DEDICA: A Cloud,
gemellaH & omonimaH, a BeaLovesOscarinobello che mi ha dato
l’idea dello
spiedo, a xMoonyx e valentinamiky perché ho trovato in loro
due adorabili compagne
di delirio, a feyilin e a Virginia (la mia mamma putativa). Che mondo
sarebbe
senza di voi?
NOTE: Non ci
posso credere. Solo cinque capitoli fa la fine sembrava così
lontana, e invece eccoci
qui. La mia prima longfiction è terminata, ma non temete,
non vi lascerò in
pace tanto presto: come promesso, è in preparazione il
seguito! Si intitolerà As you like
it e comincerò a
scrivere il primo
capitolo in questi
giorni.
Ci vediamo
all’angulus per i
saluti finali. Vi lascio all’epilogo, sperando che sia
all’altezza delle vostre
aspettative. *panico-panico-panico*
Buona lettura!
“Beltane?”
domandò stranito Merlin.
“Hai
capito bene, Emrys: Beltane, ovvero sia il primo giorno di
maggio” sillabò in risposta Mordred, neanche si
stesse rivolgendo ad una
persona lenta di comprendonio.
“Ma
perché proprio Beltane? Perché non le Calende,
per esempio?”
“Perché
è un giorno astronomicamente propizio e ci sarà
la luna piena:
lo scenario ideale per permetterti di rimediare al pasticcio da te
combinato,
non trovi? E poi fa più figo delle Calende”
pronunciò solennemente l’altro.
“Non
hai tutti i torti, in effetti” concordò Merlin,
che per
l’inquietante bambino aveva una predilezione.
“Però non mi è chiara una cosa:
perché devo porre fine all’epidemia amorosa? Che
fastidio dà? Nessuno è stato
mai tanto felice, qui a Camelot. Lo definirei un miracolo, se non
sapessi che
si tratta di magia e se fossi cristiano”.
“Gli
incantesimi -o i miracoli, come più ti aggrada- non sono
destinati a durare in eterno, in quanto vanno a stravolgere una
situazione di
primigenia stabilità e quiete. Quella fornita da Kilgharrah
doveva essere una
soluzione temporanea, un escamotage per affrontare
l’emergenza, e come tale l’avresti
dovuta considerare. Invece, decidendo di utilizzare
l’Amortentia per
trasformare Camelot in un gigantesco Gay Pride, ti sei macchiato di hýbris e pertanto
devi fare ammenda. Così parlò
Zarathustra” concluse il monologo con
un’espressione vacua da profeta ispirato.
“Chi
ti manda?”
indagò l’altro un poco dubbioso.
“Lui”
fu la
replica lapidaria del ragazzino.
“Lui?
Lui chi, di
grazia?”
“Lui,
Emrys. Lui.
Il solo ed unico” e dicendo questo indicò il cielo
soprastante.
“Ma
lui chi,
accipigna? San Gennaro, il Mago Silvan, Zeus egioco?
Esplicati!” sbottò Merlin.
“Sette
lettere,
inizia con la G e finisce con la f”.
Alcuni attimi di
silenzio.
“Gandalf?”
azzardò il mago, esitando.
“Cinquanta
punti
a Serpeverde” ghignò compiaciuto il baby Psycho.
“Momento
momento
momento, che c’entra questo Serpecosa?”
interloquì Merlin basito.
“Non
ho tempo da
perdere in simili quisquilie, Emrys. Leggi Harry Potter
e fatti una
cultura, che diamine! Adesso scusami, devo pronunciare la formula di
Smaterializzazione” e chiuse gli occhi.
“Ma-”
provò a
fermarlo il nostro eroe.
“Rosă
rosae, rosae rosārum,
rosae rosīs, rosăm
rosās, rosă
rosae, rosā
rosīs”
recitò Mordred concentratissimo, per poi svanire in una
nuvola di fumo con
tanto di ‘puff!’ scenografico.
