DEDICA: A feyilin
perché lei vale, a
BeaLovesOscarinobello che ha debuttato come autrice su EFP, a
valentinamiky
perché mi ha suggerito di far comparire Mordred e a tutte
voi, mie fedeli
lettrici, che non vi siete ancora stufate di seguire, commentare e
preferire
questo delirio.
NOTE: Innanzitutto
scusate il ritardo ma il
blocco dello scrittore ha colpito ancora. Ehm. Spero di essere riuscita
a
debellarlo definitivamente.
Veniamo alla citazione misteriosa che nessuna di voi ha indovinato:
avete
presente l’appassionato discorso di Kilgharrah
sull’amore? Bene, è tratto
(quasi) parola per parola dal film Vi
presento Joe Black, con l’immenso Anthony Hopkins e
Brad Pitt. *si dà arie
da cinefila*
Comunicazione di servizio di una certa importanza: A
midsummer night’s dream… in Camelot sta
volgendo al termine ed il
prossimo capitolo sarà l’ultimo. Ma non
preoccupatevi (schiva i pomodori), ho
intenzione di scrivere un seguito! Ho già in mente un titolo
provvisorio,
sempre di ispirazione shakespeariana. Datemi il tempo di abbozzare
anche la
trama e tornerò presto su questi schermi ad ammorbarvi con i
miei deliri.
Per il
momento, vi auguro buona lettura. Ci si becca, come sempre,
all’angulus a fine
capitolo!
Negli anni a
venire, tutti i camelottiani avrebbero ricordato quei due mesi
-perché tanto
durò l’epidemia amorosa- come il periodo
più sconclusionato, delirante e felice
dacché Uther Pendragon era stato
incoronato re. Mai si erano respirate tanta libertà, gioia
di vivere e
promiscuità nella cittadella fortificata come nei giorni che
seguirono quello
il cui svolgimento vi abbiamo narrato nel precedente capitolo.
Ma è
bene
fare un piccolo salto indietro, onde ragguagliare voi esimi lettori su
quanto
avvenne dopo la poco dignitosa fuga di Lady Morgana in direzione del
Fantabosco.
Arthur,
preoccupato sì per la sua incolumità ma non
volendo lasciarsi scappare
l’occasione di vedere la sorellastra alla prese con l’arpia
Gwen in modo da
poterla prendere in giro nei
decenni a venire, si premurò di immobilizzare la bella
serva e ordinò al
fido Sir Lancelot di lanciarsi all’inseguimento di Morgana e
di riportarla sana
e salva al castello (marcondirondirondello). C’è
da dire che la nobildonna
diede del filo da torcere al cavaliere, rivelando inaspettate doti da
velocista. Tuttavia l’uomo, sebbene più massiccio
ed impacciato nei movimenti
dalla pesante cotta di maglia, era secondo solo all’erede al
trono per
resistenza fisica e destrezza, sicché nel giro di tre
clessidre riuscì ad
acchiapparla e fece ritorno, caricandosela sulle spalle a mo’
di sacco di
patate, a palazzo.
Nel
frattempo, per evitare che Guinevere scassasse la balle ai presenti con
i suoi
sospirosi e dolenti richiami d’amore, Arthur la
affidò al fratello, Sir Elyan,
affinché la riportasse a casa loro, raccomandandogli inoltre
di farle indossare
una camicia di forza e di raffreddarne i bollori con ripetute secchiate
d’acqua
gelida. Il ragazzo aggrottò la fronte, un poco scettico di
fronte alla drasticità
dei rimedi suggeritigli. Tuttavia egli nutriva una fiducia sconfinata
nel suo
signore e promise di seguirne le istruzioni.
Rimasti fino a quel momento estraniati dal mondo circostante, Lancelot
e Gwaine
si ridestarono dall’avvolgente e roseo torpore che li aveva
risucchiati e
avviluppati e si voltarono in direzione di Merlin e Arthur,
sghignazzanti come
non mai.
“Camicia
di
forza e acqua gelida, eh? Non ti credevo così sadico,
Arthur”.
“Se
non
altro la terrà lontana dalla mia amata
sorella
per un po’ di tempo” tentò di
giustificarsi.
