- Salve..^^"
Qualcuno la ricorda?? XD
Se sì, e aspettavate di leggerla, scusate. Lo so, che sto postando questa storia alla stessa velocità di un bradipo zoppo, credetemi, lo so..
Però, spero che nonostante tutto avrete voglia di leggerla ancora, perchè cercherò in ogni modo di sbrigarmi fuori. Spero che il capitolo non vi deluda...
Dai, faccio un breve riassuntino: Edward, dopo essere stato malmenato e medicato da Bella, torna al suo appartamento, dove Rosalie e Jasper (dopo averlo cercato in lungo e in largo, e dopo aver incontrato gli altri tre dell'Ave Maria) si precipitano. Edward, un po' acciaccato e spaventato dall'ira funesta della bionda, le chiede se c'è un modo per farsi perdonare. Perciò Rosalie organizza un'uscita con Alice, Emmett e Isabella. ù.ù
In questo capitolo, le varie coppiette cominceranno ad avvicinarsi. Alice e Jasper, vi avviso, sono i miei Alice e Jasper. Lui, è il classico puttaniere, lei è un tipo tutto pepe: mi sono immaginata così la scena, e spero non vi deluda, anche se non sono in linea con i personaggi della Meyer.
Bon. Ora mi defilo!Buona lettura! (spero lo sia, almeno XD)
- »E
ti sorriderò«
- {Capitolo 6. Nuove emozioni }
- ..
- Edward
sorrise a Isabella, nel modo più naturale e spontaneo; sì stupì lui
stesso, ma
capì che probabilmente quella sarebbe stata la prima di tante altre
volte, con
quella ragazza che le ricordava tanto una bimba bisognosa di
protezione.
- Proprio
così. Credeva che Isabella fosse una di quelle persone che si mostrava
forte e
capace di cavarsela da sola, ma che in realtà era molto fragile, e desiderosa, non bisognosa, di aiuto.
- Edward
riusciva a leggere le persone, e il più delle volte ci azzeccava sul
serio.
- Isabella
gli sembrava così facilmente leggibile..i suoi occhi erano un qualcosa
di
meravigliosamente espressivo. Bastava scrutarle lo sguardo, e si poteva
chiaramente leggere i suoi pensieri come se li dicesse ad alta voce.
- Questa
cosa piaceva particolarmente a Edward.
- «Che
dici..ci facciamo una passeggiata? » propose lui, staccandosi dal muro.
- Isabella
si strinse nelle spalle, e annuì. «Perché no. Tanto non sei un latin
lover, non
corro nessun pericolo, no? » chiese, con un sorrisetto divertito.
- Edward
assunse un’aria ambigua. «No, non sono un latin lover..ma potrei essere
terrificantemente cattivo e pericoloso.. » Bella alzò un sopracciglio,
scettica: dopo averlo visto mezzo morto per dissanguamento, non le
avrebbe più
potuto far paura.
- Edward
le lanciò uno sguardo da predatore, che al posto di farle battere il
cuore per
lo spavento, le fece provare ben altre sensazioni: Edward era davvero affascinante. Anche quando sfoggiava uno
sguardo che avrebbe dovuto essere terrificante. «Mai sentito di
creature
bellissime e spietate che accompagnano le donne in vicoli bui per
cibarsi con
il loro sangue? Di vampiri?»
- Isabella
si guardò distrattamente le unghie, trattenendo una risatina: «Chiamerò
Van
Helsing»
- Edward
si bloccò in mezzo al marciapiede, incrociando le braccia al petto, gli
occhi
spalancati. «Sei incredibile» commentò, divertito.
- Bella
fece un gesto di sufficienza, «Lo so.»
- Edward
rise. «Ti credevo più modesta, sai?» l’apostrofò, «Invece sei solo
un’egocentricona» la prese in giro, con un ghigno.
- Isabella
lo fissò scandalizzata. «Ehi! Parla quello che dice che il suo sangue è
troppo
prezioso per essere sprecato! »
- Edward
alzò le braccia in segno di resa, «Touchè» e le sorrise. «Allora..da
quanto
tempo conosci Emmett e Alice? » chiese, infilando le mani in tasca per
tenerle
al caldo.
- Anche
Isabella sentiva il freddo pungente nelle ossa, e sfregò le sue una con
l’altra
per scaldarle un po’, poi ci soffiò sopra.
- Edward,
allora, frugò nelle sue tasche del giubbotto, ne tirò fuori due grossi
guanti,
e li porse a Isabella. Lei lo guardò storto. «Perché non li metti? »
chiese
lei. Edward si strinse nelle spalle. «Io odio i guanti; mettili tu»
- Prese
velocemente le mani di Isabella; ma non fu la percezione della sua
pelle gelata
a farlo sussultare, quanto una piccola scossa che aveva attraversato la
sua di
pelle quando le aveva afferrate.
