Serie TV > Flor - speciale come te
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Autore: Danicienta    24/11/2011    2 recensioni
Non sono mai stata soddisfatta dal finale della serie, per questo motivo ho deciso di inventarmi una storia tutta mia, dove a narrare i fatti sarà la nostra protagonista Flor. Buona Lettura!
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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...Parola di Marinaio...

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Bacio.
Dicono che un bacio è la tenerezza se si dona ad un bimbo, l'affetto se si dona ad un amico, una carezza sulle labbra, che fa fremere il cuore e arriva all'anima di chi si ama.
Dicono che un bacio nasconde parole non dette, che è per eccellenza il linguaggio dell’Amore, un apostrofo rosa tra le parole “ti amo”.
Dicono anche che raggiunge le porte del Paradiso con un semplice, ma meritato silenzio. E’ un istante breve, ma intenso che ognuno vorrebbe non finisse mai. Un piccolo segreto sussurrato sulle labbra.
Fermare il tempo. Arrestare il cuore. Svuotare la mente e cavalcare indescrivibili emozioni.
Rileggevo le frasi di mia madre, rispecchiandomi dentro. Sfogliavo il suo diario con ancora il cuore in gola, lo sentivo battermi dentro il petto, bloccarsi come per riprendere fiato e poi ripartire alla velocità della luce. Tra le sue pagine, i suoi ricordi sembravano unirsi ai miei in quella danza di emozioni e poi ancora lei, mia madre. I suoi occhi dorati risplendevano nei miei, sorridendomi e felicitandosi per quel sentimento che fino a qualche istante prima mi aveva completamente svuotato l’anima.
Mi girai nel letto, cercando di prendere sonno.
Inutile. I miei occhi rimanevano fissi, immobili e rivolti completamente al soffitto, mentre le mie labbra si schiudevano inebetite stampando un  esuberante sorriso, che nemmeno la Strega munita del più grande incantesimo, avrebbe potuto cancellare.
Un sorriso fatto di magiche emozioni che sicuramente avrei ricordato per tutta la vita. Sembrava che qualche bell’angioletto innamorato avesse schioccato una freccia dritta, dritta al mio cuore e che un Federico provvisto di corona e mantello, ne padroneggiasse il centro.
Tale e quale ad un Principe.
Ancora una volta in quella notte, i fliquity si aggrovigliarono nella mia testa per dare vita alle immagini incantate di quella che ormai definivo “la sera più bella della mia vita”.
Io e il mio Principe.
Il mio Principe ed io.
Nello studio.
A litigare.
E poi …
E poi, Federico e quella sua stretta poderosa, quelle sue braccia vigorose e quei suoi muscoli scolpiti, netti, decisi come ogni sua carezza.
Federico e quel suo profumo inebriante, quella sua colonia dolciastra, quel suo fresco respiro sul mio viso, quello stesso respiro degno del suo habitat glaciale.
Federico e quel dolce miele dei suoi capelli, quel fervido grano dei suoi occhi, quella sua bocca di fragola, sottile e fatata come ogni suo bacio, ogni suo tocco e ...


«Flor»
la sua voce sembrava una timida carezza tra i miei capelli, dolcemente posati sul suo torace. Alzai lentamente il viso solamente per incontrare il suo sguardo «Sì?» sussurrai dipingendo un lieve sorriso al vedere brillare il miele dei suoi occhi «Flor, io … - alzai il sopraciglio notando l’arresto improvviso di ogni sua attenzione – Ecco, io …» mi scostò dolcemente la frangetta, mentre una me sorridente si rifugiava ancora una volta tra le sue braccia «Ah Federico, non sai da quanto tempo aspettavo questo momento – sospirai, stringendo ancora di più le braccia intorno alla sua vita – Sapevo che prima o poi sarebbe successo! La mia mamma, le mie fatine, i miei amuleti, tutto mi indicava che tu eri il mio Principe, l’uomo della mia vita, il padre dei miei figli, il nonno dei miei nipoti …»
«Flor, io …»
«Shh, Federico! Lasciami finire – lo rimproverai dolcemente – Dapprima mi rifiutavo di credere che un uomo della tua, per così dire “altezza”, con tutti quei suoi principi vichinghi, si potesse interessare ad una bambinaia goffa come me. Beh, ma poi, si sa, tutto non è mai come sembra e come in una di quelle fiabe dove malvagie stregonerie impediscono al Principe di confessare i propri sentimenti alla Principessa, abbiamo anche noi la nostra fiaba! Non trovi anche tu, che un bacio valga più di mille parole? – sospirai, inspirando lievemente il suo profumo - Ah Federico, io me lo sentivo! Me lo sentivo che prima o poi saremmo stati insieme, che, era come se nell’aria si respirasse uno strano venticello primaverile, una sensazione indescrivibile che sembrava volesse soffocare il cuore e sai per cosa? – non ottenendo risposta continuai – Per tanto Amore, tanto sincero Amore»
