fetta di torta, Veronica?”
Seguì il ragazzo fino a un divanetto poco distante e con la coda dell’occhio notò Matteo posizionarsi in un angolo della conca da cui non li avrebbe persi di vista un solo istante.
Non fece in tempo a sedersi che Donatello le avvolse le spalle in una coperta colorata.
“Non vorrei prendessi freddo.” le sorrise, porgendole un piattino pieno di torta al cioccolato “Ho avuto l’impressione che fra Matteo e te non scorresse buon sangue.”
Veronica accettò il dolce e non aprì bocca, stranita dal fulmineo cambio di discorso.
“Sbaglio, forse?” mormorò Donatello.
“Voi e questi sbagli!” sibilò nervosa “Siete sempre in errore e sai qual è il peggio? Che non lo capite neanche. Bisogna spiegarvelo, passo dopo passo.”
“Noi?” domandò Donatello, inarcando cauto un sopracciglio.
“Voi.” ripeté Veronica, annuendo decisa “Voi uomini. Voi trogloditi. Voi… animali.”
“Permettimi di dissentire.” provò il ragazzo, subito interrotto dall’espressione furibonda di lei. Veronica lo trapassò da parte a parte, gli occhi che lanciavano scintille.
“Dissentire? Proprio tu?!”
Donatello non provò nemmeno a controbattere, lasciandola fare.
“Tu che origli le conversazioni private.” sputò Veronica “Tu che minacci velatamente, elargisci biglietti da visita fradici, ti fingi innocuo quando chiaramente non lo sei e conosci tutti anche se nessuno ti conosce.” concluse, citando le parole di Matteo.
“Sarei di un diverso avviso, madame.” sorrise tranquillo Donatello “Tanto per cominciare non mi permetto di origliare alcunché. E non ho origliato, a meno che non lo abbiano fatto anche tutti gli altri occupanti della grotta.”
Veronica arrossì appena, ricordando quanto avesse trovato liberatorio e gratificante il gridare a pieni polmoni, del tutto incurante di dove e con chi si trovassero.
“Non minaccio.” continuò Donatello “O almeno, e questo ti deve bastare, non ho minacciato te. Per i biglietti da visita: sono mortificato se l’effetto bagnato non ti soddisfa, ma devi capire che non avevo preso in considerazione l’idea di fare un bagno.”
“Perché lo hai fatto, allora?” chiese Veronica, incapace di restare in silenzio.
“Per evitare, come ho già sottolineato, che vi scannaste a vicenda.”
Veronica non commentò, limitandosi a mangiare un pezzetto di torta.
“Per l’essere innocuo, poi.” meditò il biondo “Sono sufficientemente convinto che nessuno in realtà lo sia.”
Donatello fece dondolare la forchetta, inclinando leggermente il capo.
“Concludendo, l’ultima frase non ti appartiene, permettimi quindi di non commentare qualcosa su cui non sei informata a sufficienza.”
Veronica si strinse nelle spalle e gli indicò il dolce che lui ancora non aveva toccato.
“E’ una torta eccezionale.”
A quelle parole il ragazzo non riuscì a nascondere un moto di sorpresa; guardò lei, quindi la torta e infine scoppiò a ridere.
Veronica si morse il labbro, cercando qualcos’altro da dire: “Donatello.” mormorò infine “Un nome altisonante.”
“Altisonante?” sorrise lui, più rilassato “Sì, mia madre apprezzava infinitamente l’arte. Ha chiamato me Donatello, mio fratello Michelangelo e il cane Raffaello.”
“E’ un bel nome.” 
Lui restò in silenzio per un po’, lasciandola mangiare in pace. 
Quando Veronica, alla fine, poggiò la forchetta nel piatto ormai vuoto, mormorò:
“Mi piaci.”
Lei sussultò, assottigliando lo sguardo: “Prego?”
“Mi piaci.” ripeté Donatello “Chiunque tenga testa al giovane Fiori a quel modo merita tutto il mio rispetto. E tu gliele hai date di santa ragione, gioia.”
“Non ho fatto niente del genere.”
“Non mi riferivo a ferite visibili ad occhio nudo.”
“Non capisco.”
