La storia prende il via da, più o meno, metà episodio 188. Si
basa infatti sulla successione del Guardiano della Nebbia, ma prima di quella
di Tsuna; più precisamente è un “E se Tsuna, anziché essere giudicato per i
suoi comportamenti durante le prove di successione dei compagni fosse stato
sottoposto ad una prova precisa anche lui?”
Rating giallo per scene leggere di violenza.
Le prime due frasi in corsivo sulla destra, sono citazioni
dell'anime del personaggio di Daemon Spade.
Partecipante al contest indetto da Amy8923 e Fairy
Tail14 “All it’ll be as
our choice!”, sospeso o
comunque privo di risultati; combinazione (pg scelto+
pg assegnato+ luogo+ oggetto): Tsuna
– Colonnello – Bowling – Lenti a contatto.
Fanfiction betata da Yoko891
Giacché sono in pausa da questo fandom e ‘sta
piccolina era in sospeso a morire in una cartella, ecco qua <3
Sospirò leggermente, lo sguardo al soffitto.
Su consiglio di Reborn e di Uni erano andati a dormire non
appena tornati dalla prova di successione del Guardiano della Nebbia, che li
aveva stancati tutti dal momento che Daemon, oltre a Chrome e Mukuro, aveva –
in qualche modo – messo alla prova anche loro.
Tuttavia Tsuna, da quando si era infilato sotto le coperte,
non era stato in grado di fare molto altro che non fosse guardare un punto
imprecisato del bianco sopra di sé, mentre arrivava dalla sua destra il respiro
regolare di un Reborn presumibilmente addormentato.
Nella mente di Tsuna si ripetevano ancora le parole di
Primo, apparso per conferire con Daemon quando loro erano ancora presenti; con
un nervosismo non indifferente, Tsuna non era riuscito a non farsi sfuggire un:
«Io cosa devo fare?» riferito alla sua prova di successione, l'ultima perché
tutti potessero tornare nuovamente nel futuro e cercare di sconfiggere Byakuran in modo definitivo.
Giotto lo aveva osservato dapprima da sopra la spalla, poi
si era totalmente voltato verso di lui, rimanendo in silenzio per una manciata
di secondi: «Arriverà in breve anche il tempo della tua prova, Decimo.» aveva
pronunciato con un tono pacato che sembrava appartenergli completamente e che
gli conferiva quell'aria che portava istintivamente ad avere rispetto per lui.
Ci era voluto un battito di ciglia perché la figura di Primo
– o del suo spirito, o volontà che risiedeva nell'Anello che fosse –
scomparisse completamente alla loro vista, lasciandoli divisi fra l'entusiasmo
della successione del Guardiano della Nebbia e la tensione per la poca
chiarezza riguardo la prova che attendeva Tsuna.
Come quantificava, Giotto Vongola, l' “in breve” che aveva
pronunciato?
Di sicuro anche lui doveva sapere che non avevano molto
tempo; e la consapevolezza che il Primo fosse qualcuno che non sembrava
lasciare nulla al caso rendeva Tsuna ancor più nervoso, specie in assenza di un
momento preciso, designato.
E quell'adrenalina che ora gli impediva di prendere sonno
sarebbe certamente aumentata, se gli fosse stato possibile ascoltare sussurri
che venivano pronunciati a sua insaputa, poco lontani dalla sua stanza.
«Hai deciso quale sarà la prova per il Decimo, Primo?»
interruppe quel silenzio meditabondo che si era creato fra loro: i Guardiani
della Prima Generazione che rimanevano in attesa della decisione del loro Boss,
com'era stato sempre anche in passato.
Giotto, lo sguardo verso la finestra della camera del suo
possibile successore, sembrava assorto nei suoi pensieri; socchiuse gli occhi
alla domanda di G, pur senza voltarsi verso lui e gli altri compagni.
«Il Decimo ha fatto un'affermazione molto coraggiosa, nello
scontro con Daemon.» pronunciò in quella che a tutti parve una premessa, o
qualcosa di simile. Il biondo si voltò finalmente in loro direzione,
abbracciandoli con lo sguardo com'era tipico di lui.
«Il motivo per il quale è pronto a rinunciare così
facilmente all'eredità, è perché non ne comprende ancora né il peso, né
l'effettiva importanza. È giovane.» quasi parve scusarlo, come un padre con il
proprio figlio, il sorriso gentile sulle labbra.
«La somiglianza è veramente impressionante.» aggiunse
criptico, quasi distaccandosi totalmente dall'affermazione precedente e
tornando a guardare in direzione della finestra; ma G e i suoi Guardiani lo
sapevano.
Primo doveva aver visto qualcosa che nessun altro avrebbe
potuto cogliere, a parte il Decimo – e Giotto doveva esserne abbastanza
consapevole, tanto da rendere quel qualcosa una prova che avrebbe potuto avere
solo due risvolti.
Temprare il futuro Boss dei Vongola, o sfaldare quella
Famiglia forte e fragile al tempo stesso, che lentamente stava muovendo i primi
passi.
Aprì gli occhi lentamente, incontrando in un primo momento
il soffitto scuro; suppose che fosse ancora notte, o che non fosse comunque
l'alba, quindi prese in seria considerazione di voltarsi dall'altro lato e
cercare di addormentarsi nuovamente. Sarebbe stato anche fattibile, se non si
fosse reso conto quasi nell'immediato dell'assenza non solo delle coperte, ma
anche di un materasso.
Si alzò di scatto, frettolosamente, e sgranò gli occhi:
palesemente, quella non era la sua stanza.
Si trovava in uno spazio piuttosto ampio, e illuminato
quanto bastava a distinguere i contorni e gli oggetti che vi erano: bastava un
primo sguardo per notare che doveva essere una sala – di un edificio? - che una
volta faceva sicuramente parte di un parco divertimenti o qualcosa di simile.
