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Autore: Herit    09/11/2011    2 recensioni
Filippo e Lorenzo sono gemelli, opposti in tutto e per tutto dall'aspetto esteriore e caratteriale, alla scelta della scuola, per passare in fine all'orientamento sessuale.
Arianna è la migliore amica di Lorenzo, ed è innamorata di Filippo più o meno da sempre. Phill però non la vede. Lui guarda altro, a differenza del fratello.
Giovanni è al primo anno di magistrale ed è costretto a dare ripetizioni un po' in tutte le materie a Phill. Ma tra loro c'è anche altro.
Riccardo è l'ex di Giovanni, partito per studiare all'estero senza lasciare notizie di sé, che ora vuole tornare nella vita dell'universitario. O forse non è davvero così? Il cuore umano è volubile, infondo.
E poi ci sono Vanessa, Stefano... e la droga.
Vite che si intrecciano e che prendono distanze. Frammenti che cadono a terra come foglie d'autunno e come sfondo una Venezia fin troppo calda.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. II Caduta

I'm not strong enough to stay away
Can't run from you
I'd just run back to you

C'è la calca. Un ammucchiarsi disumano di ragazzi e ragazze frementi. Elettrizzati come appesi tutti a un unico cavo dell'alta tensione. Il vociare e lo schiamazzare delle sue compagne di classe gli perforano i timpani, nonostante lui continui a tenere le cuffie in testa. Testa che tra l'altro gli fa un male d'inferno, visto che Giovanni l'ha sgraziatamente buttato giù dal letto alle sette, quella mattina. Ha dormito da lui, alla fine, infischiandosene delle sue minacce -anche se “dormire” non è un termine adatto, visto che non ha chiuso occhio per tutta la notte. Aveva bisogno di distendere i nervi e stare con qualcuno al di fuori della sua famiglia, quella sera. Senza contare che poi Giò era stato particolarmente accondiscendente, alla fine, dopo che lui aveva chiamato a casa per avvertire che avrebbe passato la notte da un amico, senza ovviamente specificare che amico. Puntuale era arrivato il messaggio di Lorenzo, a cui lui però non aveva risposto, affaccendato in altre e ben più piacevoli faccende. E' seduto nel cortile interno del “Benedetti-Sarpi”. Addosso i vestiti di Giovanni che gli stanno spropositatamente grandi, nonostante il suo insegnante privato non sembri così enorme, quando ce l'ha davanti. Probabilmente, così come suo fratello, sono la sua ossatura e la sua costituzione ad essere fin troppo esili. Però sta bene, vestito così. La camicia senza maniche chiara ed i Jeans leggermente sbiaditi non stonano con il suo aspetto un po' trasandato di natura a causa dei capelli lunghi tenuti solitamente sciolti. Non ha ancora visto i voti, lui. Ha promesso a Lorenzo ed Arianna di aspettarli per guardarli assieme. Ma sa già che sarà un'attesa inutile. Lo vede negli sguardi degli altri maturandi che gli passano accanto. Lo legge nelle occhiate dei suoi compagni di classe, che sembrano faticare ad avvicinarsi a lui. Quegli stessi compagni che per cinque anni l'hanno fatto sentire a casa con quegli scherzi e quelle risate condivisi tutti assieme. Una classe di pochi elementi ed unita. Un bell'ambiente. Questo se lo ricorderà per tutta la vita. Ma non riesce a sopportare quegli sguardi di commiserazione: non è mica morto nessuno, insomma.
Ed ecco il trio delle oche della sezione A che gli sfila davanti come se nemmeno lo vedesse. Giulia, Stella e Marine. Insopportabili nel loro cicaleccio e nella loro ipocrisia. Ha sempre ringraziato di non averle avute in classe con sé. In disparte si trova Vanessa, invece. Un po' asociale e sempre discreta, seppure con quel sorriso dolce pronto ad affiorare ogni volta che qualcuno le rivolge la parola.