«Amore … - ripeté Federico con una certa rassegnazione, prima di interrompere definitivamente l’abbraccio. Si passò una mano tra i capelli, ora scompigliati, poi incentrò i suoi occhi nei miei – Flor, scusami» alzai il sopraciglio, cercando di intuire un qualcosa in più in quella sua espressione leggermente remissiva. Incrociai le braccia e sospirai quasi divertita «Non mi devi chiedere scusa. Delfina sarà obbligata ad accettare il nostro Amore – posai la mano sul suo braccio, ma Federico mi evitò quasi indignato – Federico, mia madre diceva sempre che non c’è pietra che possa arrestare il passo dell’Amore e …» Federico scosse leggermente il capo «Mi dispiace, Flor – titubante mi si avvicinò, poi con fare dubbioso mi stampò un leggero bacio sulla fronte – Buonanotte» si coprì l’intero viso con le mani e, dandomi definitivamente le spalle, abbandonò lo studio, lasciandomi in preda ad una marea di dubbi.
Il perché del suo comportamento non aveva il ben che minimo senso.
Federico sapeva essere testardo, ostinato e a volte perfino impertinente, ma, forse, quel suo essere così rude e così dolce allo stesso tempo e tal volta anche “leggermente” contradditorio, faceva di lui la persona speciale che tutti apprezzavano, per il suo carisma e quel suo speciale fascino “reale”. La stessa persona dal carattere misterioso e tremendamente polemico della quale mi ero perdutamente innamorata.
Scrollai ogni pensiero, per lasciare spazio ad un sorriso ebete.
Mi portai una mano sulle labbra «Federico mi ha baciata? – chiesi in un sussurro – Federico mi ha baciata – ripetei leggermente incredula, reagendo poi con una dilatazione del sorriso classificata come di estrema deficienza.
Rimasi così per chissà quanto tempo. Mezz’ora, un’ora, due ore?! Quel che so è che tornai in camera mia saltellando come un canguro in preda ad un attacco spastico.
Sì, ma non come un canguro qualsiasi.
Un canguro con due enormi cuori al posto degli occhi.

E con questo dolce pensiero, finalmente, mi donai completamente a Morfeo.


«Piantala, Tomas
– nonostante fossero appena le sette, in casa Fritzenwalden già si respirava la pura pazzia. Lampade a tutta illuminazione, corridoi che sembravano aver smarrito il senso dell’orientamento, porte in preda ad attacchi di panico e note scanzonate che Maya  dedicava a tutta la famiglia nei primi dieci minuti di sveglia mattutina. Chiamarlo caos sarebbe stato solo un piccolo complimento.
Passai accanto alla stanza di Maya, sospirai. Nella testa per tutto il giorno ci avrebbero accompagnati le strofe dei Black Eyed Peas. Sorrisi al sentire la giovane dei Fritzenwalden canticchiare qualche parole. Per quel giorno avrei lasciato perdere qualsiasi rimprovero. Mi ero promessa che dal momento in cui i miei occhi si sarebbero spalancati, l’Amore sarebbe albergato per sempre in villa. Rimproveri, punizioni, litigi, discussioni non servivano a nulla nella vita. Portavano solo stress e nervosismo rovinando di passo in passo il cuore delle persone. Federico ne era una dimostrazione, ma l’eccezione conferma la regola e, anche il macigno più solido e il ghiacciolo più freddo, sciogliendosi al contatto dell’Amore avevano dato vita ad un uomo migliore.
Sospirai nuovamente. Quanto poteva essere meravigliosa la vita? Quanto potevano rallegrare e portare al Cielo un cuore i piccoli gesti come un bacio?
Istintivamente strinsi i pugni. La famiglia Fritzenwalden aveva già sofferto tanto, forse anche troppo. Ragazzi giovanissimi che si erano trovati ad affrontare le disgrazie della vita. Ben o male io avevo avuto mio padre e, anche se per poco, mi era stato accanto con tutto il suo amore e anche solo il fatto di averlo lì, con un falso sorriso sul viso, ad accarezzarmi il capo, dava una speranza in più alla mia vita, una speranza legata al  “non tutto è perduto” e al che “dopo un acquazzone sarebbe tornato a risplendere il sole”.
