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Autore: Ofelia di Danimarca    30/09/2011    1 recensioni
"Doveva esserci una ragione per cui, invece che schiantarsi a terra e morire, si era schiantato a terra ed era sopravvissuto. Bran lo domandava ogni notte, mentre prima di addormentarsi si metteva a parlare con gli antichi Dei. Ma gli Dei della Foresta erano riservati, e non gli avevano mai accennato nulla a riguardo."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                              ---------------- NELLA CRIPTA -----------------
         






 
Anche quel mattino, come tutti quelli precedenti, Bran si era svegliato di soprassalto. Aveva aperto gli occhi di colpo e si era ritrovato immobile tra le pellicce del suo letto.
Aveva sognato di nuovo il corvo. Ogni volta lo stesso, strano animale. In quel sogno c’era qualcosa che lo inquietava, che gli freddava il sangue nelle vene, e poi c’era qualcos’altro che lo attirava. Era come le storie che la vecchia Nan, la balia, gli aveva raccontato per tutto il periodo in cui era rimasto costretto a letto, dopo la caduta. Spaventoso e irresistibile allo stesso tempo.
Ma quella notte aveva sognato anche dell’altro. Il corvo dai tre occhi gli aveva parlato. Per la prima volta. “Seguimi” gli aveva detto “seguimi e ti mostrerò qualcosa”.
E lui? Lui l’aveva seguito, obbediente.
Si chiese se avrebbe dovuto farne parola con lei. Se avrebbe dovuto svelarle cosa vedeva ogni notte, non appena cadeva preda del sonno.
<< Dove vuoi che andiamo, piccolo Lord? >> la sentì domandare, la voce come un soffio delicato che strideva incredibilmente con il suo aspetto cencioso. Quando Bran le aveva chiesto di caricarselo sulle spalle e di fargli da gambe, Osha l’aveva fissato per qualche attimo, in preda a una vaga perplessità. Poi, senza proferire verbo, lo aveva afferrato da sotto le ascelle e l’aveva sollevato, con la stessa scioltezza con cui un cavaliere avrebbe maneggiato una spada.
<< Voglio che mi porti nella cripta. >> rispose, in tono sicuro di sé, anche se in cuor suo sapeva di avere paura, come poche altre volte l’aveva avuta. “Forse, mentre precipitavo nel vuoto provavo ancora più paura” pensò, ma si rese conto che era impossibile dirlo, visto che non ricordava nulla di quel giorno e di quell’istante. << Devo scendere laggiù, e tu mi ci devi portare. >>
<< Che cosa cerchi laggiù, ragazzo? >>
Osha aveva iniziato a camminare verso l’ingresso della cripta, i piedi ancora legati tra di loro dalla solita catena, che risuonava ad ogni passo. Seduto sulle sue spalle, Bran si accorse che aveva iniziato a nevicare. I fiocchi si appoggiavano leggiadri sui suoi capelli e sui ciuffi ribelli di Osha, bagnandoli. Senza rendersene conto, cominciò a raccontarle il suo sogno. Le disse dell’ambiguo corvo con tre occhi, di come si appollaiava su una delle statue dei meta-lupi e di come ogni volta lui cercasse di scagliargli contro una freccia, finendo sempre per desistere.
<< Ma stavolta il corvo mi ha anche parlato. Mi ha chiesto di seguirlo, mi ha portato nella cripta. >>
<< E cosa hai trovato lì? >>
<< Mio padre. >>
I passi di Osha erano regolari, nonostante il peso in più che si portava in spalla. << Tuo padre non è laggiù. E’ lontanissimo da qui. Il tuo sogno è stato solamente un sogno. >>
La ragazza aprì la pesante porta in ferro attraversando la quale avrebbero fatto ingresso nella cripta. Bran notò che le mani le tremavano leggermente. << Hai forse paura? >> le chiese, incuriosito.
Lei scrollò le spalle con veemenza, rischiando di fargli perdere l’equilibrio. Rispose che non aveva certo paura di un buco nel terreno. Lei proveniva da nord della Barriera, sottolineò…e le cose che temeva erano altre. Cose con occhi, carne e gambe, ma che non erano umane.
<< Allora, entra. >>
La selvaggia varcò lentamente la soglia, e iniziò a scendere gli irregolari scalini di pietra che si addentravano nella terra. La cripta era il luogo più buio che Bran avesse mai visitato, con solo poche torce ardenti ad illuminare i cunicoli. Le mura di pietre spesse erano umide, i soffitti a volta, anch’essi fatti di pietre, erano bassi ma lisci. Nonostante gli spazi angusti, faceva ancora più freddo che in superficie.
<< Lì c’è la tomba di mio nonno. >> fece, indicando con un braccio un sarcofago di pietra scura. << Era un uomo molto valoroso, ma fu bruciato vivo dal Re folle Aerys Targaryen. >>