Il pavimento era in parquet, le assi fossero assenti o
rovinate dal tempo che in diversi punti rendevano la superficie poco
praticabile: ad uno sguardo più attento, Tsuna poté notare che si trattava più
precisamente di minipiste, cosa che lo portò a guardarsi alle spalle per avere
conferma di un sospetto. Dietro di lui c'erano i macchinari tipici delle sale
da bowling che, collegati alla pista corrispondente, riportavano le palle nella
zona in cui stazionavano i vari giocatori. Anch'essi apparivano consunti, e i
muri erano anneriti dalla polvere e dalla sporcizia accumulatisi nel tempo.
Alzando lo sguardo verso l'alto, si poteva notare che alcune
delle lampade che sicuramente erano state utilizzate per illuminare le piste
prima che la struttura cadesse in disuso, erano ora rotte. In alcuni casi i
frammenti di vetro erano sul pavimento.
Tsuna si alzò in piedi, continuando a guardarsi intorno
senza riuscire a focalizzare né di che posto si trattasse – a parte l'ovvietà
dell'essere in una sala da bowling – né se fosse conosciuto.
O perlomeno, la prima impressione era stata quella.
«Boss...» sentì pronunciare alle proprie spalle, voltandosi
istintivamente: riconobbe immediatamente la figura a pochi passi da sé come
quella di Chrome. Minuta, con la divisa di sempre che ormai Tsuna associava
mentalmente a Kokuyo Land,
il tridente di Rokudo Mukuro tra le mani.
L'espressione, notò però Tsuna, era strana: impiegò poco per rendersi conto che
era quella triste e spaventata che aveva avuto fino al giorno precedente a
causa della possessione di Daemon Spade.
Allarmato, le fu velocemente accanto: «Chrome, che succede?»
chiese, nel tono la preoccupazione che affiorava sempre quando si trattava di
uno dei suoi Guardiani.
La ragazza si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo
per evitare quello di Tsuna; il Guardiano del Cielo fu colto da un vero e
proprio moto di panico quando vide che quell'espressione spaventata stava
mutando – di nuovo – in un goffo tentativo di trattenere le lacrime, destinato
a fallire presto e miseramente.
Le posò una mano sulla spalla, quasi temendo che il gesto in
sé potesse farle male: «Chrome, cos'è successo?» ripeté, cambiando di poco la
forma.
Pensò di aver davvero fatto la domanda sbagliata, quando la
vide abbassare lo sguardo, quasi si sentisse colpevole per qualcosa: «Mi
dispiace, Boss...» pronunciò in un mormorio, la voce che tremava, e così anche
il corpo; Tsuna se ne accorse per la propria mano che ancora sostava sulla sua
spalla in un tentativo di rassicurarla. O almeno di calmarla abbastanza da
cercare di capire qualcosa della situazione.
Innanzitutto, era chiaro a quel punto che quella sala da
bowling inutilizzata si trovasse all'interno di Kokuyo
Land, che una volta era stato un parco di attrazioni
sul genere. Gli sfuggiva però come avesse fatto ad arrivare lì dalla propria
stanza, per esempio.
Inoltre, non riusciva a capire il motivo per il quale Chrome
si stesse scusando: qualcosa gli diceva che non era affatto per la possessione
di Daemon, ormai passata e per la quale si era riscattata, salvando anche Kyoko
e le altre che erano state coinvolte.
La risposta a quel secondo interrogativo – e forse anche al
primo – fu però intuibile quando una nebbia leggera iniziò ad avvolgere il
corpo di Chrome. E divenne poi del tutto evidente quando, diradandosi, quella
stessa foschia gli mostrò non più la giovane che sembrava preda del senso di
colpa, ma Rokudo Mukuro.
Le labbra incurvate in quel sorriso sardonico che lo aveva
sempre caratterizzato, il Guardiano lo osservava a pochi passi di distanza,
quella poca che Tsuna aveva ripristinato al comparire improvviso della nebbia.
Il castano avvertì un brivido lungo la schiena, sensazione
che quasi sempre accompagnava la presenza di Mukuro nella stessa stanza o
quando era comunque abbastanza vicino da essere percepito; stava in silenzio,
come se si aspettasse che fosse Tsuna a parlare per primo.
«Mukuro...?» chiese stupidamente conferma, come se temesse
che non si trattasse davvero di lui, nonostante ci fossero ben pochi dubbi in
proposito. L'altro incurvò appena di più le labbra nello stesso sorriso di poco
prima, lo sguardo che non si spostava dal viso del castano.
«Kufufu... Sawada Tsunayoshi, mi
offende che tu non sia sicuro di chi hai davanti quando mi vedi.» lo prese
palesemente in giro, con quel tono beffardo che gli aveva sempre rivolto fin
dal loro primo scontro e incontro.
Più o meno, in realtà: a voler essere precisi, la prima
volta in cui aveva incrociato Mukuro fra gli alberi che costeggiavano Kokuyo, l'altro si era dimostrato pacato e cordiale, anche
se per trarlo in inganno.
Ma in ogni caso, Tsuna supponeva che in quel momento non
fosse importante.
Si guardò intorno nervosamente, senza poter controllare
quella sensazione che aveva da quando Chrome si era mostrata così strana:
«Ascolta, Mukuro» esordì, spingendo per un attimo quel disagio in un angolo
della propria testa «cosa sta succedendo? Chrome è stata l'unica persona che ho
incrociato e sembrava... sembrava che stesse per piangere.» spiegò.
Sapeva che, a discapito di quanto sembrasse, Mukuro aveva a
cuore Chrome; lo aveva dimostrato diverse volte, forse anche indirettamente e
al tempo stesso in un modo quasi palpabile. Tsuna, osservando quel tipo di
riguardo impacciato come quello di un bambino, aveva intuito che per motivi
difficili da comprendere fino in fondo, se c'era una persona che Mukuro non
avrebbe mai tradito quella era Chrome.
