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Autore: Tuccin    01/10/2011    19 recensioni
Raccolta di one shot Chuck/Blair.
1. The accidental husband // Blair scivolava sul marmo come una nuvola, alternando uno sguardo alla punta bianca delle sue scarpe - rivestite di seta lucida - e un’occhiata severa all’ambiente per accertarsi che tutto fosse come desiderava.
2. Love doesn’t just disappear // Ripensò a quando Chuck le aveva confessato di aver abbandonato il suo anello su un freddo e inospitale gradino di fronte al negozio di Harry Winston. Un’insolita tomba per un così profondo e bruciante amore.
3. Eyes Wild Shut // Chuck non aveva avuto il coraggio di guardarla in viso mentre, pazzamente, aveva condotto la sua mano verso il basso, lì dove un sapiente spacco, nel tessuto arancione, indicava ciò che di più segreto e più dolce aveva Blair.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Quasi tutti | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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Autore: Tuccin

Titolo: “The accidental husband

Fandom: Chuck-Blair

Personaggi : Blair Waldorf, Chuck Bass, Louis Grimaldi. Nominati: Serena Van Der Woodsen, Nate Archibald, Dan Humphrey, Principessa Sophie, Beatrice Grimaldi, Dorota, Eleanor Waldorf, Cyrus Rose, Harold Waldorf, Arthur.

Genere: Introspettivo, romantico, sentimentale.

Rating: Giallo

Note dell’autore: Oneshot ambientata nel futuro, ciò che ho scritto è frutto di speculazioni ma non ho seguito l’andamento degli spoiler a oggi perché mi veniva difficile, sorry. Quindi la fic ha molto del “fantasioso”, spero di essere rimasta IC. Sono presenti riferimenti fino all’episodio 5x01.

Introduzione: Blair scivolava sul marmo come una nuvola, alternando uno sguardo alla punta bianca delle sue scarpe - rivestite di seta lucida - e un’occhiata severa all’ambiente per accertarsi che tutto fosse come desiderava.

 

 

The accidental husband

He and his mother will have a lovely wedding in November… without a bride.

 

Quando Blair fece scivolare il braccio sinistro in quello piegato del padre, la navata sembrava infinita. Da dietro il velo da cattedrale il mondo era a puntini bianchi e gli invitati, a centinaia, erano una massa di persone indistinte. Le sembrava di trovarsi in uno spazio bianco di tempo indefinito, dove tutto è fermo o si muove appena. Quando il pesante portone della chiesa si chiuse alle sue spalle, sentì tutto il peso di quell’atmosfera confusa, vide l’aria farsi opaca e l’odore dell’incenso le tappò il naso. Un passo lento dopo l’altro e il chiacchiericcio degli ospiti si dissolse in un solenne silenzio. Blair scivolava sul marmo come una nuvola, alternando uno sguardo alla punta bianca delle sue scarpe - rivestite di seta lucida - e un’occhiata severa all’ambiente per accertarsi che tutto fosse come desiderava. La pomposa marcia nuziale si inserì in quel momento, scandendo i suoi passi e facendola sentire ancora più tesa.

Fin da quando era bambina, aveva immaginato quel giorno speciale: il suo sposo – senza un volto ben definito - avrebbe avuto i capelli impomatati, il cilindro e il bastone, mentre lei avrebbe indossato un abito bianco neve di Vera Wang. Lo sfarzoso ricevimento si sarebbe tenuto nel giardino di un castello e, anche se sapeva che a Manhattan non esistevano, sperava che il suo papà avrebbe fatto il possibile per procurargliene uno. Con l’andare avanti de tempo, quel giovane uomo che immaginava alto, elegante e attraente, aveva preso le sembianze dolci di Nate: i capelli biondo cenere, gli occhi chiarissimi e il sorriso brillante. Blair aveva poi imparato che nell’UES era normale sposarsi più di una volta e avere conseguentemente più di un marito, in più l’attrazione che Nate provava per Serena, l’aveva convinta a lasciare aperta la possibilità che non fosse lui il suo sposo designato. Il volto di Nate si era quindi offuscato di nuovo e, nelle sue rêverie, era rimasto solo un rinfresco lussuoso, migliaia di fiori freschi e la sua migliore amica Serena che, con i capelli rigorosamente raccolti in uno chignon, avrebbe camminato a cinque metri di distanza reggendole lo strascico, perché lei, Blair Waldorf, potesse essere la protagonista indiscussa della cerimonia. Poi Chuck Bass le aveva fatto provare il vero amore, anche se non riusciva a immaginarlo chiedere la sua mano - perché se c’era qualcuno che sembrava non avrebbe mai fatto una proposta di matrimonio quello era lui; e si era detta che avrebbe coronato il suo sogno romantico di sposarsi con un solo uomo e uno soltanto. Lui era l’unico capace di farla arrossire con uno sguardo, di farle passare il mal di testa baciandole la fronte e di portarla in braccio su per le scale. Il matrimonio sarebbe stato organizzato in ogni dettaglio con cura e precisione, un evento grandioso, splendente, dorato e perfetto.

