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Autore: Evelyn    07/11/2011    5 recensioni
"Rivolse un ultimo sguardo ad Hilda, alla donna che amava, mentre il suo cuore perdeva un battito come ogni volta che poteva ammirarla. Sulle sue labbra tirate e pallide si stendeva un cupo sorriso, privo di calore. Come di trionfo." Ho sempre desiderato approfondire questa parte della storia dal punto di vista, per così dire, sentimentale. Sullo sfondo della guerra, amori che s'intrecciano, che nascono e che muoiono. Hyoga/Flare, Hilda/Sigfried, Hagen/Flare
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Cygnus Hyoga, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Uno




“Perché non lo capisci!”
Flare si era lasciata cadere sul divano con un’espressione affranta e desolata. Hagen, il suo migliore amico, compagno d’infanzia, ormai caro come un fratello, sembrava perdere completamente le fila del discorso ogni volta che lei gli enumerava pazientemente tutte le buone ragioni per non muovere guerra ad Atena, come se non fosse in grado di afferrarle pienamente. O forse semplicemente non voleva. Lui era così sicuro che tutto quello che usciva dalla bocca di Hilda fosse verbo divino, che si sarebbe lasciato staccare la testa a morsi, piuttosto che mettersi apertamente contro di lei.

“Sei tu a non capire Flare!” le aveva urlato lui contro, avvicinandosi nervosamente al caminetto acceso. Era rimasto qualche minuto così, in silenzio, a fissare i lembi azzurri delle fiamme avvolgere la legna che crepitava piano.
“Hilda è la nostra regina, sacerdotessa di Odino, sua discendente legittima, sa bene cosa è giusto e cosa non è giusto per Asgard..” aggiunse quasi con rabbia, ignorando la spiacevole sensazione di disagio che aveva provato quando l’aveva vista per la prima volta abbigliata come un soldato.

Si voltò a scrutare Flare, cercando di carpire quali pensieri si agitassero sotto quel volto perfetto, levigato come una preziosa porcellana inglese, con le labbra piene e rosse, il profilo delicato, gli occhi verdi e brillanti, liquidi, confusi. Lei lo fissò con sgomento.
“Non vi riconosco più..” aveva sussurrato poi, tremando di impotenza e rabbia.

Non li riconosceva più. Non riconosceva più nessuno. Hilda, Hagen, Sigfried, erano tutti come avvolti in un panno di incoscienza, consapevoli soltanto dei propri sogni personali, dei loro bisogni, della gloria, potere, ricchezza. Come se Asgard non fosse più sufficiente. Come se non bastassero più le interminabili lande ricoperte di neve, che in primavera splendevano rigogliose di fiori variopinti, di ruscelli freschi e limpidi, con l’acqua buona e dolce.  Flare non avrebbe mai potuto desiderare nulla di diverso invece. Amava la sua terra, la sua gente. Amava persino il freddo che durante l’inverno la costringeva ad accoccolarsi davanti al camino accesso nel tentativo di trovare un po’ di sollievo.

“Atena è la dea della giustizia. I suoi cavalieri sono potenti e valorosi, le loro gesta sono conosciute ovunque.”
“Stai cercando di sminuirci, Flare?”
Hagen era scattato, piccato nell’orgoglio e nei sentimenti.
“Pensi che noi cavalieri divini siamo forse da meno dei tirapiedi di lady Isabel?!”
“Non volevo dire questo, Hagen, volevo solo dire che sono nobili e giusti almeno quanto voi. Hanno salvato il mondo dalla malvagità di un uomo terribile.”

La corsa alle dodici case, aveva ricordato Hagen alle parole di Flare. E Atena era la dea della giustizia. Il cavaliere di Artax scosse la testa, come a cercare di fare chiarezza nei suoi pensieri aggrovigliati.
“Io non vi capisco…non capisco più mia sorella…” aveva mormorato lei debolmente, incapace di accogliere senza smarrimento le motivazioni che spingevano Hilda a cercare il conflitto. C’era qualcosa di stonato in tutto questo. Sua sorella aveva fatto di tutto per mantenere la pace fino ad ora, imponendo la propria autorità su tutti i nobili che, alla morte dei loro genitori, avevano tentato di persuaderla ad estendere i confini del regno per ragioni di potere. Ma allora perché è tanto cambiata? Cosa la spingeva ora a chiedere di muovere guerra addirittura ad Atena, la dea della giustizia?