“Da
quando in qua si utilizza la prima
declinazione latina per Smaterializzarsi? Seriamente, ma che si
è fumata l’autrice?”
si indignò giustamente Merlin.
Non
c’era più religione, accipigna!
Già
che si trovava lì, pensò bene di indire
una riunione straordinaria con Kilgharrah e nel giro di cinque
clessidre il
drago rispose al suo SOS, atterrando su uno spiazzo erboso situato nel
cuore
del Fantabosco.
“Ci
rivediamo, giovane mago. Sbaglio o ti
sono cresciute le orecchie?” lo salutò con il
solito brio.
“Kilgharrah,
la nostra sarebbe una storia
impossibile, quindi non lusingarmi oltre con i tuoi complimenti, ti
prego” gli
rispose a tono.
“Deve
esserci un motivo serio se ti
sei azzardato a convocarmi in pieno giorno”
il drago si fece serio di colpo. “Mettimi al corrente,
giovane mago”.
Merlin lo
accontentò. L’espressione della
creatura era piuttosto impensierita, quando infine si decise a parlare.
“Purtroppo,
e il mio animo slasher ne
soffre immensamente, Mordred ti ha detto la verità. Hai
abusato del tuo potere,
giovane mago, e come recita l’adagio popolare chi rompe paga
ed i cocci sono
suoi”.
“Vabbuò,
questo l’ho capito. Solo che non
mi è chiaro in che modo”.
“Indirettamente
è colpa mia se ti sei messo
nei guai, quindi conta pure sul mio aiuto. Ti darò la
formula dell’antidoto
dell’Amortentia, così potrai riparare ai tuoi
errori”.
“Ciò
significa che dovrò passare altre
notti in bianco ad introdurmi nelle case altrui? Ci
impiegherò dei secoli,
visto che per ovvi motivi non potrò fare affidamento sulla
collaborazione di
Arthur” si scoraggiò un poco il mago.
“Senza
contare che la preparazione stessa
dell’antidoto richiede diversi giorni” gli diede
manforte l’altro.
“Dici
sul serio?” si allarmò Merlin.
“Tieni
conto che devi rintracciare tutti e
sette gli Horcrux in cui Lord Voldemort ha diviso la sua anima,
frullarli
insieme ad uno dei due capelli rimasti in testa ad Homer Simpson e
diluire il
tutto con essenza di assafetida e mandragola; mettere il composto
ottenuto in
frigo per almeno due ore e infine servirlo shakerato, non
mescolato” spiegò.
“Corbezzoli!
E’ praticamente impossibile”
si disperò definitivamente il ragazzo infilandosi le mani
nei capelli.
Si sentiva
impotente come una balena
arenata. Non era da lui darsi per vinto in partenza, ma lo scarso
preavviso, la
pressione dai Piani Alti e la complicata distillazione lo mandavano non
poco in
crisi. Diviso tra i propri sentimenti per Arthur e il suo orgoglio di
mago e
uomo d’onore, che gli imponevano di porre rimedio al gran
casino che aveva
combinato -lasciandosi guidare dall’egoismo e dalle belle
parole del principe-
gli ci volle un poco per trovare la risposta a tutti i suoi dubbi.
Il futuro di Camelot e della non ancora nata Albion era nelle sue mani.
Il suo
destino era di proteggere l’una e di co-fondare
l’altra. Per questo scopo egli
era venuto al mondo, per questa sola ragione la sua vita era legata col
doppio
filo a quella di Arthur. Tutto il resto, le loro folli notti
d’amore, i
battibecchi da coppia sposata, le piccole premure, la soddisfazione di
vedere quella
megera di Gwen umiliata e respinta come meritava... Tutto il
resto non
contava.
Ignorando il proprio cuore straziato e rattoppato e sacrificando la
propria
felicità sull’altare della correttezza e
dell’inesorabilità del Fato, Merlin
cancellò con un doloroso colpo di spugna i due mesi appena
trascorsi dalla sua
mente.
