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Autore: Beatrix Bonnie    29/11/2011    3 recensioni
-Seguito de La sorella perduta- Dopo aver assistito all'entusiasmante finale della Coppa del Mondo di Quidditch e dopo esser rimasti terrorizzati dalla comparsa del Marchio Nero, Mairead, Edmund e Laughlin torneranno al Trinity per affrontare il loro quarto anno, sperando, questa volta, di uscirne indenni. Ma non potranno certo immaginare che cosa è stato preparato per quell'anno! Tra altezzosi cugini purosangue, gelosie e invidie, misteriosi tornei, scuole di magia lontane e sconvolgenti novità, i tre amici metteranno a dura prova la loro amicizia...
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 19

Non è tutto oro quello che luccica





La mattina della seconda prova, Edmund si svegliò presto, ma era ragionevolmente tranquillo: aveva risolto l'indovinello, sapeva in che cosa consisteva la prova e aveva trovato il modo per sopravvivere al tuffo dalle scogliere. Sarebbe andato tutto per il verso giusto, quella volta.

Sgattaiolò via dalla sala comune quando cominciarono a svegliarsi anche i suoi compagni, ma evitò accuratamente la Sala Mor, perché non aveva voglia di vedere gente; così decise di scendere nei sotterranei per andare nelle cucine (a cui si accedeva facendo l'inchino ad un quadro di Zaocoonte O'Saoirse, il liberatore dell'Irlanda Magica), dove gli elfi lo accolsero calorosamente e gli offrirono ogni genere di prelibatezze. Edmund si accontentò di un bicchiere di latte con una fetta di torta al cioccolato, dopodiché, controllando l'orologio appeso sopra i forni, vide che era ora di recarsi in ingresso, dove lo attendevano i giudici.

Quando arrivò, ovviamente, Wedge era già lì, con un'aria strafottente stampata in faccia. Poco dopo li raggiunse anche Chaitaly e, visto che erano arrivati tutti, il professor Captatio fece salire i giudici su una carrozza e i tre campioni su un'altra. Durante il viaggio, nessuno parlò, né furono azzardate ipotesi su dove si stesse andando, perché ciascuno sperava che gli avversari non avessero risolto l'indovinello e certo non intendeva facilitarli rivelando la destinazione.

Solo quando la carrozza si fermò, circa una ventina di minuti più tardi, Edmund osò aprire lo sportello e sbirciare fuori. Represse un selvaggio grido di compiacimento, quando riconobbe dove si trovavano: le scogliere di Moher, esattamente come aveva pensato.

Anche per quella prova, era stata predisposta una tribuna, un tavolo per i giudici e un padiglione dove i campioni avrebbero ricevuto le istruzioni. Dando un'occhiata veloce, Edmund notò che erano già arrivati parecchi spettatori, che dovevano essersi alzati molto presto, vista la lontananza delle scogliere di Moher dal castello. C'erano anche Mairead e Laughlin, insieme a Dominique, Faonteroy e, con suo grande dispiacere, Leonard. I suoi amici lo salutarono e gli rivolsero sorrisi di incoraggiamento, ai quali Edmund rispose con nervosi cenni del capo: l'ansia, ora, cominciava a farsi sentire.

Poi il professor Captatio richiamò i campioni nel padiglione per dare loro le istruzioni riguardo alla prova. «Come immagino abbiate capito dall'indovinello» cominciò a dire il preside, «Dovete buttarvi dalle scogliere di Moher, entrare in una caverna sul fianco della scogliera, recuperare quanto più oro riuscite e tornare qui entro il tempo limite di un'ora. Semplice, no?»

Edmund e Chaitaly si scambiarono un'occhiata densa di significati: anche l'altra volta Captatio aveva detto che la prova si sarebbe rivelata semplice.

Dopodiché, Mama Hope recuperò i soliti tre Argo e li programmò perché seguissero ognuno un campione. Il preside Singh, invece, consegnò a ciascuno di loro una sacca da mettere a tracolla, per poterla riempire di oro.