Il matrimonio che aveva davanti ai suoi occhi però era tutt’altro che perfetto. La prima cosa che la colpì fu il cappello giallo primula di Beatrice Grimaldi.

Sua madre Eleanor, che avrebbe dovuto portarlo per permettere a tutte le altre invitate di fare lo stesso – come dettava l’etichetta dei matrimoni - aveva invece scelto di non indossarlo, nonostante le insistenze di Blair. Era stato Cyrus a dare alla moglie quel consiglio: Eleanor avrebbe potuto indossarlo alla cerimonia civile di Monaco, fissata esattamente tre giorni dopo quella religiosa a NYC, perciò non c’era motivo di essere eccessivamente pomposi.

Blair distolse gli occhi da quell’accessorio irriverente e sospirò irritata: quella macchia gialla, in mezzo a una distesa di teste scoperte, rovinava tutto e avrebbe voluto interrompere la cerimonia solo per quello; inoltre lo sguardo ceruleo di Beatrice era tutt’altro che benevolo. La sorella di Louis, le sorrideva sì, ma in modo maligno. Da quando era arrivata a NYC, non aveva fatto altro che ostentare la sua regalità, stupendo Blair con i suoi repentini cambi d’umore: un giorno era dolce e accondiscendente, il giorno dopo acida e intransigente.

La seconda cosa che faceva pensare a Blair che quel matrimonio non fosse perfetto, era dentro di lei: per quanto fosse piccola e indubbiamente discreta, nascosta egregiamente da una montagna di veli pregiatissimi, era lì. Il tempo delle nausee mattutine era finito, ma in quell’istante, sentì lo stesso il suo stomaco rivoltarsi e avvertì il salire disgustoso della saliva acida su per la gola. Non è così che dovrebbe essere, disse a se stessa, deglutendo con ostinazione. Poi, riconobbe Serena vicino all’altare, composta e con un’espressione contrita sul viso. Appena la bionda si accorse che Blair la stava osservando, si lasciò andare a un sorriso sforzato, una pallida imitazione della solare felicità che era capace di sprigionare solitamente. Serena si limitava a tenere tristemente tra le mani un piccolo bouquet di fiori e il vestito verde mela, che le cadeva addosso senza nessuna forma, nascondeva la sua seducente silhouette. Le minions, in fila ordinatamente dietro di lei, indossavano una versione meno esclusiva di quello stesso vestito, ostentando però sorrisi di plastica falsi e invidiosi.

Ormai a un passo dall’altare, il mondo di Blair smise di essere a puntini e diventò più nitido, ma sempre liquido e opaco. I suoi occhi erano irrimediabilmente lucidi. Il velo da cattedrale si alzò piano, scoprendole il viso. Sentì di sudare freddo e, la terza e terribile falla di quel matrimonio, si aprì davanti ai suoi occhi: il suo sposo non era Chuck Bass. Poteva capirlo dagli occhi color giada, dalla fronte liscia e dal naso rotondo. Louis Grimaldi le stava sorridendo pimpante porgendole una mano perché le loro dita si intrecciassero, come avevano provato mille volte nei giorni precedenti.