“E
sia, Kilgharrah. Se questo è l’unico
modo, farò quanto è in mio potere
affinché l’ordine naturale delle cose venga
ristabilito. Per il bene di Camelot” parlò con
voce grave e gli occhi
scintillanti d’oro.
“Avrei
anche un’idea su come somministrare
l’antidoto all’intera popolazione senza troppe
complicazioni, Emrys” propose il
drago inchinandosi di fronte a tanto altruismo e senso di
responsabilità.
“Sono
tutt’orecchi, amico mio” riuscì a
sdrammatizzare il mago, indicando i grandi padiglioni auricolari che si
ritrovava
attaccati al cranio. Aveva preso la decisione giusta. Distese le labbra
in un
sorriso sereno.
Le due settimane
che seguirono furono
appena sufficienti al nostro eroe e al suo prezioso alleato per
reperire gli
ingredienti necessari alla preparazione dell’antidoto. Merlin
non mise al
corrente nessuno delle sue intenzioni e giustificò le sue
continue sparizioni,
protrattesi spesso fino a notte inoltrata, imputandole alternativamente
all’Asino
(se a chiedergliene conto erano Gaius o uno dei suoi amici) o al medico
di
corte (se era Arthur a lamentarsi). Il principe, dal canto suo,
notò sì un affievolimento
nell’entusiasmo di Merlin ma non con la dovuta
preoccupazione, poiché
anch’egli aveva qualcosa che bolliva in pentola. Non si era
dimenticato della
promessa di impalmare l’amato sicché, quando non
era con lui piacevolmente indaffarato
e riusciva a ritagliarsi un po’ di tempo dagli
oneri e obblighi di vice
sovrano, era impegnato nell’organizzazione delle nozze.
Voleva che fosse una
sorpresa, e avrebbe atteso l’avvento di Beltane per chiedere
la mano di Merlin.
Simile ad una laboriosa formichina, l’erede al trono
sceglieva gli addobbi e si
consultava con gli addetti del catering riguardo ai cinque tipi di
antipasti da
servire, ignaro di ciò che il mago tramava alle sue spalle e
che presto il loro
piccolo idillio rosato sarebbe finito.
Il giorno di
Beltane arrivò, come era
inevitabile.
Originariamente
fatta coincidere con l’inizio
del mese di maggio dai Druidi, collocandola così a
metà tra l’equinozio di
primavera e il solstizio d’estate, da diversi decenni era
stata spogliata della
sua sacralità e meramente considerata un’occasione
per cedere ai piaceri della
carne e alle lusinghe dell’alcol.
Le donne, fossero esse rispettabilmente maritate, ancora pulzelle o
vecchie e
decrepite, nel fiore degli anni o madri di una nidiata di pargoli,
meretrici o
inconsolabili vedove, prestavano particolare cura al proprio aspetto.
Indossavano ghirlande di fiori a mo’ di collane e di
coroncine con cui cingere
il capo, i capelli venivano lasciati sciolti sulle spalle e arricciati
in
morbidi boccoli. Osavano un velo di belletto su labbra e guance e
polvere di antimonio
sulle palpebre, e le scollature degli abiti da profonde divenivano
vertiginose,
da audaci a (quasi) oltre il limite della decenza.
Ai bambini veniva fatto dono di un dolciume o di un balocco tanto a
lungo
agognato ed ottenevano il permesso di stare alzati fino a tardi per
assistere
all’accensione dell’enorme falò che
segnava il culmine della festa e anche il
suo termine. Gli uomini approfittavano dell’atmosfera
rilassata ed euforica per
darsi alla pazza gioia, correre dietro alle gonnelle, passare una bella
serata
all’aperto in compagnia della famiglia o partecipare ad una
delle tante risse,
inevitabili visti i fiumi di birra e di sambuca che scorrevano.
