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Autore: Aine Walsh    15/09/2011    6 recensioni
Noiosa. Ecco come si svolgeva la festa di Sara sotto il mio punto di vista.
Sì, Sara, la mia biondissima quanto simpatica compagna di banco nelle ore del corso di fotografia che frequentavo una volta a settimana dopo scuola, il pomeriggio.
Era una ragazza in gamba, ma la sua festa di compleanno si stava dimostrando un clamoroso fallimento, almeno per me, l’asociale a vita.
* * *
Prometto che mi farò venire in mente una Presentazione migliore!
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2° Capitolo
It’s In The Rain


L’indomani mattina mi rifiutai di andare a scuola; non riuscivo proprio ad aprire gli occhi. Di solito, il sabato non era una grande giornata di studio e un’assenza non mi avrebbe di certo procurato una sospensione.
La prima cosa che feci, una volta sveglia, fu dare un’occhiata all’orologio: erano le 10.04.
Sapevo di essere sola a casa e non avevo nessuna fretta, quindi mi sistemai in posizione supina e presi ad osservare il soffitto.
Vivevo al sesto ed ultimo piano di un palazzo poco distante dal centro, in un attico piccolo, abbastanza tranquillo e pieno di finestre. Una di queste era posta proprio sopra il mio letto e mi consentiva, ogni giorno, di sapere le condizioni del cielo ancora prima di aver guardato le previsioni meteo. Potrebbe sembrare abbastanza fastidioso, visto che nei giorni di sole la luce mi batteva sugli occhi, eppure non lo era. Avevo fatto l’abitudine.
Quella mattina il cielo era grigio piombo, scurissimo, coperto da grossi nuvoloni e dava proprio l’impressione che ne sarebbe venuto fuori un bell’acquazzone, uno di quelli che può tenerti sveglio tutta la notte con i suoi tuoni e il suo continuo rumore di acqua scrosciante.
Restai sdraiata per cinque minuti a riordinare le idee, prima di alzarmi e andare a fare colazione.
La pioggia non tardò ad arrivare; mentre lavavo la tazza, prese a battere contro i vetri. Solo allora mi ricordai di Irene: quella sera saremmo dovute uscire, ma non ne avevo poi così voglia.
Afferrai il cellulare e le scrissi un messaggio.
 
Stasera. Tu. Io. Pizza, Dvd e poi a nanna. Ci stai?
 
Dopo circa un’ora, il telefono squillò con il suo solito blop che mi avverte dell’arrivo di un sms.
 
Perfetto :)
 
