Autore: Tuccin
Titolo: “The accidental husband”
Fandom: Chuck-Blair
Personaggi : Blair Waldorf, Chuck Bass, Louis Grimaldi. Nominati: Serena Van Der Woodsen, Nate
Archibald, Dan Humphrey, Principessa Sophie, Beatrice Grimaldi, Dorota, Eleanor
Waldorf, Cyrus Rose, Harold Waldorf, Arthur.
Genere: Introspettivo, romantico,
sentimentale.
Rating: Giallo
Note
dell’autore: Oneshot
ambientata nel futuro, ciò che ho scritto è frutto di speculazioni ma non ho
seguito l’andamento degli spoiler a oggi perché mi veniva difficile, sorry. Quindi la fic ha molto del “fantasioso”, spero di
essere rimasta IC. Sono presenti riferimenti fino all’episodio 5x01.
Introduzione: Blair scivolava sul marmo come
una nuvola, alternando uno sguardo alla punta bianca delle sue scarpe -
rivestite di seta lucida - e un’occhiata severa all’ambiente per accertarsi che
tutto fosse come desiderava.
The accidental husband
He and his mother
will have a lovely wedding in November… without a bride.
Quando Blair fece
scivolare il braccio sinistro in quello piegato del padre, la navata sembrava
infinita. Da dietro il velo da cattedrale
il mondo era a puntini bianchi e gli invitati, a centinaia, erano una massa di persone
indistinte. Le sembrava di trovarsi in uno spazio bianco di tempo indefinito,
dove tutto è fermo o si muove appena. Quando il pesante portone della chiesa si
chiuse alle sue spalle, sentì tutto il peso di quell’atmosfera confusa, vide
l’aria farsi opaca e l’odore dell’incenso le tappò il naso. Un passo lento dopo
l’altro e il chiacchiericcio degli ospiti si dissolse in un solenne silenzio. Blair
scivolava sul marmo come una nuvola, alternando uno sguardo alla punta bianca
delle sue scarpe - rivestite di seta lucida - e un’occhiata severa all’ambiente
per accertarsi che tutto fosse come desiderava. La pomposa marcia nuziale si
inserì in quel momento, scandendo i suoi passi e facendola sentire ancora più
tesa.
Fin da quando era bambina,
aveva immaginato quel giorno speciale: il suo sposo – senza un volto ben
definito - avrebbe avuto i capelli impomatati, il cilindro e il bastone, mentre
lei avrebbe indossato un abito bianco neve di Vera Wang. Lo sfarzoso
ricevimento si sarebbe tenuto nel giardino di un castello e, anche se sapeva
che a Manhattan non esistevano, sperava che il suo papà avrebbe fatto il
possibile per procurargliene uno. Con
l’andare avanti de tempo, quel giovane uomo che immaginava alto, elegante e
attraente, aveva preso le sembianze dolci di Nate: i capelli biondo cenere, gli
occhi chiarissimi e il sorriso brillante. Blair aveva poi imparato che nell’UES
era normale sposarsi più di una volta e avere conseguentemente più di un
marito, in più l’attrazione che Nate provava per Serena, l’aveva convinta a
lasciare aperta la possibilità che non fosse lui il suo sposo designato. Il
volto di Nate si era quindi offuscato di nuovo e, nelle sue rêverie, era rimasto
solo un rinfresco lussuoso, migliaia di fiori freschi e la sua migliore amica
Serena che, con i capelli rigorosamente raccolti in uno chignon, avrebbe
camminato a cinque metri di distanza reggendole lo strascico, perché lei, Blair
Waldorf, potesse essere la protagonista indiscussa della cerimonia. Poi Chuck
Bass le aveva fatto provare il vero amore, anche se non riusciva a immaginarlo
chiedere la sua mano - perché se c’era qualcuno che sembrava non avrebbe mai fatto
una proposta di matrimonio quello era lui; e si era detta che avrebbe coronato
il suo sogno romantico di sposarsi con un solo uomo e uno soltanto. Lui era
l’unico capace di farla arrossire con uno sguardo, di farle passare il mal di
testa baciandole la fronte e di portarla in braccio su per le scale. Il
matrimonio sarebbe stato organizzato in ogni dettaglio con cura e precisione,
un evento grandioso, splendente, dorato e perfetto.
Il matrimonio che aveva
davanti ai suoi occhi però era tutt’altro che perfetto. La prima cosa che la
colpì fu il cappello giallo primula di Beatrice Grimaldi.