Sentì Hagen avvicinarsi piano, il passo incerto, prudente, quasi leggero come quello di un gatto. Lei gli sfiorò la spalla con la sua piccola mano bianca non appena fu abbastanza vicino. Hagen la strinse a sé, costringendola a guardarlo negli occhi.

Lui amava la bionda principessa di Asgard. L'amava fin da quando le aveva insegnato a fare un pupazzo di neve che non si scioglieva, da quando era stata Flare, e forse l’amava da prima ancora. Sapeva che lei gli voleva bene. Ma non osava sperare che al di là di quel sentimento che avrebbe benissimo potuto essere fraterno, potesse esserci qualcosa di più.

“Non voglio una guerra, Hagen. Che ne sarebbe di tutte le persone deboli che non possono difendersi, che loro malgrado si troverebbero a subire un nemico indesiderato, di noi, che ne sarà di noi?” disse in un fiato, sciogliendosi un poco dalla presa decisa del cavaliere di Odino.
“Io non ho mai vissuto una guerra per fortuna, ma l’ho letta in tanti libri, sentita in tanti racconti…ed ho paura che sia peggio di come la dipingono. Ho paura che non potrò sopportare la morte delle persone che mi sono care, se dovesse accadere…”
“Ma noi non moriremo Flare, noi vinceremo e vivremo in un mondo migliore.”
“Migliore della pace che abbiamo ora? Non ti piace Asgard?”

Hagen rimase in silenzio, abbagliato dalle lunghe ciglia di Flare che sbattevano ritmicamente e per pochi istanti celavano il verde opalescente dei suoi occhi. Pensò che mai avrebbe incontrato una ragazza più bella di lei, più dolce. Lei è migliore di tutti noi, pensò, ma non glielo disse.
“Asgard è nel mio cuore, ed è per questo che combatteremo.”
“Non è vero! Mia sorella non vuole combattere per Asgard ma per l’Europa, forse per il mondo intero! Una follia!” gridò fissando Hagen ancora più intensamente di quanto lui potesse crederla capace. Una piccola lacrima rotolò via sulla sua guancia arrossata. Hagen ne seguì il percorso con gli occhi, lungo il profilo delicato di lei, affascinato.

“Una follia…” ripeté lei in un soffio.
Hagen non disse niente. Senza pensare si chinò su di lei, depositando un bacio leggero sulla scia umida che la lacrima aveva lasciato. Poi strinse di nuovo la principessa a sé e con un gesto deciso la baciò sulle labbra.

Flare rimase di sasso. Sentì le labbra calde del cavaliere schiudersi un poco e muoversi delicatamente sulla sua bocca. Hagen le piaceva, ma non sapeva se ne era innamorata. Ma le piaceva. E i suoi baci erano così dolci e appassionati, che Flare non pensò più a niente. Non pensò più alla guerra, non pensò più ad Atena, ai suoi cavalieri, ad Hilda, alla paura, al futuro. Il suo mondo si era racchiuso improvvisamente in una piccola bolla, all’interno di una delle innumerevoli stanze del castello di Asgard.

***

Isabel si era passata le mani tra i capelli prima di afferrare una lunga ciocca ed arricciarsela nervosamente sulle dita. Non era un suo gesto abituale, per questo Hyoga l’aveva notato. Di solito lei era sempre così composta, quasi imperturbabile, di un contegno fiero ed aristocratico. Persino quando, mesi prima, in Grecia, la velenosa freccia di Betelgeuse aveva rischiato di passarle il cuore da parte a parte, s’era mostrata più calma e sicura di sé. Hyoga ricordava ancora quei momenti con ansia, come se non avesse avuto sufficiente tempo per elaborare quella disperata corsa, i colpi ricevuti, le umiliazioni, i lutti.