Tornata in cucina per guardare un po’ di televisione, notai un biglietto lasciato sopra il tavolo. Era della mamma.
Mi battei forte una mano sulla coscia dopo averlo letto. Possibile che non ci avessi proprio pensato?
Quando ero uscita fuori con Matteo, la sera prima, avevo dimenticato il cappotto nella sala dove si svolgeva la festa e non mi ero neppure ricordata di prenderlo, lasciandolo lì. Mi grattai la fronte pensando che nel pomeriggio avrei chiamato Sara e le avrei chiesto se l’avesse preso lei, sperando in un sì.
Accesi la tivù, ma, dopo mezz’ora passata a fare zapping in giro per i vari canali, decisi che non ci fosse nulla che mi interessasse particolarmente e tornai in camera a studiare.
Non feci che studiare e poi cucinare, o meglio, provare a cucinare qualcosa di commestibile e poi tornare a studiare per tutto il resto della mattinata, anche dopo aver pranzato. Approfittai di un giorno d’assenza per ripassare più approfonditamente tutto ciò che c’era da rivedere in vista dei compiti in classe di fine Trimestre.
D’un tratto qualcuno bussò alla mia porta. Non mi sorpresi affatto quando il faccino bianco di mia nonna ne fece capolino.
«Hai ancora intenzione di studiare?» chiese.
«Purtroppo sì».
«Peccato, - sospirò - ho appena sentito che avremo ospite Irene stasera e mi sarebbe piaciuto preparare delle frittelle. Ma se non puoi…».
«Piano, nonna! Chi ha detto che non posso?» esclamai in fretta.
Ridemmo.
«Dammi solo dieci minuti, finisco di studiare Storia e arrivo».
Cucinare frittelle quando avevamo ospiti era diventata una tradizione. Peccato solo che casa mia fosse abitata solo da mia madre, mia nonna e me, e che non sempre qualcuno ci venisse a trovare.
Io un padre ce l’ho, anche se non vive più con me e mamma da qualche tempo. I miei genitori hanno divorziato quando avevo undici anni e da allora lui vive a Roma dove io vado regolarmente a trovarlo ogni estate, per un mese intero.
Nel momento in cui il mio telefono squillò, avevo le mani impegnate a mescolare l’impasto. Mi ripulii in fretta e risposi.
«Dimmi tutto, Ire».
«Shining o Sette Anime?».
«Nessuno dei due. Li abbiamo già visti, non ricordi?».
«Mi sa che hai ragione. Suggeriscimi tu, allora. Sto in una videoteca e c’è solo l’imbarazzo della scelta».
Ci pensai sopra per qualche istante, ma non mi veniva in mente nulla.
«Cosa c’è di fronte a te?».
«Dipende, potrebbe esserci Kung Fu Panda, I Mercenari o Il Cigno Nero…» disse.
«Stop. Per me va bene questo».
«Anche per me. Ci vediamo dopo, Tonta!», e riattaccò.
La mia vita è fatta di soprannomi. Tutto e tutti hanno soprannomi: la mamma, la nonna, i miei peluche, l’auto della mamma, il signore calvo del quinto piano… Io vanto almeno una ventina di nomignoli più o meno usati - dipende dal periodo - e Tonta è uno di quelli che va per la maggiore.
Irene non ci mise molto ad arrivare. Aprii la porta e me la ritrovai di fronte tutta bagnata, insieme a mia madre, asciutta.
«Ma che...?».
«Non chiedere. - mi interruppe accompagnata da un gesto della mano - Ha preso a piovere mentre venivo qui».
Mamma mi stampò un bacio sulla guancia. «Le stavo giusto dicendo che sarei passata a prenderla io, se avessi saputo che i suoi genitori non potevano accompagnarla. Comunque sia, vado a prenderti dei vestiti». Si allontanò per fermarsi, pochi passi dopo, nel bel mezzo della cucina, annusare l’aria e dare uno sguardo ai fornelli.
«E’ odore di frittelle, questo?», domandò con un sorriso tra le labbra carnose, uguali alle mie.
«Abbiamo ospiti» risposi semplicemente.
Cenammo con pizza e frittelle e, dopo esserci lavate ed aver messo i nostri pigiami, io ed Ire ci chiudemmo in camera mia per vedere il film.
Il finale ci lasciò alquanto stupite, silenziose per qualche attimo.
«A te è piaciuto?» chiese poi la mia migliore amica voltandosi a guardarmi.
«Non lo so... E’ strano, in un certo senso, ma non si può negare che non sia interessante» dissi con un tono lento e monotono.
Colse al volo l’imitazione.
«No! - strepitò - La Fornero, no! Lasciala stare!».
La Fornero, la nostra insegnante di Scienze, una vecchia donna arcigna, così acida che in suo onore è stato aggiunto il grado infinito negativo nella scala del pH.
Risi.
«Certo, ridi. Quella donna infesta ogni notte i miei sogni e tu riesci a riderci sopra» borbottò offesa.
«Devo regalarti uno Scacciasogni, assolutamente. Comunque, che mi sono persa oggi a scuola?».
«Per quanto riguarda lo studio, hai fatto veramente bene a non venire. Oggi l’ora di Arte è stata parecchio... Turbolenta, sì. A parte questo, niente di veramente importante».
Annuii. Era quello che avevo immaginato.
«Ma per quanto riguarda il resto...» aggiunse con un sorrisetto all’angolo della bocca, atto a volermi provocare.