Ma loro … Federico era giovanissimo.
Diciassette anni e alle spalle mille sogni, mille desideri, ambizioni passeggere, ma con grandi fondamenta nel presente. Sogni che probabilmente sarebbero anche diventati realtà, con il tempo … magari …
Si era sentito come un padre all’improvviso. Un enorme coraggio, una forte speranza, l’amore per i suoi genitori, le promesse fatte loro, uno spirito valoroso, lo avevano portato alla coscienza di tutto ciò. Diciassette anni e la grande responsabilità di diventare padre dei suoi fratelli.
In fin dei conti, Tomas aveva pochi anni di vita.
Federico era stato un gran bravo a cogliere al volo questa nuova realtà. Ma tra dire e fare c’è di mezzo il mare, si sa, e Federico, tutto solo e soletto, era riuscito a gestire al meglio gli affari di famiglia, ma non quest’ultima. Nonostante questo, si era guadagnato oltre che il rispetto dai fratelli, anche un affetto incondizionato. Da Franco a Tomas, i giovani Fritzenwalden avrebbero fatto di tutto, anche dare la vita, per il loro fratellone maggiore, ma lui …
Lui aveva accantonato i suoi sogni, i suoi desideri per la famiglia.
Era ammirevole ed io Florencia Fazarino mi sarei occupata della sua felicità e perché no? Anche di quella di tutti loro.
«Insomma, Tomas, piantala! Vattene! – le urla provenivano dalla camera da letto dei gemelli – Il computer è mio, allontanati, cretino!» frastornata dalle urla isteriche, spalancai la porta. Nicolas il più giovane dei gemelli minacciava il piccolo Tomas con uno dei suoi libri di scuola «Solo un minuto»
«Allontanati!» l’espressione sul viso di Nicolas mi rabbrividì.
Da quando ero andata a lavorare alla villa, non avevo mai visto quel ragazzo così tanto arrabbiato, sembrava che il fliquity dell’ira funesta gli avesse offuscato completamente i connotati. Potevo sorprendermi nel vedere fuoriuscire le orbite dagli occhi, per non parlare anche delle vene del collo: l’incredibile Hulk in versione ridotta.
Spaventata, avanzai, coprendo Tomas, in un gesto difensivo «Nico, ma cosa stai facendo?! – urlai quasi disperata, mentre il giovane mi squadrava da cima a fondo con due pupille scintillanti d’ira – Ti sembra questo il modo di comportanti?» Nicolas abbassò il libro, si passò una mano tra i capelli e sospirò quasi irritato «Che cosa avete tutti oggi? Non vi sopporto – si portò le mani sul viso – Non sopporto più nessuno!» con gesto furioso scaraventò il libro a terra e lasciò la stanza correndo come un lepre inviperita «Nicolas! – feci appena in tempo ad urlare, ma il ragazzo era già sparito. Preoccupata, osservai Tomas che, tenendosi una mano sul gomito destro, fissava perso il pavimento – Ehi, Tommy, tutto bene? – gli occhi del piccolo continuavano persi nel nero della moquette. Gli sollevai lentamente il viso, per incentrare il suo sguardo – Ti ha fatto male?» vedevo brillare le lacrime in quei suoi occhi dorati, potevo addirittura percepirne la paura e Tomas, tremava, tremava angosciato, sconvolto, ferito da tutto ciò che era appena successo. Lo vidi gettarsi tra le mie braccia, con tutta la forza che un bambino può recuperare dalla sua paura «Shhh – gli accarezzai dolcemente il capo, quando lo sentii piangere – E’ tutto passato, piccolo»
«Flor, è stato terribile – singhiozzò Tomas stretto al mio collo – Io … volevo solo vedere … se avevo vinto il concorso … ma … lui … mi ha preso per il braccio e …» nuovamente scoppiò a piangere «Tommy, calmati, ora è tutto passato. Parlerò io con Nicolas, vedrai che sarà stato solo un po’ nervoso – cercai di rassicurare più me stessa che il bambino – Adesso fai un bel sorriso a Flor» Tomas scosse leggermente il capo «Non ci riesco» gli scompigliai dolcemente i capelli, poi mi slacciai il ciondolo che mi ero messa la mattina stessa «Niente è impossibile – glielo misi dolcemente – Vedrai che con i raggi del Glimlag, ti ritornerà la forza di sorridere» Tomas fece dondolare il ciondolino a forma di sole «Dici, davvero?»