“Non
hai
tutti i torti. Fossero venuti in mente anche a me, forse avrei usato
gli stessi
metodi per tenerti a bada” replicò il mago
semiserio.
“Non
ne
avresti avuto il coraggio, idiota!”
“Asino”.
“Merlin”
l’altro s’incupì improvvisamente.
“Che
c’è,
metti il broncio? Guarda che hai cominciato tu” fece per
protestare, ma Arthur
lo interruppe posandogli due dita sulle labbra
“Merlin,
promettimi una cosa. A prescindere da come andrà a finire
questa faccenda -mio
padre e Cenred, Morgause che trama nell’ombra- promettimi che
nulla cambierà
tra di noi. Promettimi che non userai su di me alcun antidoto, che
continuerò
ad essere irrimediabilmente, follemente e pateticamente innamorato di
te”.
“Arthur,
io-” sussurrò Merlin, arrossendo di fronte a tanta
solenne determinazione.
“Giuramelo,
tortellino” insistette il principe, incorniciando con le mani
il volto
dell’amante e accostandolo al suo fino a far combaciare le
loro fronti.
“Va
bene”
esalò il mago dopo una breve esitazione. “Hai la
mia parola, Asino”.
Arthur
inarcò un sopracciglio, divertito dalla sua sfacciataggine,
e suggellò
l’accordo con un bacio. Concentrato sulla lingua impertinente
e la bocca
dannatamente morbida dell’altro, non si accorse che Merlin
aveva incrociato le
dita dietro la schiena.
Sir Aragorn,
orafo tanto esperto quanto sposato col suo lavoro, la mattina seguente
si
svegliò inspiegabilmente in ritardo rispetto alla sua
tabella di marcia, quando
ormai la luce del sole era entrata prepotentemente nella sua umile e
spartana
camera da letto, illuminandola tutta.
Un poco intontito, sbadigliò con gusto, si passò
una mano nella chioma lunga
fino alle spalle e si sistemò il pacco
(che
macho!). Poi, apprestatosi ad usare la brocca dell’acqua per
darsi una rinfrescatina
-perché va bene che era un vero uomo, ma era pur sempre un
orafo di tutto
rispetto e con una clientela selezionata che non poteva permettersi di
ammorbare con l’olezzo di ascelle non lavate- lo
assalì il ricordo dello
strano, stranissimo sogno che gli aveva disturbato non poco il sonno.
Nottetempo
due giovani uomini, vestiti con sontuosi mantelli nobiliari, si erano
intrufolati nella sua stanza con fare cauto e circospetto. Si erano poi
avvicinati al letto dove lui ronfava beato e il più alto dei
due aveva impugnato
una graziosa boccetta dotata di erogatore spray e gli aveva versato
sugli occhi
alcune gocce del liquido in essa contenuto.
“Sei
sicuro
che non si sveglierà?” aveva mormorato il secondo
misterioso incappucciato.
“Fidati,
questa formula è decisamente meno urticante di quella
originale: è pensata
appositamente per gli occhi sensibili” l’aveva
rassicurato il compagno, gli
occhi illuminati (possibile?) da un bagliore dorato.
“Sei
un mago
pieno di risorse” era stata la risposta colma di ammirazione
dell’altro. “Ma se
si dovesse comunque svegliare?” aveva però
insistito.
“Non
cambierebbe nulla” aveva alzato le spalle.
“Penserebbe di star sognando. Domani
mattina, appena alzato, una sensazione di benessere lo
pervaderà completamente
e allora sì che il filtro avrà effetto”.
Doveva dare
ragione al ragazzo, constatò Aragorn sentendosi alquanto in
pace con se stesso,
come non gli succedeva da tempo. La sua vita solitaria e monotona gli
appariva
di colpo meno solitaria e monotona,
il sole splendeva alto nel cielo e gli uccellini cinguettavano: senza
dubbio
quella giornata era cominciata con il piede giusto.
