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Autore: Shichan    29/11/2011    1 recensioni
[Episodio 188, prova di successione]
Niente di tutto ciò che lo sfiorava dall'arrivo di Reborn gli apparteneva.
Combattere, non era per lui.
La Mafia, non era per lui.
Il pericolo, non era per lui.
Avere fiducia in se stesso, non era per lui.
«Smetti di scappare. Stai diventando ancora più irritante, Sawada Tsunayoshi.»
…Dubitare degli altri, non era per lui.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mukuro Rokudo, Tsunayoshi Sawada
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La storia prende il via da, più o meno, metà episodio 188. Si basa infatti sulla successione del Guardiano della Nebbia, ma prima di quella di Tsuna; più precisamente è un “E se Tsuna, anziché essere giudicato per i suoi comportamenti durante le prove di successione dei compagni fosse stato sottoposto ad una prova precisa anche lui?”

Rating giallo per scene leggere di violenza.

Le prime due frasi in corsivo sulla destra, sono citazioni dell'anime del personaggio di Daemon Spade.
Partecipante al contest indetto da Amy8923 e Fairy Tail14 “All itll be as our choice!”, sospeso o comunque privo di risultati; combinazione (pg scelto+ pg assegnato+ luogo+ oggetto): Tsuna – Colonnello – Bowling – Lenti a contatto.

Fanfiction betata da Yoko891
Giacché sono in pausa da questo fandom e ‘sta piccolina era in sospeso a morire in una cartella, ecco qua <3

 

 

 

Sospirò leggermente, lo sguardo al soffitto.

Su consiglio di Reborn e di Uni erano andati a dormire non appena tornati dalla prova di successione del Guardiano della Nebbia, che li aveva stancati tutti dal momento che Daemon, oltre a Chrome e Mukuro, aveva – in qualche modo – messo alla prova anche loro.

Tuttavia Tsuna, da quando si era infilato sotto le coperte, non era stato in grado di fare molto altro che non fosse guardare un punto imprecisato del bianco sopra di sé, mentre arrivava dalla sua destra il respiro regolare di un Reborn presumibilmente addormentato.

Nella mente di Tsuna si ripetevano ancora le parole di Primo, apparso per conferire con Daemon quando loro erano ancora presenti; con un nervosismo non indifferente, Tsuna non era riuscito a non farsi sfuggire un: «Io cosa devo fare?» riferito alla sua prova di successione, l'ultima perché tutti potessero tornare nuovamente nel futuro e cercare di sconfiggere Byakuran in modo definitivo.

Giotto lo aveva osservato dapprima da sopra la spalla, poi si era totalmente voltato verso di lui, rimanendo in silenzio per una manciata di secondi: «Arriverà in breve anche il tempo della tua prova, Decimo.» aveva pronunciato con un tono pacato che sembrava appartenergli completamente e che gli conferiva quell'aria che portava istintivamente ad avere rispetto per lui.

Ci era voluto un battito di ciglia perché la figura di Primo – o del suo spirito, o volontà che risiedeva nell'Anello che fosse – scomparisse completamente alla loro vista, lasciandoli divisi fra l'entusiasmo della successione del Guardiano della Nebbia e la tensione per la poca chiarezza riguardo la prova che attendeva Tsuna.

Come quantificava, Giotto Vongola, l' “in breve” che aveva pronunciato?

Di sicuro anche lui doveva sapere che non avevano molto tempo; e la consapevolezza che il Primo fosse qualcuno che non sembrava lasciare nulla al caso rendeva Tsuna ancor più nervoso, specie in assenza di un momento preciso, designato.

E quell'adrenalina che ora gli impediva di prendere sonno sarebbe certamente aumentata, se gli fosse stato possibile ascoltare sussurri che venivano pronunciati a sua insaputa, poco lontani dalla sua stanza.

«Hai deciso quale sarà la prova per il Decimo, Primo?» interruppe quel silenzio meditabondo che si era creato fra loro: i Guardiani della Prima Generazione che rimanevano in attesa della decisione del loro Boss, com'era stato sempre anche in passato.

Giotto, lo sguardo verso la finestra della camera del suo possibile successore, sembrava assorto nei suoi pensieri; socchiuse gli occhi alla domanda di G, pur senza voltarsi verso lui e gli altri compagni.

