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Autore: CrystalStewart    06/10/2011    1 recensioni
Come poteva essere successo?
Non c'era un senso logico al quesito che ormai mi stavo ponendo da un paio di giorni e notti e nemmeno c'era una spiegazione normale o accettabile per la questione presa sotto mano.
Mi ero innamorata di un licantropo.
Come diavolo poteva essere possibile; insomma... era un quasi un animale, non un umano.
Eppure con lui avevo il batticuore, mi sentivo protetta, ero me stessa in tutto e per tutto ma soprattutto, io non avevo paura.
No, non avevo paura di lui.
Si era un licantropo, che si trasformava in un lupo di due metri, largo abbastanza e digrignava i denti spesso ma mai contro di me; si mostrava per l'animale feroce che era quando doveva proteggermi ma non avevo mai avuto paura di lui nemmeno quando si era dato guerra contro altri della sua specie.
Non sapevo più cosa pensare, cosa dire per rendermi conto che era vero.
Era come nelle favole, sì solamente che questa guerra, questa foresta magica e questo lupo erano veri, come il mio amore lo era per lui.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Jacob’s pov.
Non riuscivo a dimenticarla.
Quella ragazza, quel suo dolce profumo di salsedine che emanava era una cosa a dir poco sovraumana; era così attraente, quasi eccitante. Sentivo i brividi corrermi giù per la schiena, tanto da farmi rizzare il pelo.
Mi staccai dal ruscello da cui stavo bevendo un po’ d’acqua fresca e diedi una veloce scrollata al mio corpo, tipico comportamento canino. Mi voltai e mi incamminai verso l’albero sotto cui avevo lasciato lo zaino con le mie cose.
Sentivo ancora in bocca il sapore, se ne aveva davvero uno, di quel fetido succhia sangue.
Mi stava dando il voltastomaco, speravo sarebbe passato da lì a poco.
Tornai umano in pochi secondi, dopo essermi calmato. Ormai il controllo era una cosa più o meno equilibrata, abbastanza semplice da sperimentare ma ancora complessa da gestire in tutti i suoi punti deboli, per esempio come il controllare la rabbia durante una tranquilla discussione. Ci voleva solo un po’ di tempo, mi sarei abituato.
Mi vestii in modo leggero e normale, presi dalla tasca dello zaino l’accendino di metallo e lo gettai sul corpo maciullato. La vampata che fece fu notevole, ma nessuno l’avrebbe notata. Era abbastanza centrata come piccola radura e, inoltre, non c’è nessun umano tanto svitato da avventurarsi qua dentro.
Appunto. Nessun umano.
Presi lo zaino e, caricandomelo in spalla, mi diressi verso il sentiero che mi avrebbe riportato sulla strada principale, dove avevo lasciato la mia moto, ovviamente nascondendola.
Cercai di calmare ancora l’ira che mi aveva travolto vedendo quell’essere rivoltante; la sola idea che non fosse un essere vivente e fosse al mondo, mi faceva vomitare.
In quel momento, mi passò per la mente il giorno in cui dissi qualcosa del genere a Bella. Stavamo parlando tranquillamente, senza disagi  ma poi è arrivata quella pugnalata, quel colpo secco che mi ha colpito al cuore.
«Ma fino al diploma.» aveva detto.
Mancava neanche un mese e lei se n’era saltata fuori con questa faccenda che, si conoscevo, ma non pensavo volesse testare così presto. Cavoli, pensavo di non riuscire nemmeno a giocare le mie carte in tavola invece… nonostante ci sia riuscito non è cambiato niente, non è successo nulla.
Quel bacio che ci siamo scambiati sulla montagna non è significato niente, almeno per lei. E’ stato come una scossa elettrica, una scarica di adrenalina che mi ha attraversato il corpo da capo a piedi.
Diavolo, la desideravo. La desideravo tanto, la amavo tanto. E credevo di amarla ancora.
Non so per quanto sono rimasto fermo su questo pensiero, sul fatto di non volermene andare e di non accettare che avevo perso, ma sarebbe stato da stupidi voler rovinare la sua esistenza. Sì, ormai la sua non era più nemmeno degna di essere chiamata “vita”. Quella stava finendo, anzi forse lo era già.
 