Bastava solo avvicinarsi ancora e pronunciare un “Sì” con decisione perché tutto tornasse perfetto. Il cappellino di Beatrice poteva essere dimenticato, il senso di nausea poteva essere eluso e un sorriso solare poteva comparire sul volto di Serena, ma Blair sapeva che tutto questo non sarebbe bastato. Chuck non era venuto alla cerimonia, ne era sicura, anche se avrebbe voluto voltarsi indietro, verso gli invitati silenziosi, e accertarsene nuovamente. Continuava a sentire quella voce roca e irrazionale che le sussurrava decisa: “Tu non sposerai nessun altro, tu sei mia”, ma sapeva che era solo il pallido ricordo di una sera tragica in cui si era rotto un vetro. Disinfettandosi il viso allo specchio, aveva deciso di non essere più sua e lui l’aveva lasciata andare. Si maledì per averglielo lasciato fare: avrebbe dovuto aggrapparsi alla sua camicia costosa, strattonarlo e dirgli di tenerla con sé, di non lasciarla andare, di obbligarla a restare, ma non lo aveva fatto. Le sue gambe l’avevano portata da Louis e la sua bocca aveva baciato delicatamente quella sottile di lui: perché era più facile. Perché Louis la rendeva felice. A quel pensiero si sentì quasi mancare e odiò sentire sulla sua mano, gelata dalla agitazione, quella più calda del principe. Poi guardò in alto, verso la volta dorata della cappella, e si chiese se non c’era altro posto dove voleva essere. Si domandò se era davvero felice.

Se lo era chiesto anche dieci giorni prima, da Two Little Red Hens, mentre assaggiava nauseata le trentadue torte nuziali che la pasticceria aveva selezionato per lei. Poi se lo era domandato di nuovo, mentre accarezzava la carta di riso delle partecipazioni, e ancora, mentre la sarta di corte le stringeva il corsetto fino a toglierle il respiro. Era un vestito che aveva scelto, ma che non le piaceva e a cui aveva fatto fare mille modifiche, tra cui quella dello scollo. La Principessa Sophie l’aveva commentato come l’abito più disdicevole e inopportuno che avesse mai visto, trovando la scollatura oltremodo generosa e audace. Blair si era sempre risposta, nonostante tutto, che la felicità sarebbe arrivata, infondo tutte le principesse hanno gli occhi lucidi di gioia e un sorriso delicato stampato sul viso, persino Charlene Wittstock aveva quell’espressione. Doveva essere così.

Il prete stava per cominciare la celebrazione, si schiarì la voce e aprì il libro sacro. Blair fissò le pagine dal bordo dorato con sguardo assente, persa nella speranza che forse il suo destino non era del tutto segnato. Sentiva dentro di lei una strana frenesia come se le prudessero le mani, mentre i piedi non riuscivano a stare fermi. Con la coda dell’occhio si guardò all’indietro, verso il mare di invitati e vide che infondo alla navata c’era una luce. Il grande portone scuro della chiesa non era ben chiuso e un flebile, ma bianco, raggio di sole entrava dalle ante accostate male. Rimase per un lungo attimo a fissare quel chiarore, realizzando piano piano che la sua fuga dall’oscurità l’aveva portata invece in un posto tutt’altro che luminoso e che, fuori da lì, splendeva la luce.

Sollevata da quella consapevolezza, fece scivolare via la mano da quella di Louis e fece qualche passo all’indietro, come un gambero. Louis si accorse solo dopo qualche attimo della sua manovra e Blair poté vedere l’allontanarsi graduale della nuca del suo principe finché, decisa e temeraria, non gli voltò le spalle e si mise a correre, raccogliendo a pugni stretti il vestito pomposo, tra la confusione generale, mani che cercavano di fermarla, voci che la chiamavano… ma lei non sentiva più nulla se non il suo cuore che batteva all’impazzata.

Quando spinse il pesante portone e uscì alla luce, il sole le baciò il viso e spontaneamente sorrise beata. Quella sensazione di spensieratezza e di felicità durò solo per un istante: il sagrato della chiesa era colmo di persone, invitati, curiosi e fotografi, qualcuno le tirò anche del riso che le arrivò addosso come una pioggia dura e pungente. Superata la folla, la strada era trafficata e intasata dalle limousine e dalle macchine di lusso parcheggiate in doppia fila, gli autisti stavano appoggiati alle portiere fumando o leggendo il giornale. Blair si guardò intorno in preda al panico: le auto suonavano i clacson impazzite e ingorghi ingestibili tappavano la viabilità, le sembrava impossibile fuggire. Attraversò selvaggiamente la strada agitando il braccio, vestito da una manica a sbuffo, cercando di guadagnarsi un taxi in quel caos. Intanto tutta la chiesa si era riversata fuori, da lontano poteva chiaramente identificare l’espressione confusa di Nate - elegantissimo nel suo Armani - la paura negli occhi chiari di Serena e lo sguardo incredulo di Dan. Sua madre con la mano davanti alla bocca e un’espressione fortemente turbata, la principessa Sophie - austera nel suo completo pastello - che gesticolava impazzita e Dorota probabilmente in lacrime. Non riuscì però a vedere Louis e, il non sapere dove fosse, le faceva temere che sarebbe potuto essere più vicino di quanto pensasse.