“Quella stronza. Dovevano bocciarla, ed invece vogliono solo togliersela dalle palle e l'hanno mandata avanti. Cazzo, ci rosico troppo se le fanno passare l'esame.” E' Marine a parlare, con quella bocca gonfia imbrattata di rossetto e quei capelli biondi e cotonati da bambola.
“Hai ragione. Ha fatto del lecchinaggio per cinque anni. Sono curiosa di sapere se si è fatta anche scopare da qualche prof, per passare con una media così alta.” Male lingue. Che affoghino nel loro veleno. E Filippo intanto sembra passare inosservato mentre fa il suo intervento pure Stella, vestita come se dovesse andare in Via Piave, piuttosto che a scuola.
“Quello di italiano, sicuramente se l'è scopata. Se no da dove le tiravano fuori quelle battute maliziose, in classe?” Il cervello collegato alla bocca mai, eh?
“Beh, ma da quello gnocco una ripassatina me la sarei fatta dare pure io.” Ecco di nuovo Stella. A dimostrare che il cavalcavia sarebbe la sua casa ideale. Continuano a blaterare a sproposito, loro, almeno fino a quando non sembrano rendersi conto che, nell'angolino dove hanno deciso di fumare c'è pure lui. L'osservano tutte e tre per qualche istante ammutolite. Spiazzate. Ma lui pare ignorarle, preso da ben altro. Vanessa, poco distante, sembra sull'orlo delle lacrime. Le ha sentite, non ci sono dubbi. Com'era indubbio che parlassero di lei. Sospira. Abbassa gli occhi. Piange muta, spostandosi piano, silenziosa come una creatura indifesa.
“Sentite, ragazze, la tangenziale potete raggiungerla in vaporetto. Prego, è da quella parte.” Si alza di pessimo umore dal muretto che aveva scelto come suo trespolo, squadrando con indifferenza quelle tre arpie, per poi regalare loro un sorriso ingenuo. Addirittura arrogante, nella sua falsità. Lasciandole lì, basite sul posto.
“Che vuoi? Hai la luna storta perché non sei nemmeno stato ammesso agli esami?” Giusto. Il coglione per antonomasia. Gli sembrava strano non averlo visto in giro fino a quel momento. Thomas, il paladino delle oche, giunge prontamente a proteggerle, sollevando il loro starnazzare. E Filippo di nuovo le ignora, limitandosi a squadrare il maschio alfa che va a marcare il territorio.
“A te hanno fatto un favore ad ammetterti, invece. Gli scocciava tenerti qui per l'ottavoo anno di fila. O forse sarebbe stato il nono?” Lo sillaba con calma scanzonata, sorridendo serafico. Beota. Il capo che si inclina verso una spalla, posandosi sulle cuffie che si è adagiato attorno al collo poco prima. La rabbia che monta sempre più velocemente, ribollendo. La può sentire nell'aria. Palpabile. Fetida come un miasma velenoso.
“Vai a farti fottere, checca.” Arrogante, Thomas. Phill sente solo lui. Alle altre tre galline non dà nemmeno più retta. Sono cinque anni che vuol dare una lezione a quel dannato, e ora può togliersi lo sfizio.
“Oh, beh. Io almeno ho qualcuno che può farlo.” E pure bene, aggiunge mentalmente, sogghignando sornione verso l'altro ragazzo.
“Caxo, eora ti xe davero un reciòn! Vate far riempir ea boca con un bel per de peri, va!” Bene. Dopo gli insulti di solito si viene alle mani. O almeno, è sicuro che Tom cercherà di mettergli le mani addosso. E' una certezza matematica e lui è già pronto all'evenienza, tanto che stringe già le mani in due pugni stretti. Strettissimi. Tanto che fanno male.