Sophie’s pov.
Finalmente un altro giorno di scuola è giunto al termine. Me ne mancavano ancora pochi e volevo cercare di migliorare il buono che c’era già ma, guardando la mia pagella, non riuscivo a immaginare risultati migliori di quelli scritti lì sopra.
Studiare mi piaceva, adoravo parlare e imparare lingue straniere o scrivere poesie e racconti. Non facevo altro che questo dopo aver studiato ovviamente; per la mia famiglia questo era ciò che contava.
«Sapphire. Questa è la scuola dove io e tuo padre ci siamo conosciuti, dove tuo fratello è andato e dove, ora, andrai tu. Non vogliamo che tu faccia qualcosa che non ti piaccia, perciò scegli ciò che ti vuoi ma sappi che questo accadrà dentro questa struttura.»
Queste erano state le parole di mia madre il giorno prima dell’inizio della scuola.
Ricordo che il primo giorno mi tremavano le gambe come delle foglie, e poi invece ogni anno le cose sembravano diventare più facili.
I piaceri, le letture, gli studi diventarono qualcosa di amabile, bello e  gradevole.
Sentii la voce della mia amica Sunny tirarmi fuori a pedate da questi miei pensieri.
«Ehi, ma mi stai ascoltando?» chiese lei, passandomi una mano davanti il viso.
«Si Sun. Ho sentito che finalmente ti sei messa con Mr. Popolarità e che finalmente uscirete insieme come coppia e che poi ti ha comprato un orso di pezza enorme, dei cioccolatini, dei fiori e… ah si, una collana d’argento.» dissi io, elencandole i doni ricevuti.
«Brava, ma ti sei dimenticata un particolare.»
«Che cosa?»
Immaginavo dove volesse arrivare; la solita, classica e morbosa domanda che mi faceva ogni santa settimana.
«E tu invece come sei messa? Sai che non vedo l’ora di fare un’uscita a quattro!»
Le sue smorfie e i suoi piccoli urli mi davano ai nervi: odiavo quando faceva così la bambina, non riuscivo a sopportare quando si comportava in quel modo. Ma in fondo in fondo, sapevo benissimo che non era così.
Era una ragazza dal cuore d’oro, sempre allegra, gentile e solare. Rideva sempre ed è per questo che l’hanno chiamata così. Lei è il sole, il mio sole.
«Non ho niente da dirti, se non che ho visto un ragazzo fuori da un bar l’altra notte quando sono andata a prendere Silver per l’ennesima volta.» affermai io, mentre vedevo sul suo volto apparire un sorriso malizioso «Ma non metterti strane idee in testa. L’ho solo visto di sfuggita. Non è successo niente, sia chiaro.»
Vidi il suo entusiasmo spegnersi di colpo, per poi riaccendersi non appena i suoi occhi si spostarono davanti a noi.
«Oh cavolo! Sophie, guardati il meccanico e se provi a dirmi che è brutto giuro che ti stacco la testa!»
Alzai lo sguardo e vidi un ragazzo giovane che avrà avuto si e no la mia età; era di spalle e piegato verso il cofano di una macchina rossa che precedeva la nostra BMW nera.
Guardavo sempre più curiosa quel ragazzo, assomigliava tremendamente a quello del bar della sera prima. Ma forse e anche, molto probabilmente, era un’impressione.
Continuai per la mia strada, osservando il tipo all’opera mentre cercava di ravvivare il motore della decapottabile, ma sembrava non ci fosse nulla da fare.
I pantaloni larghi cadevano pesantemente sugli scarponi che indossava; erano marroni e parecchio rovinati, soprattutto dai piccoli tratti di vernice e olio che ancora li macchiavano le calzature.
“Non può essere.”  
Avevo appena sorpassato il  meccanico e il profumo era quello che aveva il ragazzo del bar; che fosse davvero lui… mi voltai lenta, quasi avessi paura di scoprire che fosse così.
«Sophie, ti dai una mossa?»
Sentii la voce squillante di Sun chiamarmi e velocemente mi diressi verso la macchina che, dopo avermi accolta su un bel sedile di pelle bianca, partì a tutta velocità mentre io non ebbi nemmeno il tempo di vedere il mio selvaggio in viso.
Incredibile: ogni volta quel forte profumo di muschio bagnato mi dava alla testa, quasi come se assumessi una dose di eroina, ma molto più potente.

