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Autore: PaleMagnolia    14/09/2011    1 recensioni
Credere di essere migliori degli altri è un potente catalizzatore di eventi. E frequentare le persone sbagliate può condurre a scelte pericolose."[...]“Con questo, naturalmente, non voglio dire che non debbano avere le stesse opportunità di istruzione di tutti gli altri”, stava dicendo lei. “Però non si può nemmeno negare che le classi con un’alta percentuale di nati Babbani siano parecchio indietro col programma. Insomma, come si può parlare di Cura delle Creature Magiche, quando metà della classe non è nemmeno sicura che le creature magiche *esistano davvero*?”...".
Cosa possono condurti a fare le cattive compagnie lo sa fin troppo bene Severus Snape, che vive tormentato dai rimorsi per le sue azioni. Non lo sa altrettanto bene Altea Von Wasser, la cui giovane, suggestionabile mente sarà profondamente condizionata dall'incontro con uno studente dagli occhi neri... E quando quel ragazzo emaciato le ricomparirà davanti qualche anno dopo, adulto e perseguitato dai ricordi, nei panni austeri dell'insegnante di Pozioni...
PS: sto cercando di mantenere Snape IC. E' un tentativo disperato e uno sforzo quasi disumano (per una Snapeaholic come me), ma ci sto provando. Apprezzate l'impegno :)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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All’epoca Voldemort faceva molti proseliti; le sue idee (le grandi famiglie purosangue devono dominare, mettere in ginocchio i propri nemici - e prima di tutti i Babbani, responsabili della decadenza della magia... della contaminazione del sangue) trovavano sostenitori più o meno entusiasti in tutte le fasce sociali, fra maghi di età diverse, diversa formazione.

Fra i giovani, le sue parole raccoglievano i consensi degli esaltati, dei provocatori e degli irrequieti in generale; sia dei fanatici, influenzati dai mistici richiami al mito del sangue puro e della supremazia sui Babbani, che dei piantagrane, in cerca di una scusa qualsiasi per menare le mani.

Le idee di Lord Voldemort facevano leva sulle paure dell’aristocrazia magica, sul terrore di perdere la propria autorità – e con l’autorità il potere, il denaro, il rispetto.

Di perdere tutto.

Nelle grandi famiglie – i Black, i Greengrass e i Lestrange, i Burke, i Malfoy – che avevano basato tutta la propria condotta sull’orgoglio e sullo status di sangue, s’insinuava il timore di perdere la propria supremazia.

Dopo generazioni – decenni, secoli! - passati ad imprimere a fuoco nei figli e nei nipoti e nei pronipoti (anni passati a ripeterlo a se stessi, continuamente, per tutta la vita) quali erano gli onori e gli oneri legati indissolubilmente alla nobiltà – la lealtà sopra ogni cosa, il dovere, l’onore... il rischio era di ritrovarsi ad essere delle persone come le altre.

Di confondersi in mezzo agli altri.

Di non essere più nessuno.

E tutti quegli anni passati a costringere se stessi a mantenere un comportamento onorevole – tutto per niente...

 

Dopo quell’assolato pomeriggio sotto le querce (foglie rosse e gialle che turbinavano come coriandoli; cinque persone immobili come figure di un quadro, i visi congelati in espressioni di stupore, sgomento, confusione), non si era più parlato della proposta di Elessa.

Come se non fosse stato chiaro, fin da subito, che prima o poi si sarebbe arrivati a quello…  Quando ognuno di loro, ogni momento – con gli abiti che portava, le persone che frequentava, le abitudini che assumeva giorno dopo giorno – aveva contribuito a spingerli tutti verso quel passo.

Tutti giravano attorno all’argomento in punta di piedi, attenti a non toccarlo. Persino Nat, che fra tutti era stato l’unico a mostrare all’inizio un cauto entusiasmo rispetto all’idea, ora evitava accuratamente di farvi qualsiasi accenno, circospetto come un gatto che schivi una pozzanghera.

Altea, che come gli altri aveva espresso orrore e sconcerto (e in un qualche modo anche in buona fede, fermamente convinta di essere davvero inorridita, di essere davvero sconcertata) aveva però, in fondo in fondo – un’idea piccola piccola sepolta sotto molti strati di civiltà e di superiorità morale - l’inconscia sgradevole fastidiosissima sensazione che Elessa avesse ragione – che i diritti di quelli come loro fossero davvero in pericolo, necessitassero davvero di una protezione. E pensava anche – ma di questo non poteva essere certa – che sotto le esclamazioni sgomente e gli sguardi scandalizzati dei suoi amici ci fosse una consapevolezza simile, una simile paura.

Ad Altea ripugnava l’idea di Elessa.

Era logico che la ripugnasse (non era logico...?).

Unirsi a Lord Voldemort? Ma andiamo!, quello era un assassino, aveva ammazzato della gente, per l’amor del cielo!

Eppure...

Eppure le balenava di continuo questa immagine (fuggevole, davvero, non più di una frazione di secondo per volta) davanti agli occhi, della Sala Grande – ed era la sua Sala Grande, con le meravigliose candele a mezz’aria come le aveva viste il suo primo giorno di scuola,  coi tavoli di legno vetusto e i camini scoppiettanti dal fumo profumato di resina, bellissima e oscura e piena di magia – invasa da marmocchi in jeans che ridevano delle tradizioni magiche, perché erano troppo stupidi per capirle.

No, riconobbe Altea, non troppo stupidi. Troppo prevenuti. Troppo abituati alla loro vita di corn flakes e pattini a rotelle e gomma da masticare e... e tutte quelle altre cose assurde che facevano i Babbani.

 

 

  
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