«Ti ho mai detto una bugia? - il bambino mi fissò con aria dubbiosa – Tomas!» lo rimproverai divertita «E dai, Flor, stavo solo scherzando – si strofinò il naso con il polso – Sai, sto già meglio, mi sa che il tuo Sole Sorriso, funziona veramente!» mi fece l’occhiolino, poi dopo avermi stampato un bel bacio sulla guancia, corse da Pedro per andare a scuola.
Volevo fare qualcosa, distrarmi, togliermi dalla testa l’orribile scena appena vissuta. Avevo assistito a diversi litigi tra fratelli Fritzenwalden, per non parlare poi delle Streghe, ma mai nessuno, era stato così scioccante. Forse, la villa rappresentava per filo e per segno la famiglia di cui tutti facciamo parte e non è per niente scandaloso parlare di discussioni, litigi e battibecchi vari, perché tra parenti è la cosa più normale al mondo.
In villa era così, sia di giorno che di notte … se non era Roberta che faceva uno scherzo a Tomas, era Tomas che lo faceva a Delfina, e Martin che con la sua intelligenza scatenava l’ira di tutti i fratelli, per non parlare poi di Maya che amava sfogare le sue doti beffarde su Franco, meccanismo che faceva scattare l’ira di Federico.
Sistemai anche l’ultimo letto, poi rimasi a fissare per qualche istante la stanza dei gemelli.
Il problema non era la villa in preda agli attacchi bisbetici di ogni pazzo membro, no, il problema era Nicolas. Mentre gli altri suoi fratelli passavano intere giornate a vivere di giochi e scherzi, lui trascorreva le sue ore libere chiuso in camera, solo, attaccato a quella dannata scatola elettronica che tranne che rimbecillirlo non faceva altro.
Esasperata, mi portai le mani suoi fianchi “Povero ragazzo” pensai. Nicolas, il gemello di casa Fritzenwalden uno sventurato emarginato sociale ed era colpa nostra se il poverino si comportava come un cucciolo a cui avevano appena tolto l’osso dei suoi sogni.
Le pareti rosse sembravano descrivere con il loro colore, gli occhi furenti di Nicolas.  
Nicolas si stava perdendo i migliori anni della sua vita, se non anche i momenti più belli trascorsi con la sua famiglia ed io, bambinaia incaricata, dovevo fare qualcosa, dovevo aiutarlo.


«Flor, cos’hai?
– Facha mi passò una mano davanti al viso - Mi sembri un po’ persa»
«Sì, è dieci minuti che fissi il pavimento, si può sapere cos’hai?» fulminai Clara, quel pomeriggio più isterica che mai. Sembrava aver superato alla grande la morte di Carina «Scusatemi ragazzi, ero sovrappensiero»
«E’ successo ancora qualcosa con quello scorbutico di Fritzenwalden?» Bata fece voltare le sue due bacchette «No, Federico oggi nemmeno l’ho visto, il fatto è che mi preoccupa Nicolas»
«Il brutto anatroccolo?» l’ironia di Clara mi fece rabbrividire, ma per fortuna nessuno sembrò ascoltarla «Flor, a me dispiace che i miei cugini ti preoccupino, però ora dobbiamo decidere cosa fare per il concorso, il termine dell’iscrizione è domani e noi non abbiamo ancora scelto la canzone da portare!»
«Nata ha ragione, se andiamo avanti così, la vetta del successo ce la possiamo anche scordare!» Facha si fece scivolare sul divano in pelle rossa «Beh, ragazzi, non è colpa mia se c’è chi preferisce farsi i cavoli degli altri anziché provare!»
«Clara, la colpa non è di nessuno» Bata colpì il disco della batteria, provocando un rumore sordo «Ah no? E allora chi ha il coraggio di spiegarmi il perché in questo ultimo mese non abbiamo nemmeno provato un minimo straccio di canzone, eh? – Clara balzò in piedi, poi, furiosa più che mai, punto il dito su di me – Nessuno, perché tutti sappiamo che in realtà la colpa di tutto è di Flor e di quella pazza vita che le gira intorno! Per lei tutto è più importante della band, se non è per i mocciosi, è per il viziatino di turno, ma mai, mai si ricorda di avere dei compagni che l’aspettano anche quando decide di darli buca, mai!»