Si era appena sciacquato il viso, intonando qualche strofa di Walking on Sunshine, quando fece
irruzione nella camera il suo apprendista e assistente
nonché coinquilino,
Legolas. Nei quasi cinque anni trascorsi a stretto contatto i due
uomini erano
diventati amici. Dal giorno in cui l’orafo aveva offerto al
biondo -data la sua
indigenza- vitto e alloggio gratis, il loro rapporto da cameratesco si
era
fatto più intimo e profondo… però da
qui a considerare il suo assistente molto
carino, anzi adorabile, ce ne correva. Eppure, non appena i loro
sguardi si
incrociarono, Aragorn non poté esimersi dal notare come i
lunghi capelli del
giovanotto brillassero simili a tanti fili d’oro sotto la
luce del sole e come
i suoi occhi blu fossero contornati da un delicato pizzo di ciglia
scurissime.
Infine ne ammirò la carnagione, di un pallore traslucido, e
la figura sottile
come un giunco.
“Aragorn?”
balbettò quegli con sincero rapimento.
“Legolas”
la
sua voce tremò impercettibilmente.
“Aragorn,
io-
mi sento strano, non so come spiegarlo. Ti vedo e mi viene
l’impulso di
sbatterti contro la prima superficie orizzontale disponibile! In nome
dei
Pokémon, non so nemmeno perché ti sto dicendo
tutto questo, perdonami” smozzicò
Legolas arrossendo vergognoso, ma senza abbassare lo sguardo.
L’uomo
sentì
il sangue defluirgli verso una certa zona.
“C’è
il mio
letto, se ti accontenti” propose audace. “So
benissimo cosa provi, Legolas. Non
ti ho filato di pezza in cinque lunghi anni, ma improvvisamente sento
crescere
nel mio cuore un sentimento
d’ammmòòòre sconfinato per
te”.
“Io
invece
ho sempre pensato che fossi un gran figo”.
“E
allora
cosa aspetti? Prendimi, mio aitante stallone!” Aragorn si
offrì a lui.
Il ragazzo
non si fece pregare e si gettò sull’amico con la
foga di un bisonte in calore.
Dopo alcuni slinguamenti capaci di imbarazzare persino
l’autore del Kamasutra,
i due finirono sull’angusto letto dell’orafo,
avvinghiati, ansimanti e desiderosi
di venire al sodo.
“Poi
però
sto io sopra” borbottò Aragorn tra sé e
sé.
“Te
l’hanno
mai detto che assomigli un sacco a Viggo Mortensen?”
interloquì l’altro con lo
sguardo appannato dalla lussuria.
Non
ricevette risposta.
Glissando
elegantemente sulle maialate che i neo innamorati combinarono in
seguito,
dobbiamo precisare che essi non furono i soli, quel dì, a
subire gli effetti
dell’Amortentia. I due Cupidi, gli esimi lettori lo avranno
intuito, non erano
altri che Merlin ed Arthur. Sotto incantamento o rincitrullimento
amoroso che
dir si voglia, si erano messi in testa che non era giusto che il resto
del
mondo -cioè Camelot- non condividesse con loro le gioie che
solo l’ammmòòòre sa
donare. Così, avendoci ormai preso mano e gusto con i
precedenti esperimenti,
Merlin si era incaricato di distillare un altro paio di ettolitri di
pozione e
la notte stessa avevano messo a segno il loro primo colpo,
introducendosi nella
dimora dell’orafo. Protetti dal buio benevolo, avevano agito
indisturbati,
riuscendo in tal modo a gayzzare tutta la parte bassa della
città.
I risultati, sin dal primo giorno di contagio, furono piuttosto
soddisfacenti:
gente che si imboscava a frotte e ad ammucchiate, fughe
d’amore omo e ménage à
trois (con un pizzico di bisex tanto per gradire), baci e
palpeggiamenti lesbo.
Solo i bambini furono risparmiati, giacché i nostri due eroi
erano convinti che
si dovessero mantenere innocenti il più a lungo possibile.
Comunque sia, nel
giro di tre notti l’intera popolazione adulta camelottiana
era innegabilmente
ed inequivocabilmente gaia.
E a
palazzo?, vi starete chiedendo voi. Domanda legittima, esimi lettori.