- Deglutì
a vuoto, guardando di sottecchi Isabella, che era improvvisamente
arrossita, e
pensò che magari anche lei fosse destabilizzata da quella strana
sensazione.
- Edward
si riscosse e infilò i guanti a Isabella, che lo lasciò fare, sentendo
il cuore
sfarfallare nel petto. Per quanto fosse imbarazzata, soprattutto per la
scossa
che aveva precedentemente sentito, le piaceva troppo sentire il tocco
delle
mani tiepide di Edward.
- Poi
Edward lasciò le mani di Isabella, e ripresero a camminare spalla
contro
spalla, nelle strade di Manhattan.
- «Io
e i ragazzi ci conosciamo da una vita, praticamente.. » riprese Bella,
cercando
di stemperare l’aria elettrica. «Sono i miei migliori amici, la mia
famiglia..
» mormorò, con un sorriso dolce ad incresparle le labbra rosee. Edward
si perse
ad osservarla, mentre i suoi occhi scintillavano a parlare dei suoi
amici.
«Alice è esuberante, a volte vorrei darle una botta in testa e
spegnerla..ma so
che senza di lei e la sua vitalità diventerei un vegetale.. » Edward
rimase
colpito da quella uscita, ma non osò interrompere quel flusso di
coscienza che,
incomprensibilmente, gli sembrava il tesoro più prezioso al mondo.
«Emmett,
be’, lui è il mio Orso» Isabella si voltò verso di Edward, un po’
perché voleva
vedere il suo viso, un po’ per controllare di non starlo annoiando. «Mi
ha
sempre fatto da padre e fratello. Se Alice è la mia perseveranza,
Emmett è la
mia risata. Sì, ecco: Alice e Emmett sono i miei angeli custodi.» e
annuì tra
sè, distrattamente, come a ribadire il concetto.
- Edward
rimase ancora una volta colpito dalle parole di Isabella.
- Lei
si voltò a guardarlo in viso, «Tu e Rosalie da quando conoscete Jasper?
»
- Edward
si strinse nelle spalle, e sorrise. «Jasper è il mio migliore amico, il
fratello maschio che non ho mai avuto. E per Rose, è un po’ la stessa
cosa»
- Bella
annuì, «E da quando abitate a New York? » domandò, curiosa.
- Edward
ridacchiò. «Non sarebbe toccata a me la domanda, ora? »
- Lei
gli fece una linguaccia. «E chi l’ha imposto? Su, rispondi!»
insistette.
- Il
rosso scosse la testa, divertito. «Da circa quindici anni, ormai»
rispose, dopo
aver riflettuto un po’, «Prima abitavo in una piccola cittadina nello
Stato di
Washington, con i miei e Jasper. Ma non credo che tu la conosca..è
davvero
insignificante.»
- Bella
alzò gli occhi al cielo, compatendo Edward. «Credimi, in quanto a
cittadine
sperdute, io vinco su tutti i piani! Anch’io vengo dallo stato di
Washington,
comunque!»
- Edward
parve sorpreso, «Davvero?»
- «Già!
» Isabella sorrise, «Dalla cittadina più piovosa degli States, il
massimo per
una come me che ama il sole!»
- Edward
si fermò, e la osservò curioso. «Ti prego, non dirmi che sei anche tu
di
Forks.»
- Bella
gettò all’indietro la testa e liberò una risata cristallina. «Purtroppo
devo
dirtelo: sì, vengo proprio da lì!»
- Il
rosso si passò una mano tra i capelli indomabili, stupito. «Oddio! E’
una cosa
traumatizzante! E quando ti sei trasferita qui?»
- «Quando
ho compiuto diciott’anni.» Negli occhi di Isabella passò un guizzo di
tristezza, che lei scacciò con prepotenza, e Edward non osò indagare
per quale
motivo si fosse incupita in quei brevi istanti. «Abito qui da due, e
sono stati
gli anni più belli della mia vita. New York è magnifica.»
- Edward
assunse un’aria pensosa, cercando di allontanare l’apprensione per quel
momento
di debolezza di Bella, in cui i suoi occhi si erano spenti. «Quindi,
hai venti
anni, giusto?»
- Isabella
fece una faccia indignata. «Lo sai che non è educazione chiedere né far
presente l’età di una signora?»
- Edward
ridacchiò. «Sì, che lo so. Ma tu non sei una signora! » Le fece una
boccaccia,
per poi sfuggire ad un pugno in arrivo da un’Isabella fintamente
indignata e
visibilmente divertita.
- Bella
sbuffò, incrociando le braccia sotto il seno. «Sì, ho vent’anni. Tu?