Tutti gli altri, sì.,
si ritrovò a formulare mentalmente ancor prima di accorgersene,
sorprendendosene lui stesso.
Scosse la testa leggermente, ma ben visibile a Mukuro che –
ancora senza rispondere – rimaneva fermo di fronte a lui.
«Chrome è una brava ragazza.» fu la frase con la quale
catturò nuovamente la sua attenzione. Sembrava detta così, in maniera
assolutamente casuale ma al tempo stesso pronunciata come se, oltre alle doti
illusorie, Mukuro avesse avuto anche la capacità di leggere quei pensieri messi
a tacere un attimo prima.
«Forse la sua sfortuna è stata il legame con me?» aggiunse,
come se stesse ipotizzando varie soluzioni ad un problema per vagliare poi la
migliore fra esse.
Tsuna aggrottò le sopracciglia, ancora più confuso: quel
tipo di affermazione non sembrava tipica di Mukuro.
«Vedi, Sawada Tsunayoshi...» continuò il Guardiano, muovendo
qualche passo alla propria sinistra prima e alla propria destra poi, facendo
avanti e indietro: «lei ha sviluppato nei tuoi confronti qualcosa che mescola
all'affetto la stessa ammirazione che si può avere per un fratello maggiore o
qualcosa di molto simile. Avverte il bisogno di proteggerti pur avendo lei
stessa la necessità di essere protetta.» spiegò, prendendola alla larga, in
maniera quasi snervante.
«Ed ammetto che è qualcosa che non avevo previsto.» aggiunse
in quella sorta di monologo personale: «Perché non è mio interesse proteggerti,
è ovvio fin dal nostro primo incontro. Ed è altrettanto vero che la coscienza
di Chrome, soprattutto all'inizio, è stata piuttosto succube della mia.»
osservò, concedendosi una pausa pensierosa.
La sensazione che Tsuna aveva avuto da quando il suo sguardo
aveva incrociato quello dell'illusionista non aveva fatto altro che acuirsi,
confondendosi al tempo stesso con il disagio, con l'impressione di qualcosa che
gli sfuggisse come aria fra le mani, e con qualcosa di familiare, di già visto.
Meno evidente di un dejà-vu, più vago forse.
«Non ti negherò che la cosa mi dà qualche problema.» riprese
Mukuro, catalizzando di nuovo l'attenzione su di sé: «Perciò ho pensato di
dover trovare una soluzione.» concluse, il sorriso derisorio rivolto a Tsuna,
ormai inconsapevolmente preda del panico dato da quell'intreccio di sensazioni
che lo appesantiva sempre di più.
Panico che sfociò nell'agitazione quando la figura di Mukuro
sbiadì fino a scomparire.
Almeno alla vista, almeno ai suoi occhi.
«E se ti eliminassi, Sawada Tsunayoshi?»
Un sospiro leggero gli sfuggì tra le labbra, lo sguardo
verso l'edificio che aveva già ospitato la prova di successione della Nebbia.
In una calma apparentemente assoluta, attendeva qualcosa o
qualcuno, che non era solo il gruppo di persone che lo stava raggiungendo di
corsa.
Con Colonnello a guidare il gruppo insieme a Fong, i
Guardiani del Decimo ad esclusione di Chrome furono in breve tempo vicino a
Reborn, che si limitò ad accoglierli con uno sguardo che non lasciava trapelare
nulla di preciso.
Il primo a parlare, mosso da preoccupazione ed impulsività,
fu Gokudera: «Reborn-san!» esclamò, un passo in
avanti quasi aggressivo e certamente impaziente «perché chiamarci così?! Cosa
significa che il Juudaime sta combattendo?! È la prova di successione? Quando...?»
«Calmati, Gokudera.» soffiò placido Fong, a cui si aggiunse
una mano di Yamamoto a posarsi sulla spalla del Guardiano della Tempesta.
Reborn parve essere rimasto in attesa proprio di quello e si
rivolse a Colonnello.
«Grazie di averli portati qui, Colonnello.» pronunciò,
tornando a rivolgere lo sguardo all'edificio senza aggiungere nulla;
atteggiamento, quello, che non giovò al nervosismo di Gokudera.
Stava infatti per perdere totalmente il controllo – lo
mostrava il suo chiudere le mani in due pugni e il riaprirle l'attimo dopo –
quando fra lui e Reborn si frappose una fiamma color arancio, inconfondibile.
Svanendo, essa rivelò la figura di Giotto, l'espressione
pacata ma seria.
Reborn alzò lo sguardo su di lui in silenzio, imitato presto
dagli altri presenti. Giotto non indugiò oltre, avendo forse intuito con
facilità l'ansia che li animava.
«Devo chiederti di fermarti e avere pazienza, Gokudera
Hayato.» pronunciò rivolto al giovane Guardiano nello specifico: «E così anche
a tutti voi.» aggiunse rivolgendosi poi anche agli altri.
Gokudera tacque, mordendosi nervosamente il labbro
inferiore; Colonnello, ancora a mezz'aria grazie a Falco, si portò più avanti
parlando direttamente a Giotto.
«Perché ci hai chiesto di portare Sawada proprio qui, ehi?»
domandò diretto, esprimendo lo stesso interrogativo che forse interessava anche
Fong e Reborn. Era altrettanto probabile che ai Guardiani suonasse totalmente
assurda, quella rivelazione indiretta.
Giotto spostò lo sguardo verso l'edificio che aveva sempre
ospitato dapprima Mukuro, Chikusa e Ken, e
recentemente anche Chrome: «Era necessario che fosse qui. Non è questo il luogo
più familiare al Guardiano della Nebbia?» si interrogò, ma era chiaro che si
trattava di una domanda retorica.
«E cosa c'entra il Guardiano della Nebbia, ehi? Non è
di Sawada, la prova di successione, ehi?» domandò Colonnello. Giotto
riportò lo sguardo su di loro: un sorriso indecifrabile gli incurvava le
labbra.