Sua madre Eleanor, che
avrebbe dovuto portarlo per permettere a tutte le altre invitate di fare lo
stesso – come dettava l’etichetta dei matrimoni - aveva invece scelto di non indossarlo,
nonostante le insistenze di Blair. Era stato Cyrus a dare alla moglie quel
consiglio: Eleanor avrebbe potuto indossarlo alla cerimonia civile di Monaco,
fissata esattamente tre giorni dopo quella religiosa a NYC, perciò non c’era
motivo di essere eccessivamente pomposi.
Blair distolse gli
occhi da quell’accessorio irriverente e sospirò irritata: quella macchia gialla,
in mezzo a una distesa di teste scoperte, rovinava tutto e avrebbe voluto
interrompere la cerimonia solo per quello; inoltre lo sguardo ceruleo di
Beatrice era tutt’altro che benevolo. La sorella di Louis, le sorrideva sì, ma
in modo maligno. Da quando era arrivata a NYC, non aveva fatto altro che
ostentare la sua regalità, stupendo Blair con i suoi repentini cambi d’umore:
un giorno era dolce e accondiscendente, il giorno dopo acida e intransigente.
La seconda cosa che faceva
pensare a Blair che quel matrimonio non fosse perfetto, era dentro di lei: per
quanto fosse piccola e indubbiamente discreta, nascosta egregiamente da una
montagna di veli pregiatissimi, era lì. Il tempo delle nausee mattutine era
finito, ma in quell’istante, sentì lo stesso il suo stomaco rivoltarsi e avvertì
il salire disgustoso della saliva acida su per la gola. Non è così che dovrebbe essere, disse a se stessa, deglutendo con
ostinazione. Poi, riconobbe Serena vicino all’altare, composta e con un’espressione
contrita sul viso. Appena la bionda si accorse che Blair la stava osservando,
si lasciò andare a un sorriso sforzato, una pallida imitazione della solare
felicità che era capace di sprigionare solitamente. Serena si limitava a tenere
tristemente tra le mani un piccolo bouquet di fiori e il vestito verde mela, che
le cadeva addosso senza nessuna forma, nascondeva la sua seducente silhouette.
Le minions, in fila ordinatamente dietro di lei, indossavano una versione meno
esclusiva di quello stesso vestito, ostentando però sorrisi di plastica falsi e
invidiosi.
Ormai a un passo
dall’altare, il mondo di Blair smise di essere a puntini e diventò più nitido,
ma sempre liquido e opaco. I suoi occhi erano irrimediabilmente lucidi. Il velo
da cattedrale si alzò piano, scoprendole il viso. Sentì di sudare freddo e, la
terza e terribile falla di quel matrimonio, si aprì davanti ai suoi occhi: il
suo sposo non era Chuck Bass. Poteva capirlo dagli occhi color giada, dalla
fronte liscia e dal naso rotondo. Louis Grimaldi le stava sorridendo pimpante porgendole
una mano perché le loro dita si intrecciassero, come avevano provato mille
volte nei giorni precedenti.
Bastava solo
avvicinarsi ancora e pronunciare un “Sì” con decisione perché tutto tornasse
perfetto. Il cappellino di Beatrice poteva essere dimenticato, il senso di
nausea poteva essere eluso e un sorriso solare poteva comparire sul volto di
Serena, ma Blair sapeva che tutto questo non sarebbe bastato. Chuck non era
venuto alla cerimonia, ne era sicura, anche se avrebbe voluto voltarsi indietro,
verso gli invitati silenziosi, e accertarsene nuovamente. Continuava a sentire
quella voce roca e irrazionale che le sussurrava decisa: “Tu non sposerai nessun altro, tu sei mia”, ma sapeva che era solo
il pallido ricordo di una sera tragica in cui si era rotto un vetro. Disinfettandosi
il viso allo specchio, aveva deciso di non essere più sua e lui l’aveva
lasciata andare. Si maledì per averglielo lasciato fare: avrebbe dovuto aggrapparsi
alla sua camicia costosa, strattonarlo e dirgli di tenerla con sé, di non
lasciarla andare, di obbligarla a restare, ma non lo aveva fatto. Le sue gambe
l’avevano portata da Louis e la sua bocca aveva baciato delicatamente quella
sottile di lui: perché era più facile. Perché Louis la rendeva felice. A quel
pensiero si sentì quasi mancare e odiò sentire sulla sua mano, gelata dalla
agitazione, quella più calda del principe. Poi guardò in alto, verso la volta
dorata della cappella, e si chiese se non c’era altro posto dove voleva essere.