“Offerta allettante. Mi presti il tuo? Sono sicuro che ti piacerebbe.” Ironico si passa la lingua sulle labbra come un gatto che ha appena finito il pasto. Malizioso. Non gli serve altro che in automatica parte il pugno di Thomas. Pugno che lui incassa in pieno. Sul viso. Indietreggia quel poco che basta per salvare il naso e beccarsi il colpo sullo zigomo. Qualcosa si rompe perché sente il sapore dolciastro del sangue sulla lingua. Ne avverto l'odore nel naso. Lo sente scivolare giù per la guancia. Un secondo colpo, quello che incassa alla bocca dello stomaco, sbuffando quando si infrange la resistenza degli addominali. Ed è lì che parte il suo contrattacco. Un solo pugno dal basso e l'altro è a terra, intontito. Fare karate per anni gli è servito a qualcosa. E così s'è sfogato un poco, almeno. Carica anche un mancino, lui, ma Vanessa sembra materializzarsi dal nulla lì accanto, e con la carezza di un petalo gli posa la mano sul braccio, conducendolo con sé in una corsa veloce ed apparentemente senza meta. Giù per la “barbaria dee toe” per poi arrivare davanti a Santi Giovanni e Paolo, l'ospedale civile. E poi ancora più in là, prendendo una calletta laterale del quale non conosceva nemmeno l'esistenza, lui, fino a fermarsi sotto ad un portico. Solo una volta giunti lì, lei gli concede di riprendere respiro. Ripiegati entrambi in avanti, con il fiato corto.
Lei ancora con le lacrime agli occhi.
Lui ancora con lo zigomo che sanguina.
Entrambi che ridono come dei bambini.
***

Giovanni è seduto ad uno dei tavolini del “tappa obbligatoria” con uno spritz davanti al naso ed una patatina al ketchup in mano. Ha appuntamento lì con Filippo e di quando in quando controlla l'orologio appeso ad una delle pareti del piccolo locale, mentre con la mano destra fa danzare pigramente il liquido rossastro contenuto nel bicchiere a calice. E' lì da un po' ormai, tanto che le patatine che gli hanno portato assieme all'aperitivo sono state pericolosamente decimate e lui ne sta mangiucchiando pigramente un'altra. I campanili poco distanti -ma anche quello di san Marco, relativamente lontano dalla strada nova- fanno sentire le loro voci, annunciando il mezzogiorno con il loro scampanellare cupo.
“E' in ritardo di un quarto d'ora. Strano.” Commenta, ripulendo le dita su una salvietta di carta e sfogliando stancamente il quaderno con gli appunti di veterinaria. Strano perché di solito è Phill quello che arriva puntuale ai loro appuntamenti, per quanto sporadici essi siano. Perché di solito è lui quello che vien rimproverato, alla faccia della differenza di età tra loro, quando arriva tardi. Sospira, nervoso, controllando il cellulare. Ha bloccato le chiamate ed i messaggi del numero che da circa due settimane ha cominciato ad infestargli il telefono, quella mattina. L'ultimo messaggio di testo che ha letto, con occhi e mani tremanti, recava poche semplicissime parole:
Ti rivoglio per me.
E' lui a non volerlo di nuovo accanto a sé. Forse.
Fissa l'apparecchio nervoso, come a volersi assicurare per la millesima volta che quel numero non compaia ancora sul display e la voce di Filippo lo coglie di sorpresa, facendolo sussultare. Ma cerca di dissimulare, posando il mento sulla mano libera, mentre quella che sorregge il telefono si tuffa nella tasca dei pantaloni, celando quel piccolo peccato al mondo.
“Sei in ritardo, ragazzino.” Una mano gli si posa sul capo con il calore di un vulcano e la delicatezza di una foglia d'autunno, abbronzata. Rassicurante.
“Ho avuto un problema.” Spiega, prendendo posto davanti all'uomo. Un sorriso un poco sfrontato in volto, nonostante allunghi già una mano a richiedergli silenzio, quando ne coglie lo sguardo perplesso fisso sui cerotti che gli nascondono lo zigomo fino all'occhio sinistro, quasi.