Quell’anno
non presentò eccezioni, a parte
il fatto che non si trovava una coppia eterosessuale nemmeno a
imprecare in
sanscrito con inflessioni greco-ioniche. Uther e Cenred, con le mani
teneramente intrecciate (e anche le lingue, ad essere sinceri)
osservavano benevolmente
il popolo in festa. Albus e Gellert si erano infrattati dietro un
cespuglio a
limonare, non prima di aver regalato a destra e a manca qualcuna delle
loro
spillette arcobaleno. Leon e Percival avevano dichiarato di voler
cogliere
funghi ed erano spariti tra i frondosi alberi del Fantabosco. Gaius,
grazie
alla fedele Polisucco, aveva assunto le sembianze di
un’attraente bellezza
bruna e puntato con un certo piglio aggressivo niente di meno che il
platinato
luogotenente di re Cenred (ovvero Morgause sotto altrettanto mentite
spoglie),
ricevendo in cambio sguardi a metà tra
l’allucinato e il vagamente schifato.
Questo fu il
panorama che si presentò davanti
agli occhi di Arthur e Merlin quando giunsero alla già nota
radura nei pressi
del castello (marcondirondirondello), dove da tempi immemori si
svolgeva la
festa e dove, come concordato con il drago, tutto sarebbe finito. A
quel
pensiero il mago sentì una fitta al costato, ma la
ignorò coraggiosamente,
afferrando la mano che il compagno gli tendeva. Abbozzò un
sorriso che voleva
essere complice e che invece l’altro percepì come
forzato e sofferente.
“Merlin,
cosa ti turba?” chiese Arthur con
l’impulsività e la schiettezza che gli erano
proprie.
“E’
solo un po’ di tristezza momentanea,
stai tranquillo. Entro domattina mi sarà passata”
Merlin optò per una mezza
verità.
“Quante
volte dovrò ripetere il concetto
affinché ti entri definitivamente in quella tua adorabile
zucca vuota, eh?”
ironizzò alzando gli occhi al cielo. “Sono
innamorato, non deficiente. Credi
che non mi sia accorto che nelle ultime settimane ti sei
progressivamente
avvilito, avvizzito, infiacchito? Non mi ami più,
forse?” proseguì poi con
ardore, stringendo più forte la sua mano e posandosela sul
petto.
“No,
Arthur. Siamo le due facce della
stessa moneta e pertanto non posso fare a meno di amarti, adesso come
tra settant’anni.
Non dubitarne mai” mormorò dolorosamente sincero.
La reazione
dell’Asino fu tanto adorabile
quanto inaspettata: avvampò.
“Ah,
bene. Cioè, ecco, non- non me l’avevi
mai detto” balbettò, deliziosamente impacciato.
“Merlin, devo parlarti.
In realtà avevo intenzione di
attendere l’accensione del falò, ma mi hai appena
giurato amore eterno, e
insomma-” il suo appassionato farfugliamento venne interrotto
da un bacio a
fior di labbra, delicato e sfuggente come ali di farfalla.
“Sst,
mio principe, taci. Mi dirai ciò che
devi dirmi alla fine della serata” lo blandì
l’altro. “Diamoci una mossa, tuo
padre ci starà aspettando”.
Non si
sbagliava. Non appena i due amanti
fecero la loro comparsa nel bel mezzo della folla festante Uther
scambiò un
cenno d’intesa con il direttore dell’orchestra di
Sanremo -ingaggiata per
l’occasione- e dopo qualche colpo di bacchetta il complesso
attaccò con la
melodia dell’intramontabile hit Finché
la barca va.
Gran parte delle
persone si lanciò nelle
danze. Merlin riuscì a scorgere Lancelot e Gwaine che
improvvisavano un tango,
ma i nostri eroi non impazzivano per le canzonette italiane degli anni
’70 (e
come biasimarli?), per cui si astennero.
“Arthur,
Merlin! Venite a vedere!” li
chiamò la voce, vibrante di malcelata e sadica
soddisfazione, di Lady Morgana.