Si domandò se era davvero felice.
Se lo era chiesto anche
dieci giorni prima, da Two Little Red
Hens, mentre assaggiava nauseata le trentadue torte nuziali che la
pasticceria aveva selezionato per lei. Poi se lo era domandato di nuovo, mentre
accarezzava la carta di riso delle partecipazioni, e ancora, mentre la sarta di
corte le stringeva il corsetto fino a toglierle il respiro. Era un vestito che aveva
scelto, ma che non le piaceva e a cui aveva fatto fare mille modifiche, tra cui
quella dello scollo. La Principessa Sophie l’aveva commentato come l’abito più
disdicevole e inopportuno che avesse mai visto, trovando la scollatura oltremodo
generosa e audace. Blair si era sempre risposta, nonostante tutto, che la
felicità sarebbe arrivata, infondo tutte le principesse hanno gli occhi lucidi
di gioia e un sorriso delicato stampato sul viso, persino Charlene Wittstock aveva
quell’espressione. Doveva essere così.
Il prete stava
per cominciare la celebrazione, si schiarì la voce e aprì il libro sacro. Blair
fissò le pagine dal bordo dorato con sguardo assente, persa nella speranza che
forse il suo destino non era del tutto segnato. Sentiva dentro di lei una
strana frenesia come se le prudessero le mani, mentre i piedi non riuscivano a
stare fermi. Con la coda dell’occhio si guardò all’indietro, verso il mare di invitati
e vide che infondo alla navata c’era una luce. Il grande portone scuro della
chiesa non era ben chiuso e un flebile, ma bianco, raggio di sole entrava dalle
ante accostate male. Rimase per un lungo attimo a fissare quel chiarore,
realizzando piano piano che la sua fuga dall’oscurità l’aveva portata invece in
un posto tutt’altro che luminoso e che, fuori da lì, splendeva la luce.
Sollevata da
quella consapevolezza, fece scivolare via la mano da quella di Louis e fece
qualche passo all’indietro, come un gambero. Louis si accorse solo dopo qualche
attimo della sua manovra e Blair poté vedere l’allontanarsi graduale della nuca
del suo principe finché, decisa e temeraria, non gli voltò le spalle e si mise
a correre, raccogliendo a pugni stretti il vestito pomposo, tra la confusione
generale, mani che cercavano di fermarla, voci che la chiamavano… ma lei non
sentiva più nulla se non il suo cuore che batteva all’impazzata.
Quando spinse il
pesante portone e uscì alla luce, il sole le baciò il viso e spontaneamente
sorrise beata. Quella sensazione di spensieratezza e di felicità durò solo per
un istante: il sagrato della chiesa era colmo di persone, invitati, curiosi e
fotografi, qualcuno le tirò anche del riso che le arrivò addosso come una
pioggia dura e pungente. Superata la folla, la strada era trafficata e intasata
dalle limousine e dalle macchine di lusso parcheggiate in doppia fila, gli
autisti stavano appoggiati alle portiere fumando o leggendo il giornale. Blair
si guardò intorno in preda al panico: le auto suonavano i clacson impazzite e ingorghi
ingestibili tappavano la viabilità, le sembrava impossibile fuggire. Attraversò
selvaggiamente la strada agitando il braccio, vestito da una manica a sbuffo,
cercando di guadagnarsi un taxi in quel caos. Intanto tutta la chiesa si era
riversata fuori, da lontano poteva chiaramente identificare l’espressione
confusa di Nate - elegantissimo nel suo Armani - la paura negli occhi chiari di
Serena e lo sguardo incredulo di Dan. Sua madre con la mano davanti alla bocca
e un’espressione fortemente turbata, la principessa Sophie - austera nel suo
completo pastello - che gesticolava impazzita e Dorota probabilmente in
lacrime. Non riuscì però a vedere Louis e, il non sapere dove fosse, le faceva
temere che sarebbe potuto essere più vicino di quanto pensasse.