“Che hai combinato?” Giovanni sbuffa scuotendo il capo, esasperato, in risposta. Porta indietro la schiena, poggiandosi meglio alla sedia ed incrociando le braccia contro il torace. Seccato, ma pronto ad ascoltare. Più come un fratello, ora, che come amante.
“Un simpaticone della mia scuola non ha gradito le mie avances.” Ironizza il liceale, intrecciando le braccia sopra il tavolino malfermo, facendolo oscillare sotto il suo peso, lasciando danzare pericolosamente il bicchiere di Giò. Gli occhi ossidiana del suo insegnante privato viaggiano sul suo volto attenti. Imbronciati, perché il suo viso gli piace, lo sa. Imbronciati perché quel cerotto troppo chiaro, sta male sulla sua pelle troppo scura. Perché lo stesso cerotto è ancora sporco di sangue, così come la sua guancia. Il collo e... e la sua camicia preferita che vanta una scia rossa che scende dal colletto, fino a terminare sui suoi vecchi pantaloni. Per quelli può soffrire un po' meno, visto che erano da buttare, infondo.
“Che gli hai detto per farti tirare un pugno in faccia?” Gli domanda passandosi una mano sul volto, sfinito dal caldo -visto che né fuori, né dentro il locale si muove una foglia- e dal nervosismo. Vuole sapere com'è andata al ragazzo, visto che il suo viso tranquillo ed a tratti divertito dalla sua agitazione, non fa trapelare alcuna emozione particolare. Probabilmente gli è andata bene e di lì a una settimana lo sentirà lamentarsi del fatto che è terrorizzato dalla prima prova, nonostante lui nei temi sia sempre stato ferrato.
“Mi ha invitato a fare un paio di pompini e io gli ho chiesto se voleva favorire.” Rabbrividisce, restando gelato sul posto, Giovanni. Gli occhi sgranati in una muta sorpresa a quelle parole che Filippo pronuncia con tanta calma. L'espressione seriosa che non aiuta la cosa e le labbra che si schiudono a pronunciar parole che invece se ne restano lì. Scuote la testa indispettito, poi: la bocca di Filippo è sua. Come tutto di quel ragazzino distratto e dispettoso. Imprevedibile ed inafferrabile. E rimane scosso, perché non si aspetta che certe parole possano uscire proprio da quell'anima tanto libera, così aspre. Canzonatorie.
“Tu te le cerchi, però. E conoscendoti sono sicuro che ti sei fatto colpire di proposito, vero?” Retorica, la domanda dell'uomo che stringe con stizza le dita attorno al calice con dentro lo spritz ormai completamente annacquato. E il sorriso di Phill gliela dice lunga. Ironico. Sbarazzino anche con quel cerotto che ne accentua quasi l'aria dispettosa e trasognata.
“Sai che non sono mai il primo ad attaccare. Preferisco usare le parole. Ma Stori è un coglione e non cercava altro che un pretesto per attaccar briga. Io gliel'ho semplicemente fornito. Tra l'altro la sua corte di oche da guardia stava parlando male di una mia amica, quindi ho avuto una soddisfazione in più nel metterle a tacere.” Scrolla le spalle e parla con gli occhi distanti, puntati fuori dalla finestra, verso il cielo grigio. Non minaccia pioggia, semplicemente le nuvole si divertono a nascondere il sole ed a creare, in compenso, una bolla di afa soffocante. C'è un uomo dall'altra parte della strada. Capelli corti, quasi a spazzola, un po' mossi e piantati su un viso squadrato come rada erba riarsa. Un tipo attraente, tutto sommato. Un paio di ray-ban si sorreggono tramite l'astina sul collo della maglia nera che ha addosso. E non può sbagliare: sta guardando il loro direzione. Sta guardando lui, e lo fa con occhi cattivi. Quelli di una belva che è pronta a saltare al collo di chiunque entri nel suo territorio. E lui ha quella sensazione: quella di aver messo piede in una zona proibita. Ma è solo una sensazione che scompare quando Giò schiocca le dita sotto il suo naso, attirandone l'attenzione.