Dopo interminabili giorni trascorsi in ospedale nel tentativo di riprendersi, il cavaliere di Cygnus non aveva esitato a rifugiarsi nell’unico posto in cui sperava di trovare quiete, e a cui alla fine ritornava sempre e comunque. Ma questa volta non era bastata la sconvolgente bellezza dell’aurora boreale a placare il turbamento che gli si agitava dentro. Questa volta la vista delle montagne ghiacciate della Siberia, della vecchia casa austera in cui era cresciuto durante il suo addestramento, della lastra traslucida da cui si intravedeva la tomba di sua madre, era servita solo a farlo sentire più meschino ed impotente.

“Io andrò dal mio maestro a chiedere qualcosa di più su questa storia.” aveva proposto Sirio accavallando elegantemente le lunghe gambe.
Isabel aveva smesso di tormentarsi i capelli e l’aveva guardato a lungo prima di annuire impercettibilmente. Poi era tornata a fissare il vuoto al di là della finestra, persa in chissà quali mille pensieri. Seiya aveva stretto i pugni, le sue nocche erano diventate bianchissime. Non aveva voglia di combattere ancora. Voleva godersi un po’ della sua adolescenza che scivolava via rapida dai suoi giorni, voleva andare a passeggiare lungo il molo con Miho, fantasticare su Shaina.

“Va bene Sirio, ma qualcuno di voi dovrà andare ad Asgard, in perlustrazione.” disse Isabel sfiorando malinconica i tasti del suo pianoforte.

Guardò Hyoga con timore, come a volersi scusare di aver pensato a lui per quella missione. In cuor suo, Isabel avrebbe voluto che i suoi cavalieri riprendessero la scuola, che uscissero il sabato sera a divertirsi con gli amici, con le amiche, con le fidanzate, che cominciassero a temere le interrogazioni anziché i colpi micidiali degli avversari, che pensassero ad andare al cinema, a corteggiare le ragazze, a fare l’amore. Ma adesso si rendeva conto che non era possibile, non ancora. E questo non solo la feriva più di quanto avesse potuto fare Betelgeuse, ma le dava anche l’esatta dimensione dell’affetto e la riconoscenza che sentiva nei confronti dei suoi cavalieri migliori.
“Andrò io ad Asgard.” si offrì Hyoga, evitando ad Isabel lo strazio di doverglielo chiedere. Cambiare aria per un po’ in fondo gli avrebbe fatto bene. Forse smetterò di pensarci ancora.

Erii non era stata affatto contenta di apprendere che Hyoga se ne sarebbe andato un’altra volta. Da che si erano conosciuti, non avevano avuto mai occasione di trascorrere troppo tempo insieme, e lei temeva che la loro relazione si arenasse così, nel punto di vuoti in cui finivano sempre col cadere. Da che lui era rientrato dalla Grecia erano riusciti ad uscire solo un paio di volte. Era stato in ospedale per quasi un mese, inizialmente in rianimazione e poi in riabilitazione. Era occorso parecchio prima che si riprendesse del tutto, provato nel corpo e soprattutto nello spirito dalla spietata battaglia con i cavalieri d’oro del grande tempio. Lei sapeva cosa era successo all’undicesima casa. Ma non era stato Hyoga a dirglielo. A Miho l’aveva raccontato Seiya, preoccupato per come avrebbe affrontato la questione il suo amico e compagno di guerra una volta uscito dall’atmosfera ovattata e irreale dell’ospedale.  
“Non lo so Hyoga…a volte penso che non è giusto…insomma….rischiare la vita…”

Rischiare la vita per cosa in fondo? avrebbe voluto dirgli guardandolo negli occhi, trovando quel coraggio che tante volte aveva cercato dentro di sé e che si dissipava rapidamente ogni volta che stava lì per afferrarlo. Avrebbe voluto fare tante cose con lui, tante cose ‘normali’, pateticamente e meravigliosamente adolescenziali. Se Hyoga fosse partito ancora, chissà quando avrebbero avuto di nuovo l’occasione di passare una serata assieme.