Angosciata, sbracciò compulsivamente finché un taxi giallo non si fermò davanti a lei, quasi travolgendola e spaventandola a morte. Non fece in tempo a protestare che l’autista si sporse dal finestrino apostrofandola divertito: “Non crederà di poter salire con quel vestito”. Blair spalancò la bocca sorpresa da tanta impudenza: “Lei si limiti a guidare!” disse poi con voce stridula forzando la maniglia della portiera e rimpiangendo di non aver preso una delle limousine messe a disposizione per il matrimonio. “Mi dispiace, non la lascerò salire” continuò il tassista “Faccia qualcosa per quel vestito! E’ una questione di sicurezza” insistette puntandole contro un dito peloso.

Blair si guardò attorno sconsolata, vagliando la possibilità di proseguire a piedi. Poi però si accorse che Louis era riuscito a farsi largo tra la massa ed era in procinto di raggiungerla, così si vide costretta a prendere una decisione drastica e dolorosa. Con tutta la forza che aveva strappò le cuciture che tenevano insieme la gonna vaporosa e lo strascico di cinque metri, le dita le facevano male e le venivano le lacrime agli occhi per quello che stava facendo. Aveva sempre creduto che non avrebbe mai rovinato un vestito in vita sua, sua madre le aveva trasmesso fin dalla più tenera età la cura per le cose belle, soprattutto per un tessuto di quel pregio. Liberatasi della coda del vestito, paonazza in volto per lo sforzo, intimò l’autista: “Adesso apra immediatamente”. L’uomo ubbidì senza aggiungere altro e le permise di entrare nell’abitacolo dell’auto. Una volta chiusa la portiera con la sicura, Blair cercò si sistemarsi in modo da non soccombere sotto la montagna di veli bianchi che, costretti in uno spazio ridotto, si erano ammassati gonfiandosi come panna spray. Poi una mano lasciò un'impronta sul vetro opaco del taxi. Era quella di Louis.

Blair non riusciva a sentire cosa lui le stesse dicendo, si sentiva in uno stato confusionale mai provato prima. Cercò di leggere il suo labiale ma riconobbe solo delle sconnesse parole francesi. Si tolse dagli occhi un ciuffo di capelli e si portò una mano al cuore turbata dall’espressione disperata del principe che la guardava con gli occhi lucidi e i denti stretti dalla rabbia. La mano sinistra di lui batteva sul vetro impaziente, spingendola ad aprire la portiera. Si era allentato addirittura il farfallino bianco, tolto la giacca e slacciato i gemelli: non l’aveva mai visto così scomposto e fuori di sè.

“La destinazione prego!” ruggì il tassista “Prima che il suo amico mi spacchi il finestrino” aggiunse estenuato da quella confusione. Blair appoggiò il palmo sul vetro, in corrispondenza di quello di Louis, ancora premuto saldamente, e mimò un “mi dispiace” con le labbra pallide e la morte negli occhi. Sentiva le parole annodarsi in gola, ma poi finalmente riuscì a dire: “A Brooklyn”. Il taxi si mise lentamente in moto strombazzando per farsi strada tra le altre auto. La mano di Louis scivolò via dal vetro e il principe diventò un puntino lontano.

Sulla strada per Brooklyn, Blair si sciolse i capelli e si risistemò la tiara sulla testa, liberandosi del velo e dei guanti bianchi. Il traffico correva sul ponte e la sua mente era vuota. Non sapeva perché aveva scelto quella meta, aveva parlato senza pensare, in modo automatico, come tutte le volte che, in quei mesi, si era fatta portare al loft degli Humphrey. Raggiunta una traversa familiare, Blair fece fermare il taxi e scese con fatica, facendo ben attenzione che il vestito non rimanesse incastrato nella portiera. Guardò mestamente le strade grigie e polverose, sul marciapiede volavano sacchetti di plastica e i passanti non la degnavano di uno sguardo. Era stata sulla cover di People, e Vogue Paris le aveva dedicato un inserto, ma nessuno sembrava riconoscerla con il suo abito che occupava quasi tutto il marciapiede, realizzò che nessuno leggeva i giornali dall’altra parte del ponte.