Angosciata,
sbracciò compulsivamente finché un taxi giallo non si fermò davanti a lei, quasi
travolgendola e spaventandola a morte. Non fece in tempo a protestare che
l’autista si sporse dal finestrino apostrofandola divertito: “Non crederà di
poter salire con quel vestito”. Blair spalancò la bocca sorpresa da tanta
impudenza: “Lei si limiti a guidare!” disse poi con voce stridula forzando la
maniglia della portiera e rimpiangendo di non aver preso una delle limousine
messe a disposizione per il matrimonio. “Mi dispiace, non la lascerò salire”
continuò il tassista “Faccia qualcosa per quel vestito! E’ una questione di
sicurezza” insistette puntandole contro un dito peloso.
Blair si guardò
attorno sconsolata, vagliando la possibilità di proseguire a piedi. Poi però si
accorse che Louis era riuscito a farsi largo tra la massa ed era in procinto di
raggiungerla, così si vide costretta a prendere una decisione drastica e
dolorosa. Con tutta la forza che aveva strappò le cuciture che tenevano insieme
la gonna vaporosa e lo strascico di cinque metri, le dita le facevano male e le
venivano le lacrime agli occhi per quello che stava facendo. Aveva sempre
creduto che non avrebbe mai rovinato un vestito in vita sua, sua madre le aveva
trasmesso fin dalla più tenera età la cura per le cose belle, soprattutto per
un tessuto di quel pregio. Liberatasi della coda del vestito, paonazza in volto
per lo sforzo, intimò l’autista: “Adesso apra immediatamente”. L’uomo ubbidì senza
aggiungere altro e le permise di entrare nell’abitacolo dell’auto. Una volta
chiusa la portiera con la sicura, Blair cercò si sistemarsi in modo da non
soccombere sotto la montagna di veli bianchi che, costretti in uno spazio ridotto,
si erano ammassati gonfiandosi come panna spray. Poi una mano lasciò un'impronta
sul vetro opaco del taxi. Era quella di Louis.
Blair non
riusciva a sentire cosa lui le stesse dicendo, si sentiva in uno stato
confusionale mai provato prima. Cercò di leggere il suo labiale ma riconobbe
solo delle sconnesse parole francesi. Si tolse dagli occhi un ciuffo di capelli
e si portò una mano al cuore turbata dall’espressione disperata del principe
che la guardava con gli occhi lucidi e i denti stretti dalla rabbia. La mano
sinistra di lui batteva sul vetro impaziente, spingendola ad aprire la
portiera. Si era allentato addirittura il farfallino bianco, tolto la giacca e
slacciato i gemelli: non l’aveva mai visto così scomposto e fuori di sè.
“La destinazione
prego!” ruggì il tassista “Prima che il suo amico mi spacchi il finestrino”
aggiunse estenuato da quella confusione. Blair appoggiò il palmo sul vetro, in
corrispondenza di quello di Louis, ancora premuto saldamente, e mimò un “mi
dispiace” con le labbra pallide e la morte negli occhi. Sentiva le parole
annodarsi in gola, ma poi finalmente riuscì a dire: “A Brooklyn”. Il taxi si
mise lentamente in moto strombazzando per farsi strada tra le altre auto. La
mano di Louis scivolò via dal vetro e il principe diventò un puntino lontano.
Sulla strada per Brooklyn, Blair si sciolse i capelli e si risistemò la
tiara sulla testa, liberandosi del velo e dei guanti bianchi. Il traffico
correva sul ponte e la sua mente era vuota. Non sapeva perché aveva scelto
quella meta, aveva parlato senza pensare, in modo automatico, come tutte le
volte che, in quei mesi, si era fatta portare al loft degli Humphrey. Raggiunta
una traversa familiare, Blair fece fermare il taxi e scese con fatica, facendo
ben attenzione che il vestito non rimanesse incastrato nella portiera. Guardò
mestamente le strade grigie e polverose, sul marciapiede volavano sacchetti di
plastica e i passanti non la degnavano di uno sguardo. Era stata sulla cover di
People, e Vogue Paris le aveva dedicato un inserto, ma nessuno
sembrava riconoscerla con il suo abito che occupava quasi tutto il marciapiede,
realizzò che nessuno leggeva i giornali dall’altra parte del ponte.