«Clara, ti stai costruendo un castello senza fondamenta! – Bata la minacciò con una delle sue bacchette – Sai benissimo che quando abbiamo deciso di formare il gruppo, lo abbiamo fatto per passione, come un hobby, pur sapendo che ognuno di noi aveva delle priorità a cui dedicarsi. Non siamo tutti dei mantenuti come te!»   
 Frastornata da quegli insulsi battibecchi, balzai in piedi dal divano «Adesso basta! – il silenzio rimbombò nel capannone – Clara ha ragione, e non sapete quanto mi dispiace di non essermi occupata di voi e della band»
«Solo?» ignorai nuovamente Clara «In questo ultimo mese ho avuto un sacco di problemi gironzolarmi per la testa e mi dispiace tantissimo per questo, perché non era quello che avrei voluto ne per me, ne per voi – presi posto al tavolino davanti al divano, poi afferrai carta e penna – Allora, Kikirikì o Chaval Chulito?»
I ragazzi mi osservarono allibiti.


Avvolsi un fiocco celeste al gambo del mio nuovo amuleto «Ecco fatto» annodai bene, bene, finché i petali vistosi del fiorellino ciondolarono.
Avevo passato l’ultima settimana a minacciare i fliquity del mio cervellino, affinché trovassero una soluzione al mio dilemma; plasmon, spinaci, more e mirtilli, sembravano aver fatto il loro effetto, dando completamente senso al detto della mia cara zia Titina “Mens sana in corpore sano”. Così dopo giorni e giorni di affaticamento celebrale, stavo per sciogliere il terribile nodo della scatola elettronica: un nuovo amuleto per ristabilire l’equilibro nella vita di Nicolas. Il Diario della mamma aveva parlato chiaro “Per chi si mette in viaggio, la Clematide disegna il passaggio”. Sicuramente il bluette della spilla a fiore avrebbe tranquillizzato l’animo nervoso del gemello dei Fritzenwalden e magari chissà, aiutandolo anche a trovare la strada giusta per trovare se stesso … Nicolas aveva bisogno di un navigatore speciale ed il mio Lakuar lo avrebbe accompagnato ovunque, anche dove i miei fliquity non riuscivano ad arrivare «Flor, sei qui?» un tocco lieve alla porta mi fece scivolare dalle mani il talismano, mentre con poco fiato in gola, sibilavo un leggero sì.
La porta si aprì.
Con i suoi ricci biondi sempre spettinati, Franco sgattaiolò nella mia stanza con fare furtivo, era preoccupato, lo leggevo nel blu dei suoi occhi, così blu da farmi rabbrividire, perché ero io la causa della sua preoccupazione. Imbarazzata, abbassai lo sguardo, giocherellando con la spilla «Flor, ti ho cercata ovunque – Franco si inginocchiò davanti al mio letto per catturare la mia attenzione. Mi era vicino, sentivo il suo calore, il cotone del suo maglioncino bianco accarezzarmi le gambe, ma non avevo il coraggio nemmeno di fissarlo, rimanevo imperterrita – Flor, io non ce la faccio più, sono settimane che mi eviti, ti allontani da me ed io … ho fatto qualcosa che non dovevo fare? - avevo paura, paura di alzare gli occhi ed incontrarmi con i suoi, paura dei suoi pensieri, dei suoi gesti … lui mi amava - Flor, per favore guardami – mi accarezzò dolcemente il viso, provocandomi un tiepido brivido, poi mi sollevò lentamente il mento per incentrare il suo sguardo, ma nuovamente lo evitai – Flor, che cosa ho fatto? Perché non mi rispondi? Almeno guardami - rinunciai al gioco di sguardi, Franco e il suo dolcissimo modo di proporsi mi facevano pena, se continuavo così gli avrei solo fatto del male e basta. Finalmente, fissai i suoi occhi. Erano blu e non celesti come al solito, anzi, brillavano di tristezza, quell’inquietudine che ero stata in grado di procurargli – Angioletto, cosa ti ho fatto?» mi scostai nervosa la frangetta «Franco – sussurrai – io … mi dispiace, mi sono comportata come una stupida, non dovevo fare così, il fatto è che …» non trovavo le parole adatte per spiegare al mio carissimo amico il mio stato d’animo. Io gli volevo bene, ma non come lui a me «Il fatto è che?» sospirai nervosa «Ah, lasciamo perdere, facciamo finta che non sia successo niente e ricominciamo da capo, ok?»