Non mi
metto di certo a macchinare per saperlo, io.»
- Edward
sfoggiò un sorrisone: «Ventiquattro.»
- Isabella
spalancò la bocca. «Sei un vecchio!» Sì, beh, il vecchio più bello e
affascinante che avesse mai visto.
- Lui
fece una faccia offesa: «Non sono vecchio! Anzi, sono un avvenente
ragazzo!»
- «Pff!»
fece Isabella, alzando gli occhi al cielo. «Vecchietto! Occhio a non
perdere la
dentiera, quando sfoggi quei sorrisi!»
- Edward
ridacchiò, e, per un attimo, gli passò per la mente di dirle che era
solo
grazie a lei, che quella sera continuava a sorridere come un idiota.
- Perché
erano anni, che Edward non si faceva coinvolgere così emotivamente,
tanto da
essere veramente sereno.
- Isabella,
inconsapevolmente, quella sera gli stava facendo riscoprire il piacere
di
assaggiare la pace dai pensieri
tristi.
- Lei,
che gli aveva medicato le ferite della rissa, lei che aveva impedito di
farle
sanguinare ancora;
- Lei,
che, senza saperlo, stava facendo molto in una sola sera.
- E
Edward le era grato, non solo perché lo aveva aiutato la sera prima, ma
perché
stranamente quella sera il pensiero che la sua vita non fosse
importante non lo
aveva sfiorato nemmeno per un secondo.
- Perché
lei era la prova che la vita andava vissuta, perché conoscere lei era
un
miracolo.
- Ma
quel fiume di pensieri passò in un istante, e lo accantonò subito.
- «Ah,
sei una strega!» disse, spingendola leggermente con una spallata.
- «Ehi!»
fece, indignata, ricambiando la spinta. «Stai buono, vecchietto!»
- Edward
rise.
- «Sai,
se fossi nata nella tua era, nonno, magari ci saremmo incontrati a
Forks.»
riflettè Isabella.
- «No,
che disgrazia!» esclamò Edward, con una finta aria terrorizzata. «Per
fortuna
non è accaduto!» Anche se, in realtà, il pensiero che avrebbe potuto
incontrare
prima quella meravigliosa ragazza lo lasciava davvero con l’amaro.
Chissà, se
si fossero conosciuti prima, come sarebbe andata la loro vita.
- Isabella
gli diede una sberla sul braccio, conscia di avergli solo fatto il
solletico.
- «Beh,
Bella.» usò il nomignolo che aveva
utilizzato Emmett, prima al tavolo, «Perché questo soprannome? Isabella
è un
nome molto bello.»
- Isabella
fece una smorfia. «Io non credo proprio. E’ decisamente altisonante. E
vecchio,
quasi quanto te.- Gli fece un sorrisetto divertito- Bella è molto
meglio.»
- Edward
ammiccò, ricambiando al sorriso. «Bella.
Sì, ti si addice. Sai che in Italiano, bella
significa avvenente?»
- Isabella,
a cui piaceva particolarmente come suonava il suo nomignolo detto dalle
labbra
di Edward, evitò accuratamente di arrossire per il complimento
implicito che il
rosso le aveva fatto. «Ma come, sai parlare Italiano? Che uomo dalle
mille
risorse!»
- Edward
alzò un sopracciglio. «Sei davvero assurda. Io faccio sfoggio di una
vasta
gamma di modi per dirti che ti trovo particolarmente attraente, e tu
smonti i
miei tentativi! Come faccio di questo passo a sposarti?»
- Isabella
gli riservò un’occhiata. «Te l’hanno mai detto che potresti fare la
parte della
prima donna in una tragedia?» fece, retorica e ironica.
- Edward
ridacchiò. «No. Vedrò di prendere in considerazione la recitazione,
anche se
preferisco di gran lunga la musica.»
- Le
labbra di Bella s’incresparono in una ‘o’ per la sorpresa. «Suoni? Che
cosa?»
- Il
rosso si morse l’interno della bocca, dandosi dello stupido. Accidenti
a lui, e
alla sua boccaccia. Sperava che Isabella non indagasse oltre, spiegarle
i suoi
stupidi sogni lo avrebbero fatto apparire un povero illuso.
- «Sì,
so qualche parola di Italiano..abbiamo degli amici di famiglia, in
Toscana,
sai. Ci sono andato qualche volta.»
- Isabella
lo guardò con un sopracciglio alzato, e si bloccò di nuovo, incrociando
le
braccia al petto. Si era accorta del suo tentativo, per altro patetico
e
inutile, di eludere la domanda.
- Fissò
Edward con ostinazione.
- Lui
sospirò, e si passò una mano tra i capelli rossicci senza una forma
precisa.