Osservò di sottecchi il suo profilo disegnato, soffermandosi sulla curva attraente delle labbra, laddove erano solite schiudersi dolcemente sulle sue. Sospirò.
Era strana la sua relazione con il bellissimo cavaliere di Atena. Da quanto tempo stavano insieme ormai? Mesi. Sei per l’esattezza. Ma forse, se ci pensava bene, le volte che avevano trascorso del tempo insieme, come una coppia normale, erano miserevolmente poche.
“Devi partire per forza, vero Hyoga?” gli domandò, baciandogli la clavicola. Fece scivolare la mano sul suo petto levigato e tornito, indugiando su delle strane cicatrici appena visibili che non aveva mai notato fino ad ora.
“Sì.” rispose lui secco, sgusciando via dal suo abbraccio e mettendosi a sedere sul letto.
Le cicatrici di Scorpio, pensò lui dentro di sé mentre tentava disperatamente di allontanare il ricordo del grande tempio, della sua infinita scalinata e delle dodici case che lo custodivano. Non voleva pensare a Camus, non adesso, non di nuovo.
“Vuoi già andare via?” gli chiese Erii non senza una certa nota d’apprensione nella voce. Hyoga si voltò a guardarla.
“Sono un pessimo fidanzato, Erii, scusami…” le sorrise con un po’ di malinconia.

Il fatto è che mi fai sentire una poco di buono, Hyoga. Ci vediamo poco, e quando ci vediamo ci chiudiamo qui, nella mia stanza, a scopare tutto il pomeriggio senza raccontarci niente, senza parlarci di noi, come fanno due persone innamorate. Forse avrebbe dovuto dirglielo in faccia, pensò Erii distogliendo lo sguardo dall’azzurro di ghiaccio degli occhi di lui, forse avrebbe dovuto essere onesta su questo punto. Ma aveva paura. Aveva paura di cosa Hyoga le avrebbe risposto.

“Io lo capisco…lo capisco che sei un cavaliere di Atena.” disse soltanto, maledicendosi per la sua insicurezza.
Hyoga le accarezzò una guancia e quando lei si ritrasse l’afferrò per le spalle, costringendola a guardarlo. La strinse a sé, allacciando gli occhi a suoi. Fece scorrere un dito sulle sue labbra morbide e sottili prima di baciarla a lungo, lentamente.
“Mi dispiace di non essere la persona che pensavi…” disse poi quasi bisbigliando.
“Non è questo…è che non ci sei mai…” rispose lei ugualmente piano, senza muoversi dalla sua stretta.
“Lo so…anche se non lo vorrei…”
“Lo so…”

Per qualche minuto nessuno dei due parlò più. Un silenzio inadeguato si strinse su di loro come in un abbraccio, facendo vorticare i loro pensieri in mille direzioni.
“È meglio che vada…” disse lui facendo per rivestirsi. Erii lo imitò, raccattando le sue cose a testa bassa, senza la giusta dose di coraggio per tornare a guardarlo negli occhi.

Hyoga la salutò con un bacio leggero, quasi impercettibile. “Domani partirò presto…” disse sulla soglia, con un piede già nel corridoio deserto dell’orfanotrofio. Erii non rispose, limitandosi a ricambiare il suo sguardo malinconico. Gli sfiorò le labbra con il dorso delle dita, posando infine una veloce carezza sul suo braccio.
“Sarò qui ad aspettarti…”
Il cavaliere di Atena annuì. Erii l’osservò attraversare l’androne fino a raggiungere l’uscita, imboccarla rapidamente e sparire dietro il portone d’alluminio, con in bocca l’amara sensazione della perdita.

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A tutti i lettori: Che gioia vedere che, anche se di storie in giro non ce ne sono tante, Asgard affascini ancora! Hyoga è tra i miei personaggi preferiti, e questa parte della sua storia rimane sempre troppo vaga. Poi ci sono i cavalieri di Odino, personaggi a mio parere a tutto tondo e terribilmente interessanti. Purtroppo anche io non ho trovato molto in rete, in genere qualche one-shot. Sto seguendo "Il ricordo è un traditore che ferisce alle spalle" di lady Aquaria e ho apprezzato molto "Il sole ti sorprende a mezzanotte, inatteso" di Eclettic-doll. Per il resto, attendo anche io suggerimenti! Buona lettura!

  
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