«Il Decimo ha dimostrato un'innegabile forza d'animo, ma al
tempo stesso un'indole pericolosamente gentile.» prese parola Primo: «Desidera
il potere non in quanto fine a se stesso, ma per difendere altri, e questo gli
fa indubbiamente onore. Tuttavia, è un potere grande, più di quanto il Decimo
riesca a cogliere.» ammonì. Nel silenzio rispettoso che lo avvolgeva, Giotto
sembrava pronunciare una sentenza futura, piuttosto che un giudizio sul suo
possibile erede.
«È un potere sotto gli occhi di tutti, e quasi intangibile
al tempo stesso. Se non sarà in grado di percepirlo, ne verrà inghiottito.»
«Ma non hai detto tu che hai visto la forza d'animo del
Juudaime?!» proruppe Gokudera.
«Così è.» replicò senza alcun mutamento nel tono di voce,
apparendo come un adulto che si dimostrava indulgente con un bambino: «Ma la
forza d'animo non basta. Tu meglio di molti altri dovresti saperlo, che la
Mafia e i legami al suo interno sono come patti di sangue. Tuttavia, la Mafia
conosce anche il tradimento. Il Decimo accoglie i nemici come gli alleati, sono
state queste le tue parole. Ma è un pregio? E fino a che punto? Fin dove arriva
l'indulgenza di cui fa uso? Ha un limite?» domandò, insinuando il dubbio anche
se non malignamente.
Tacque per qualche istante, in una pausa tesa in cui
l'espressione si fece più mesta, colma di consapevolezza: «E se il nemico della
Famiglia arrivasse dall'interno, cosa sceglierebbe: il perdono che potrebbe
rivelarsi un pericolo continuo? O l'accusa, alienando il traditore ed
indebolendo quel legame di fiducia che dovrebbe essere inscindibile?» espose
duramente, nonostante il tono restasse pacato.
Gokudera vacillò: «Avrebbe... avrà comunque i suoi Guardiani
sempre al suo fianco!» esclamò.
Giotto lo guardò per qualche istante, socchiudendo poi gli
occhi: «Non c'è certezza di quanto affermi, e lo scontro con Daemon dovrebbe aver
già insinuato il dubbio in tutti voi.» gli riportò alla mente.
Reborn sembrava comprendere chiaramente il monito dietro
quelle parole.
«“Givro eterna amicizia”.»
recitò Giotto: «Una promessa. Ma per qualcuno erano diventate forse delle
catene troppo pesanti.» pronunciò Primo quasi soprappensiero.
Lui che conosceva la difficoltà di calpestare i propri
sentimenti per scegliere ciò che era giusto, non avrebbe potuto lasciare in
eredità la propria volontà a qualcuno senza mostrargli lo scenario peggiore.
Rilasciando all'ultimo momento una quantità maggiore di
fiamma in modo da aumentare la velocità, Tsuna scansò l'attacco di Mukuro.
Non avrebbe mai potuto dire che quel che stava accadendo
“non fosse da Mukuro”, né che più di qualcuno non lo avesse messo in guardia in
proposito.
Dal loro primo incontro, il Guardiano della Nebbia – forse
avrebbe dovuto smettere di pensare a lui in quel modo – aveva reso chiaro il
suo obiettivo: distruggere il mondo della Mafia, che tanto disprezzava e
odiava. Tsuna, fin da allora, era sempre stato etichettato come uno strumento.
Lui era niente più di un mezzo atto a raggiungere uno scopo.
Ma un mezzo che finisce per ostacolare, viene eliminato; a
questo ci arrivava persino lui.
Eppure, in realtà, non se ne era mai convinto.
Tsuna, da qualche parte dentro di sé, aveva cercato una
scappatoia, forse; perché tutto quello non era per lui. Niente di tutto ciò che
lo sfiorava dall'arrivo di Reborn gli apparteneva.
Combattere, non era per lui.
La Mafia, non era per lui.
Il pericolo, non era per lui.
Avere fiducia in se stesso, non era per lui.
«Smetti di scappare. Stai diventando ancora più irritante,
Sawada Tsunayoshi.»
…Dubitare
degli altri, non era per lui.
Come ti ho detto... sei troppo debole.
«Urgh...» mugolò di dolore,
schiantandosi al suolo dopo un colpo diretto di Mukuro.
Non era il primo che gli infliggeva, e non sarebbe stato
l'ultimo.
Se ne era accorto, Tsuna: che nessuno di quei colpi era
mortale. Ed era certo che non fosse indulgenza; c'era certamente qualcosa che
Mukuro voleva mostrargli o dimostrargli. Qualcosa che poteva essere
tante cose in realtà – la sua inadeguatezza, cosa di lui lo avesse stancato al
punto tale da tentare di sbarazzarsene anche quando aveva rappresentato un
mezzo per il raggiungimento di uno scopo.
Tsuna, in uno dei suoi momenti di inguaribile ottimismo,
aveva quasi pensato di aver trovato un qualcosa che potesse accomunarli. Un
punto in comune che avrebbe potuto permettere non un'amicizia, ma almeno una
reciproca alleanza priva di tradimenti.
Tsuna aveva infantilmente creduto che quel disprezzo di
entrambi per la Mafia, nonostante causato da circostanze ben diverse, avrebbe
potuto rappresentare quella sorta di compromesso o oggetto di solidarietà per
il quale... convivere pacificamente, se non altro.
Evidentemente, però, agli occhi di Mukuro lui era già parte
di quel qualcosa che voleva annientare.
«È così deludente.» lo sentì commentare, mentre avvertiva i
passi causare l'unico rumore che era possibile cogliere oltre la sua voce; si
facevano più vicini, con ritmo lento, come se avessero tutto il tempo del mondo
a disposizione.
«Ti ho osservato volente o nolente in tutte le tue
battaglie, Sawada Tsunayoshi. E ho visto sempre quell'incrollabile, stupida
voglia di provare a combattere quando anche solo stare in piedi era un'impresa.