Non voleva incrociare la sua immagine nelle vetrine dei negozi, aveva paura
di ciò che avrebbe visto: il suo fallimento. Aveva sì una corona sulla testa,
ma non aveva più alcun valore. Non sarebbe diventata mai una principessa e
aveva spezzato il cuore di Louis, uno dei pochi uomini che era stato davvero
sincero con lei e che l’aveva trattata con estrema dolcezza e riguardo, viziandola,
come una bambola, proteggendola dal mondo, mentre lei – davanti a quello stesso
milione di persone – aveva saputo solo umiliarlo. Camminava piano e senza meta,
meditando sul da farsi. Non riusciva a provare pentimento per quello che aveva
fatto, ma non poteva fare a meno di sentire una febbrile inquietudine. Sarebbe
dovuta tornare a casa e affrontare le conseguenze della sua follia, ma non era
ancora pronta. Decise che avrebbe vagato ancora, con la mano appoggiata sul
ventre e lo sguardo perso.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, era in piedi dalle cinque
di quella mattina e il digiuno cominciava a farla sentire debole. Alzò lo
sguardo dall’asfalto cenere e vide Chuck Bass venire verso di lei, con il cane
al guinzaglio e la sua camminata baldanzosa. Era vestito d’azzurro e aveva un
fiorellino bianco all’occhiello. Lui l’aveva già notata da un po’, la fissava
con una strana curiosità negli occhi e un sorrisetto appena accennato sulle
labbra.
Blair cominciò a guardarsi intorno a disagio, fingendo indifferenza e
giocherellando con la gonna dell’abito, dondolando con vanità e imbarazzo.
Chuck non aveva mai avuto il coraggio di immaginarla vestita da sposa, ma aveva
una chiara idea di che lingerie avrebbe indossato sotto e, da come il seno di
lei spuntava fanatico da sotto il corpetto bianco, era sicuro di non sbagliare
quando la sognava stretta in un bustino bianco gesso e in delle calze
impalpabili, rette solo da un paio di gancetti. Il cane cominciò a tirare il
guinzaglio verso di lei e Chuck non poté che assecondarlo.
“Sua altezza serenissima a Brooklyn” la canzonò, armeggiando con il
laccio di pelle e stupendosi del tono sollevato e squillante della sua voce.
Solo quella mattina Chuck si era svegliato con la barba lunga e la
vestaglia viola appiccicata addosso, aveva lanciato a Nate uno sguardo torvo e
immediatamente aveva notato il fiocchetto verde mela appuntato sulla giacca
fresca di lavanderia. Quel dettaglio l’aveva nauseato al punto da versarsi
immediatamente un dito di scotch. Poi aveva ripreso in mano l’invito del
matrimonio e l’aveva archiviato insieme alle carte dell’Empire, come apologia
di tutti i suoi sbagli. Non avrebbe mai immaginato che, portando a spasso il
cane, l’avrebbe incontrata e vista sola.
Blair gli scaturiva un connubio di emozioni mai provate prima:
l’illusione, quasi certezza, in cui si crogiolava - che il matrimonio doveva
essere stato interrotto - e il pensiero che lei potesse soffrirne che lo
confondeva, rendendogli impossibile decifrare il suo sguardo. Non sapeva che
cosa le era successo e, il non avere controllo su di lei, gli faceva sentire un
groppo duro in gola. Blair gli sembrava sconvolta: la vide piegarsi per
accarezzare il cane e notò l’acconciatura disfatta, il vestito strappato e i
guanti spiegazzati. Anche il fondo dell’abito si era sporcato di grigio,
assumendo una sfumatura fumo.
Quando lei tornò in piedi, Chuck non resistette alla tentazione di
toglierle un chicco di riso che le era rimasto impigliato nei boccoli
selvaggiamente sciolti. Blair seguì con lo sguardo la mano che la sfiorava,
trattenendo il respiro: “Sono la principessa del popolo ricordi? Sono attenta
alla sofferenza dei miei sudditi” scherzò amaramente, con un sorrisetto sforzato,
sentendosi morire a pronunciare quelle parole; ma non sapeva dire che non era
più una principessa.
“Ho sempre pensato” cominciò Chuck guardando il cielo “che tu fossi una
regina…” lasciò in sospeso la frase, così platealmente adulatoria, ricordando
con piacere di tutte quelle volte che le aveva affibbiato quell’appellativo.
Blair era sempre stata regale e superba, come ogni spietata regina, e non
riusciva a spiegarsi come fosse arrivata a desiderare di diventare un’indifesa
principessa.