Non voleva incrociare la sua immagine nelle vetrine dei negozi, aveva paura di ciò che avrebbe visto: il suo fallimento. Aveva sì una corona sulla testa, ma non aveva più alcun valore. Non sarebbe diventata mai una principessa e aveva spezzato il cuore di Louis, uno dei pochi uomini che era stato davvero sincero con lei e che l’aveva trattata con estrema dolcezza e riguardo, viziandola, come una bambola, proteggendola dal mondo, mentre lei – davanti a quello stesso milione di persone – aveva saputo solo umiliarlo. Camminava piano e senza meta, meditando sul da farsi. Non riusciva a provare pentimento per quello che aveva fatto, ma non poteva fare a meno di sentire una febbrile inquietudine. Sarebbe dovuta tornare a casa e affrontare le conseguenze della sua follia, ma non era ancora pronta. Decise che avrebbe vagato ancora, con la mano appoggiata sul ventre e lo sguardo perso.

Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, era in piedi dalle cinque di quella mattina e il digiuno cominciava a farla sentire debole. Alzò lo sguardo dall’asfalto cenere e vide Chuck Bass venire verso di lei, con il cane al guinzaglio e la sua camminata baldanzosa. Era vestito d’azzurro e aveva un fiorellino bianco all’occhiello. Lui l’aveva già notata da un po’, la fissava con una strana curiosità negli occhi e un sorrisetto appena accennato sulle labbra.

Blair cominciò a guardarsi intorno a disagio, fingendo indifferenza e giocherellando con la gonna dell’abito, dondolando con vanità e imbarazzo. Chuck non aveva mai avuto il coraggio di immaginarla vestita da sposa, ma aveva una chiara idea di che lingerie avrebbe indossato sotto e, da come il seno di lei spuntava fanatico da sotto il corpetto bianco, era sicuro di non sbagliare quando la sognava stretta in un bustino bianco gesso e in delle calze impalpabili, rette solo da un paio di gancetti. Il cane cominciò a tirare il guinzaglio verso di lei e Chuck non poté che assecondarlo.

“Sua altezza serenissima a Brooklyn” la canzonò, armeggiando con il laccio di pelle e stupendosi del tono sollevato e squillante della sua voce.

Solo quella mattina Chuck si era svegliato con la barba lunga e la vestaglia viola appiccicata addosso, aveva lanciato a Nate uno sguardo torvo e immediatamente aveva notato il fiocchetto verde mela appuntato sulla giacca fresca di lavanderia. Quel dettaglio l’aveva nauseato al punto da versarsi immediatamente un dito di scotch. Poi aveva ripreso in mano l’invito del matrimonio e l’aveva archiviato insieme alle carte dell’Empire, come apologia di tutti i suoi sbagli. Non avrebbe mai immaginato che, portando a spasso il cane, l’avrebbe incontrata e vista sola.

Blair gli scaturiva un connubio di emozioni mai provate prima: l’illusione, quasi certezza, in cui si crogiolava - che il matrimonio doveva essere stato interrotto - e il pensiero che lei potesse soffrirne che lo confondeva, rendendogli impossibile decifrare il suo sguardo. Non sapeva che cosa le era successo e, il non avere controllo su di lei, gli faceva sentire un groppo duro in gola. Blair gli sembrava sconvolta: la vide piegarsi per accarezzare il cane e notò l’acconciatura disfatta, il vestito strappato e i guanti spiegazzati. Anche il fondo dell’abito si era sporcato di grigio, assumendo una sfumatura fumo.

Quando lei tornò in piedi, Chuck non resistette alla tentazione di toglierle un chicco di riso che le era rimasto impigliato nei boccoli selvaggiamente sciolti. Blair seguì con lo sguardo la mano che la sfiorava, trattenendo il respiro: “Sono la principessa del popolo ricordi? Sono attenta alla sofferenza dei miei sudditi” scherzò amaramente, con un sorrisetto sforzato, sentendosi morire a pronunciare quelle parole; ma non sapeva dire che non era più una principessa.

“Ho sempre pensato” cominciò Chuck guardando il cielo “che tu fossi una regina…” lasciò in sospeso la frase, così platealmente adulatoria, ricordando con piacere di tutte quelle volte che le aveva affibbiato quell’appellativo. Blair era sempre stata regale e superba, come ogni spietata regina, e non riusciva a spiegarsi come fosse arrivata a desiderare di diventare un’indifesa principessa.