Quando la tua debolezza era schiacciante. Quando la vittoria poteva essere solo
un'illusione creata per assecondare quell'animo buonista che ti caratterizza in
maniera tanto fastidiosa.» fece notare, raggiungendolo. Tsuna lo vide piegare
le ginocchia, e la sua figura rientrò nel suo campo visivo.
Lo confuse, notare l'altro che posava il tridente al proprio
fianco, a terra; sembrava improbabile che solo ora volesse parlare con calma,
quando prima non era sembrato affatto avvezzo all'idea.
«Invece adesso, persino colpirti fa sembrare l'atto in sé
privo di significato.» aggiunse, una nota di noia nel tono, lo sguardo fisso
sul viso del castano.
«Non rispondi ai colpi, e questa cosa ci porta a tre
possibili soluzioni. La prima, che escludo categoricamente, hai voglia di farti
malmenare. Ma non è proprio da te, perciò ti farò l'onore di non prenderla
nemmeno in considerazione.» iniziò, senza mai spostare lo sguardo da quello
dell'altro.
Tsuna si chiese dove quel discorso dovesse portare.
Perché Mukuro non sprecava inutilmente le parole.
«Seconda possibilità: non vuoi colpire qualcuno che
consideri stupidamente un tuo compagno. E nonostante io ti abbia più volte
ripetuto che hai una visione distorta del sottoscritto, e sappia che in buona
parte è esattamente questo il motivo per cui ancora non alzi un dito su di me, ho dovuto scartare
quest'ipotesi.» continuò placidamente, una mano coperta dal guanto che sfiorò
la fronte di Tsuna nell'atto di scostare i capelli.
Un gesto dolce e familiare, che per la situazione e colui
che glielo aveva rivolto, sembrava più una falsa premura rivolta per alleviare
qualcosa di terribile che sarebbe venuto poi.
Mukuro scostò la mano: «La verità, Tsunayoshi, è che sei
così ingenuo che attirarti in una trappola è
semplice al punto da risultare quasi tediante. Inscenare qualcosa di
grande, e vedere che tu quasi ti ci precipiti dentro, vanificando gli sforzi
fatti per ideare una trappola quanto più perfetta possibile.» temporeggiò
ancora, senza mai arrivare al punto.
Come i colpi ricevuti, quelle parole davano a Tsuna la
stessa sensazione di qualcosa di sfuggente; non volevano affatto arrivare
velocemente alla conclusione per comunicare il punto focale della questione.
Erano lente, avvolgenti, soffocanti.
Erano le parole di chi ti lascia intravedere un filo di
verità in una matassa di menzogne, sapendo che ad ogni nodo che faticosamente
si districa, uno di ansia si stringe, facendoti mancare l'aria.
Era una tortura crudele e asfissiante.
Non c'era nulla di benevolo, nella verità che alla fine
sarebbe arrivata; sarebbe stato solo il colpo di grazia.
«Ai miei occhi, sei come un topo: non importa quanto io mi
ingegni per costruire il marchingegno con cui catturarti. Alla fine scoprirò
che sarebbero bastati semplicemente un pezzo di formaggio e quanta colla
bastava a non farti fuggire.» concluse quella metafora che non faceva che
confondere Tsuna ancora di più, mentre il respiro affannato si calmava
lentamente, tornando alla sua regolarità.
«Però ho notato che non importa quanto tu sia disperato.
Quando non si tratta di te, ma c'è qualcuno che devi difendere, combatti
persino con avversari davanti ai quali chiunque sano di mente fuggirebbe,
Sawada Tsunayoshi.» aggiunse, un sorriso strano ad incurvargli le labbra.
Un sorriso che fece venire i brividi a Tsuna, specialmente
quando un suono che non apparteneva né a lui, né a Mukuro riempì la stanza.
«J-Juudai...me.» sentì mormorare
debolmente. Sobbalzò, perché non era difficile immaginare chi fosse: una sola
persona utilizzava quell'appellativo nei suoi confronti.
Voltò il viso lateralmente, finché nel suo campo visivo non
rientrò – nemmeno troppo distante da loro – Gokudera. Giaceva a terra, l'aria
esausta e ad un'ulteriore occhiata Tsuna notò che era ferito, anche piuttosto
gravemente.
Dopo qualche breve istante di incredulità, nella sua testa
fu chiaro il perché delle scuse di Chrome, della voce spezzata quando gliele
aveva rivolte.
Si scusava di qualcosa che era sfuggita al suo controllo, di
qualcosa che era più complesso di una semplice “possessione del suo corpo” che
l'aveva resa apparentemente carnefice di un atto di cui non si sarebbe mai
macchiata, altrimenti.
Tsuna si morse il labbro inferiore, incredulo e spossato;
era completamente folle.
«...Dove sono gli altri?» mormorò, il tono basso ma ben
udibile per Mukuro, ancora ironicamente al suo fianco come il più dedito dei
Guardiani.
«In punti diversi di questo edificio divenuto campo di una
battaglia impari.» replicò placido l’altro, l'occhio sinistro che brillò appena
nella penombra, facendo temere a Tsuna l'attivazione di un potere illusorio di
lì a qualche istante.
«Per inciso, credo dovresti sapere una cosa.» riprese, come
per rimediare ad una dimenticanza. Recuperò il tridente, lasciato inerme al
proprio fianco fino a quel momento, colpendo senza preavviso Tsuna in pieno
stomaco con la parte priva delle tre lame.
Un gemito di dolore sfuggì tra le labbra del castano, gli
occhi chiusi in un gesto istintivo.
«Se vuoi dirgli qualcosa, sarà il caso che ti alzi e lo raggiungi,
Sawada Tsunayoshi. Solo perché è l'unico Guardiano rimasto vivo...»
calcò quell'unica parola con tono sprezzante e crudele: «...non vuol dire che
abbia ancora così tanto tempo da poter aspettare te, Decimo Boss dei Vongola.»
concluse, infimo, facendosi da parte quasi con atteggiamento di derisione.