I due baldi
giovani si voltarono nella
direzione da cui proveniva il soave gorgheggio della fanciulla e
ciò che videro
li sconvolse e li divertì oltre ogni previsione. In un
angolo un poco
appartato, non lontano dal chiosco delle bibite, la nobildonna ed Elyan
avevano
acceso un fuoco di modeste dimensioni, sopra cui il ragazzo girava
ininterrottamente
uno spiedo. Peccato però che legata alla sbarra di metallo
non ci fosse della
succulenta cacciagione, bensì Gwen che, contro ogni legge
della fisica, invece
di urlare terrorizzata rideva e pure di gusto.
“Morgana,
ti prego, dimmi che non hai intenzione
di arrostirla viva” scoppiò a ridere Merlin.
“Capisco che è una trota di
dimensioni bibliche, intelligente quanto una cimice e meno avvenente di
una
bertuccia, ma è pur sempre la tua fedele ancella”
disse senza neanche un grammo
di convinzione nella voce.
La fanciulla,
nel rassicurarlo, strizzò
l’occhio ad Arthur con aria complice.
“Non
preoccuparti, futuro cognato, ho
incantato il fuoco. Non intendo ammazzarla benché, detto
inter nos, da quando
l’avete fatta accidentalmente innamorare di me la tentazione
mi è venuta più di
una volta. Voglio solo divertirmi un po’ alle spalle sue e di
quell’ingenuotto
di Elyan. A proposito, fratellone, hai avuto davvero
un’ottima idea a suggerire
di legarla allo spiedo come terapia d’urto contro il mal
d’amore” cinguettò.
“Di
niente, sorellina. E’ divertente
inventare nuovi modi per torturare l’arpia”
sogghignò in risposta lui. Sentendosi
osservato con insistenza, si voltò alla sua sinistra e
incontrò l’espressione a
dir poco incredula dell’amato. “Beh,
perché quella faccia?”
“Non
hai fatto una piega quando Morgana ha
detto di aver incantato il fuoco”.
“Perché
avrei dovuto? Te l’ho detto,
trottolino mio: sono innamorato, non scemo” e
inarcò un sopracciglio con
enfasi.
I festeggiamenti
si inoltrarono fino a
notte fonda. Al segnale convenuto una ventina di fuochisti, con
altrettante
fiaccole in mano, si avvicinarono alla mastodontica catasta di legno
posta al
centro della radura e le diedero fuoco. Le fiamme serpeggiarono verso
l’alto,
lambendo ceppo dopo ceppo,
e quando
anche l’ultimo ramoscello ebbe cominciato ad ardere la folla
esplose in un
gioioso boato. Beltane era giunta al termine e la luna svettava alta
nel cielo,
perfettamente tonda e splendente di un pallore argenteo.
Fu in quel
momento, circondato da gente urlante,
applausi e fischi di ammirazione, che Merlin attivò la
connessione bluetooth e
si mise in contatto con Kilgharrah.
“Adesso”
gli comunicò telepaticamente.
“Prepara
l’ombrello, giovane mago”
ridacchiò il lucertolone.
Ebbe appena il
tempo di pensare “Addio,
Arthur” che immediatamente dopo la cacofonia di grida venne
sovrastata da un
fragoroso flap-flap. Sbigottiti, i camelottiani alzarono gli occhi al
cielo
cercando di identificare la fonte di quel rumore e vennero investiti da
una
scrosciante ed improvvisa pioggia. La nuvola anomala altri
non era che
il millenario, imponente, maestoso e slasher fin nel midollo
Kilgharrah. Dalle
sue fauci, invece di sgorgare fuoco, pioveva acqua (che acqua non era)
a
secchiate; innumerevoli goccioline andarono a posarsi leggiadre su
vesti,
capelli, bocche spalancate per lo stupore e soprattutto occhi. Una
volta
accertatosi che ogni singolo partecipante alla festa avesse ricevuto la
sua
dose di antidoto, il drago disattivò la funzione
‘maxi innaffiatoio’ e atterrò
placidamente ai margini della radura -facendo bene attenzione a non
schiacciare
nessuno- e ripiegò le ali.