- «Diciamo
che so suonare discretamente la chitarra e il pianoforte. Così, per
passatempo.» minimizzò il rosso, guardando da tutt’altra parte che
verso
Isabella.
- «Chissà
perché, ma non credo che sia solo per hobby. E anche che tu sia molto
meglio
che ‘discreto’» disse, facendo le virgolette con le dita.
- Edward
si strinse nelle spalle. «La musica è sempre stata la mia passione più
grande,
e ho sempre sognato di poter diventare un musicista di professione. O
un
cantante, di fondare qualcosa di carino..ma non ho mai avuto
l’occasione.»
sospirò. «Poi è cambiata l’aria, e anche la mia capacità di comporre
pezzi è
morta, e per di più ho abbandonato da un po’ il piano.. Ma ovviamente
sono solo
cazzate di un adolescente illuso.»
- Bella
scosse la testa con decisione ma Edward sembrava non calcolarla.
Continuava a
guardare altrove, e la cosa la irritava.
- Isabella,
più intraprendente di qualsiasi altra volta nella sua vita, allungò le
mani
fino al viso di Edward, che aveva già avuto la fortuna di sfiorare, e
lo
obbligò a guardarla negli occhi. Lui era visibilmente stupito.
- «Edward.
Non osare dire che sono cazzate. E’ un sogno bellissimo, il tuo.
Scommetto che,
se solo volessi davvero ricominciare, riusciresti a trovare
l’ispirazione per
comporre.»
- La
convinzione con cui lo disse trasmise un po’ di determinazione in
Edward, e lui
ne fece tesoro.
- Lei
levò le mani dal suo viso, lentamente, lasciandogli una carezza lieve,
e Edward
memorizzò ogni brivido che sentì.
- Fece
un sorrisetto, affilando lo sguardo. «Come fai ad essere sicura del mio
talento, se non mi hai mai sentito suonare?»
- Isabella
ricambiò, con furbizia. «Lo sento. E io non sbaglio mai.»
- Lui
fece un cenno col capo, come a dargliene atto, e il sorriso di Bella
divenne
soddisfatto. «Bene. Ora che si fa?»
- Edward
infilò nuovamente le mani in tasca. «Ricomincia il mio interrogatorio.
E magari
torniamo indietro, non mi fido a lasciare Alice e Rosalie da sole» .
- -
- «Bella
non è ancora tornata?» brontolò Emmett, tornato dal bancone per
prendere i
drink per lui e Jasper.
- «No,
Em. Ma penso che sia in buone mani. » sorrise Alice, pensandola con
Edward. Non
lo conosceva assolutamente, ma chissà
perché solo a vederlo sembrava un ragazzo sveglio, simpatico,
affidabile e
soprattutto single. Bastava pensare al fatto che, pur di proteggere la
sorella
si era fatto pestare, e si capiva quanto fosse ammirabile.
- Senza
contare che con la sua Bella, sarebbe stato divinamente.
- «In
buonissime mani!» concordò Rosalie, che le scoccò un’occhiata complice.
Evidentemente, erano più in sintonia che mai.
- Jasper
bevve un sorso di cocktail, guardando di sottecchi Alice.
- Ogni
volta le sembrava più bella di prima, e questo pensiero costante lo
spaventava.
- Sì,
gli era capitato di perdersi a guardare una ragazza carina, ma questa
fissa per
Alice era strana. Mai, mai era stato
uno sforzo fisico staccare di dosso gli occhi da una ragazza; mai gli
era
capitato di volerla guardare non per le curve o le gambe, ma per la
tenerezza
che emanava.
- Questi
pensieri erano davvero deleteri, per il biondo, che decise di
inghiottire tutto
il resto del drink in un sorso.
- Rosalie
gli scoccò un sorrisetto, e lui la trucidò con lo sguardo.
- La
sua migliore amica era una perfida strega; se prima lo diceva tanto per
dire,
ora aveva la certezza e il motivo per chiamarla così.
- Alice
si alzò, «Scusatemi, vado un attimo al bagno».
- Jasper
serrò le mani sotto il tavolo per trattenersi dall’alzarsi e seguirla.
- E
non a scopi perversi, come avrebbe fatto con qualsiasi altra ragazza.
- Ma
Alice Brandon non era una qualsiasi
ragazza: Alice era Alice.
- Voleva
andare con lei per evitare che qualcuno si avvicinasse a lei, per proteggerla. Perché, dopotutto, c’era
tanta di quella gente losca in quei locali, e lei era così minuta e
indifesa.
- No,
eh. Così non andava proprio! Stava diventando geloso, e Alice non era
nemmeno
sua!
- Scosse
la massa di riccioli biondi, e si schiaffeggiò una mano sulla fronte.