«Flor, ti conosco, e i tuoi occhi mi dicono che ti ho fatto qualcosa, per favore, dimmelo»
«Poco tempo fa, per sbaglio, ho sentito una conversazione tra te e Federico» Franco mi fulminò «Per sbaglio, eh?» alzai le spalle «Che c’è? Ero lì per caso! Io non sono di certo una spiona che origlia le conversazioni altrui, ma per chi mi hai preso, scusa?» Franco sorrise divertito, poi allungò la mano lungo il mio viso, accarezzandolo dolcemente «Per un bellissimo Angioletto»
«Ah, Flor, ancora con questa storia!» portò la testa all’indietro sbuffando annoiato.
Ancora una volta mi ero salvata. Se solo avessi osato dire la verità, chissà come avrebbe reagito sapendo che io, ero a conoscenza della sua cotta per me. Meglio tenere segreto ciò che doveva rimanere segreto, perché si era sempre a tempo a rovinare una bellissima amicizia come la nostra e Franco non si meritava di soffrire.
Così, viva le bugie! Bugie a fin di bene naturalmente e poi fondate sulla realtà. Franco sapeva che odiavo quando qualcuno prendeva le mie veci di fronte al "sergente universale", perché mi conosceva ed io, ero e sono tutt’ora una donna indipendente, in grado di difendersi da sola da orchi senza cuore e principi insanguinati, per tanto, amicizia o no, la spada della legge l’avrei alzata solo con la forza delle mie belle manine.
Gli amici servivano per altro.
«Sì, Farolito caro, ancora con questa storia! E’ la miliardesima volta che te lo ripeto: sono grande e vaccinata, indipendente, so difendermi da sola e di sicuro non mi faccio venire la tremarella per le urla isteriche di un Mangiabambini malato di nervi!» Franco rise divertito «Mangiabambini malato di nervi? Questa me la devo segnare, così la prossima volta che litigo con Federico, ho la battuta pronta»
«Eh no, mio caro – alzai l’indice - certe cose le posso dire solo io!» Franco mi abbassò il dito «Una specie di  tuo dizionario?»
«Una specie - sentivo il calore della sua mano avvolgere la mia. Sembrava che l’amicizia di una volta fosse tornata a regnare tra di noi – Farolito?»
«Mm?» alzò lo sguardo, prima intento a fissare le nostre mani, per poi incentrarlo nei miei occhi «Tuo fratello? Come sta?»
«Chi? Federico? - annuii, trattenendo il nodo che mi si era formato in gola.
Dalla sera del meravigliosissimo bacio che ci eravamo scambiati non lo avevo più visto.
La mattina seguente lo avevo cercato per tutta la villa, sperando in un suo sorriso, in una sua carezza, ma la mia illusione era svanita quando Matias mi aveva comunicato che il mio Principino era dovuto partire per un improvviso viaggio di lavoro. Fin qui tutto normale, se si considerava il fatto che Federico era un importante uomo d’affari, ma il problema sorgeva nel sapere che ad accompagnarlo era andata quella coda di foca di Delfina. Al pensare a quei due soli e soletti in chissà quale parte della terra, riempiva ogni fliquity del mio corpo di un’angoscia indescrivibile. Mi fidavo di Federico, lo amavo e non me l’ero presa più di tanto per il fatto di non avermi portata con sé, anzi, confidavo in una rottura doc con quella serpe di Delfina. Nel mio cuore sapevo che quando sarebbe tornato, il nostro amore sarebbe uscito alla luce del sole e solo così, tra un sorriso ed un altro, avremmo condiviso i giorni nella nostra vita abbracciati tra un fratello Fritzenwalden e un altro …
«Credo che stia bene, per quel che ne so, l’affare con i Francesi è andato a importo. Ora si spera solo che l’impresa dei Chateaubriand …»
«Salute!»
«Flor, è un cognome francese, non uno starnuto guasto!» scoppiammo entrambi in una sonora risata.
Io e le lingue straniere non andavamo molto d’accordo, soprattutto se si parlava di inglese, tedesco e francese. Quegli europei puntigliosi amavano complicarsi la vita. Perché si ostinavano a vivere di lingue sconosciute a livello mondiale, quando lo spagnolo avrebbe risolto tutti i loro problemi? Perché arricchire il proprio vocabolario celebrale, quando bastava sapere la propria lingua? Bah, tutto ciò rimaneva un mistero, tranne il fatto di sapere che l’Europa era un Paese di matti. Forse era il perfetto rifugio in cui Malala e Delfina amavano volare con le loro scope. Parigi non è mica in Europa?