“Tu non lo hai picchiato, tesoro. Non tanto, almeno.” aggiunse con un ghigno “Tu gli hai lanciato delle frecciatine, probabilmente più dolorose dei pugni. E frecciatine di quel genere possono andare a segno solo se le persone in questione si conoscono a sufficienza, non so se mi spiego.”
Veronica non aprì bocca e Donatello continuò:
“E’ tanto, troppo probabilmente, che Matteo non conosce a sufficienza qualcuno.”
“Sofia…” tentò Veronica.
“Io non conosco nessuna Sofia.”
E Veronica non seppe più che dire. 
“Sai, credo possa fargli solo bene qualcuno che gli urla contro di tanto in tanto.” le sorrise Donatello “Se quel qualcuno sei tu, poi, meglio ancora. Ci sai fare, devo ammetterlo.”
Veronica guardò con la coda dell’occhio la conca alle sue spalle e la prima cosa che individuò fu una nuvoletta di fumo. Sospirò, chiedendosi da dove diavolo avesse cacciato la sigaretta.
“Anche a lui fa bene urlare, del resto.” meditò Donatello, sovrappensiero “E’ un modo di sfogarsi, no? E il giovane Fiori non gridava da un bel po’.”
“E’ un’allusione a qualcos’altro?” chiese Veronica, stanca, non riuscendo più a seguirlo.
“No.” rispose il ragazzo, aggrottando le sopracciglia confuso “Davvero non alzava la voce da un bel po’. Parlava, ringhiava, sibilava… grugniti, anche. Modi di esprimersi molto più consoni agli animali che agli uomini, per quanto mi riguarda.”
“Come lo conosci?”
“Tu come lo conosci?”
“L’ho chiesto prima io.”
“Ma io non ho intenzione di rispondere.” ridacchiò Donatello, incrociando le braccia.
“Infantile. Siete dei bambini.”
“Il siete è sempre riferito all’intero genere maschile?”
“Esattamente.”
“Non lo conosco in senso biblico, se può farti piacere.”
“Capirai.” si strinse nelle spalle Veronica “Meglio te di qualche altra sgualdrina. Almeno immaginare voi due assieme potrebbe rivelarsi eccitante.”
“Hai un lato perverso.” mormorò Donatello senza tuttavia scomporsi minimamente.
“Ci convivo.”
“E’ diverso.” disse lui, cambiando improvvisamente discorso.
“Diverso da… ?”
Il silenzio calò nuovamente, avvolgendoli misterioso.
“Diverso da quando, Don?” domandò ancora, un’impercettibile preghiera nella voce “E’ successo qualcosa? Cosa?”
“Per essere così sveglia credevo che almeno quella l’avessi notata, sai?”
Veronica non fiatò, non riuscendo a capire. Lo fissò, spronandolo a continuare.
“Sbaglio o lo hai visto nudo già diverse volte?”
Donatello si era alzato, porgendole silenzioso una mano. Lei fissava quelle dita aperte senza riuscire davvero a vederle. 
“Dobbiamo andare.”
Sentì le parole, ma ciò che avvertì davvero fu il tono colmo di agitazione.
“Dobbiamo andare, Ronnie.”
Si voltò, trovando Matteo in piedi dietro di lei. Donatello richiuse la mano, salutando entrambi con un breve cenno del capo e sparendo in meno di un minuto.
“Cosa?” chiese, la gola secca, fissandolo con timore.
“Ora.” comandò lui, afferrandole saldamente un braccio e trascinandola con fare deciso.
Veronica strinse la coperta che le stava sfuggendo dalle dita, lanciando occhiate sorprese attorno a sé: il luogo si stava svuotando ad una velocità impressionante. Silenziosamente, ordinatamente. 
“Che succede?” farfugliò, arrancando verso l’uscita.
“Stiamo andando via.”
“Perché?”
Il suono di una sirena squarciò il silenzio della notte.
Si bloccarono, appena fuori la grotta, acquattandosi nel primo anfratto. Veronica sospirò.
“Polizia?”
“Sì.”
“La grotta non è un luogo pubblico?”
“No.”
“Tu non hai i miei vestiti, vero?”
Il silenzio che seguì fu peggio di qualsiasi risposta.
“Starai scherzando.” mormorò Veronica, incredula.