In
verità,
all’interno del castello (marcondirondirondello) la premiata
ditta Merlin &
Arthur dovette faticare ben poco. Metà dei cortigiani e dei
nobili era più gay
dei Village People, a Gaius bastava la Pozione Polisucco per essere
felice,
Gwen e Morgana erano sistemate, Gwaine e Lancelot tubavano come
colombe. Non
ebbero che da far scoccare la scintilla tra Sir Percival e Sir Leon
(entrambi
biondi, alti e teutonici: una coppia perfetta). Quanto a Morgause,
sempre sotto
mentite spoglie, non trovando una punizione adeguata da infliggerle,
preferirono lasciarla macerare nella stizza e nell’impotenza.
Si era ormai
alle Idi di aprile, a primavera inoltrata, quando una forza esterna
ebbe
l’ardire di turbare la quiete ormai instauratasi a Camelot.
Merlin si
trovava nel cuore del Fantabosco, intento nella raccolta di fiori rari
e
profumati per ricavarne un bouquet da regalare al suo principe
(festeggiavano
quel giorno il loro primo mesiversario) e ripensava alla nottata appena
trascorsa. Sospirò soddisfatto: Arthur continuava a
comportarsi da somaro
possessivo e appiccicoso, ma sapeva ampiamente farsi perdonare, dentro
e fuori
dal letto –più dentro, in effetti. Lo ricopriva di
attenzioni e premure, aveva
fatto allestire accanto ai suoi appartamenti una principesca camera da
letto e
gliel’aveva offerta come pegno d’amore.
L’aveva sollevato vita natural durante
dall’incarico di suo servitore, assicurandosi che ricevesse
un salario come
assistente del medico di corte. Infine aveva convocato a palazzo i due
più illustri
sarti del regno, Dolce e Gabbana, affinché il mago potesse
vantare un
guardaroba degno di un futuro membro della famiglia reale. Il Regal
Asino,
infatti, sembrava non desistere all’idea di convolare a
giuste nozze con il suo
uomo.
Merlin stava
per l’appunto crogiolandosi in simili fantasie quando venne
aggredito da un
lancinante mal di testa. Mugugnando per l’improvvisa fitta si
portò una mano
alla tempia sinistra, massaggiandola delicatamente.
“Emrys”
lo
chiamò una voce rarefatta, lontana ma in qualche modo
familiare.
“Chi
sei?”
chiese allarmato lui.
“Così
mi
deludi, Emrys. Non dirmi che ti sei già dimenticato di
me” la voce assunse una
sfumatura infantile, gelidamente beffarda.
“Mordred?”
tirò a indovinare.
“Voltati”
rispose l’altro.
Merlin
obbedì; ed eccolo lì, in carne ed ossa. Stessi
penetranti occhi blu, stesse
occhiaie da tossico, stesso pallore spettrale. E lo stesso mantello
color
azzurro polvere.
“Mordred,
sei proprio tu? Che diamine ci fai tu qui?” era semplicemente
costernato.
“Mi
sono
Smaterializzato da Hogwarts” ridacchiò
lugubremente il bambino.
“Hog-
cosa?
Non dovresti vivere presso i Druidi, scusa?”
“Questo
non
ha importanza” si limitò a scrollare le spalle
l’altro. “Sono stato spedito qui
per darti un avvertimento” disse poi.
“Che
genere
di avvertimento?” investigò il mago con
inquietudine sempre maggiore.
“Tutto
questo delirio deve finire, Emrys. Hai tempo fino a Beltane per porvi
rimedio,
poi non avrai più scuse”.
Oook gente,
il mio dovere l’ho fatto. Non esitate a segnalarmi errori di
battitura e punti
deboli (ho scritto ‘sta roba nel giro di qualche ora, non
pretendo di aver
sfornato un capolavoro).
Angolino
auto-spam.
Nel caso vi interessasse, mi sono cimentata con una one-shot angst
-beh, la mia concezione di angst-
sempre su Merlin.
Questo è l’indirizzo, se vi va fateci un salto e
datemi il vostro parere: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=843231&i=1.
Che altro
dire? A risentirci al prossimo, decisivo capitolo!