I risultati non
si fecero attendere. Uomini
che fino a pochi attimi prima si abbracciavano affettuosamente si
affrettarono
a staccarsi le mani di dosso e si rivolsero sguardi che andavano dal
vacuo, passando
per il perplesso con brio, al disgustato andante. Le donne si
limitarono a
mettere quanta più distanza possibile l’una
dall’altra e a fissarsi le punte
delle scarpe, rosse in viso come ciliegie mature. Gwen, riuscita
finalmente a
liberarsi, fissò Lady Morgana con odio misto a ribrezzo e si
lanciò alla
ricerca del suo Lance.
Eppure qualcosa
doveva essere andato storto,
realizzò Merlin, perché persino in quel marasma
fu in grado di notare che
alcune coppie non si erano sciolte: l’orafo Aragorn e
l’apprendista Legolas,
Leon e Percival, Gwaine e Lancelot (con Gwen che tirava
quest’ultimo per un
braccio, piagnucolando), Uther e Cenred. Ognuno di loro,
benché alquanto
spaesato, era rimasto appiccicato al proprio compagno e non sembrava
intenzionato a mollare la presa.
In nome di tutti
gli Stregatti, come era
possibile?
“Merlin”
una voce a lui ben nota lo
riscosse dallo stato di confusione in cui era caduto.
Era Arthur,
rimasto al suo fianco durante
la procedura di disintossicazione.
“Sì?”
la sua voce tremava lievemente nel
voltarsi ad incontrare lo sguardo dell’altro.
Fulmineo come un
falco predatore che sferra
l’attacco finale, il principe si avventò su di
lui. Merlin chiuse gli occhi,
aspettandosi di ricevere un manrovescio o di ritrovarsi la punta della
spada
puntata contro la gola, ma tutto ciò che ricevette fu un
bacio. Possessivo,
violento e rabbioso; ma indubbiamente un bacio.
“Sono
molto adirato con te, Merlin”
biascicò Pendragon junior, riprendendo fiato dopo
l’amoroso assalto.
“Chiedo
scusa?” esalò il mago altrettanto
ansimante.
“Avevi
promesso che non avresti usato
l’antidoto su di me, accidenti alle tue orecchie a
sventola” gli rinfacciò lui.
“Ma
guarda un po’ che razza d’ingrato! L’ho
fatto per te” si adirò Merlin.
“Perché era giusto così. Avrei
potuto tenerti
legato a me per sempre, ma vi ho rinunciato. Ho rinunciato alla mia
felicità e
al nostro futuro insieme per lasciarti libero, Asino patentato, libero
di
tornare alla tua vita precedente; perché ti amo, cazzo! Ti amo”
proruppe in singhiozzi disperati.
Sulla folla
intorno a loro, nel frattempo,
era calato un religioso silenzio. Popolani, nobili, sfaccendati, membri
della
corte e guardie reali. Tutti, senza distinzioni di sesso,
età e ceto sociale,
seguivano con attenzione il diverbio tra i due piccioncini. Era molto
più
appassionante di una puntata di Beautiful!
“Povero
Merlin, tanta fatica per niente” mormorò
la voce pacata del principe.
“Come
sarebbe a dire, per niente? Non senti
l’effetto dell’antidoto, non-?”
sbottò il mago tirando su col naso.