“Non ho neanche i miei, ragazzina.” soffiò Matteo “Non ho fatto in tempo a prenderli.”
“E se tornassimo a recuperarli?”
“Non sono più lì, qualcuno avrà pensato a toglierli.”
Matteo riprese a camminare, tirandola con fare impaziente.
“Naturalmente non potevi essere tu quel qualcuno.” sputò lei, muovendosi a tentoni.
“Non credo sia il momento più opportuno per litigare.”
A bloccare la risposta di Veronica non fu il suono imperioso della sua voce, bensì quello fievole dei suoi denti che battevano: gli si avvicinò istintivamente, senza una parola, e lo coprì alla meglio con la coperta che aveva.
La presa della mano di lui s’ingentilì all’istante mentre un piccolo sospiro di sollievo gli sfuggiva dalle labbra che, Veronica era sicura, dovevano essere livide. 
Durante il viaggio di ritorno chiuse gli occhi, cercando di addormentarsi, sperando di zittire i pensieri. Non ci riuscì: forse la colpa era del freddo, pensò. Chissà se da qualche parte c’erano dei pinguini. Adorava i pinguini: erano talmente dolci e simpatici. Loro così neri: sembrava indossassero un frac. Chissà se anche i pinguini sentivano freddo come lo sentiva lei. Chissà se anche i pinguini battevano i denti come faceva Matteo, o se fumavano quanto lui. Chissà da dove diavolo aveva cacciato quella sigaretta, Matteo, mentre era in acqua…
“Siamo arrivati.”
Veronica aprì gli occhi con un certo sforzo. Diamine, aveva cominciato a blaterare anche mentalmente.
“Ragazzina.” la chiamò ancora Matteo “Siamo arrivati.”
Veronica annuì, liberando la vita del ragazzo dalla stretta in cui lo aveva costretto: sfiorò appena la pelle gelida, scendendo dalla moto. Per reggersi in piedi dovette ricorrere al braccio che lui già aveva allungato, prevedendo che le gambe non le avrebbero retto.
“Sei livida.”
“E tu batti i denti.”
“Non è vero.” fece lui, serrando la mascella mentre l’ennesimo tremito palesava la bugia.
Veronica annuì, lo prese per mano e lo trascinò verso l’entrata del palazzo.
Aveva già stretto le dita attorno alla maniglia quando un pensiero l’assalì; lo strascico della tremenda constatazione le si dovette leggere in viso perché una smorfia di uguale dolore si dipinse sul volto di Matteo.
“Niente chiavi?”
Veronica non rispose, spostandosi con fare disperato verso la zona dei citofoni: attaccò il dito sul pulsante dell’ultimo piano e non lo staccò se non dopo diverse manciate di secondi.
“Non rispondono.” mugolò, prossima ad una crisi isterica.
“Sicura che siano in casa?”
“Come potrei esserlo?!” sbraitò, alzando gli occhi al cielo, esasperata.
Matteo si tastò il costume, forse convinto di indossare i pantaloni.
“Non mi dire.” rise greve lei, facendogli il verso “Niente sigarette?”
“Calma.” fece il ragazzo “Niente panico.”
“Certo.” annuì lei “Del resto non ce n’è motivo: dovremmo ancora essere sopra lo zero. Non abbiamo i telefonini, ma dov’è il problema? Possiamo sempre saltarci addosso e darci dentro come conigli. E’ un modo come un altro per non morire congelati, no? Oppure…”
“Un portiere.” la interruppe Matteo “Non dovrebbe esserci un portiere in un cavolo di palazzo?”
Veronica annuì mentre si affrettava a premere un diverso bottoncino.
Dopo pochi istanti rispose una voce ruvida e decisamente infastidita. Angelica.
“Signor Crocco.” esultò Veronica, gli occhi umidi “Sono Veronica Merogliesi, mi scuso infinitamente per l’ora ma ho perso le chiavi, non è che sarebbe così gentile da aprirmi il portone?”
Un sospiro frustrato uscì dal microfono, fortunatamente seguito dallo scatto della porta che si apriva. Matteo in un attimo fu dentro, seguito a ruota da Veronica. Si accasciarono sulla scala, i corpi tremanti e le labbra viola.