Blair gli lanciò uno sguardo riconoscente, come se quella consapevolezza
l’avesse confortata, più di ogni altra parola di consolazione. Stava per
sorridergli quando il suono del blackberry annunciò l’arrivo di un messaggio:
era un blast di Gossip Girl, quindi si limitò a indagare crucciata il viso di
Chuck cercando di intuire qualcosa e poi, vedendo la sua mascella irrigidirsi e
comparire sulla sua fronte un cipiglio scuro e risentito, non poté far altro
che avvicinarsi cautamente per dare un’occhiata allo schermo. Ci vide sé stessa
che sbracciava per prenotare un taxi e un breve e velenoso sunto di ciò che era
successo. La blogger aveva messo in piedi una caccia alla sposa. Blair e Chuck
si guardarono attorno sincronizzati, sospettosi di chiunque.
“Arthur”.
Chuck chiamò l’autista al vento con voce dispotica. L’uomo comparve dal
nulla: “Portalo a Prospect Park” ordinò porgendogli il guinzaglio e dando una
pacca affettuosa al cane. Arthur si allontanò velocemente e in modo discreto.
Blair guardò Chuck con il fiato sospeso attendendo che lui la prendesse per la
vita e la trascinasse via da lì. Così, quando sentì la mano di lui circondarle
il fianco, si lasciò andare morbida a quell’abbraccio e insieme si dileguarono
in una delle strade secondarie.
Blair non riusciva a tenere il passo lungo di Chuck, che la sosteneva
senza quasi farle toccare il suolo, e respirava ormai a fatica agitata da quel
trambusto, soffocata dall’aria afosa di quei vicoli grigi e accaldata dal quel
contatto ravvicinato. Se guardava in alto, poteva ancora vedere il cielo
coperto di nuvole luminose, bianche e arruffate come lana, ma non poteva non
sentirsi mancare l’aria. Dopo qualche minuto chiese: “Dove hai intenzione di
portarmi?”.
“Al Charles Place” rispose secco, come se fosse ovvio.
“Cosa?”
“E’ il posto più sicuro che io conosca” si giustificò con voce suadente
fermandosi.
Blair si allontanò da lui, facendo qualche incerto passo all’indietro,
finché non incontrò il muro. Lanciò uno sguardo oltre il vicolo e vide il
traffico delle macchine sfrecciare, solo qualche altro isolato e sarebbero
arrivati. Si appoggiò stravolta, portandosi una mano sul fianco e rimase zitta
per qualche minuto. Chuck, con la mano in tasca, attendeva di fronte a lei in
religioso silenzio. Era diverso tempo che non stavano da soli e l’imbarazzo era
palpabile.
“Louis mi aveva chiesto di mostrargli ogni parte di me, anche quelle di
cui mi vergognavo” ammise lei con un filo di voce spezzando il silenzio. Chuck
attese che continuasse, guardandola con la fronte corrugata e preparandosi a
essere ferito ancora una volta, non aveva dimenticato quando lei gli aveva
detto che preferiva annoiarsi che vergognarsi.
“Ma non l’ho mai fatto” disse Blair. “Vorrei non vergognarmi più, ma
sembra impossibile” aggiunse poco dopo facendo scivolare la mano sul ventre.
Chuck raccolse quel poco di fiato che gli era rimasto per dire,
mortificato: “Sono io…”
“No” lo interruppe subito Blair facendo un passo verso di lui “Io non
posso fare a meno di commettere atti vergognosi” quasi si lagnò biasimando se
stessa. Poi, in preda frenesia del momento prese la mano di Chuck e se la
premette forte sulla pancia. Lui restò immobile guardandola negli occhi.
“Aspetto un bambino. Avrei dovuto dirtelo.” sputò Blair senza mezzi
termini. “Non ti sembra altamente sconveniente tutto questo?” domandò poi
retoricamente, alzando il tono di voce e lasciando andare la mano.
Quella di Chuck, però, rimase lì: sembrava non ascoltarla più. Guardava
attonito verso il basso: “E’ mio…?” disse come se lo stesse realizzando in quel
momento. Si sentiva sotto shock. Avrebbe voluto farle mille domande, ma l’unica
cosa che riusciva a pensare era che erano bloccati a Brooklyn e stavano avendo
quella conversazione in un vicolo.
Blair annuì dolcemente con la bocca socchiusa. Vide gli occhi di Chuck
chiudersi e la sua mano forte muoversi sul suo vestito, come una carezza rozza
e incerta.