- Era
così preso dai suoi pensieri, che si stava perdendo la conversazione
tra
Rosalie ed Emmett, tanto da non notare come i due si guardavano.
- Annuì
appena, quando la sua migliore amica lo avvisò che andavano a farsi un
giro.
Emmett e Rosalie sparirono tra la massa, e a quel punto, Jasper mandò a
fanculo
qualsiasi buon proposito. Tra l’altro, le uniche due persone che lo
tenevano lì
se n’erano andate per i fatti loro, e lui, francamente, stava morendo
dall’ansia.
- Si
alzò, e s’infilò tra la calca di gente per seguire Alice. Riuscì a
trovare le
scale che portavano da basso, dove, in teoria, dovevano esserci i bagni.
- Peccato
che sembrasse un ritrovo di arrapati che si strusciavano l’un con
l’altra.
- Poco
contava che un tempo Jasper si fosse
comportato quasi allo stesso modo-certo, diciamo che lui aveva la sua
privacy,
e non lo faceva in mezzo alle scale-perché in quel momento, tutta
quella gente
avvinghiata in modo poco consono gli dava enormemente fastidio, se non
gli
faceva addirittura ribrezzo.
- Scese
le scale, cercando di ignorare i polipi in accoppiamento, e arrivò al
bagno
delle signore, appostandosi alla porta neanche fosse uno stalker.
- Perché
Alice ci metteva tanto?
- Cercò
di auto convincersi che le donne, al bagno, ci mettevano i secoli, ma
il suo
stomaco era annodato e una smorfia seccata gli sfigurava il volto.
- Una
ragazza gli si avvicinò ancheggiando. «Ehi».
- Lui
la ignorò.
- «Non
sei Jasper? Ho sentito parlare molto bene
di te.» disse lasciva, con un sorrisetto. «Una mia amica ti ha
conosciuta più
da vicino e--»
- «Scusami,
cara» una voce familiare lo fece sussultare. Era Alice, dietro alla
spilungona,
con le braccia incrociate sotto il seno, e un’espressione seccata.
- Jasper
si concesse un momento per analizzarla bene: Alice, con quel vestitino
era
magnifica, elegante. Sembrava una dea. Riluceva di luce propria.
- E
sì, non era da Jasper Withlock dire queste cose, ma prima non conosceva
Alice
Brandon. Con lei era tutto diverso, ormai si era rassegnato a questa
consapevolezza.
- «Se
non lo hai notato, non è interessato. Quindi, ti conviene evaporare».
L’occhiataccia che riservò alla ragazza lo fece rabbrividire: avrebbe
potuto
incenerire. Eppure, anche da arrabbiata era bellissima.
- La
ragazza la guardò dall’alto, con ostentata irritazione. «Senti cocca,
non
rompere, ok? Mettiti in coda, se non vuoi che ti calpesti.».
- Jasper
scattò. Quell’ultima affermazione era intollerabile. Aveva accettato il
tono,
ma di certo quelle frecciatine gratuite sull’altezza di Alice.
- Il
suo Folletto-Angelo era intoccabile.
- «Non
osare parlarle così, razza di gallina. Vale mille volte più di te. E
ora
evapora per davvero» ringhiò, fissandola con astio.
- La
ragazza sconosciuta rimase un attimo stupita: «Oh, ma vaffanculo,
bastardo! »
poi stizzita girò i tacchi.
- Jasper
si voltò verso Alice, ansioso. Lei aveva ancora il visetto sfigurato
dalla
rabbia. «Brutta troietta. Se la becco, la picchio». Chissà perché, dal
tono
Jasper intuì che diceva sul serio.
- «Lasciala
perdere, Alice» cercò di farla desistere, ma lei gli riservò
un’occhiataccia
truce. «E tu, perché cacchio sei venuto qui giù? »
- Alice
era furibonda. Già era indisposta perché quel ragazzo sembrava
diventato il suo
unico e costante pensiero; poi si era ritrovata davanti un’escort in
vena di
elargire piacere, e, dulcis in fundo, aveva appena realizzato che il
suo
‘pensiero costante’ fosse un maledetto puttaniere. Di bene in meglio,
no?
- Che
venisse un accidente a quello stupito di Jasper! Perché doveva essere
così
dannatamente bello, fiero e perfetto per lei? Perché era matematico:
Jasper era
la metà perfetta della sua mela, se Alice era lo Ying, lui era lo Yang,
o la
sua anima gemella, che dir si voglia. Da chiamarsi come si voleva, ma
Jasper
era quello, indiscutibilmente, per Alice. Anche se lui ancora non lo
sapeva, ed
anche se era uno sciupa femmine molto rinomato.