Blair gli lanciò uno sguardo riconoscente, come se quella consapevolezza l’avesse confortata, più di ogni altra parola di consolazione. Stava per sorridergli quando il suono del blackberry annunciò l’arrivo di un messaggio: era un blast di Gossip Girl, quindi si limitò a indagare crucciata il viso di Chuck cercando di intuire qualcosa e poi, vedendo la sua mascella irrigidirsi e comparire sulla sua fronte un cipiglio scuro e risentito, non poté far altro che avvicinarsi cautamente per dare un’occhiata allo schermo. Ci vide sé stessa che sbracciava per prenotare un taxi e un breve e velenoso sunto di ciò che era successo. La blogger aveva messo in piedi una caccia alla sposa. Blair e Chuck si guardarono attorno sincronizzati, sospettosi di chiunque.

“Arthur”.

Chuck chiamò l’autista al vento con voce dispotica. L’uomo comparve dal nulla: “Portalo a Prospect Park” ordinò porgendogli il guinzaglio e dando una pacca affettuosa al cane. Arthur si allontanò velocemente e in modo discreto. Blair guardò Chuck con il fiato sospeso attendendo che lui la prendesse per la vita e la trascinasse via da lì. Così, quando sentì la mano di lui circondarle il fianco, si lasciò andare morbida a quell’abbraccio e insieme si dileguarono in una delle strade secondarie.

Blair non riusciva a tenere il passo lungo di Chuck, che la sosteneva senza quasi farle toccare il suolo, e respirava ormai a fatica agitata da quel trambusto, soffocata dall’aria afosa di quei vicoli grigi e accaldata dal quel contatto ravvicinato. Se guardava in alto, poteva ancora vedere il cielo coperto di nuvole luminose, bianche e arruffate come lana, ma non poteva non sentirsi mancare l’aria. Dopo qualche minuto chiese: “Dove hai intenzione di portarmi?”.

“Al Charles Place” rispose secco, come se fosse ovvio.

“Cosa?”

“E’ il posto più sicuro che io conosca” si giustificò con voce suadente fermandosi.

Blair si allontanò da lui, facendo qualche incerto passo all’indietro, finché non incontrò il muro. Lanciò uno sguardo oltre il vicolo e vide il traffico delle macchine sfrecciare, solo qualche altro isolato e sarebbero arrivati. Si appoggiò stravolta, portandosi una mano sul fianco e rimase zitta per qualche minuto. Chuck, con la mano in tasca, attendeva di fronte a lei in religioso silenzio. Era diverso tempo che non stavano da soli e l’imbarazzo era palpabile.

“Louis mi aveva chiesto di mostrargli ogni parte di me, anche quelle di cui mi vergognavo” ammise lei con un filo di voce spezzando il silenzio. Chuck attese che continuasse, guardandola con la fronte corrugata e preparandosi a essere ferito ancora una volta, non aveva dimenticato quando lei gli aveva detto che preferiva annoiarsi che vergognarsi.

“Ma non l’ho mai fatto” disse Blair. “Vorrei non vergognarmi più, ma sembra impossibile” aggiunse poco dopo facendo scivolare la mano sul ventre.

Chuck raccolse quel poco di fiato che gli era rimasto per dire, mortificato: “Sono io…”

“No” lo interruppe subito Blair facendo un passo verso di lui “Io non posso fare a meno di commettere atti vergognosi” quasi si lagnò biasimando se stessa. Poi, in preda frenesia del momento prese la mano di Chuck e se la premette forte sulla pancia. Lui restò immobile guardandola negli occhi.

“Aspetto un bambino. Avrei dovuto dirtelo.” sputò Blair senza mezzi termini. “Non ti sembra altamente sconveniente tutto questo?” domandò poi retoricamente, alzando il tono di voce e lasciando andare la mano.

Quella di Chuck, però, rimase lì: sembrava non ascoltarla più. Guardava attonito verso il basso: “E’ mio…?” disse come se lo stesse realizzando in quel momento. Si sentiva sotto shock. Avrebbe voluto farle mille domande, ma l’unica cosa che riusciva a pensare era che erano bloccati a Brooklyn e stavano avendo quella conversazione in un vicolo.