Non sapeva se Osha fosse al corrente della storia dei Sette Regni, o se la ignorasse completamente, ma volle spiegare comunque. Molte volte aveva vagato per quei cunicoli soffermandosi su ogni singola tomba, come se potessero parlare. E in effetti, pensò quasi vergognandosene, gli comunicavano molto di più le spoglie dei suoi avi perduti di quanto avesse mai fatto l’albero-diga del Parco degli Dei di Grande Inverno. Tra quelle mura si sentiva a casa, si era sempre sentito a casa.
Ma quel mattino non era sereno.
<< Là invece c’è mia zia, Lyanna. Era la promessa sposa di re Robert, ma… fu uccisa anche lei. >>
<< Dai Targaryen. >>
<< Sì. Dicono che mia sorella Arya le somigli. >>
Passarono dinnanzi alla statua di Lyanna Stark senza proferire altre parole. Bran sentiva il nervosismo aumentargli tra lo stomaco e la pancia, a mano a mano che Osha avanzava nell’oscurità. Si stavano avvicinando al punto che quella notte aveva visto chiaramente nel suo sogno. Era buffo, si disse, perché in realtà nel sogno era stato come una specie di lampo, un istante brevissimo. Eppure, era sicuro che il luogo fosse quello.
<< Ho paura. >> si fece sfuggire, involontariamente.
<< Paura? Credevo che tu non avessi paura di questo buco, piccolo Lord.>> ribattè la ragazza, in tono basso.
<< Non ho paura di questa cripta. Ho paura di quello che potrei trovarci ora. Non mi spaventano, i morti. Ma se ora qui trovassi una persona viva… >>
<< Tu sei strano. Tu vuoi trovare la vita tra le tombe. >>
No, si disse Bran, stringendo i pugni mentre Osha metteva un piede davanti all’altro. Lui non voleva trovare nessuno, lì. Sperava ardentemente di sbagliarsi. Sperava che tutto ciò che aveva visto in sogno svanisse di fronte alla rassicurante e razionale realtà. Suo padre, suo padre non poteva essere lì. Suo padre era vivo, non poteva essere nella cripta.
<< Non sono i morti a spaventarmi. >>
<< No? Eppure, dovrebbero. Un ragazzino giovane come te dovrebbe sempre essere addestrato ad aver timore della morte. >>
Bran scosse la testa, tenendo lo sguardo fisso in avanti.
<< Io sono un ragazzino storpio… ci sono cose che fanno più paura della morte. >>
Dopo pochi passi, Bran tirò istintivamente i capelli di Osha.
<< Ferma! >>
La ragazza si bloccò, girando su sé stessa.
<< E’ qui che ho visto mio padre. >> Bran aveva pronunciato quelle parole in un tremito. Cercò di intravedere qualcosa attraverso la fitta coltre di buio, il cuore che gli batteva all’impazzata. << E’ qui che mi ha portato il corvo con tre occhi. >>
Sembrava non esserci nulla, in effetti. Anche Osha gli confermò che non si vedeva nessuna persona viva, nessun uomo che si aggirasse per il cunicolo. << Tuo padre è ad Approdo del Re. Come vedi, piccolo Lord, era solamente un sogno. >>
Non fece in tempo a finire di parlare, che lanciò un urlo acuto che rimbombò per tutta la cripta.
Un lupo dalla mascella enorme era sbucato fuori dall’oscurità, ringhiando e mostrando i denti.
Bran, dopo l’iniziale spavento e il rischio di cadere dalle spalle di Osha, si ricompose in fretta. Avrebbe potuto riconoscere quel ringhio profondo tra mille altri, talmente era abituato ad ascoltarlo, di giorno come di notte. << Rickon, che accidenti fai qui? >>
Il lupo si zittì improvvisamente, mentre alle sue spalle compariva, resa indefinita dal buio, la sagoma di un bambino che non poteva avere più di cinque o sei anni.
<< Quel lupo dovrebbe essere legato e rinchiuso! >> sentì dire ad Osha, in un tono isterico che mai le aveva sentito usare.
<< Calma >> le fece Bran, scostandosi i capelli dagli occhi << è solo Rickon, mio fratello, con il suo meta-lupo. Rickon, perché sei quaggiù? Torna su, immediatamente! >>
Vedere suo fratello lì, nello stesso luogo dove era sceso lui, e nello stesso momento, causò a Bran una nuova inquietudine. Sentì in bocca, d’un tratto, un sapore strano, agro. Qualcosa di simile al sangue. E quando Rickon gli disse che era venuto a trovare il loro padre, perchè quella notte l’aveva visto là mentre dormiva, si sentì vacillare, malgrado non fosse in piedi e avesse ormai perso qualsiasi sensibilità nelle gambe.
Che fine aveva fatto il Bran che non aveva timore di nulla? Dove aveva smarrito la sicurezza in sé stesso che sempre l’aveva confortato? Deglutì, appendendosi al collo di Osha.
<< Vieni, Cagnaccio. >> sentì dire a Rickon, mentre si allontanava verso l’ingresso della cripta, seguito fedelmente dal meta-lupo.
<< Che razza di nome. Non avrebbe potuto trovargliene uno più appropriato. >> commentò la selvaggia, mentre il cunicolo ripiombava nel silenzio.
<< Anche mio fratello ha fatto il mio stesso sogno. >>
 