- Il
biondo sospirò. «Emmett e Rosalie sono andati a fare un giro. E io ero
troppo
preoccupato che qualcuno potesse importunarti per starmene buono buono
seduto
al tavolo. »
- Gli
occhi azzurri di Alice erano sprezzanti. «Peccato che quello
importunato, sia
stato tu. Anche se mi chiedo quanto possa essere stato fastidioso per
te. Da
quel che ho capito, sei avvezzo a questo genere di cose». Sputò.
- Jasper
s’infiammò. «Cosa dovrei dirti, eh? E’ la verità, hai ragione, diciamo
che sono
abituato. Ma ciò non significa che stasera mi abbia fatto piacere!»
- «Oh,
ma lasciamo perdere! » sibilò Alice, superandolo e urtandolo
deliberatamente. Era
conscia che probabilmente stesse facendo la figura dell’immatura, o
della
schizofrenica, ma il pensiero che Jasper Withlock non fosse altro che
un infimo
puttaniere le faceva andare il sangue al cervello, e sentiva ogni fibra
del suo
corpo vibrare per quell’indignazione immotivata.
- Salì
le scale, imperterrita, senza curarsi se Jasper la stesse seguendo o
meno, e si
buttò in pista per ballare.
- Non m’importa nulla, si ripeteva
come un mantra. Perché, dopotutto, Jasper non era assolutamente niente
per lei.
Era solo la terza volta che si vedevano, come poteva fare tali scenate?
Perché
poi questo fastidio? Insomma, non ce n’era motivo! A malapena conosceva
il nome
e il cognome di Jasper! Le sue idee da
illusa cronica poteva anche debellarle.
- «Ehi,
balliamo insieme?» le domandò un ragazzo carino, con un sorriso
gentile. Quanto
fosse realmente tale, Alice non se lo chiese nemmeno, e annuì. Tanto
non le
importava, e non le importava nemmeno che Jasper fosse un maledetto
sciupa
femmine e che non desse peso ai sentimenti.
- Il
ragazzo le sorrise di nuovo: «Mi chiamo Chris, piacere»
- Alice
stava per rispondere, ma una voce maschile, affascinante quanto la
irritava, lo
fece per lei. «Il piacere è tutto tuo. Ora scusa, ma deve venire con
me.».
Jasper le afferrò il braccio e la trascinò fuori dalla ressa di persone
che
ballavano, incurante del fatto che lei si stesse opponendo.
- Continuò a
tirarla fino in un angolo vuoto e
ignorato da tutti.
- Alice
lo fissò molto male e molto irritata. «Che cazzo fai?!» sbraitò,
strattonando
il braccio e liberandosi finalmente dalla stretta di Jasper.
- Gli
occhi azzurri del ragazzo sembravano bruciare di rabbia cieca.
- «Ti
proteggo, no?».
- «E
chi te l’ha chiesto, eh? » fece Alice, acida, stringendo i pugni per
trattenersi dal schiaffeggiarlo.
- Jasper
prese un profondo respiro. « Faccio solo quello che farebbe Emmett al
posto mio.» disse, cercando di calmarsi, «Mi spieghi perché prima eri
così arrabbiata?»
- «Per
lo stesso motivo di adesso, e ora sciò»
- Ma
Jasper non voleva farla scappare, non più, e di certo non se ne sarebbe
andato
lui.
- Perché
prima, quando gli aveva voltato le spalle, a vederla allontanarsi,
aveva
sentito una fitta allo stomaco. Era una brutta sensazione, non voleva
ripeterla
ancora.
- Posò
le mani sulla parete, ai lati della testa di Alice, imprigionandola tra
le sue
braccia. Come se non bastasse essere ingabbiata tra il muro e il suo
petto, la
infilzò con uno sguardo definibile illegale, e lei perse ogni speranza
e voglia
di scappare da lui.
- «Alice..Brandon.»
disse, lentamente, scandendo il suo nome e cercando di mantenere un
briciolo di
lucidità. Ma quegli occhi azzurri gli davano qualche problema: era la
prima
volta che li fissava così da vicino, e li aveva riscoperti ancor più
brillanti
e maravigliosi.
- «Non
ho idea di cosa mi stia prendendo, ma so che l’ultima cosa che voglio è
averti
arrabbiata con me. Anche se ci siamo visti tre volte in tutta la nostra
vita,
mi sembra chiaro che tu mi abbia sconvolto. Per la prima volta mi sono
sentito
uno schifo per la mia condotta con le ragazze, e per la prima volta una
donna
disponibile è passata in secondo piano, alla tua sicurezza. Be’,
diciamo che
questa è la sera delle prime volte, perché normalmente non sono così
apprensivo..
»
- Alice
era rimasta pietrificata, o meglio, pendente dalle labbra di Jasper. Le
osservava muoversi, e più recepiva le parole di Jasper, più la sua
voglia di
baciarlo diventava esponenziale.