«E questo? – Franco prese tra le dita il mio amuleto – un nuovo fermaglio per i capelli?» glielo afferrai «Ma quale fermaglio dei capelli, questo è un talismano potentissimo che non devi azzardarti a toccare, nemmeno con un dito!» il giovane strabuzzò gli occhi «Quando fai così mi spaventi»
«Beh, allora spaventati, perché i miei amuleti sono potentissimi e se non usati nel modo giusto, possono essere pericolosissimi» Franco rise «E questo è un amuleto per che cosa?» strinsi forte il fiorellino azzurro, poi fissai concentrata gli occhi azzurri del mio carissimo amico «Farolito, ti presento Laukar, l’amuleto dei viaggiatori. Per chi si è perduto, questo è un piccolo aiuto»
«E aiuta anche con le ragazze?» gettai uno sguardo al mio sacchetto contenente tutti i miei amuleti «Beh, no – posai la spilla sul letto ed iniziai a frugare – per questo tipo di cose c’è solo una cosa che ti può aiutare – alzai la piccola bacca rossa che tenevo con cura legata ad un fiocchetto giallo – il Fruta è la soluzione a molti di questi problemi, ti da coraggio ed elimina ogni paura o timore che sia, aiutandoti ad affrontare ciò che più ti indispone, anche le ragazze, sai? La portavano gli antichi faraoni al centro del petto, poiché dono di Iside – gliela posai al centro del palmo della mano – funziona solo se la tieni stretta al cuore»
Franco chiuse il palmo con ancora la mia mano poggiata alla sua «E per un bacio?» lo vedevo sorridere, mentre si avvicinava a me, mentre accorciava leggermente la distanza tra di noi, mentre i suoi occhi coloravano di blu i miei «Per un bacio? – sussurrai nervosa – Che cosa intendi per un bacio?»


Il campanello dei Fritzenwalden rimbombò nuovamente per i corridoi della villa.
Sospirai percorrendo velocemente le scale. Grazie alle fatine degli amuleti mi ero salvata da Franco e la sua aria da corteggiatore. Non mi ero mai resa conto di quanto fosse facile inventarsi delle scuse per evitare le persone. Ci sono cose che nessuno può mai capire nella vita, ma fortunatamente ogni giorno s’impara sempre qualcosa di nuovo. Che siano amuleti, talismani o portafortuna, una piccola bugia può sempre aiutare a cavarsela anche nelle situazioni più imbarazzanti e se non si è proprio dei grandi attori, tentar non nuoce, no?
Alzai gli occhi al Cielo, ringraziando le fatine, poi mi diressi alla porta d’ingresso. Quando la spalancai, le goccioline trasportate dal vento tempestarono il mio viso «Titina, cosa ci fai qui?» i capelli rossicci raccolti in una crocchia si agitavano come le foglie che lo sbuffo autunnale muoveva in giardino. Tremava, tremava come i suoi occhi celesti, che mi osservavano cupi, turbati, come impressionati da un qualcosa che solo la mia cara Zia poteva conoscere. Solo dopo qualche istante mi avvolse in un abbraccio disperato «Oh tesoro mio, sei tutta intera, grazie al Cielo – sentivo il suo profumo di cannella invadermi l’anima, ma ero troppo confusa per preoccuparmene – Mio Dio, grazie al Cielo, stai bene!» mi scrutò da cima a fondo. Ora i suoi occhi sembravano più tranquilli, ma io no «Titina, certo che sto bene, mi sa che qui quella che non è molto in forma sei tu, sei così pallida»
«Oh, Flor cara! - si lanciò nuovamente tra le mie braccia – avresti da offrirmi un buon tè?


La tazza fumante del tè tremava come una foglia tra le mani di Titina. La mia cara Zia era talmente fuori di sé che si stringeva a tutto il suo corpo come fosse il suo ultimo appiglio. La osservavo sorseggiare, deglutire e qualche volta sospirare, cercando di trovare le parole per spiegare quell’inquietudine che brillava nei suoi occhi celesti. Perfino la cucina di casa Fritzenwalden sembrava essere caduta in preda ad un terribile silenzio e di certo il tempo non aiutava, visto che dalle finestrelle deboli tuoni echeggiavano come per dare atmosfera.
Titina sospirò ancora una volta, poi estrasse dalla sua borsa leopardata una busta colorata e oscillando la mise sul tavolo. Senza nemmeno esitare, l’afferrai quasi di colpo. Velocemente lessi il mittente «Titina, ma è di mio padre - la zia annuii sconcertata. Impaziente, aprii la busta, dalla quale estrassi un cartoncino colorato. Le parole erano chiare, in stampatello, come amava scrivere mio padre. Poche lettere, il cui inchiostrò sembrava essersi divorato la carta, così come era successo al mio stomaco – Cosa significa che sono in pericolo?»