Tsuna lo ignorò, focalizzando l'attenzione solo su Gokudera;
si alzò lentamente, barcollando in sua direzione, una mano premuta contro lo
stomaco nel punto colpito da Mukuro. Affiancò il Guardiano della Tempesta nello
stesso istante in cui si rese conto che non era la penombra o la maggiore
oscurità a rendere più scuro il pavimento in quel punto.
Una macchia di sangue fin troppo ampia per sembrargli
qualcosa di diverso da un film cruento si allargava lentamente sotto il corpo
del compagno.
Incredulo, si inginocchiò senza curarsene, facendo per
allungare una mano verso l'altro.
Era quasi certo di aver sentito la consistenza del suo viso
praticamente sotto le dita, quando la sua figura scomparve sotto i suoi occhi.
Nell'improvviso moto di panico che lo colse, portò quasi frettolosamente lo
sguardo su Mukuro, che sembrava ridacchiare sommessamente.
«Anche Gokudera Hayato avrebbe voluto risparmiarti la
sofferenza di vederlo morire senza poter fare nulla.» arrivò alle sue orecchie,
il tono... di scherno.
La fiamma che normalmente avvolgeva i guanti con cui
combatteva si spense bruscamente, mentre entrambi tornavano bianchi e morbidi,
con il numero in rosso ricamato su di essi.
Tutto gli sfuggiva troppo velocemente tra le mani, come
sabbia.
Non era possibile che Mukuro avesse improvvisamente deciso
di ribellarsi alla condizione di Guardiano, approfittando del potere sul corpo
di Chrome per macchiarsi dell'uccisione del resto dei Guardiani al solo scopo
di smuoverlo e rendere la sua presunta fine più penosa e dolorosa.
Razionalmente, si diceva che bastava pensare a chi figurava
fra i Guardiani.
Yamamoto era forte, forse il più forte di tutti loro dopo
Hibari-san; e quest'ultimo certamente non si sarebbe fatto uccidere così
facilmente, men che meno da Mukuro con il quale aveva
un conto aperto da sempre.
E Lambo sì, era un bambino, ma Ryohei non avrebbe mai
permesso una cosa simile; infine, anche Chrome... lui, Tsuna, non la reputava
così debole.
Eppure il sangue era ancora lì.
Gokudera, fino ad un attimo prima... era ancora lì.
E sembrava chiedere perdono.
I deboli non hanno diritto di vivere!
«Perché... avresti dovuto fare tutto questo?» mormorò così
piano, che temette di non essere stato udito.
Ma la risposta che Mukuro diede, prima di qualsiasi cosa
smentì quel suo timore.
«Perché non avrei dovuto?» gli fece eco, il tono placido
come se non stessero parlando di persone che erano state presumibilmente
uccise.
Tsuna tremò: non era di quelle persone che perdevano la calma.
Era incline – nel bene o nel male – a perdonare sempre, forse anche quando non
avrebbe dovuto.
Non era mai arrivato ad odiare nessuno, né aveva mai avuto
la necessità di farlo; forse Byakuran si era
lentamente trasformato nell'unica eccezione.
Ma ora per lui mantenere la calma era qualcosa di
impossibile.
Non davanti anche solo alla remota possibilità della morte
di qualcuno di così vicino, e così caro.
Per mano di qualcuno di... altrettanto vicino.
Forse, anche altrettanto “caro”, in un modo più complesso e
difficile sia da spiegare che da comprendere.
Difficile persino per lui stesso, che aveva sempre,
ostinatamente pensato all'illusionista come a qualcuno di Famiglia. In un modo
o in un altro, anche – a volte – solo per mezzo di Chrome, che glielo ricordava
tanto nell'aspetto, quanto poco nel modo di fare.
«Hai ucciso delle persone!» gridò, la voce che tremava
quanto le mani, ancora immobili, ancora strette in due pugni.
«Incolpa te stesso.» lo interruppe bruscamente Mukuro, il
tono ora gelido, crudele non più in quel modo sibillino che gli apparteneva, ma
come di chi vuole ferirti. E lo desidera sinceramente.
«Ti ho ripetuto più volte di non considerarmi un compagno,
Sawada Tsunayoshi.» riprese, avanzando con meno lentezza e più decisione verso
di lui, mentre Tsuna quantomeno si alzava in piedi.
«Ti ho detto chiaramente qual'era il mio scopo. Te l'ho
ripetuto. Ho affermato di non essere un tuo Guardiano, e di non voler essere
considerato tale. Ma tu no, tu hai quel vizio di voler assolutamente credere in
tutto e tutti.» sbottò, il tono improvvisamente privo della calma distaccata di
prima, ora seccato, irritato.
Lo colpì nuovamente con la parte del tridente priva di lame.
«Quel disgustoso, modo ipocrita che hai di avvicinarti a chi
della tua vicinanza non se ne fa nulla. Quel modo snervante di convincere le
persone che tutto può essere perdonato. Quella visione da bamboccio ingenuo che
hai della vita, che hai vissuto richiuso in quattro mura che trasudavano
tranquillità. Quel mondo non esiste, Sawada Tsunayoshi. Quel mondo è fantasia.»
sibilò, abbandonando la propria arma e colpendolo direttamente, forte, senza
riguardi.
Non era una scazzottata tra amici.
Non era nulla di simile ad una lite tra persone il cui punto
di vista sul mondo è estremamente diverso.
Somigliava al preludio di un gioco al massacro privo di
regole che non fossero il semplice sopravvivere all'altro.
Ma quello non era un gioco adatto alle persone come Tsuna.
«Tu sei uno stupido, debole, inadatto a cambiare la Mafia:
la sola tua pretesa di volerlo fare con la gentilezza, mostra quanto tu sia inadeguato.»
sbottò infine, assestandogli un colpo particolarmente forte che sbilanciò il
castano, mozzandogli il respiro e portandolo a tossire quando fu a terra,
piegato in avanti su se stesso.
