Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Beatrix Bonnie    04/10/2011    3 recensioni
Tutti noi siamo stati bambini... ma non tutti i bambini sono stati normali.
Alcuni hanno rivelato di avere qualcosa di inaspettato, di favoloso, di... magico!
Tre piccoli episodi di magia che coinvolgono i miei tre protagonisti, Laughlin, Mairead e Edmund... ma in un tempo in cui erano bambini e il Trinity non era neanche lontanamente nei loro pensieri.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ottobre 1984


Una bambina riccioluta di nome Rose si avvicinò al gruppo dei maschi e tirò il cappellino di carta, rimasuglio della festa di compleanno, all'unica femmina che stava giocando con le macchinine.

«Mairead, perché non vieni con noi?» le domandò imbronciata. «Nessuna vuole fare Ken».

«Neanche io voglio fare Ken» replicò l'altra, lanciandole di nuovo il proiettile improvvisato.

«Ma tu giochi sempre con i maschi!» sbottò Rose. Aveva bisogno di lei, perché tutte le sue amiche volevano fare Barbie, ma serviva qualcuna che manovrasse Ken. Chi meglio di quel maschiaccio di Mairead?

La bambina alzò le spalle. «Perché sono più belle le macchinine» rispose, sventolando la sua Ferrari sotto il naso dell'altra.

«Ci puoi scommettere!» intervenne George, migliore-amico-per-sempre, nonché fidanzatino ufficiale di Mairead. Dopodiché allungò la mano verso la bambina per farsi dare il cinque.

Rose scosse i riccioli biondi e se ne andò imbronciata.

«Bambini, forza, mettete via che è ora di andare!» chiamò la maestra, battendo le mani. I piccoli sbuffarono, ma furono costretti a mettere in ordine i giocattoli che avevano utilizzato.

«Domani, però, la uso io la Ferrari» si lamentò George, mentre riponeva le macchinine nello scatolone.

Mairead arricciò il naso. «No, ormai è mia e la uso io».

«Oggi te l'ho lasciata solo perché era il tuo compleanno» rivelò il bambino, spingendo lo scatolone al suo posto.

«Ma io sono la tua fidanzata e quindi devi essere carino con me» rispose Mairead, con un sorriso angelico, che nascondeva a stento la malizia dei suoi occhi.

«Non sono più tanto sicuro di volerti sposare» borbottò George, meditabondo. I grandi progetti sul futuro che solo un bambino di cinque anni poteva fare, non gli sembravano più così rosei, ora. Mairead sapeva essere molto invadente, quando voleva.

«Che ti ha regalato il tuo papà per il compleanno?» domandò George, tanto per cambiare argomento.

A quelle parole, Mairead sfuggì il suo sguardo e cominciò a giocherellare con l'orlo del suo grembiulino verde. «Non lo so. Non me l'ha ancora dato...» mormorò con un sospiro. In realtà, suo padre Reammon non le aveva nemmeno fatto gli auguri, quella mattina. Possibile che si fosse dimenticato? Non era una cosa strana, visto che nonna Joey diceva sempre che non perdeva la testa solo perché ce l'aveva attaccata al collo, ma di solito si ricordava sempre dei compleanni. Certo, una volta si era scordato del proprio, ma era stato un caso limite. Quelli degli altri, se li ricordava sempre.

«Forza, bambini, andiamo fuori che sono arrivate le mamme!» esclamò la maestra, mentre i piccoli si riversavano fuori urlando.

Anche Mairead corse verso la scalinata esterna ma, guardandosi in giro, vide che non c'era nessuno per lei. Suo papà non era venuto a prenderla. Di nuovo.

Allora Mairead si sedette con aria sconsolata sul primo gradino, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il mento sorretto dai palmi.

«Puoi venire a casa con noi, se vuoi» mormorò George, avvicinandosi con la sua mamma, una bella signora dall'aspetto gentile.

«Vieni da noi a fare merenda e poi chiamiamo il tuo papà perché ti venga a prendere lì» propose la madre di George, con un sorriso sincero. Le faceva così tanta pena, quella bambina sempre abbandonata a sé stessa. Certo, il padre stava passando un gran brutto periodo, ma questo non gli dava il diritto di trascurare la figlia. Era una creaturina indifesa, dopotutto.