L’ultima volta che avevo visto mio padre era stata cinque anni addietro, prima che le autorità mi segregassero in un collegio.
Mio padre era un uomo fantastico, amava ridere e scherzare e nei miei fliquity celavo ancora bellissimi ricordi della mia famiglia insieme, ma ahimé, la sua chimera era il mare e come dice il detto “Chi non sa pregare vada in mare a navigare”, quindi chimera o no, mio padre aveva gettato il dolore della perdita di mia madre tra le onde dell’Oceano.
Ricordavo ancora quei suoi occhi neri, che sorridevano ad ogni mia marachella e quelle sue sopraciglia folte, scure come la notte, che il più delle volte si corrugavano in un’espressione divertita, ma nel suo sguardo, anche il più ignorante degli asini avrebbe potuto scorgere malinconia, perché si sa “Per chi in mare cade, non è facile montare”
Ma ripeto e ribadisco, per me, Eduardo Fazarino era l’uomo più importante della mia vita, anche prima del Freezer, perché lui era il mio super papà. Quello stesso papà che di notte mi raccontava una fiaba prima di addormentarmi, che mi stringeva tra le sue forti braccia per coccolarmi, che mi lanciava in aria, ogni qualvolta si rallegrava, che mi prendeva per la mano per una passeggiata, quello stesso papà che amava la mia mamma e l’aveva resa felice come una dolce pernice.
Titina scosse velocemente il capo «L’ho ricevuta questa mattina, probabilmente tuo padre sapeva del tuo ritorno al Passaggio dei Baci. L’importante è che tu, mia cara Flor, stai bene. E’ successo qualcosa? Una di quelle serpi velenose ti ha fatto o detto qualcosa?» negai col capo «No, quella Strega di Delfina è andata con Federico in Europa, e la tarantola della madre è in una Spa»
«Strano» ironizzò Titina, cercando di mantenere la calma «Sai, in fin dei conti non mi meraviglio se papà sa dove sono – sorrisi – ha avuto sempre un buon fiuto per sapere dove si trovava sua figlia - Titina sbottò in una risatina isterica.
C’era ancora qualcosa che la mia cara zia mi nascondeva, e se il mio sesto fliquity non errava, era qualcosa che riguardava la lettera di mio padre «Titina, secondo te perché mio padre ti ha mandato questo messaggio, voglio dire, è anni che non lo sento, e poi si presenta con una specie di biglietto intimidatorio, mi chiedo se non ci sia sotto qualcos’altro – osservai la zia tentennare sulla sedia – Titi, mio padre ha qualche problema?»
Papà era un uomo troppo buono per il mondo marittimo. Mi chiedevo spesso come faceva a resistere a tutti quegli squali che divoravano senza pietà. In questi anni mi ero documentata più volte sui marinai e la realtà che li circondava. Nei libri li descrivevano come dei “barbanera indiavolati” alla ricerca di chissà quale tesoro delle sette leghe. Ora, non che credevo che mio padre fosse un barbanera indiavolato, anzi, per me era solo una povera vittima di questi mangia pesci, perché ripeto, era troppo buono e mi chiedevo come faceva a resistere … prima o poi sarebbe rimasto divorato (parola di marinaio)
«Che io sappia no, ma Flor cara, dove hai detto di aver vissuto con la tua famiglia?» alzai il sopraciglio «Titina, cosa centra con la lettera?»
«Eccome se centra, questa lettera è stata spedita da “Esperanza”, il paese in cui hai vissuto per molto tempo!» strabuzzai gli occhi incredula «Cosa? Mio padre è qui?»
 



Angolo Autrice:

Hola Chicos!!!!
Eccomi tornata questa volta con un piccolo capitolo!
Scusate il tardo ritardo, purtroppo scuola e lavoro non mi permettono di dedicare tanto tempo alla scrittura, ma spero di essermi fatta perdonare ... già vi premetto che per il prossimo capitoletto bisognerà aspettare ancora un po', spero mi capiate ;)
In questo capitolo c'è stato poco romanticismo, ma non vi preoccupate, perchè nel prossimo molti segreti verranno a galla ... seguitemi!!
Un grazie a tutti ...
Un Bacio

Dani
  
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