 
Jacob’s pov.
Non ci potevo credere. Non volevo crederci.
Uno stupido figlio di papà aveva chiamato in azienda perché l’auto non partiva e la colpa era solo e soltanto della batteria, ormai scarica del tutto.
Cercai di controllare meglio ancora, ma il risultato era sempre quello. Problema uguale batteria.
«E dai, non mi verrai a dire che anche questa sera starai in casa! Sei una carcerata!»
«Non sono una carcerata. Semplicemente preferisco una serata in spiaggia che una notte di ubriacatura e chiasso tra quattro muri.»
Sentii le voci di due studentesse avvicinarsi.  Una era davvero stridula, quasi insopportabile; l’altra invece era dolce, intonata, quasi definibile melodiosa.
«Mi spiace signore, ma qui non c’è niente da fare. Devo portarla in officina per cambiare la batteria altrimenti non va da nessuna parte. » dissi, cercando di distrarmi da quel tono.
Vidi sul suo viso comparire un piccolo segno di dubbio, per poi osservare meglio la ruga calmarsi sotto un sospiro di sollievo pesantemente udibile.
«Come sarebbe a dire che la batteria è scarica?»
«Sarebbe a dire che lei, senza batteria, non si può muovere da qui. Non che io glielo voglia impedire, ma non combinerà nulla. Non parte.» dissi io, sospirando mentre la mia mano batteva un pugno delicato sulla carrozzeria dell’auto decappottabile. Mica male, ma le moto erano migliori. Sicuramente.
I tacchi della ragazza, figlia di papà e con voce stridula, segnavano il loro avvicinamento, le sentivo. Sghignazzi, sospiri; rifiuti, inviti; si e no. Ma poi rieccolo.
Ecco di nuovo quel profumo di salsedine che mi inebriò le narici, era come un qualcosa di eccitante, una droga di cui non sarei riuscito a fare a meno. Quella notte fu il mio incubo, in quel momento rappresentava il mio desiderio proibito. Era come se volessi scoprire chi portava quella fragranza addosso ma solo per poter catturare la persona giusta e farla mia.
Nemmeno la conoscevo, nemmeno sapevo com’era. Eppure quei desideri, quelle voglie c’erano.
Mi morsi il labbro superiore cercando di resistere, mentre le mie mani stringevano delicate i paraurti anteriori dell’auto. Non ce la feci.
«Sophie ti dai una mossa?»
Ancora quella voce stridula, ma non era quella la sua. Ne ero sicuro.
La voce della mia musa era quella dolce, armonica e melodiosa come le onde del mare quando lente sovrastano la sabbia e, lentamente, ne perdono il possesso. Era come un qualcosa di mio, ma che in fondo non mi apparteneva. Era come se sapessi da sempre chi era, ma effettivamente non ne avevo la più pallida idea.
Mi voltai lento, pauroso di scoprire di chi fosse ma eccitato all’idea di vedere la proprietaria di quei doni che solo agli dei erano concessi, i famosi doni proibiti. La perfezione, la voce melodiosa, il profumo dolcemente accattivante, per non parlare dei nomi divini.
Sorrisi al pensiero, al paragone appena inventatomi nonostante fosse indubbiamente vero, almeno per me.
Vidi un paio di ciocche bionde sparire dietro la portiera di una BMW nera, lucida come uno specchio. Erano quelli della ragazza del bar, quelli della ragazza dal profumo di salsedine, quelli appartenenti ad una certaSophie; a quella Sophie.
«Cioè lei mi sta dicendo che io non solo l’ho aspettata per ben venti minuti sperando che mi aiutasse,ma che non può far nulla perché la batteria della macchina è scarica?»
Ero visibilmente nervoso. Scocciato. Ma dovevo stare calmo.
«Esatto.»
«E con cosa pretende che io vada a casa?»
«Se non mi sbaglio a questo mondo esistono i servizi pubblici.» risposi cordialmente, mentre salivo nell’auto dell’officina «E comunque, non è affar mio. So solo che questa va in officina.»
 “Piccolo umano viziato, senza palle ne cervello.” 
Partii con il carretto da riparare appresso, mentre dallo specchietto retrovisore vedevo il nobile ragazzino strapparsi i capelli e calciare un albero dalla rabbia. Tornai con lo sguardo alla strada, mentre i pensieri rimasero sempre nello stesso identico punto.
Sophie.”  ripetei tra me e me quel nome ancora una volta. “Sophie”
Ogni volta che quel nome prendeva forma sulla mie labbra e suono nella mia bocca, andavo in estasi, come se fossi drogato ma con una sola ed unica enorme differenza.
Io ero un drogato positivo.


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Di nuovo salve a coloro che hanno trovato un po' di tempo e lo hanno speso a leggere queste mie numerose righe.
Volevo ringraziarvi per il vostro "sostegno"; venendo qui, nel mio profilo e leggendo la mia creazione voi mi donate orgoglio e voglia di continuare, di migliorarsi sempre di più perchè so di poter donare sogni e speranze agli altri, semplicemente attraverso la mia fantasia.

Crystal

Ringrazio ancora Stephenie Meyer; without you, now my dreams would be only gray clouds, devoid of any sunshine. Thank you a lot. ♥

  
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