«No, grazie, signora Anderson. Il mio papi arriverà» rispose Mairead, cercando di dare alla sua voce un tono convinto. In realtà, sperava che arrivasse.

«Come vuoi» mormorò mortificata la signora Anderson. «Se ti servisse qualcosa, non esitare a chiederlo, va bene?» le disse, prendendo il figlio George per mano.

«Grazie» rispose Mairead con un sorrisetto tirato.

Lentamente, tutti i bambini dell'asilo furono recuperati dai rispettivi genitori e la scalinata d'ingresso restò vuota, ad esclusione di Mairead che se ne stava seduta sui gradini a guardare il parco con aria mogia.

Proprio in quel momento, la maestra e una bidella uscirono dall'asilo e si avvicinarono alla bambina. «Mairead, tuo padre?» le chiesero. La piccola si strinse nelle spalle.

«Meg, per favore, vai dentro a chiamarlo al telefono» sbottò allora la maestra, con uno sbuffo rassegnato.

Ma Mairead mugugnò avvilita, perché sapeva che il suo papà non avrebbe risposto: al momento dell'iscrizione all'asilo, Reammon aveva compilato la casella del numero di telefono con delle cifre a caso, dal momento che loro non ce l'avevano. Era un attrezzo Babbano, dopotutto.

La bidella, infatti, tornò poco dopo dicendo che suonava occupato.

La maestra sbuffò. Era la terza volta in quindici giorni che il signor Boenisolius arrivava in ritardo a prendere la figlia ed era arrivato il momento di porre rimedio a quella situazione. Non erano lì ad aspettare i suoi comodi, insomma! Va bene, la morte della moglie lo aveva scosso, ma quella bambina non poteva essere abbandonata a se stessa. Aveva bisogno di suo padre, santo cielo!

Invece lui era sempre in giro, chissà dove. Era sempre stato un po' strano, il signor Boenisolius, con quella sua faccia stralunata. Non si sapeva neanche bene che lavoro facesse... a volte tornava a casa con ferite ed escoriazioni. Magari se ne stava nei bar ad ubriacarsi e faceva a botte con i clienti, mentre la figlia restava da sola...

«Mio papà non è un ubriacone!» sbottò Mairead, con foga.

«Come, scusa?» domandò la maestra, colta alla sprovvista. Si era persa nei propri pensieri, ma le pareva che la bambina avesse detto qualcosa come... no, impossibile.

«Ho detto che mio papà non è un ubriacone!» protestò la piccola, incrociando le braccia al petto.

La maestra rimase pietrificata. «Io... non ho mai insinuato nulla del genere» si giustificò, con un risolino stiracchiato. Stava solo pensando quelle cose, com'era possibile che Mairead le avesse sentite? Non è che, per caso, aveva espresso ad alta voce i suoi pensieri?

«Mio papà mi vuole bene!» borbottò Mairead, mettendo il broncio.

«Ma certo» le rispose dolcemente la maestra.

Povera piccola! Così ingenua! Bisognava intervenire, fare qualcosa, prima che fosse troppo tardi. Sarebbe stato proprio il caso di portarla via da quel padre degenere. I servizi sociali avrebbero potuto fare qualcosa, magari affidarla ad una famiglia che l'avrebbe ricoperta di amorevoli attenzioni. Ricordandosi di lei.

La maestra guardò l'orologio: era passato un quarto d'ora dall'orario di chiusura; giusto in tempo per chiamare la polizia e accusare il signor Boenisolius di abbandono di minore.

«No, per favore, non lo fare!» piagnucolò Mairead, aggrappandosi ai jeans della maestra. «Loro mi porteranno via da papà! Io non voglio!» strillò la bambina, scoppiando a piangere.

«Mairead, tesoro, è tutto a posto» cercò di consolarla la maestra, ma la piccola singhiozzava sempre più forte.

«Non è vero! Tu vuoi chiamare la polizia! Non lo fare, o mi porteranno via da papà e lui è l'unica cosa che mi resta da quando mamma è volata in cielo!» strillò la bambina, tirando su con il naso.