“Mi hai sentito?” Gli domanda seccato, accogliendo con una smorfia il suo dissentire. “Filippo, ascolta, ho capito che l'hai fatto per la tua amica, ma devi stare attento, per la miseria. Comunque sia, spero che tu le abbia suonate a quel tipo.” Ammette in fine, concedendogli una carezza sulla guancia, sopra il cerotto. Fuggevole. Discreta perché lui è sempre un po' impacciato nelle sue dimostrazioni di affetto.
“E' bastato un pugno per mandarlo a tappeto. Volevo rifilargliene un altro, ma Vane mi ha fermato perché temeva potessi fargli peggio. Poi il mio taglio sanguinava troppo, a detta sua. E forse aveva anche ragione. E non avevo voglia di affrontare il preside. Tanto ha visto tutta la scena, c'era anche lui. Stori però viene da una famiglia facoltosa, quindi figurati se danno ragione a me. Poco male, la mia soddisfazione me la sono tolta.” Spiega, tornando a guardare fuori dalla finestra, evitandone lo sguardo non per vigliaccheria vera e propria. Semplicemente per lui il discorso è chiuso lì. E poi vuol trovare una spiegazione a quella brutta -pessima- sensazione, ma davanti al McDonald's quell'uomo non c'è più. Probabilmente è stata solo una sua impressione. Magari non ce l'aveva con lui. Ma allora perché quel sentore fastidioso di trovarsi in un posto sbagliato continua a premergli la bocca dello stomaco? Guarda Giovanni, pensieroso, afferrando il bicchiere di spritz dalle sue mani e rubandone un sorso annacquato.
“E' profondo?” Gli domanda e l'osserva a lungo. C'è altro che vuol chiedergli, Filippo lo sa, glielo legge negli occhi, ma sa anche che non aprirà bocca fin quando non sarà lui a tirar fuori il discorso. E allora tergiversa. Tergiversano entrambi.
“No. E sto bene. Davvero. Senti, andiamo a casa tua? Ho anche sporcato la camicia ed i pantaloni che mi hai prestato. Riprendo i miei vestiti e mettiamo a lavare questa roba, vuoi?” Quello sguardo se lo sente di nuovo addosso, Phill. Astioso. Carico di rabbia. E non capisce perché. Tommaso non può essere. Non l'ha visto passare di lì. Non ne ha sentito la voce. E sa che quello non è il giro che fa solitamente per tornare a casa. Tanto più che l'altro abita a Cavallino. No. E' un'incognita spaventosa che gli piomba pesante sulla testa. Sul cuore. Ed osserva Giovanni, improvvisamente nervoso. Improvvisamente pallido, come se avesse visto un fantasma. Ma dissimula lui. Giò è bravo in quelle cose. Non fa trasparire nulla. Non paura, né affetto, né qualunque forma di sentimento più profondo. Restano tutti lì, annegati in acque profonde, con la paura di vedere la luce perché -fragili come cristalli- potrebbero infrangersi. Annuisce l'uomo. Lo fa con forza, sollevandosi in piedi e portandosi verso la cassa, mentre Filippo si sistema le cuffie attorno al collo, legandosi i capelli lunghi in una coda bassa ed arruffata.
Sono stato bocciato. Come può dirglielo?
Ho la sensazione che qualcuno ci stia osservando. Se solo accennasse a questo, lo prenderebbe per scemo. Sospira ed esce in strada, salutando con un sorriso un conoscente che gli passa davanti tenendo per mano una ragazza piccola e minuta e all'aperto quella sensazione di disagio sembra dileguarsi. Forse era quello. Solo disagio.