 
**********
 

 
Quando furono di nuovo davanti alla porta di ferro, e la varcarono ritornando all’aria aperta, Bran non era più sulle spalle di Osha. Adesso le era in braccio, con i piedi saldamente allacciati alla sua vita.
Per un attimo, gli sembrò quasi di essere tra le braccia di suo fratello Jon, o tra quelle meno forti ma più delicate di sua madre, Lady Stark. Era come se fosse con qualcuno della sua famiglia, e si chiese come potesse essere possibile. Quella giovane selvaggia aveva tentato di ucciderlo assieme ai suoi compagni. Se non fosse stato per Theon e il suo arco, gli avrebbero certamente tagliato la gola. Eppure, non riusciva a provare odio o rancore.
<< L’altra mattina, al Parco degli dei, tu hai detto che preghi. Per che cosa preghi? Che cosa desideri, più di tutto? >>
Osha alzò lo sguardo per riempirsi gli occhi della neve, che ormai cadeva abbondante.
<< Vuoi guardarmi dentro, ragazzo? Potrebbe non piacerti. >>
Bran rimase in silenzio per un attimo.
<< Io desidero, più di ogni altra cosa, rivedere tutta la mia famiglia. Credi che se ne parlerò davanti all’albero-diga, gli Dei mi ascolteranno? >>
<< Se lo desideri più di tutto, sì. Lo desideri più di riavere le tue gambe indietro? >>
Bran riflettè per un secondo, e vide davanti a sé, da una parte, una immagine di sé stesso che correva, saltava, camminava e si rotolava per terra. E dall’altra, il viso di suo padre.
<< Sì. >> disse, risoluto << Più di tutto. Ma il mio sogno….e quello di Rickon… >>
<< Vostro padre manca a tutti e due, è normale, piccolo Lord. Ma questo non significa che… >>
Bran non sentì mai Osha terminare la frase.
Davanti a loro, maestro Luwin era in piedi, il capo leggermente abbassato, le braccia abbandonate lungo i fianchi. La sua veste azzurro chiaro era quasi totalmente coperta da fiocchi di neve. Nei suoi occhi, però, non c’era la solita luce bonaria che Bran era abituato a vederci. Il suo sguardo era spento, come una torcia appena gettata nella neve fresca.
Bran sentì qualcosa all’interno del suo stomaco sciogliersi. Maestro Luwin aveva tra le mani un messaggio, che doveva essere appena stato recapitato. Istintivamente, strinse tra le dita la spalla di Osha.
<< Bran… >> fece Luwin, in un sospiro. << Ned Stark…>>
Lo sapeva.
Nessun sogno è mai solamente un sogno.*
Suo padre, Eddard Stark di Grande Inverno, era morto.
Chiuse gli occhi, e gridò il suo dolore senza aprire bocca, immaginando di scagliare finalmente una freccia contro il corvo dai tre occhi, e riuscire, infine, a neutralizzarlo, per sempre.
 
 


 

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* La citazione è tratta dal bellissimo film “Eyes wide shut” e a sua volta dal libro “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler… né il film né il racconto centrano nulla con Game of thrones, ma mi sembrava calzante inserirla!
 
 
   
 
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