Mukuro si chinò, con il probabile intento di aggiungere
qualcosa o costringerlo a guardarlo negli occhi, ma fu bloccato: un pugno di
Tsuna si era abbattuto più forte possibile contro il suo viso, obbligandolo a
voltarsi lateralmente sotto la forza del colpo stesso.
Quasi piacevolmente stupito, l'illusionista portò lo sguardo
sul castano, che ancora non aveva alzato il proprio su di lui; parlò senza
guardarlo.
«Io non ho mai chiesto... di diventare il Boss di nulla.»
mormorò, il fiato corto ancora.
«Io non ho mai voluto dei Guardiani. Non ho voluto... gli
Anelli. Non ho voluto conoscere il futuro prima del tempo. Non ho voluto...
mettere in pericolo le persone care. E non ho voluto nemmeno l'eredità dei
Vongola.» alzò appena il tono, frustrato; tremava di nuovo.
«Però, anche se non volevo, ho avuto tutto. L'unica cosa per
cui posso pensare di essere grato, sono le persone che sono arrivate con tutto
questo. Se non avessi avuto anche le cose spiacevoli... non li avrei nemmeno
conosciuti. Perciò adesso... smettila.» mormorò, mentre Mukuro – le ginocchia a
terra, sbilanciato a sua volta dal colpo anche se meno rispetto all'altro –
manteneva lo sguardo su di lui.
Era pietoso, quel giovane Boss inadatto al suo ruolo, che
peraltro rinnegava lamentandosene come un bambino in fasce.
«Smettere cosa?» gli fece eco, quasi canzonatorio.
«Smettila con questa illusione!» sbottò, cogliendolo di
sorpresa, e stavolta non piacevolmente: «Chrome... no. Sia Chrome che Mukuro,
sono persone che non farebbero mai una cosa del genere. Mukuro odia la Mafia,
ma ha sempre compiuto il dovere di Guardiano, anche se... anche se non vuole
essere considerato tale!» continuò, quel cipiglio sincero e deciso, che era
sempre stato la forza che aveva guidato gli altri Guardiani, anche se Tsuna non
ne era consapevole.
Mukuro non poté trattenere una risata, la mano che andava
quasi incredula a coprire parzialmente il proprio sguardo, celandolo al
Guardiano del Cielo.
«Arriva a tanto la tua disperazione, Sawada Tsunayoshi? Al
punto da convincerti che si tratta di una mia illusione?» lo derise, facendo
tentennare impercettibilmente Tsuna nell'incertezza della propria valutazione.
«La morte dei miei amici... non c'è dubbio che mi porterebbe
alla disperazione.» commentò flebilmente: «Però... c'è una cosa di Mukuro che
non hai imitato bene, Daemon.» pronunciò quel nome di cui era quasi certo.
Non in maniera evidente, e certamente c'era più
dell'intuizione dei Vongola che non del sesto senso di Tsuna in
quell'affermazione, ma non si coglieva molto dubbio nelle sue parole.
Mukuro, o Daemon che fosse, stava probabilmente per
incalzarlo; ma, contrariamente alle aspettative di Tsuna, lentamente sbiadì in
quel modo ormai familiare in cui lo facevano le illusioni del Guardiano della
Nebbia.
Mentre – nonostante Kokuyo Land rimanesse nei suoi interni così com'era – anche la
macchia di sangue spariva, e proprio Mukuro riappariva in una diversa posizione
di fronte ai suoi occhi.
La mano sinistra, teneva vicino al volto delle lenti strane
che Tsuna non aveva mai visto e che non riuscì a capire a cosa potessero
servire: dalla forma insolita, modellate in un modo particolare con delle
estremità che ricordavano delle ali, cosa che fece dubitare Tsuna della propria
capacità visiva in quel momento. Erano avvolte dalla fiamma della Nebbia.
L'illusionista le abbassò appena, allontanandole dal volto,
l'espressione indecifrabile.
«Sono piuttosto seccato dal doverti salvare. E da Daemon
Spade che continua a fare i suoi comodi in questo luogo a causa tua, Sawada
Tsunayoshi.» pronunciò, nel tono una sfumatura irritata da quel compito a cui
non avrebbe voluto adempiere.
Paradossalmente, Tsuna sembrò tranquillizzarsi e lasciar
scivolare via la tensione e la paura accumulata in quel qualcosa che non capiva
bene cosa fosse stato – forse la sua prova, forse l'ennesimo tentativo di
Daemon di imporre su di lui il tipo di Boss che avrebbe voluto per la Famiglia.
«Ostentare addirittura la capacità di riconoscermi rispetto
ad un'illusione potente come quella... Inizi ad essere un po' sopra le righe,
Sawada Tsunayoshi.» ironizzò, fissandolo ancora in piedi rispetto a lui, mentre
Tsuna si lasciava andare a terra definitivamente, spossato più mentalmente che
fisicamente.
Mukuro alzò un sopracciglio perplesso: «Alzati. Non ho
intenzione di trascinarti anche fuori da qui, oltre che dall'illusione.» fece
presente, le lenti che sparirono nella box che il Guardiano teneva nella mano
destra, confermando a Tsuna che si trattasse probabilmente dell'arma ereditata
proprio da Daemon.
«...Non credo di riuscire ad alzarmi, per ora.» mormorò il
castano.
Mukuro incurvò le labbra in un sorrisetto indecifrabile:
«Oya, oya...» pronunciò, sedendosi poco distante da Tsuna. Era costantemente
così: si avvicinava, poi si ritraeva. Ti avvolgeva l'attimo prima come la
Nebbia che lo identificava, e l'attimo dopo già la sua presenza si diradava
lasciando un senso di smarrimento.