***

Arianna trattiene il respiro e poi lo rilascia di colpo, come chi non aria attorno, ma è appena stato gettato in un lago gelido che cerca di lambirlo e soffocarlo. I suoi voti sono lì. Ottimi. Una media che non avrebbe mai sperato e quasi il massimo dei crediti a disposizione. Ci può ancora sperare nel 100 e se fosse per lei, in quel momento saltellerebbe in giro per l'androne del Foscarini. Ma si trattiene, almeno fin quando non riesce ad uscire dalla calca. Solo in quel momento comincia a spiccare piccoli balzi, uniti a gridolini eccitati. I capelli ricci trattenuti i una coda piena e gonfia volano un po' ovunque e lei si volta di scatto verso Lorenzo che resta in disparte. Silenzioso e discreto come una statua di marmo. E' bello, il suo migliore amico. Una bellezza caucasica ed eterea. Quasi inafferrabile in quelle espressioni dure e distaccate che si incrinano solo per lei e per Filippo. E' bello, rinchiuso in quella maglia bianca con macchie di colore che sembrano distendersi anche sulla sua pelle, come un quadro impressionista. Spesso se l'è chiesto. Come può essersi innamorato di lei uno così e come può lei non ricambiarlo. Ma si sa: l'Amore è cieco. E quando la paura si mette in mezzo, sembra proprio che Amore abbia lasciato gli occhi sul comodino in camera da letto.
“Ventitré?” Le domanda atono, limitandosi ad arcuare un sopracciglio per dimostrare almeno un minimo di curiosità. Arianna annuisce concitata, allacciandogli le braccia attorno al collo. Lo fa spesso, quando è fuori di sé dalla gioia. Non ci pensa. Non ci bada e nelle sue esternazioni d'affetto regna sovrana la fisicità e a lui tutto sommato non dispiace, anche se a volte il cuore gli si stringe tanto da fare male.
“Tu non hai idea di quanto sono felice. Anche se tu ne hai venticinque, maledetto.” Scivolano leggere le dita della ragazza, andandosi a posare sulle guance incavate dell'amico, pizzicandole e tirandole indispettita. Un broncio sulle labbra, ma gli occhi sono grandi e ridenti. Gioiosi.
“Questo perché io sono un genio e tu ti metti a studiare seriamente solo nel secondo quadrimestre.” La rimprovera, stringendosi nelle spalle e pungolandole un fianco con l'indice, così che gli lasci le guance. Un'aria di superiorità che permea tutta la sua figura. Simula, perché nonostante l'aria altezzosa le fa l'occhiolino, contagiato dalla sua allegria, stando al gioco.
“Quanta modestia. Non va mica bene, mio caro. Dovresti avere un po' più di compassione per quelli che non sono dei geni come te.” Continua la farsa come un gioco, in quella smorfia che gli dedica, mostrandogli la lingua.
“Non sono modesto. Sono realista.” Schiocca la lingua sul palato, facendo spallucce ed incamminandosi verso il portone d'uscita dell'edificio. “Phill mi ha chiamato dicendo che non serve che andiamo da lui. Sta fuori con Vane e forse ci raggiunge poi per bere qualcosa assieme.” Asciutto in quella spiegazione, l'odore dell'acqua salmastra un po' stagnante del canale gli arriva penetrante al naso, quando escono. Le barche più piccole viaggiano lente attraverso la via d'acqua, cariche di ragazzi con le rispettive fidanzate o amici. Urla, ragazzini che si buttano in acqua, felici di aver superato indenni il primo anno. Volano gavettoni, ed un palloncino -ma non è sicuro che sia davvero un palloncino- gli sfiora il torace, rimbalzando a terra, troppo grande e troppo resistente per essere un gavettone. Scuote il capo rassegnato, osservando il profilattico rigonfio d'acqua rimbalzare verso delle ragazzine di quarta ginnasio che gridano schifate, appellando come “porsei1” gli autori dello scherzo che per contro ridono a crepapelle.