«Ma, tesoro, avrai un'altra bella famiglia» provò a dire la maestra, con un sorriso.

«Io non voglio un'altra famiglia! Io voglio il mio papà!»

«Ma lui non è qui» rispose con durezza la maestra. «Si dimentica sempre di te e non è così che dovrebbe comportarsi un padre. È ora di porre fine a questa penosa situazione» decretò e con quelle parole fece un cenno alla bidella perché andasse a chiamare la stazione di polizia.


«Reammon, sei sicuro di questa cosa?» domandò un uomo panciuto, con un paio di grossi baffi e le guance piene.

Un altro uomo, parecchio più giovane, vestito con camicia beige e pantaloncini con le bretelle nonostante l'aria fresca di inizio ottobre, osservava il tutto con aria seria. «Assolutamente sì, Lorenzo».

«Non è un tantino contro lo Statuto di Segretezza Internazionale?» si informò quello di nome Lorenzo, mettendosi le mani in tasca con aria rassegnata: sapeva che era inutile discutere con l'amico quando si metteva in testa qualcosa.

Reammon, infatti, si strinse nelle spalle con disinteresse. «Nah...» rispose, ma poi ridacchiò «Ok, forse giusto un pochino...» ammise, con gli occhi verdi che brillavano per la furbizia. «Ma tanto ci sarà solo quella impicciona della sua maestra! E poi i Babbani non riconoscono la magia nemmeno se se la vedono davanti al naso».

«Se ci cacciamo nei guai, Ray, io ti ammazzo» promise Lorenzo, scrutandolo dall'alto in basso.

Reammon soffocò una risatina nervosa. «Andiamo, quando mai sei finito nei guai per colpa mia?»

Lorenzo finse di grattarsi il mento con aria pensierosa. «Fammi riflettere...» mormorò, alzando gli occhi al cielo. «Multa per Creazione di Passaporta non Autorizzata ti dice qualcosa?»

«Ma io non potevo sapere come funzionano le leggi italiane!» replicò Reammon, con una risata. Si ricordava benissimo l'occasione in cui l'amico Lorenzo era stato multato: era stato ormai otto anni fa, quando Reammon aveva escogitato una caccia al tesoro attraverso tutto il mondo per chiedere la mano di Mary. Effettivamente era stata una cosa folle, ma quanto ne era rimasta colpita Mary! Se avesse potuto tornare indietro, Reammon l'avrebbe rifatta da capo. Multa compresa.

«Ah, e quella volta in cui hai perso il reperto archeologico per il quale avevamo scavato almeno una decina di aree?» chiese allora Lorenzo, incrociando le braccia al petto. Ma sotto i suoi enormi baffoni castani, si vedeva che stava sogghignando.

Reammon scosse la testa. «Non l'avevo perso... l'avevo solo messo in un posto che non ricordavo esattamente quale fosse!» rispose, cercando di apparire come la raffigurazione dell'innocenza.

Lorenzo sospirò rassegnato. «Non cambierai mai, Ray» commentò, ma dal suo tono di voce, pareva piuttosto convinto che l'attuale versione di Reammon fosse anche la migliore. Infatti, poco dopo soggiunse: «Sei un bravo bischero, figliolo. Nessuno penserebbe mai di mettere in piedi una cosa del genere solo per festeggiare un compleanno».

Reammon rivolse all'amico un sorriso di gratitudine. «Lo so, ma è per la mia bimba. Voglio che allontani tutti i brutti pensieri, voglio che sia di nuovo spensierata e felice» spiegò, con un tono di voce doloroso. Doveva fare di tutto per cancellare quella terribile immagine dagli occhi della sua piccolina: sua madre, a terra, gli occhi vitrei rivolti al cielo. Assassinata.

Doveva aiutarla a dimenticare e ad andare avanti.

Lorenzo gli mise una mano sulla spalla, nel tentativo di consolarlo. Aveva perso la moglie solo pochi mesi fa, eppure era lì a farsi in quattro per la figlia. Davvero un bravo bischero.

Reammon, finalmente, riprese a sorridere: ora doveva pensare solo a Mairead, la sua piccola perla. Si voltò verso Lorenzo con nuova energia. «Direi che possiamo partire» esclamò, mentre un lampo di furbizia attraversava i suoi occhi verdi. «Che il corteo abbia inizio!»