«Bene!» esclamò Captatio, battendo le mani. «Ora, tutti fuori che il pubblico ci aspetta!»

Quando i tre campioni uscirono, furono accolti da un'ovazione. Edmund cominciò a sentire le mani sudaticce e strinse convulsamente la bacchetta.

«Al mio fischio, partite!» annunciò il professor Captatio e poi soffiò con energia dentro il suo fischietto.

Chaitaly si levò lo scialle che portava sulle spalle e lo depositò a terra. Con un incantesimo che Edmund non aveva mai sentito, lo fece sollevare e questo vibrò a mezz'aria, come una specie di tappeto volante. La ragazza, infatti, vi salì sopra e sfrecciò giù dalla scogliera.

Wedge, invece, bevve un sorso da una strana pozione, che gli fece spuntare due enormi ali da aquila sulle spalle. Doveva essere un intruglio africano, perché Edmund non ne aveva mai sentito parlare. Prima di sparire alla vista, Wedge lanciò uno sguardo sprezzante a Edmund, il quale era rimasto immobile sul precipizio, a guardare il mare che si infrangeva contro le rocce. Non che soffrisse di vertigini, ma era piuttosto inquietante l'idea di buttarsi giù.

Deglutì. Aveva preparato un'entrata in scena epica, ma non era più tanto sicuro di volerla fare: se il suo incantesimo non avesse funzionato, si sarebbe spiattellato sugli scogli sottostanti. Forse era il caso di provarlo, prima.

E poi... «Mah!» e si buttò.

Le grida terrorizzate degli spettatori gli arrivarono in sordina alle orecchie, mentre il vento fischiava nei timpani e gli faceva sollevare la divisa e i capelli. Per un attimo rimase stordito, a sbattere contro il muro di aria, mentre gli scogli si avvicinavano sempre di più. Ma poi si riprese: batté i tacchi delle scarpe e ai lati delle caviglie comparvero due alette. Le ali cominciarono a sbattere frenetiche e arrestarono la caduta con un tale strattone che Edmund si ritrovò a fare una capriola in aria. La torta che aveva mangiato a colazione gli si rivoltò nello stomaco e fu costretto a trattenere un conato di vomito. Ci mise un po' a manovrare quegli strani calzari, ma alla fine riuscì ad avere la meglio.

Li aveva recuperati dal covo degli Extraiures, (l'idea gli era venuta in mente quando Laughlin aveva detto quella cosa delle “ali ai piedi”) ma aveva passato le ultime due settimane a sistemarli: entrambi erano piuttosto malconci, con le ali spezzate, e poi aveva bisogno di creare un meccanismo che nascondesse le ali fin tanto che non lo avesse deciso lui.

Quando finalmente riuscì a mantenersi in equilibrio, risalì per qualche metro, finché non ricomparve alla vista del pubblico, con un aria trionfante. Gli spettatori esplosero in un ruggito di approvazione e, forse, anche sollievo. Edmund aveva l'aria di un conquistatore di altri tempi.

Dopo aver raccolto gli applausi dei suoi ammiratori, Edmund decise che era tempo di dedicarsi alla prova. Così, si rituffò verso il mare, con la bacchetta in pugno. Inizialmente la cosa più difficile fu quella di mantenere l'equilibrio con quelle stupide ali ai piedi, ma poi accadde qualcos'altro che attirò la sua attenzione: un urlo acuto squarciò la tranquillità del limpido cielo di febbraio. Edmund strizzò gli occhi, e poi lo vide: Chaitaly era una ventina di metri sotto di lui e sembrava essere stata attaccata da una sorta di uccello di fuoco. Edmund osservò la scena dall'alto per qualche tempo: Chaitaly se la cavava abbastanza bene, con incantesimi mirati, ma presto arrivarono altri uccelli e anche Wedge, poco più sotto, venne attaccato.