“Mi
sento me stesso, idiota che non
sei altro. Mi sento me stesso e in pace con il mondo perché
ti amo, Merlin, ti
amo dal primo momento in cui hai aperto la bocca per darmi
dell’Asino Reale. L’Amortentia
mi ha solo aperto gli occhi sui miei veri sentimenti. Se ho rifiutato l’arpia
Gwen, se ti ho corteggiato fino allo sfinimento, se ho fatto
l’amore con te in
tutti i letti, in tutti i corridoi e contro tutte le pareti del
castello
(marcondirondirondello) e persino nelle stalle è
perché era esattamente quel
che desideravo -e desidero- con ogni fibra del mio corpo” lo
interruppe
dolcemente Arthur, asciugando con i polpastrelli gli zigomi umidi di
lacrime
dell’altro.
Merlin
sbatté le palpebre, esterrefatto. Arthur,
il regal babbeo, innamorato di lui da anni? Ma
allora, le altre coppie
immuni all’antidoto…? Scoccò
un’occhiata interrogativa a Kilgharrah (la cui
presenza era del tutto passata inosservata: potere del melodramma) che
però
scosse il capoccione in segno di diniego.
“Ne so
quanto te, giovane mago”.
“Se
permetti, io potrei darti le risposte
che cerchi, Emrys”.
A parlare -gli
esimi lettori lo avranno
certamente intuito- era stato il piccolo Mordred, comparso in scena
annunciato
da un’esplosione di fumo e altri graziosi effetti speciali
(non abbiamo badato a
spese). I presenti, a quel punto, trattennero il fiato.
“Toh,
chi si rivede” lo salutò Arthur, non
senza provare un certo disagio.
“Principe”
il bambino chinò il capo.
“Mordred,
che ci fai tu qui a quest’ora
della notte? Non dovresti trovarti nel dormitorio della tua
Casa?” lo interrogò
Merlin con un tono preoccupato da mamma chioccia e dando
così prova di essersi
fatto una cultura in materia harrypotteriana.
“Tranquillo,
nessuno mi scoprirà. Ma bando
alla ciance, è arrivato il momento del gran
finale” lo liquidò l’emo in fasce. Detto
questo avanzò di un passo, piazzandosi così
proprio sotto la luce dei
riflettori della
luna; attorno a lui
non volava una mosca.
“Spettabile
gens camelottiana, dame
e cavalieri, reali e plebei, esseri umani e non”
esordì con una certa
disinvoltura. Il pubblico taceva, pendendo dalle sue labbra.
“Benvenuti
all’ultima, avvincente puntata della serie Ce la
faranno i nostri eroi a
vivere per sempre felici e contenti o falliranno per le troppe seghe
pare
mentali? Sono stati Gandalf in persona e la perversa autrice
di codesta
fanfiction a spedirmi qui a fare da messaggero”
spiegò poi rivolgendosi a
Merlin. “Si congratulano con te e con il drago per la buona
riuscita del vostro
piano. L’Acqua del Disamore, come messer Ariosto la
nominerà tra qualche
secolo, ha funzionato egregiamente”.
“Come
puoi affermare una cosa del genere,
Mordred? Lo vedi anche tu che alcune coppie non si sono
separate” obiettò
perplesso il mago.
“Questo
perché era destino che non
si separassero, Emrys: il loro è un amore sincero, palesato
e non provocato dagli
effetti dell’Amortentia. Prima che me lo chieda,
sì, lo stesso vale per te ed
il tuo principe” precisò scrollando le spalle.
“Mi sembra di aver detto tutto. Vogliate
perdonarmi se vi lascio così bruscamente, ma il mio compagno
di stanza chiede
di me e fidatevi, è meglio non far aspettare Tom Riddle. Ah
sì, un’ultima cosa:
auguri e figli in abbondanza!” esclamò il bambino
prima di scomparire in una
voluta di gas fumogeno.
Dopo un attimo
di esitazione il pubblico
diede il via ad uno scrosciante applauso, lodando a gran voce
l’egregia uscita
di scena di Mordred e inneggiando al vero amore. Leon divenne rosso di
imbarazzo
e nascose il volto tra le pieghe della casacca del compagno, Gellert
carezzò
languidamente i
lunghi capelli di Albus,
Lancelot si scrollò di dosso Guinevere, trascinando
l’amante in un bacio
mozzafiato, e Uther strinse saldamente la mano destra di Cenred tra le
sue.