Mairead era arrabbiata. Con il suo papi, perché era in riardo di quasi mezz'ora, con la maestra che aveva insistito per chiamare la polizia, e con il poliziotto grassone che era arrivato in bicicletta insieme alla sua collega e continuava a farle domande noiose su suo padre.

«Succede spesso che lui si dimentichi di venire a prenderti?» chiese il ciccione, accarezzandosi i baffi.

«No! Lui... non si è proprio dimenticato» sbottò Mairead, con uno sbuffo. «È solo un po' sbadato».

La poliziotta più giovane aveva l'aria gentile, ma continuava a scrivere appunti sul suo taccuino per ordine dell'altro. «Dimenticarsi della figlia non è sbadataggine, tesoro» le disse con un sorriso dolce. «È contro la legge».

«Che cos'è questa musica?» sbottò d'un tratto il poliziotto ciccione, tendendo l'orecchio.

In effetti, una strana melodia riempiva l'aria. «Sembrano... cornamuse» sussurrò Mairead, affascinata. Trovava il suono di quegli strumenti incantevole, quasi come le voci lontane del vento, qualcosa di... magico.

Parevano provenire dal parco. Mairead, i due poliziotti, la maestra e la bidella si voltarono contemporaneamente nella direzione verso cui proveniva il suono. Strizzarono gli occhi e poco dopo videro comparire due scozzesi con tanto di kilt e basco, intenti a suonare una melodia alla cornamusa.

«Ma che caspita...?» cominciò a dire il grassone, stupito da quell'apparizione. Ma non riuscì a completare la frase, che i due suonatori scozzesi furono seguiti da un acrobata mangiafuoco. Solo che le vampate di fuoco che sputava dalla bocca non avevano nulla di normale: gli saettavano attorno in un vortice di colori scintillanti. Tuttavia, nemmeno questo riuscì a mantenere l'attenzione a lungo su di sé, perché fu seguito da una ragazza in equilibrio su dei trampoli altissimi che lanciava in cerchio cinque palline, che, nel punto più alto della parabola lanciavano spruzzi di strane sostanze colorate.

Quel bizzarro corteo continuò lungo la strada di fronte all'asilo: arrivarono dei giocolieri che si lanciavano palle infuocare, alcuni ragazzi che suonavano dei tamburi e infine uno stormo di omini barbuti con una lampada in mano, che -miracolo a vedersi!- si sollevarono in volo e formarono una scritta nel cielo.

«Che dice, che dice?» domandò Mairead, tirando i jeans della maestra.

La donna boccheggiò, incapace di rispondere. Fu la poliziotta gentile a soddisfare la curiosità della bambina: «C'è scritto: “Auguri Mairead”»

Sul volto della piccola si dipinse un sorriso luminoso, coronato da due piccole fossette sulle guance.

Infine, l'attenzione di tutti fu rapita da un magnifico e terribile animale, con la testa e le zampe anteriori di un'aquila e il resto del corpo da cavallo. Avanzava fieramente, trascinando dietro di sé una carrozza grandiosa, con decorazioni e riccioli dorati, attorno alla quale danzavano delle lucciole; anzi, sembravano più che altro delle fatine uscite da un libro di favole per bambini.

Lo sportello della carrozza si aprì e ne uscì il signor Boenisolius, che indossava un improbabile frac bianco, completo di tuba e bastone da passeggio. La grandiosa apparizione, in realtà, fu rovinata dalla sua goffaggine: l'uomo si levò la tuba e si inchinò, ma scendendo le scalette si inciampò in un gradino e ruzzolò faccia a terra sull'asfalto.

«Papà!» gridò la piccola Mairead, correndo incontro al padre.

«Tutto bene, tutto bene!» rispose Reammon, alzandosi con rapidità e ripulendo alla belle meglio il suo completo bianco. Dopodiché si aprì in un gran sorriso ed esclamò: «Auguri, principessa!»

La bimba gli gettò le braccia al collo e Reammon la sollevò da terra e la fece girare in aria. Poi la depositò sul marciapiede, si inginocchiò davanti a lei e le mise tra le mani una scatolina di velluto.