“Lo capirei se tu fossi arrabbiato” si arrischiò a dire.
“Lo sono” rispose pronto, riaprendo gli occhi in due fessure e
mostrando malcontento e delusione. Guardò verso la strada pieno di risentimento
prima di ribadire cocciuto “Andiamo all’hotel” e di riprenderla per la vita e
condurla verso l’incrocio.
“Chuck…” protestò Blair, fermandosi di nuovo e tirandolo per la giacca
“Per favore… ascoltami, mi dispiace” provò a riprendere la conversazione
scusandosi sentitamente, ma sembravano parole vuote. L’aveva visto arrabbiato
molte volte, ma questa sembrava la peggiore.
Per la prima volta si sentì consapevole di ciò che aveva fatto, delle
bugie che era stata costretta a dire: nascondere quel segreto per quei mesi
l’aveva resa quasi insensibile, come se vivesse in un mondo altro, dove il suo
bambino non esisteva, se non quando si era trovata a faccia in giù nel water
alle otto del mattino, oppure quando notava con disappunto che la lampo dei
vestiti saliva a fatica, stringendole la pancia e il seno più del solito. Era
stata così impegnata con il matrimonio reale, e la favola l’aveva così
assorbita, che voleva solo essere perdonata e capita; ma la realtà si rivelò
dura, il volto di Chuck aveva un’espressione ferma che la faceva vacillare. Per
questo due lacrime le scesero senza fatica sulle guance, ma ebbero vita breve:
Blair, caparbiamente, se le asciugò in un attimo.
Chuck si era sempre detto che il bagliore sprigionato da Blair doveva
essere quella polverina che le fatine spargono sulla testa delle fanciulle che
sposano il loro principe, credeva davvero di non avere alcun merito. Anzi, per
essere precisi, era convinto di adombrarla soltanto, eclissando la sua luce. Blair
invece era così luminosa, Chuck aveva notato quel cambiamento da qualche mese,
già dalle foto delle riviste patinate, ma in quel momento, a contrasto con il
vicolo grigio, le sembrò ancora più splendida. Non era solo per l’abito bianco
che avrebbe accecato chiunque, ma per le guance naturalmente rosate, gli occhi
vivaci, le forme più piene e tonde. Scoprire che poteva essere stato lui, a
darle quella vitalità, lo faceva stare bene. Non riusciva però a non essere
scosso da quella notizia e si chiese come avrebbe potuto perdonarla per aver
taciuto e per essersi quasi sposata pur sapendo di aspettare un figlio da lui.
“Chuck…” ricominciò Blair con voce supplichevole e mielosa “So che sarà
difficile, ma ora sono tua…”.
Chuck le lanciò uno sguardo estatico, stringendola con più decisione,
senza volerlo. La confusione gli rendeva impossibile rimanere freddo e
distaccato.
“Noi siamo tuoi…” si corresse lei subito dopo, abbozzando un
sorrisetto che lui percepì come seduttivo e trepidante, non potendo fare altro
che diminuire la lontananza tra i loro nasi. Blair chiuse le palpebre
lievemente truccate e dischiuse la bocca pronta per essere baciata.
Chuck resistette qualche secondo, respirandole addosso, incapace di non
cedere alla tentazione. Le forme di lei, costrette nell’abito da sposa, erano
invitanti quanto proibite, pensò che non avrebbe dovuto lasciarsi andare a
nessun tipo di dolcezza, lei lo aveva ingannato. Non sapeva rinunciare però a
qualcosa che desiderava, tanto più se questa si dichiarava cosa sua. Finalmente
capì cosa aveva cercato di provare facendo lo spericolato in ogni modo
possibile: era quella sensazione intensa che lo faceva fremere. Non era servito
lanciarsi da un palazzo come uno stuntman o guidare pericolosamente una moto
supersportiva. Non era vero che Chuck Bass non ha paura di nulla: il suo
inferno era lì davanti a lui, erano le labbra gonfie di Blair, il suo viso in
attesa, il suo offrirsi vulnerabile: niente lo avrebbe più fatto sentire vivo.
Spingersi temerario al limite della morte non gli avrebbe mai dato la stessa la
sconvolgente emozione. Ora lo sapeva.
Così, dopo un lungo attimo di esitazione, la baciò facendo scivolare la
mano sul suo ventre: lì, dove aveva scoperto racchiudersi la vita che
aveva tanto cercato.
***