Questa volta non aveva alcuna intenzione di andare in aiuto degli altri campioni, anche perché sembravano farcela anche da soli. Mentre loro erano alle prese con quelle creature, Edmund sfruttò il tempo che aveva a disposizione per cercare di individuare la caverna. Fu abbastanza sicuro di averla trovata quando riconobbe un grosso taglio nel fianco della roccia, poco distante da dove stava combattendo Chaitaly. Edmund pensò che fosse proprio il caso di sfruttare la situazione a lui favorevole, così si lanciò in direzione della grotta. Ma non aveva percorso in volo che pochi metri quando uno degli uccelli che stava attaccando Chaitaly si accorse di lui e gli si avventò contro.

Edmund non aveva mai visto niente del genere: le dimensioni erano quelle di una grossa aquila, ma la sagoma dell'animale era fatta completamente di fuoco; e, non contento, l'uccello sputava dal becco vampate di fiamme.

«Stupeficium!» provò a gridare Edmund, ma il volatile scansò con destrezza il suo pallido tentativo di incantesimo. Non aiutava, poi, il fatto che Edmund fosse completamente incapace di mantenere l'equilibrio o anche solo di muoversi rapidamente. Il primo getto di fuoco dell'uccello lo colpì di striscio, ma la giacca della sua divisa prese ugualmente fuoco. Edmund sentì la pelle del torace ustionarsi e soffocò a stento un urlo di dolore, mordendosi la lingua. «Aguamenti!» gridò soffocato, e un flusso di acqua si sprigionò dalla sua bacchetta, per spegnere le fiamme.

Quando osò alzare nuovamente gli occhi sulla creatura, per poco non gli venne un colpo: almeno dieci di quegli assurdi uccelli di fuoco stavano puntando dritto verso di lui. Di Chaitaly e Wedge non c'era più traccia, segno che dovevano essere riusciti ad entrare nella caverna, lasciando a lui la patata bollente.

«Aguamenti!» gridò ancora, puntando la bacchetta verso il più vicino. Ma, ben presto, capì che sarebbe stato accerchiato e allora non sarebbero bastati i suoi incantesimi. Grigliata di campione.

L'unica cosa sensata da fare era tuffarsi in mare. Edmund non aveva mai apprezzato molto l'acqua e, ad essere sinceri, non sapeva nemmeno nuotare. Tenersi a galla, niente di più. Ma non aveva molte alternative.

Sempre facendo attenzione a scagliare incantesimi verso qualsiasi creatura gli si avvicinasse troppo da minacciarlo, Edmund scese in picchiata verso gli scogli. Cercò di tuffarsi in mare aperto, per non rischiare di essere sbattuto contro le rocce dalla violenza delle onde. Serrò gli occhi e la bocca, quando sentì l'impatto con la superficie del mare. Ma non aveva tenuto conto che l'acqua era salata: non appena si bagnò il ventre, le ustioni gli bruciarono come se la sua carne fosse stata fatta rosolare sul fuoco. Ancora sott'acqua, Edmund aprì la bocca per urlare ma non ottenne altro che ingurgitare liquido salato. Le onde e le bollicine provocate dal suo tuffo erano un vortice intorno a lui e Edmund fu certo che sarebbe morto lì, affogato nell'oceano. Ma poi, le alette delle sue scarpe cominciarono a sbatacchiare frenetiche e gli diedero la spinta per ritornare in superficie, dove c'era l'aria.

La prima boccata di ossigeno fu quasi dolorosa: i suoi polmoni lo reclamavano. Edmund sputacchiò l'acqua che aveva bevuto e cominciò ad agitare le braccia per riuscire a stare a galla.

Gli uccelli di fuoco emettevano strani versi di lamento, ma non osavano avvicinarsi alla superficie del mare. «Venite a prendermi adesso!» li insultò Edmund, gridando con foga nella loro direzione.

Passarono quasi dieci minuti prima che i volatili si rassegnarono a lasciarlo in pace. Edmund cominciava ad essere scosso dai brividi per il freddo, le labbra violacee che tremavano. Ma, finalmente, con un ultimo richiamo stridulo, gli uccelli di fuoco si allontanarono.