- Un
secondo, e Alice perse definitivamente la ragione, e si alzò sulle
punte per
posare le sue labbra su quelle di Jasper.
- Il
biondo rimase per qualche istante stupito, poi in lui si fece strada
una strana
sorta di beatitudine che non aveva mai provato in vita sua.
- Le
mani delicate di Alice salirono ai suoi capelli, e lui sospirò sulle
sue
labbra; era seriamente creta, nelle sue mani.
- Jasper
ricambiò il bacio per qualche secondo, sentendo la sua lucidità calare
alla
velocità della luce.
- Però,
poi si rese conto che non voleva che Alice fosse una come le altre,
perché,
come aveva già appurato, lei era di un altro livello, e non meritava di
essere
trattata come un giocattolo.
- Perciò
posò una mano su una guacia delicata e l’allontanò lentamente, sentendo
una
fitta allo stomaco.
- «Alice..
» Lei arrossì, e apparve ancora più bella ai suoi occhi. «Non voglio»
- Il
cuore di Alice ebbe una fitta, stava per divincolarsi da lui e scappare
via, ma
Jasper non la lasciò mai. «Tu non sei come le altre, Alice, tu sei
diversa.
Sarebbe come mancarti di rispetto, ed è l’ultima cosa che vorrei».
- Gli
occhi di Jasper lampeggiarono in quelli di Alice.
- La
Folletta aprì la bocca per parlare, anche se non aveva la benchè minima
idea di
quello che avrebbe detto, ma la voce di Emmett, alle spalle di Jasper,
fece
spegnere la voce e il cervello di Alice. «Eccolo là! »
- Jasper
si scostò immediatamente, mentre il ragazzo bruno si avvicinava a loro
con
Rosalie al fianco, gli occhi accesi dalla gioia e puro divertimento.
- «Ah,
menomale Alice è con te!-Emmett sciabolò le sopracciglia in direzione
di Alice,
poi si voltò verso Jasper- Abbiamo perso Edward e Bella!» annunciò, con
un
sorriso divertito. Si passò una mano tra i riccioli scuri, e Rosalie si
ritrovò
a pensare che fosse tenerissimo.
- Quella
serata con Emmett si stava rivelando più divertente di quanto avrebbe
mai
creduto. Nei momenti in cui erano rimasti soli, girando un po’, avevano
parlato
molto e un po’ di tutto; dall’amicizia con Alice e Isabella, al suo
lavoro da
meccanico, mentre lei gli aveva raccontato di Edward e Jasper, di come
fosse
preoccupata per il fratello e quanto la irritassero certi atteggiamenti
dell’amico. Poi avevano virato su argomenti molto più leggeri, come
musica e
hobby, e avevano pure sfiorato l’argomento ex. Dopotutto, era noto a
tutti il
motivo per cui Edward si era dato alla rissa per strada. Mentre Emmett
aveva
appena accennato che era da un po’ che non aveva una ragazza; Rosalie,
con una
stretta allo stomaco inspiegabile, si era ritrovata a sperare che quel
“da un
po’ ” fosse tanto, tanto tempo fa.
- «Accidenti
a quei due, dove si saranno cacciati? » chiese Rosalie, avvolgendo al
collo la
sciarpa. Emmett e Jasper la seguirono, e per ultima Alice li raggiunse.
- La
Folletta rabbrividì, sentendo una ventata gelida arrivarle sin nelle
ossa.
- «Che
freddo.. » alitò, facendo uscire dalle labbra una nuvoletta di aria
ghiacciata,
sotto lo sguardo attendo di Jasper. Avrebbe tanto voluto stringerla e
scladarla, ma era ben conscio di non poterlo fare. E poi, era malsana
questa
voglia di aver sempre un contatto con lei, dopo quel bacio.
- «Non
saranno troppo lontani» commentò Emmett, guardandosi intorno. Poi due
risate li
raggiunsero, e tutti e quattro i ragazzi trattennero il fiato. Come
Alice e
Emmett si scambiarono uno sguardo stupito, lo fecero anche Jasper e
Rosalie,
visibilmente scossi. Si voltarono all’unisono verso un punto del
marciapiede, e
videro due figure avvicinarsi, spalla contro spalla.
- Jasper
si passò una mano tra i ricci, la bocca che sfiorava il cemento della
strada
per lo stupore. Il cuore di Rosalie mancò di un battito, perché tutto
aveva
visto nella vita, anche le cose più impossibili: ma ormai la speranza
di
sentire la risata cristallina e serena di Edward era un qualcosa in cui
aveva
smesso di credere. Eppure suo fratello stava sorridendo, di un sorriso
senza
ombre, e i suoi occhi verdi, così simili ai suoi e quelli della loro
madre,
erano più brillanti di tutte le luci di Manhattan. Quasi stentava a
riconoscerlo, il che era tutto dire.