Mairead la osservò per una frazione di secondo, poi la scosse avanti e indietro vicino all'orecchio, per sentire se faceva qualche rumore. Ma non udì nulla. «Così piccolo il mio regalo?» domandò allora, delusa.

Il padre le diede un buffetto sulla guancia e poi sorrise. «Non fidarti mai delle apparenze» rivelò con una strizzata d'occhio. «Avanti, aprilo!»

La bimba si affrettò ad aprire la scatolina e a riversare il suo contenuto sulla mano: un mucchietto di polvere dorata si formò sul suo palmo. Mairead alzò gli occhi sul padre, piuttosto perplessa.

«Lanciala in aria» le suggerì lui.

La piccola eseguì quanto le era stato detto. Nel momento stesso in cui la lanciò, si trasformò in mille foglie meravigliose e petali colorati, che volteggiarono pacifici nell'aria. Quando si depositarono a terra, rimasero immobili per qualche secondo, poi cominciarono a fremere, si sollevarono, si unirono a formare la sagoma di un animale e, con un esplosione di suoni e colori, si trasformarono in un bellissimo cane San Bernardo.

«Oooh!» esclamò la piccola Mairead, estasiata da quella magia.

Il cane le si gettò addosso e cominciò a leccarle tutta la faccia con la sua lingua ruvida e umidiccia, provocandole risatine divertite.

«È tuo, puoi chiamarlo come vuoi» le disse il padre, con il cuore ricolmo di gioia per la felicità della sua bambina.

«Lo chiamerò... Momo!» esultò la bambina, gli occhi che brillavano per la bellissima sorpresa che la aveva fatto il suo babbo. «Oh, ti voglio bene, papà!» esplose, stringendogli la vita con le sue braccia magrine.

L'uomo cercò di ricacciare indietro le lacrime di commozione che gli stavano inumidendo gli occhi e prese ad accarezzare delicatamente i capelli castani della sua piccina. «Anche io ti voglio bene, bambina mia» sospirò. «Anche io».


Dei quattro Babbani presenti allo strano spettacolo, il primo a riprendersi dallo shock, strano a dirsi, fu proprio il poliziotto grassone. «E questo sarebbe il padre che trascura sua figlia?» sbottò, con aria incredula. «Io non ho mai assoldato un gruppo di saltimbanchi e prestigiatori squattrinati per festeggiare il compleanno di uno dei miei marmocchi».

«Nemmeno io» mormorò la bidella Mag, ancora con la bocca semiaperta.

«Date retta a me» continuò a dire il poliziotto, accarezzandosi i baffoni. «Quell'uomo ama sua figlia più della sua stessa vita».

E, stranamente, questa volta ci aveva azzeccato in pieno.


Ce l'hooooo fatta! È stata un'impresa, perché pare che in questi ultimi mesi il computer si stia ribellando ferocemente contro di me, ma... chi la dura la vince! Più o meno...

Comunque, spero che vi sia piaciuto il capitolo dedicato a Mairead! Qui è una delle prime volte in cui la piccola compie magie (quando sente i pensieri della maestra); lei ancora non se ne accorge di usarla, ovviamente! È uno di quegli esperimenti a casaccio che capitano ai maghi bambini. Ah, anche Laughlin aveva fatto una magia, quando, spaventato, riesce ad interrompere i piccoli trucchi del phooka.

Però, vi avevo promesso che avrei spiegato come è nata questa idea della raccolta con la pubblicazione di questo capitolo. Dovete sapere che, tempo fa, stavo chiacchierando con delle amiche, una delle quali maestra di asilo, che mi rivelò (io, povera ingenua) che agli asili pubblici, se tu arrivi con più di un quarto d'ora di ritardo senza avvisare, sei passibile di denuncia per abbandono di minore. O.O Ho pensato che, quando avrò figli, sarò perennemente in questura... e poi ho pensato a Reammon... lui sì che sarebbe nei guai! Ahahah! Da qui è nato tutto... ah, a volte, i casi della vita!

Comunque, martedì prossimo pubblicherò l'ultima one-short, quella dedicata a Edmund... preparatevi, sarà inquietante! ;-)

A presto, Beatrix

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Beatrix Bonnie