Blair annuì dolcemente con la bocca socchiusa. Vide gli occhi di Chuck chiudersi e la sua mano forte muoversi sul suo vestito, come una carezza rozza e incerta.

“Lo capirei se tu fossi arrabbiato” si arrischiò a dire.

“Lo sono” rispose pronto, riaprendo gli occhi in due fessure e mostrando malcontento e delusione. Guardò verso la strada pieno di risentimento prima di ribadire cocciuto “Andiamo all’hotel” e di riprenderla per la vita e condurla verso l’incrocio.

“Chuck…” protestò Blair, fermandosi di nuovo e tirandolo per la giacca “Per favore… ascoltami, mi dispiace” provò a riprendere la conversazione scusandosi sentitamente, ma sembravano parole vuote. L’aveva visto arrabbiato molte volte, ma questa sembrava la peggiore.

Per la prima volta si sentì consapevole di ciò che aveva fatto, delle bugie che era stata costretta a dire: nascondere quel segreto per quei mesi l’aveva resa quasi insensibile, come se vivesse in un mondo altro, dove il suo bambino non esisteva, se non quando si era trovata a faccia in giù nel water alle otto del mattino, oppure quando notava con disappunto che la lampo dei vestiti saliva a fatica, stringendole la pancia e il seno più del solito. Era stata così impegnata con il matrimonio reale, e la favola l’aveva così assorbita, che voleva solo essere perdonata e capita; ma la realtà si rivelò dura, il volto di Chuck aveva un’espressione ferma che la faceva vacillare. Per questo due lacrime le scesero senza fatica sulle guance, ma ebbero vita breve: Blair, caparbiamente, se le asciugò in un attimo.

Chuck si era sempre detto che il bagliore sprigionato da Blair doveva essere quella polverina che le fatine spargono sulla testa delle fanciulle che sposano il loro principe, credeva davvero di non avere alcun merito. Anzi, per essere precisi, era convinto di adombrarla soltanto, eclissando la sua luce. Blair invece era così luminosa, Chuck aveva notato quel cambiamento da qualche mese, già dalle foto delle riviste patinate, ma in quel momento, a contrasto con il vicolo grigio, le sembrò ancora più splendida. Non era solo per l’abito bianco che avrebbe accecato chiunque, ma per le guance naturalmente rosate, gli occhi vivaci, le forme più piene e tonde. Scoprire che poteva essere stato lui, a darle quella vitalità, lo faceva stare bene. Non riusciva però a non essere scosso da quella notizia e si chiese come avrebbe potuto perdonarla per aver taciuto e per essersi quasi sposata pur sapendo di aspettare un figlio da lui.

“Chuck…” ricominciò Blair con voce supplichevole e mielosa “So che sarà difficile, ma ora sono tua…”.

Chuck le lanciò uno sguardo estatico, stringendola con più decisione, senza volerlo. La confusione gli rendeva impossibile rimanere freddo e distaccato.

Noi siamo tuoi…” si corresse lei subito dopo, abbozzando un sorrisetto che lui percepì come seduttivo e trepidante, non potendo fare altro che diminuire la lontananza tra i loro nasi. Blair chiuse le palpebre lievemente truccate e dischiuse la bocca pronta per essere baciata.

Chuck resistette qualche secondo, respirandole addosso, incapace di non cedere alla tentazione. Le forme di lei, costrette nell’abito da sposa, erano invitanti quanto proibite, pensò che non avrebbe dovuto lasciarsi andare a nessun tipo di dolcezza, lei lo aveva ingannato. Non sapeva rinunciare però a qualcosa che desiderava, tanto più se questa si dichiarava cosa sua. Finalmente capì cosa aveva cercato di provare facendo lo spericolato in ogni modo possibile: era quella sensazione intensa che lo faceva fremere. Non era servito lanciarsi da un palazzo come uno stuntman o guidare pericolosamente una moto supersportiva. Non era vero che Chuck Bass non ha paura di nulla: il suo inferno era lì davanti a lui, erano le labbra gonfie di Blair, il suo viso in attesa, il suo offrirsi vulnerabile: niente lo avrebbe più fatto sentire vivo. Spingersi temerario al limite della morte non gli avrebbe mai dato la stessa la sconvolgente emozione. Ora lo sapeva.

Così, dopo un lungo attimo di esitazione, la baciò facendo scivolare la mano sul suo ventre: lì, dove aveva scoperto racchiudersi la vita che aveva tanto cercato.

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