- Dal
canto loro, anche Alice e Emmett si trovavano paralizzati davanti a
quella
visione di Isabella. Perché non vedevano quell’aria spensierata da
quando era
bambina e i suoi genitori stavano ancora insieme e andavano d’accordo,
e lei
non si sentiva ancora un peso sulla sua famiglia.
- «Ehilà!
» salutò Edward, notando gli amici sul marciapiede a pochi metri da
loro.
Isabella fece un cenno, sempre mantenendo un largo sorriso a tirarle le
labbra,
e gli occhi di Emmett ed Alice si spalancarono maggiormente. «Dove
andate di
bello? »
- «Ve-veramente
volevamo cercarvi, dato che non tornavate» spiegò Jasper, con la gola
secca,
per il troppo tempo in cui aveva tenuto aperta la bocca.
- Edward
alzò un sopracciglio. La faccia stralunata di Jazz proprio non la
capiva.
- «Capito»
annuirono i due ritrovati, all’unisono. Edward rivolse un sorriso
brillante a
Bella, che si sentì andare a fuoco e scoppiare il cuore.
- «Be’,
rientriamo o facciamo un giro? » incalzò il rosso, allegro.
- A
Rosalie, inevitabilmente, cadde l’occhio sull’orologio,che ormai
segnava la
mezzanotte largamente sorpassata.
- Incredibile
come vola il tempo quando si sta bene.
- «Ed,
è tardi..io domani lavoro» gli ricordò la bionda, anche se a
malincuore.
Nemmeno lei aveva tanta voglia di tornare a casa e di dover salutare
Emmett, Alice
e quel miracolo di Isabella. Soprattutto Emmett. Non si era mai
divertita tanto
con un ragazzo-che non fossero Edward nella fase “pre-Tanya” e Jasper.
- «Ah»
fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare il rosso, e anche se un
pizzico di
delusione gli passò nello sguardo, non smise di sorridere.
- «Quindi
ci salutiamo? Rose, non voglio farti tardare.. » disse Alice, facendo
un passo
verso di lei. Rosalie le sorrise e l’abbracciò, come fa una sorella
maggiore
con quella più piccola, anche se erano coetanee.
- «Già..grazie
di tutto Alice. Ci sentiamo presto, vero? » chiese Rosalie, speranzosa.
«Certo
che sì! » trillò la folletta, battendo le mani. «Ricordati che dobbiamo
pure
fare quella battuta di shopping! »
- Emmett,
Jasper, Edward e Isabella alzarono gli occhi a cielo, per poi
sorridersi a
vicenda.
- «Ok,
allora..a presto compaesana» Sorrise Edward, e Bella ricambiò, ancora
una
volta. Ormai aveva perso il conto di tutte le volte che aveva sorriso
quella
sera: forse più di tutta la sua vita.
- «A
presto, compaesano» ridacchiò lei, passandosi una mano tra i capelli
castani
per spostarli indietro.
- A
Edward venne spontaneo chinarsi verso visetto a cuore di Bella e
scoccarle un
bacio sulla fronte, che fece andare entrambi in auto-combustione quando
se ne
resero conto.
- Emmett
accarezzò una guancia a Rosalie, e le sorrise, con un’espressione
ebete; per
lui, non c’era altra verità, Rosalie era un angelo caduto in terra. Ed
era
sfacciatamente felice di questo, e sperava proprio che rimanesse sempre
accanto
a lui.
- «Buonanotte,
Rosalie»
- «Notte,
Emmett» mormorò Rosalie, perdendosi negli occhi grigi di Emmett, a sua
detta,
meravigliosi.
- Jasper
sbuffò. Continuava a tenere lo sguardo su di Alice, sperando che lei si
voltasse e lo salutasse. Ma lei volgeva gli occhi altrove, incapace di
guardarlo. Non tanto per l’imbarazzo, quanto per la voglia
irrefrenabile di
baciarlo ancora: al diavolo il rispetto, e tutte le cose che aveva
gloglottato
pochi minuti prima.
- Quando
il biondo si decise a farla girare, volente o nolente, il saluto
generale di
Alice lo bloccò. «Allora, arrivederci ragazzi! Buonanotte! Em, Bells,
andiamo!
»
- Emmett
e Bella rivolsero un sorriso caldo a Edward, Rosalie e Jasper, in
particolare
ai due fratelli, chi per l’una, chi per l’altro. E loro ricambiarono.
- Jasper
fissava ancora Alice trotterellare verso l’auto di Emmett, poi sospirò.
- Cosa
diamine gli era preso, quella sera?