Solo quando fu sicuro che non sarebbero tornati, Edmund si diede una forte spinta con le gambe e uscì dall'acqua. Risalì svolazzando il fianco della scogliera, ma le alette dei suoi calzari erano zuppe e faticavano a tenerlo in equilibrio. Inoltre, anche la sua divisa scolastica era impregnata di acqua e le raffiche di vento che ululavano tra le rocce lo facevano tremare da capo a piedi. Raggiunse la caverna che era stremato, sebbene non si fosse nemmeno minimamente avvicinato all'obiettivo della prova. E almeno metà del tempo doveva essere trascorso. Chaitaly, infatti, sul suo scialle volante, aveva già cominciato la risalita verso l'alto.

Non appena Edmund mise piede sul suolo umido e scivoloso della grotta, tirò un sospiro di sollievo. Batté i tacchi e le alette sparirono. «Lumus» sussurrò, anche se vi era solo una leggera penombra: non voleva rischiare di avere brutte sorprese. Avanzò per qualche metro nel cuore dell'antro, poi la sua bacchetta illuminò la sagoma china di Hewa Wedge.

«Ehilà, pivello!» esclamò il campione africano, con un cenno di saluto. Era intento a riversare frettolosamente qualcosa dentro la sua sacca. Fece rotolare tra le dita quella che pareva una moneta d'oro, poi la lanciò dentro la borsa e si voltò verso Edmund con un sorriso beffardo. «E questa era l'ultima, Mi dispiace Burke, ma sei arrivato tardi» gli disse, accennando con il capo alla sua sacca. «Sai, Hiranmay ha preso solo la sua parte, ma a me è bastato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile per intascarmi tutto quello che c'era» fece un cenno con gli occhi, poi sogghignò. «Ci vediamo, pivello!» ridacchiò, prima di defilarsela.

Edmund se ne rimase ritto lì in piedi, con aria apatica. Aveva fatto tardi, Wedge aveva preso tutto l'oro e a lui sarebbe toccato tornare indietro a mani vuote. In fondo alla classifica, di nuovo.

Scosso dai tremiti di freddo e abbattuto per la sconfitta, Edmund si lasciò scivolare a terra e vi rimase acquattato per un tempo che non seppe calcolare. Dopo un po', fu il pigolio ritmico del suo Argo a riscuoterlo. Anche se non aveva recuperato l'oro, non poteva arrendersi così: si sarebbe presentato alla giuria, e un po' di punti dovevano pur darglieli per aver risolto l'indovinello e aver trovato il modo di volare fino alla caverna.

Aspetta un attimo... l'indovinello!

Cosa diceva l'ultima terzina? Entra nell'antro prima della risacca, non credere ad immagine fasulla e torna con d'oro piena la sacca.

Non cedere ad immagine fasulla... possibile che l'oro che dovevano recuperare fosse lì in bella mostra, ad aspettare loro? E se quello fosse stato solo uno specchietto per le allodole? E se il vero oro fosse stato nascosto ben più in profondità?

Edmund si rialzò da terra con nuova decisione, la bacchetta in pugno e lo sguardo sicuro. Avanzò ancora verso il fondo della caverna, alla ricerca di qualcosa che potesse indicargli la giusta via. Per fortuna, l'antro era piuttosto stretto e la strada che stava percorrendo era anche l'unica: non c'era rischio di sbagliare. Procedette per almeno dieci minuti, finché non si trovò davanti una fenditura orizzontale nella roccia, attraverso cui ci sarebbe passato a stento. Possibile che avesse sbagliato? Ma no, aveva controllato attentamente il percorso. Forse si trattava solo di un restringimento, poi la caverna si sarebbe aperta nuovamente.