E Merlin ed
Arthur?
“Basta,
io ci rinuncio! Ne ho abbastanza di
tutto quest’ammmòòòre
nauseante, ne-ho-abbastanza! E’ l’ennesima volta
che i
miei piani di conquista di Camelot vanno in fumo per colpa tua, Merlin
Emrys, e
ne ho le scatole piene. Mi arrendo, sei contento?! Mi ritiro
nel mio antro,
dove trascorrerò il resto della vita in un beato stato di
zitellaggio, santa
polenta! Addio per sempre, sfigati!”
Ad urlare peggio
di una banshee incazzata
nera era stata Morgause, palesando il suo vero aspetto (chioma
platinata,
sguardo spiritato e sopracciglia fantasma comprese nel prezzo), per poi
Smaterializzarsi con uno schiocco di dita.
Arthur e Merlin,
dicevamo.
“Sicché
tu mi ami davvero” mormorò il mago.
“Dovresti
fidarti un po’ più delle mie
parole, idiota”.
“Testa
di legno”.
“Sposami”
lo colse totalmente alla
sprovvista il principe, inginocchiandosi ai suoi piedi.
“Starai
scherzando, mi auguro” Merlin
impallidì improvvisamente.
“Niente
affatto” e così dicendo tirò fuori
da una tasca delle braghe un anello di mirabile fattura,
d’oro massiccio, in
cui era incastonato un rubino grosso quanto una noce e glielo porse.
“Questo è
l’anello che gli uomini della mia casata donano alle loro
future spose; ho
pregato Sir Aragorn di apportarvi alcune modifiche in modo da renderlo
più virile.
Sposami, Merlin. Abbiamo la benedizione di mio padre e il popolo fa il
tifo per
noi. Rendimi un uomo onesto e il più orgoglioso dei
consorti, te ne prego”.
“…E
va bene, Asino Reale. Voglio proprio
mettere alla prova la mia pazienza, sopportandoti per il resto della
mia vita”
accettò Merlin, regalandogli il più sfavillante e
contagioso dei sorrisi.
“Non
avrai di che pentirtene, te lo
prometto. Anche tra settant’anni”.
…to
be continued…
Siete
fantastiche, ragazze mie, e meritate
d’essere ringraziate con tutti i crismi.
Un abbraccio
stritolante alla 27 anime pie
che hanno inserito A midsummer night’s
dream… in Camelot tra le seguite
(ovvero: 92Morgana, Alpa Leonis,
alucard51, BeaLovesOscarinobello, Betta90, capricorno24, Caskett96,
cassy_star,
chimaira, crownless, Doripri, draco potter, Edian, elyxyz, Emrys__,
fliflai,
gaarashun, joey_ms_86, LoversOcean, melania, meristrella,
MusabiTheSeer,
Noemipotter, Roxanne Potter, Snivellus87, Urania Cephei,_Ice_Queen_)
e alle
2 che l’hanno ricordata (Cloud
Ribbon,
xMoonyx); un bacio con schiocco alle 7 (BeaLovesOscarinobello,
Edian, Emrys__, Ice Warrior, SilviAngel,
supermimi213, xMoonyx) che hanno preferito e alle -finora-
16 che hanno
recensito (antote,
BeaLovesOscarinobello, Betta90, blackberry, chimaira, Cloud Ribbon,
draco
potter, Edian, elfin emrys, Emrys__, feyilin, melania, meristrella,
Suicidal_Love, valentinamiky, xMoonyx). Un grazie anche a te,
lettrice
silenziosa, che sei rimasta con me fino alla fine.
Alla prossima:
mi rivedrete presto su questi
schermi! Vi lovvo tutte tuttissime.
Edit del 3/11/11:
a voi il seguito (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=857882).