Roteai gli occhi. «Sai che queste cose non mi interessano», le ricordai.
«Sì, so che tu sei una persona del genere vivi e lascia vivere, ma questa devi sentirla».
Ecco un difetto di Irene: riusciva sempre a sapere tutto di tutti. Lei diceva di non farlo per curiosità, ma solamente per aver qualcosa di cui parlare e da cui prendere esempio per comportamenti da evitare o da assumere, tanto che ero l’unica alla quale rivelava queste cose.
«E’ obbligatorio starti ad ascoltare, oppure posso fingere coinvolgimento annuendo e continuando a farmi gli affari miei?».
Fece una smorfia ed cominciò: «Lo prendo come un sì. Ti ricordi quando...?».
Notai che i suoi occhi neri iniziarono appena a brillare e che la sua voce salì di un tono, entrambe manifestazioni che mi avvertivano della sua eccitazione.
Per un po’ stetti davvero ad ascoltare, ma ad un certo punto non riuscii più a seguirla e andai in stand-by, e penso che lei non se ne accorse nemmeno, troppo presa da ciò che raccontava.
La storia narrava di ragazze che si rubavano i fidanzati tra di loro, di ragazzi improvvisamente troppo gelosi, di scontri, litigi, armistizi, alleanze, il tutto governato dalla Regina Suprema con l’aiuto del Consigliere Regale: Sua Maestà l’Invidia e Sir Stupidità.
Mi venne da ridere a pensare che quella situazione mi ricordasse in qualche modo l’Orlando Furioso.
A volte, mi sentivo diversa da tutto il resto del mondo. Io non mi preoccupavo di star dietro a problemi simili, cosa che invece tutti gli altri sembravano fare. Vivevo la mia vita, punto. Ed era già abbastanza difficile così. Inoltre, ero fermamente convinta del fatto che la nuova generazione fosse un completo disastro e, onestamente, non mi importava sapere le eroiche gesta dei miei coetanei.
Totalmente distaccata da ciò che Irene raccontava con tanto trasporto, risalii a bordo di quella famosa navicella spaziale e volai tra i miei pensieri.
«E tu invece?».
La domanda mi risvegliò di colpo.
«Io invece, cosa?».
«La festa com’è andata?» disse, appoggiandosi alla spalliera del letto.
 Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «E’ andata» risposi con tono di indifferenza.
«E’ andata? Tutto qui?».
«Sì. Perché, che ti aspettavi?».
«Non so. Sicura che non sia successo niente?» riattaccò.
«Sicurissima. Non è stata di certo una delle serate più belle della mia vita».
Sbadigliò rumorosamente, stirando le braccia in aria. «Ovvio, - proseguì - ti mancavo io».
Mi nascosi dietro un sorriso.
Avrei dovuto raccontarle dell’incontro con Matteo, giusto?
Ma perché? Non era accaduto nulla. Avevo incontrato un ragazzo e avevamo scambiato qualche parola, fine della storia. Se glielo avessi riferito, mi avrebbe tormentato con le domande. E a quell’ora le domande erano l’ultima cosa che desideravo.
Continuammo a chiacchierare fino a quando i suoi sbadigli non si fecero più frequenti e prendemmo all’unisono la decisione di dormire per qualche ora. Si tirò le lenzuola fino al mento, chiuse gli occhi e mormorò: «Ria, per favore, non russare stanotte».
Abbozzai un sorriso mentre mi stendevo accanto a lei. «Solo se anche tu eviti di farlo».
Come ebbi previsto, Irene si addormentò subito. Io, ancora una volta, ero vittima dell’insonnia. In più temevo di svegliarla se mi fossi mossa, ragion per cui rimasi ferma su un fianco con gli occhi sbarrati che scrutavano nel buio della camera.
Eravamo solo io e la pioggia scrosciante che s’infrangeva contro la finestra. Mi è sempre piaciuta la pioggia, anche più del sole, certe volte.
Restai immobile per un arco di tempo che mi parve infinito, cullata dal cadere delle gocce d’acqua, fino a quando non mi sollevai e accesi l’abat-jour sul comodino. Il poster del Bellamy, che avevo appeso accanto al letto, apparve magicamente in tutta la sua bellezza. Mi fermai a contemplarlo per uno o due minuti, sognando, ancora una volta, di incontrarlo un giorno - questo desiderio era leggermente più realizzabile rispetto agli altri che serbavo.
Riuscita a staccarmi da quegli occhi color zaffiro, scesi piano dal letto e andai a prendere il portatile dalla scrivania, sepolta sotto uno spesso strato di fotografie, libri e fogli vari.
C’è sempre qualcuno connesso sui social network, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Sarà stata colpa dell’acquazzone, dell’orario o di qualche altro motivo che sconosco, ma il popolo della notte, quella volta, era più vivo e presente che mai.
Controllai la schermata principale: avevo circa una dozzina di notifiche ed una mail. Iniziai a cliccare su ognuna di queste, una per una: del resto era per questo motivo che mi ero aggregata ai nottambuli, no?
Lasciata per ultima, quando aprii la mail, riuscii a fatica a trattenere la mia mascella dal cadere giù sul pavimento.
 