Così, Edmund decise di accucciarsi a terra e strisciare dentro la fenditura. Nello sfregare sulla roccia il ventre ustionato mugugnò di dolore, ma strinse i denti e andò avanti. Si ritrovò in una piccola cavità: non appena riuscì a rimettersi in verticale, sbatté violentemente la testa contro la roccia e si accorse di non poter restare dritto in piedi; avrebbe dovuto procedere chinato. Ma dopo pochi passi si ritrovò di fronte una parete di roccia che gli impediva il passaggio. Non era possibile.

La analizzò meglio, cercò fenditure, varchi, tracce di magia. Niente. La strada era bloccata.

Un senso di oppressione calò su di Edmund. Si sentì schiacciato, dentro quel piccolo antro chiuso e soffocante. Cominciò a respirare affannosamente, toccando la roccia che era tutto intorno a lui, come se potesse spingerla via. Sarebbe morto soffocato lì dentro. In una tomba. Iniziò a sudare freddo, le gambe molli come gelatina che non reggevano più il peso del suo corpo.

Bel momento per scoprire di soffrire di claustrofobia. Si lasciò cadere a terra, rannicchiandosi in posizione fetale. Doveva darsi una calmata, o non sarebbe più riuscito ad uscire da quel buco. Vedere tutta quella roccia intorno a sé lo opprimeva, quindi decise di spegnere la luce della bacchetta. «Nox» sussurrò e il buio lo avvolse.

Chiuse gli occhi e cercò di regolarizzare il suo respiro. Era scosso dai brividi, ma non sapeva se si trattava di panico o di freddo. Solo dopo parecchi minuti osò aprire nuovamente gli occhi. Per un attimo rimase scioccato: la parete di roccia alla sua sinistra luccicava per la debole luce che filtrava dalla fenditura. Prima non se n'era accorto, a causa dell'intensità dell'incantesimo Lumus. Mentre ora... era meraviglioso. Si avvicinò carponi a quelle strane venature che brillavano al buio, vi passò sopra un dito e realizzò. Era oro.

Un sorriso di vittoria si disegnò sulle sue labbra sottili. Ce l'aveva fatta.


I giudici e il pubblico seguivano le imprese del Campione del Trinity osservando la sua pallida immagine proiettata dal disco d'argento del suo Argo. Gli altri erano già tornati da un pezzo, mentre lui continuava a procedere all'interno della grotta. Sinceramente, che cosa diavolo stava cercando di fare?

E poi «Eccolo!» gridò qualcuno dalla tribuna, quando Burke rispuntò sulla scogliera, con l'aria di un grande conquistatore.

«Santo folletto barbuto!» sbottò l'infermiera Flanders, correndogli incontro. «Burke, seguimi immediatamente dentro il padiglione» gli ordinò, guardando con occhio critico la sua divisa bruciacchiata e fradicia.

«Ma...» provò a dire Edmund.

«Niente “ma”! O vuoi che ti faccia spogliare qui davanti a tutti?»

L'agghiacciante minaccia ebbe l'effetto di spegnere qualsiasi protesta. L'infermiera trascinò Edmund dentro il padiglione, gli fece togliere i vestiti bagnati, gli spalmò un unguento puzzolente sulla bruciatura e poi lo ricacciò fuori, in mutande e calzini, imbacuccato in enorme mantello di lana.

Lo sguardo di scherno che gli riservò Wedge (a cui erano sparite le ali dalla schiena), fece capire a Edmund che doveva avere un'aria ben poco eroica, infagottato in quel pastrano marrone. Si avvicinò al tavolo dei giudici, dove attendevano anche gli altri campioni di ricevere il punteggio. Captatio gli rivolse un fugace occhiolino, poi si puntò la bacchetta alla gola e sussurrò: «Sonorus».

«Forza, giovanotti, vuotate il vostro sacco!» esclamò il preside e la sua voce magicamente amplificata riempì la tribuna.

Chaitaly rovesciò sul tavolo dei giudici un bel gruzzolo di monete d'oro con evidente soddisfazione. Wedge, dal canto suo, riversò una piccola fortuna, strappando grida di ammirazione dalla folla. Edmund, infine, fece rotolare sul tavolo una decina di sassi.