«Non avrai intenzione di dormire e farmi fare da badante,
voglio sperare.» lo apostrofò l'altro; ma Tsuna per tutta risposta si era
girato da un lato.
«Mh. Forse solo per un po'.»
«Come sta Tsuna?» domandò Yamamoto, rimasto in attesa nella
stanza con gli altri.
Reborn, quando Giotto a fine prova aveva sorriso quasi
sollevato tornando da loro, aveva insistito per parlare da solo con Tsuna,
insieme a Colonnello e Fong.
Era stato categorico nel suo ordine che aveva seguito
l'enigmatica frase di Giotto: «Non c'è modo in cui si possa ereditare la
volontà dei Vongola senza restarne in qualche modo feriti.»
Parole criptiche che avevano messo in agitazione i Guardiani,
che senza saperlo si erano ritrovati a chiedersi contemporaneamente la stessa
cosa: a quali ferite potesse riferirsi Giotto, se quelle fisiche o quelle a cui
Tsuna era più soggetto.
Quelle che rimanevano invisibili, e guarivano molto più
lentamente di tutte le altre.
Erano state quelle parole da parte di Primo ad aver portato
Reborn a vietargli di prendere il loro Boss quasi d'assalto con mille domande;
quando erano poi ricomparsi nella stanza dove tutti erano rimasti
impazientemente in attesa, Yamamoto aveva parlato per primo.
Reborn tuttavia non aveva risposto, chiudendosi in quel
silenzio tipico di lui che aveva il potere di far sempre pensare al peggio. Era
stato quindi Colonnello a riportare il tutto per suo conto.
Avevano comunicato a Tsuna il messaggio che Primo gli aveva
affidato e che non aveva potuto lui stesso riportare a causa della perdita di
sensi del Decimo; Colonnello e Fong avevano placato gli animi, spiegando che lo
stesso Giotto aveva reputato normale quella stanchezza che aveva colto il
giovane Boss dei Vongola: la sua mente era stata messa a dura prova
dall'illusione di cui si era servito per metterlo alla prova – che Giotto si
fosse rivolto a Daemon come era sembrato dalle parole di Tsuna non lo avevano
specificato, dal momento che nessuno dei Guardiani lo aveva domandato.
Colonnello si era preso la briga di spiegare anche il perché
dello spostamento a Kokuyo mentre Sawada era
incosciente, esattamente come lo aveva riportato anche al castano quando egli
aveva ripreso i sensi nella sua stanza: era stato proprio Colonnello, su
richiesta di Reborn, ad occuparsene con la collaborazione dell'Arcobaleno della
Tempesta.
Infine, aveva assicurato a Sawada che la prova era superata;
il giovane gli aveva flebilmente confermato di essere più o meno cosciente
quando la voce di Primo lo aveva raggiunto, assicurandogli che era andato tutto
bene.
Tsuna non aveva chiesto spiegazioni, e aveva sostenuto di
essere semplicemente stanco e di voler solo riposare, raccomandandosi ai tre
Arcobaleno di tranquillizzare i compagni che sapeva in attesa nel salotto della
propria casa, al piano inferiore.
Approfittando di un momento in cui Fong prendeva la parola,
affiancando Reborn, Colonnello si chiuse in un silenzio meditabondo; qualcosa
del modo in cui Sawada aveva riportato a grandi linee quanto accaduto non lo
aveva convinto del tutto. Non dubitava dei particolari che stancamente aveva
comunicato, ma di quell'unica risposta che l'altro aveva eluso.
Quel rifiutarsi di ripetere a voce alta le parole che lui e
Giotto si erano scambiati, come un segreto troppo intimo per essere svelato, e
troppo spaventoso per essere ripetuto a voce alta.
Sospirò lentamente, tornando a prestare attenzione alle
parole degli altri due Arcobaleno, mentre la tensione e la preoccupazione che
avevano aleggiato nella stanza andavano svanendo gradualmente.
Nel silenzio della propria camera, rimase ad occhi chiusi.
Nonostante la spossatezza e i tentativi di abbandonarsi al
calore delle coperte, non riusciva in alcun modo a prendere sonno.
Aprì gli occhi, con un sospiro appena più rumoroso degli
altri, portando lo sguardo verso il soffitto; rimase immobile, senza quasi
battere ciglio per diversi istanti.
Un nuovo sospiro, mentre la voce di Primo risuonava ancora
da qualche parte nella sua testa; con un moto di stizza, portò un braccio a
coprire gli occhi, precludendosi la vista della parete bianca. Solo allora si
concesse di mutare la propria espressione.
«Ti riconosco degno dell'eredità dei Vongola.»
Parole che sancivano la fine di quell'illusione, in realtà
già interrotta dal Guardiano della Nebbia.
«Sei stato bravo, Decimo.»
Parole gentili.
Somigliavano a delle scuse, in verità.
«I tuoi occhi, hanno visto ben oltre quel che potevano
scorgere.»
Ma c'erano cose che Tsuna non avrebbe voluto vedere: come un
amico che moriva, anche se era una finzione.
O la propria debolezza, l'impotenza.
Le parole di Primo, che erano sembrate la lusinga di
qualcuno che è colpito dalle capacità del proprio allievo, erano in realtà
quasi un ammonimento.
Non lo elogiava di aver guardato oltre l'apparenza di
quell'illusione; lo ammoniva del fatto che le somiglianze erano forse maggiori
di quelle che si scorgevano superficialmente.
Voleva dimenticare. Voleva assolutamente dimenticare
l'espressione di Daemon davanti a Giotto, nella prova di successione del
Guardiano della Nebbia.
Non voleva ricordare quanto fossero simili, la sua e quella
che fugacemente gli era sembrato di scorgere sul viso di Mukuro.
Non aveva bisogno di qualcuno che insinuasse il dubbio... di
un ennesimo tradimento.
«L'hai vista, non è vero?» aveva chiesto Giotto.
«L'espressione di chi non sa come chiedere perdono.»