“Stai bene?” le chiese, portando le mani a coppa contro la bocca e soffiandoci dentro.
“Nel limite del possibile.” rispose lei, sfregando la coperta contro le braccia.
Una gola si schiarì poco sopra di loro: sollevarono lo sguardo in tempo per vedere il volto di un anziano signore sparire dietro una porta. L’eco delle sue biasimevoli parole li raggiunse, soffuso: “Questi giovani d’oggi si divertono a girare nudi ovunque.”
Veronica chiuse gli occhi e quando li riaprì Matteo era in piedi, un sorriso sbilenco sulle labbra: “Facciamo le scale?”
“Certo.” approvò, seguendolo di buon grado.
“Se non sono in casa?” chiese Matteo, un paio di scalini sopra di lei.
“Ci accampiamo sul pianerottolo.”
Un grugnito segnalò il consenso del ragazzo.
“E se sono in casa?”
“Li torturiamo lentamente per averci costretto a svegliare Crocco.”
Nuovo grugnito, più sentito.
“Ronnie…”
Veronica sollevò lo sguardo e la bocca del ragazzo premette improvvisa sulla sua. Una manciata di secondi, niente di più. Pochi secondi e tutto era finito.
“Volevo ridarti colore alle labbra.” sussurrò Matteo, avvolgendola meglio nella coperta.
La porta dell’appartamento si aprì, lo sguardo sorpreso di Simone che si fermava su di loro: “Ci era sembrato di sentire il citofono.” balbettò, confuso.
“Vi era sembrato?!” s’imbestialì Veronica, entrando a passo di marcia in casa.
“Starai scherzando!” scoppiò Matteo, rifilandogli un pesante manrovescio sulla spalla.
“No, davvero, non eravamo sicuri.” mormorò Simone, alternando intimorito lo sguardo tra i due.
“Dove sono gli altri?”
Simone indicò il divano: Michele era seduto fra Cinzia e Silvestro e tutti e tre, gli occhi umidi, si passavano una scatola di clinex. Veronica sussultò, preoccupata.
“E’ successo qualcosa?” chiese.
“No.” scosse il capo Simone, rigirandosi un fazzoletto fra le dita “Voi piuttosto?”
Matteo scosse il capo e indicò a sua volta il divano.
“Che hanno?” 
“Ma niente.” rispose Simone, stringendosi nelle spalle e indicando il televisore “E’ appena morto Mufasa.”
Tirò su con il naso: “Film del genere non sono adatti ai bambini.”
Veronica e Matteo si scambiarono uno sguardo sconcertato, decidendo tacitamente che la cosa migliore da fare era disinteressarsi dell’intera situazione. Attraversarono in fretta il salotto, ignorando le esclamazioni di stupore che si sollevarono nei pressi del divano, e si chiusero nelle rispettive camere. 
Veronica aprì l’armadio, indossando rapidamente un paio di pantaloni e la felpa più calda e pelosa che le riuscì di trovare.
“Veronica!” 
“Dimmi, Cicì”
Dimmi, Cicì?!” gridò quasi l’altra, le mani sui fianchi “Cosa diamine vi è successo, si può sapere?”
“Niente.” mormorò Veronica, la stanchezza che l’assaliva traditrice, togliendole ogni forza.
Niente?! Sono le due e mezza, lo sai? Di notte, tesoro. E rientrate in costume, quasi morti dal freddo… e non rispondevate al cellulare… e…”
Veronica si lasciò cadere a peso morto sul letto: Cinzia aveva sbollito la rabbia, presto soppiantata da semplice e pura preoccupazione. Dietro di lei spuntavano la faccia svagata di Michele e quella allegra di Silvestro: Veronica sorrise ad entrambi, socchiudendo appena gli occhi per riposarsi: “Il film?” 
Cinzia non rispose, a corto di parole; Michele rimediò subito, fiondandosi nella camera:
“Bellissimo, Vero!” ridacchiò “E avresti dovuto vedere Cicì come piangeva! Certo anche con Bambi non è stata da meno.” sorrise, guardando l’amica con affetto “E avreste dovuto esserci anche tu e quel pazzo di Matteo. Che fine avevate fatto? Volevamo aspettarvi, ma poi, per far smettere Cicì di preoccuparsi abbiamo deciso di cominciare senza di voi. Non ti spiace, vero?”