«Questo è il tuo oro, Burke?» lo derise il campione africano.

«E questo è il tuo, Wedge?» replicò Edmund, prendendo una moneta dal mucchio. La osservò per una manciata di secondi, poi commentò: «Che buffo, non ha il numero di serie» e lanciò la moneta tra le altre. «Nemmeno questa, e neanche questa» aggiunse, controllando alcuni dobloni a caso. Un sorriso trionfante si allargò sulla bocca di Edmund, rendendo i suoi lineamenti quasi grotteschi. «Non è tutto oro quello che luccica, Wedge. Questi sono soldi dei Lepricani» rivelò infine, suscitando esclamazioni stupite da parte del pubblico.

«Queste, invece, sono pepite d'oro!» esclamò Edmund, puntando la sua bacchetta contro i sassi che aveva riportato indietro. «Recido» mormorò e uno di questi si spaccò esattamente a metà, rivelando al suo interno striature di oro luccicante. In quello stesso istante, le monete degli altri due campioni sparirono.

Un “oooh” ammirato si alzò dalla folla.

«Ma è comunque arrivato in ritardo di mezz'ora oltre il tempo massimo!» protestò Mama Hope, scatenando un'accesa discussione tra i giudici. Passarono dieci minuti buoni prima che i cinque membri della giuria riuscissero ad accordarsi sul punteggio da assegnare a ciascun campione.

«Abbiamo deciso di valutare su un massimo di cinquanta punti» annunciò infine Captatio, e su tutta la tribuna calò il silenzio. «Alla signorina Hiranmay, per il lodevole incantesimo di Advolatio eseguito sul suo scialle, per la maestria con cui si è battuta contro gli uccelli di fuoco e per essere ritornata per prima, assegniamo 40 punti» disse Captatio e un applauso educato seguì l'annuncio.

«Al signor Wedge, per l'efficacia della pozione utilizzata e per la sua bravura nel difendersi dagli attacchi degli uccelli, assegniamo 37 punti»

A giudicare dallo sguardo di Wedge, quel punteggio non doveva andargli molto a genio. Tuttavia, sommato a quello della prima prova, lo portava in testa alla classifica con 80 punti.

«Il signor Burke ha sforato di venticinque minuti sul tempo che gli era stato concesso e ha ricevuto una ferita dagli uccelli di fuoco» riprese infine Captatio. «È altresì stato l'unico ad interpretare correttamente tutto l'indovinello e a ritornare con la sacca piena d'oro. Per questo, gli assegniamo 41 punti».

Edmund rivolse un sorriso di gioia selvaggia al suo avversario Wedge. Era vero, sommati agli altri punti, Edmund si ritrovava comunque in fondo alla classifica, ma almeno questa volta lo aveva battuto.



Ecco a voi la seconda prova! Mi sono sbizzarrita parecchio nel descriverla, prima per gli incantesimi di volo, poi per gli uccelli di fuoco e infine per la parte nella caverna. Non so se qualcuno di voi soffra di claustrofobia, ma vi assicuro che mi mette l'ansia il solo pensiero di infilarmi in qualche buco roccioso come fanno gli speleologi, e perciò descrivere le emozioni di Edmund mi è venuto piuttosto naturale.

Quanto alla sua idea di utilizzare i calzari trovati nel covo degli Extraiures (qui il link del capitolo di riferimento!), vorrei dire che, forse, per coloro che hanno letto “Vita da fuorilegge” era un'associazione piuttosto facile, ma per Edmund è stato un vero colpo di genio. QUI l'immagine del suo trionfante apparire sulle scogliere con i calzari ai piedi (la sferetta che ha al fianco, è Argo).

Infine, ricordate miei cari, non è tutto oro quello che luccica! ;-)

La settimana prossima riprenderemo un po' in mano i “cattivi” della storia! A presto,

Beatrix

   
 
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