“Ehi, ragazzini! Ma lo sapete a che servono quelli? Sono sicura di no, visto l'uso che ne fate. Ma avete un minimo di cervello in testa?” Arianna che si infervora è uno spettacolo che fa sorridere. E' una ballerina sul filo della follia quando il suo visetto rotondo si tinge completamente di rosso e lei comincia a gesticolare, formando ricami in aria con le mani piccole e le dita sottili. Ed a Lorenzo vien da sorridere, ma tutto ciò che riesce a fare è incurvare appena le labbra in un sottile divertimento.
“Aria, lasciali perdere. Non sanno nemmeno dove va messo: ecco perché l'hanno scambiato per un palloncino.” Parla posandole una mano sul capo e scompigliandole un poco quei capelli ricci e morbidi come scuri fili di seta.
“Certo, Perché lui lo sa dove va messo.” Sputa un ragazzino di quarta ginnasio. Lorenzo lo fissa con distacco. Come chi guarda la più bassa delle creature. Ed in quel momento ad Arianna fa un po' paura, perché lui non è così. Quella faccia da angelo e quegli occhi di fumo cambiano, rendendolo più simile ad un etereo demone dei ghiacci. Freddo nella sua inespressività. Gelidi quegli occhi che rasentano un cielo plumbeo e senza vita.
“Visto che non ho ancora messo incinta nessuna, direi proprio di sì. Ce la sappiamo raccontare tra un paio di anni, ragazzino.” La risposta scivola via come il peggiore dei veleni, sputato lontano. Ma lei gli tocca un braccio ed il demone sparisce, tornando a mostrare il cherubo biondo che l'osserva curioso.
“Lollo, andiamocene.” Egoista, lei. Lui si è messo in quella posizione per proteggerla, altrimenti non si sarebbe mai fatto coinvolgere. Le prende la mano con calma, portandola via, iniziando già ad infilarsi in Calle Racchetta, lasciandosi le grida astiose dei compagni di scuola alle spalle. Li ignora bellamente, lui. E lei lo segue docile come un cucciolo. Ha una carattere difficile, Lorenzo. E' lunatico e nonostante quella freddezza ostentata, ci mette poco a perdere la pazienza. Eppure è dolce il rapporto che c'è tra loro, perché la fa sentire protetta. Tanto dolce da rasentare un'ambiguità che lei non può accettare -ammettere- perché farebbe male ad entrambi più di quanto non faccia già.
“Certo che hai un bel coraggio. Prima attacchi tu e poi te ne vuoi andare quando comincio a divertirmi.” Palese l'ironia nel tono con cui le parla. Un sorrisetto sarcastico a sporcare quelle labbra chiare e sottili. Spesso Arianna si domanda come quella creatura di fiaba possa essere legata a qualcosa che sembra essere ricavato da un mito antico come Filippo. Se non sapesse che il signor Pedrotti è di origini meridionali e che Phill ha ereditato da lui le tonalità scure tipiche delle regioni del sud, probabilmente resterebbe sorpresa anche lei ogni volta che agli estranei loro si presentano come gemelli. Le lascia libera la mano, Lorenzo, e quella vola via come una rondine spaventata, leggera nel frullare d'ali di piccioni ed passerotti.