Ehi, ciao :)
Sono Matteo, il tizio dell’altra sera (che poi, era ieri sera)…
Non vorrei affatto disturbarti, ma hai dimenticato il tuo cappotto e mi sento in dovere di restituirtelo. Te lo porterei io stesso, se non fosse per il motivo che sono parecchio impegnato ultimamente.
Posso mandarti un pacco postale, o possiamo sempre vederci, se per te è lo stesso.
Let me know
MJA
 
Avvampai. Che stupida, era solo una mail!
Aveva preso lui il mio cappotto ed ero felice di sapere che non era andato del tutto perduto. Avevo telefonato a Sara, quello stesso pomeriggio, ma lei non l’aveva proprio visto.
E Matteo adesso voleva vedermi.
Cattiva idea, anzi no, pessima. Pessima idea, sì.
Però il cappotto mi serviva.
Aveva scritto di essere disposto a mandarmi un pacco postale… No, quest’idea era peggiore della precedente.
Quindi, dovevo incontrarlo.
Mi massaggiai le tempie e risposi.
 
Sì che mi ricordo :)
Ti ringrazio tantissimo per averlo preso, credevo di averlo perduto per sempre…
Non penso ci siano problemi; fammi sapere quando e dove, però!
Grazie ancora, sei veramente gentile
Ria
 
Non ho la minima idea di quante volte scrissi, cancellai e riscrissi quelle poche parole; alla fine, però, riuscii a farcela e inviai il messaggio.
Mi sentii un po’ stalker nel momento in cui visualizzai la foto che aveva sul suo profilo.
Era catturato di profilo, con gli occhi rivolti altrove, e sembrava che la foto fosse stata scattata all’alba, a giudicare dal colore indaco-azzurrino che riempiva il cielo.
Il mio animo da fotografa disse subito che quella fosse una gran bella fotografia, e non solo per il soggetto - che oltretutto non si distingueva bene ed era ridotto ad una figura nerastra - ma anche per la qualità e per i colori soprattutto.
Mentre studiavo attentamente l’immagine che mi stava di fronte, all’icona dei messaggi si affiancò un piccolo uno rosso.
Vi cliccai sopra.
Panico.
Aveva già risposto.
 
Sabato prossimo intorno alle 16 al Poco Loco potrebbe andarti bene? Prima devo lavorare... Sai dov’è il Poco Loco, vero? xD
 
P.S.: Vittima dell'insonnia?
 
Mi bloccai davanti al monitor, riflettendo.
Non ricordavo di avere impegni, però mamma lavorava e non potevo di certo chiedere un passaggio alla nonna che non aveva nemmeno la patente - lei riusciva ancora a percorrere chilometri e chilometri a piedi. In confronto, io ero un bradipo... Mi rassegnai all’idea di dover prendere l’autobus. Se fossi stata una diciassettenne nella norma con una famiglia nella norma, avrei probabilmente posseduto almeno una bicicletta, perché il motorino era decisamente fuori discussione.
Tirai un sospiro; dopotutto, l’autobus non era così male, vi si trovava spesso gente interessante.
 
Sì, so dov'è e sì, va benissimo, non preoccuparti.
 
P.S.: L'insonnia è una mia carissima amica, viene spesso a trovarmi. La conosci anche tu?
 
Che Post Scriptum idiota.
 
Perfetto! Ci si vede lì, allora ;)
Io vado, inizio ad avere un po’ di sonno... E consiglio vivamente anche a te di fare una bella dormita, cara Cenerentola. 'notte.
 
P.S.: Purtroppo la conosco...
 
L’avermi apostrofata come Cenerentola, in un primo momento, mi lasciò perplessa. Sarà stata colpa del sonno che incominciava a farsi sentire, fatto sta che impiegai un po’ a capire. Alla fine ricordai che anche la sera precedente mi aveva chiamata allo stesso modo prima che me ne andassi e che avevo per di più dimenticato il cappotto, allo stesso modo della nota principessa che perdeva la scarpetta. Mi lasciai sfuggire un sorriso pensando alla coincidenza.
 
Mmm, credo veramente che seguirò il tuo consiglio. Detto fra noi, non vorrei ritrovarmi le occhiaie di un panda...
A sabato! :)
 
Sbadigliai. Doveva essere molto tardi.
Appoggiai il laptop sul comodino, spensi l’abat-jour e tornai a stendermi al lato di Irene.
Fuori pioveva ancora, ma il rombo dei tuoni si stava via via allontanando.
Guardai le gocce di pioggia che scivolavano lungo il vetro della finestra con una strana sensazione in corpo; ero contenta, ma di una contentezza insolita, non euforica, più tranquilla, calma.
E poi il sonno rapì anche me.
 

I turn the music up, I got my records on...

Salve salvino, gente! Come la va?
Puff, oggi ho rimesso piede dentro la mia scuola dopo tre mesi di beato relax e credo possiate immaginare un po' quale sia il mio stato d'animo.
Affari miei a parte, ecco il secondo capitolo.
La volta scorsa ho dimenticato di scrivervi che ogni capitolo è ispirato alla canzone da cui prende il titolo, anche se capitolo e canzone non sempre sono collegate.
E adesso credo davvero di aver detto tutto xD
Vi auguro una buona serata :D

Alan
  
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