Veronica scosse la testa, carezzandogli distrattamente un braccio: “La lista è ancora lunga, no?”
“Naturalmente. E agli altri non potrete mancare.”
“Qualcosa ti preoccupa?” le chiese Silvestro, osservandola attentamente con un sorriso sbilenco.
“No.” mormorò lei in risposta “Non credo, almeno.”
Qualcosa le frullava in testa, ma non sapeva cosa di preciso. Era un leggero picchiettio che tentava di richiamare la sua attenzione, quasi impercettibile.
“Mi brucia la gola.”  disse, parlando fra se e se, una mano che andava a stringersi attorno al collo. Sentì il sospiro che scappò ad entrambi i ragazzi mentre una fiumana di rimproveri sgorgava dalle labbra di Cinzia. 
“… la gola ti pizzicava già a pranzo, cara la mia signorina. In questi casi sai, tesoro, non è esattamente consigliabile andarsene in giro con addosso solo un misero costume…”
Il picchiettio. Ritmico. E poi il nome le saltò chiaro davanti agli occhi: Donatello. A lui era dovuto quell’ennesimo fastidio. A lui. Ma perché?
“… e la sciarpa? Ti eri premurata anche di prendere la sciarpa! Che fine ha fatto, eh? …”
Qualcosa che aveva detto. Qualcosa che…
Per essere così sveglia credevo che almeno quella l’avessi notata, tesoro.
Veronica trasalì visibilmente mentre la frase del ragazzo le rimbombava nelle orecchie. 
Cosa non aveva notato? Si passò una mano sugli occhi, sollevata se non altro dal silenzio che, inatteso, era calato nella stanza. Doveva notare qualcosa? Avrebbe dovuto, notare qualcosa? Cosa?
Sbaglio o lo hai visto nudo già diverse volte?
Veronica si mise a sedere, le mani che si stringevano a pugno così violentemente da far impallidire le nocche: sorda ai richiami degli amici si fiondò nella camera di Simone che, seduto sul letto, la osservò entrare come una furia. Fu un riflesso, probabilmente, ma uscì dalla stanza prima ancora che lei fosse arrivata a fronteggiare Matteo: la porta si chiuse silenziosamente, senza il minimo rumore.
Veronica osservò il ragazzo: le dava le spalle, un paio di jeans e una camicia azzurra, si stava infilando un maglione nero; era ancora a metà del gesto quando lei gli girò attorno, piazzandoglisi di fronte.
“Veronica?” chiese lui, solo gli occhi che facevano capolino dal collo del maglione.
“Spogliati.”
Matteo abbassò un po’ la maglia, cercando di prendere aria: “Scusa?”
“Spogliati.”
Fece per replicare ma la ragazza non gliene diede modo: con mani abili gli sfilò il maglione, passando subito dopo alla camicia; era già a buon punto quando le mani di lui la fermarono: “Che stai facendo?” chiese, preoccupato dallo sguardo concentrato di lei.
“Ti spoglio.” rispose Veronica, liberando le dita dalla sua stretta e riprendendo da dove era rimasta. Sbaglio o lo hai visto nudo già diverse volte?
Altri due bottoni erano stati liberati nonostante le rimostranze di Matteo.
Per essere così sveglia credevo che almeno quella l’avessi notata, tesoro.
Non fu necessario aprire l’ultimo bottone.
Credevo che almeno quella l’avessi notata, tesoro.
Veronica lasciò vagare lo sguardo sul petto del ragazzo, il capo leggermente piegato.
Matteo non emetteva più un fiato, immobile, i muscoli contratti. La pelle era chiara, ma non pallida quanto quella. Quella. La cicatrice, diafana e sottile, che gli attraversava il petto. Quella. La cicatrice che andava dalla spalla destra fin giù al fianco sinistro. Quella. La cicatrice di cui, per quanto assurdo potesse sembrare, non si era mai accorta. Quella. Quella. Quella. … Quella.
Veronica avrebbe voluto dire qualcosa, qualunque cosa, ma si accorse di aver perso la voce.
Letteralmente.

 

 

 

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