“Io volevo solo sgridarli. Sei tu che ti sei messo in mezzo.” Solleva il nasino altezzosa passando in rassegna la calle con gli occhi, per poi soffermarsi sul sottoportico che c'è alla sua destra. C'è qualcuno che parla -normale in una strada. Qualcosa di familiare vibra nell'aria, però. Nelle voci. Ed inevitabilmente lo sguardo scivola verso l'interno del piccolo portico e qualcosa s'infrange. Perché la curiosità è donna. Ma anche uomo a giudicare dallo sguardo stralunato e sconvolto di Lorenzo. Ed è il rumore dei cristalli che si frantumano in una musica priva di suoni mentre gli occhi si spalancano di gelida sorpresa -o consapevolezza? Pochi passi e lei sbatte contro Lore, imbambolato a fissare i due ragazzi che si scambiano un bacio discreto -intimo- un poco in ombra. Al riparo dal sole che è riuscito a forare le nuvole d'afa e che in quel momento abbatte i propri raggi su lei ed il suo migliore amico come la peggiore delle lame. Come un inquisitore che condanna alla peggiore delle torture, quel sole sembra additarli per essersi intromessi in qualcosa in cui non avrebbero dovuto metter naso. La condanna è chiara e due cuori si spezzano provocando un suono sordo, come al culmine di una caduta apparentemente eterna e che invece termina di colpo.
****
Trema Lorenzo, altalenando tra la voglia di urlare il nome di suo fratello per farlo staccare da quel maledetto di Giovanni e quella di scappare pregando di aver avuto le allucinazioni. Probabilmente ha le traveggole dal caldo. Magari sta ancora dormendo e tra un po' la sveglia suonerà per interrompere quell'incubo. Sì? No.
Cazzo, suo fratello sta baciando un uomo!
Suo fratello. Quello che in quel preciso momento dovrebbe trovarsi dall'altra parte di Venezia in compagnia di Vanessa e di chissà quante altre ragazze della loro classe, non abbracciato ad un altro uomo a scambiarsi... Dio... un bacio!
“Fanculo, Filippo!” Lo ringhia con rabbia, scandendo ogni sillaba che muore contro i denti stretti quando la lingua ci picchia contro. Stringe i pugni trattenendosi dalla voglia di tirarne uno a quello stronzo di Giovanni, cogliendo solo per sbaglio -ed ignorando bellamente- quel cerotto che nasconde lo zigomo del suo gemello, così come il sangue che gli macchia i vestiti. Vestiti che non gli appartengono, tra l'altro. Stronzo. Stronzo anche lui. Phill e Giò si voltano di scatto, giusto il tempo di vedere Lore ed Arianna al limitare del sottoportico fissarli una attonita e l'altro su tutte le furie. Ma poi Lorenzo sembra dare di matto ed afferra con foga la ragazza, trascinandosela via.
Fanculo.
Ecco perché suo fratello non si è mai portato a casa una ragazza, al contrario di lui.
Fanculo.
Gli piacciono gli uomini, Cristo santo!
Fanculo! Fanculo! Fanculo!
Cammina. Cammina veloce, Lorenzo. Quasi corre, portandosi dietro Aria che sembra quasi una bambola. Priva di vita per qualche istante. Ma poi sembra rinascere. Sboccia con l'entusiasmo di una rosa a maggio.
“Lorenzo, fermati.” E' il richiamo di una sirena. Un'ancora di salvezza in un mare che sembra improvvisamente impazzito. Si volge verso di lei con gli occhi sgranati di terrore. Quell'argento liquido che riempie quelle pozze, improvvisamente gelato. Cristallizzato e cupo. E lei l'osserva un po' colpevole, un po' vittima. Le spine di quella rosa strette attorno al cuore. Al suo come a quello di lui, seppure con due pesi differenti.
“Ah... Phill stava baciando quel tipo. Phill... Phill è gay?!”






“Caxo, eora ti xe davero un reciòn! Vate far riempir ea boca con un bel per de peri, va!” (Dizionario veneziano-Italiano XD) "Cazzo, allora sei veramente gay! Vatti a far riempire la bocca da un paio di "peri" (lascio a voi intendere. Anzi, poi Phill lo spiega o_ò)"
"Porsei." "Maliali"
Se c'è altro che non si capisce, vi chiedo di segnalarmelo XD

Herit
   
 
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