«Il Decimo ha fatto un'affermazione molto coraggiosa, nello scontro con Daemon.» pronunciò in quella che a tutti parve una premessa, o qualcosa di simile. Il biondo si voltò finalmente in loro direzione, abbracciandoli con lo sguardo com'era tipico di lui.

«Il motivo per il quale è pronto a rinunciare così facilmente all'eredità, è perché non ne comprende ancora né il peso, né l'effettiva importanza. È giovane.» quasi parve scusarlo, come un padre con il proprio figlio, il sorriso gentile sulle labbra.

«La somiglianza è veramente impressionante.» aggiunse criptico, quasi distaccandosi totalmente dall'affermazione precedente e tornando a guardare in direzione della finestra; ma G e i suoi Guardiani lo sapevano.

Primo doveva aver visto qualcosa che nessun altro avrebbe potuto cogliere, a parte il Decimo – e Giotto doveva esserne abbastanza consapevole, tanto da rendere quel qualcosa una prova che avrebbe potuto avere solo due risvolti.

Temprare il futuro Boss dei Vongola, o sfaldare quella Famiglia forte e fragile al tempo stesso, che lentamente stava muovendo i primi passi.

 

 

Aprì gli occhi lentamente, incontrando in un primo momento il soffitto scuro; suppose che fosse ancora notte, o che non fosse comunque l'alba, quindi prese in seria considerazione di voltarsi dall'altro lato e cercare di addormentarsi nuovamente. Sarebbe stato anche fattibile, se non si fosse reso conto quasi nell'immediato dell'assenza non solo delle coperte, ma anche di un materasso.

Si alzò di scatto, frettolosamente, e sgranò gli occhi: palesemente, quella non era la sua stanza.

Si trovava in uno spazio piuttosto ampio, e illuminato quanto bastava a distinguere i contorni e gli oggetti che vi erano: bastava un primo sguardo per notare che doveva essere una sala – di un edificio? - che una volta faceva sicuramente parte di un parco divertimenti o qualcosa di simile.

Il pavimento era in parquet, le assi fossero assenti o rovinate dal tempo che in diversi punti rendevano la superficie poco praticabile: ad uno sguardo più attento, Tsuna poté notare che si trattava più precisamente di minipiste, cosa che lo portò a guardarsi alle spalle per avere conferma di un sospetto. Dietro di lui c'erano i macchinari tipici delle sale da bowling che, collegati alla pista corrispondente, riportavano le palle nella zona in cui stazionavano i vari giocatori. Anch'essi apparivano consunti, e i muri erano anneriti dalla polvere e dalla sporcizia accumulatisi nel tempo.

Alzando lo sguardo verso l'alto, si poteva notare che alcune delle lampade che sicuramente erano state utilizzate per illuminare le piste prima che la struttura cadesse in disuso, erano ora rotte. In alcuni casi i frammenti di vetro erano sul pavimento.

Tsuna si alzò in piedi, continuando a guardarsi intorno senza riuscire a focalizzare né di che posto si trattasse – a parte l'ovvietà dell'essere in una sala da bowling – né se fosse conosciuto.

O perlomeno, la prima impressione era stata quella.

«Boss...» sentì pronunciare alle proprie spalle, voltandosi istintivamente: riconobbe immediatamente la figura a pochi passi da sé come quella di Chrome. Minuta, con la divisa di sempre che ormai Tsuna associava mentalmente a Kokuyo Land, il tridente di Rokudo Mukuro tra le mani. L'espressione, notò però Tsuna, era strana: impiegò poco per rendersi conto che era quella triste e spaventata che aveva avuto fino al giorno precedente a causa della possessione di Daemon Spade.

Allarmato, le fu velocemente accanto: «Chrome, che succede?» chiese, nel tono la preoccupazione che affiorava sempre quando si trattava di uno dei suoi Guardiani.

La ragazza si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo per evitare quello di Tsuna; il Guardiano del Cielo fu colto da un vero e proprio moto di panico quando vide che quell'espressione spaventata stava mutando – di nuovo – in un goffo tentativo di trattenere le lacrime, destinato a fallire presto e miseramente.

Le posò una mano sulla spalla, quasi temendo che il gesto in sé potesse farle male: «Chrome, cos'è successo?» ripeté, cambiando di poco la forma.

Pensò di aver davvero fatto la domanda sbagliata, quando la vide abbassare lo sguardo, quasi si sentisse colpevole per qualcosa: «Mi dispiace, Boss...» pronunciò in un mormorio, la voce che tremava, e così anche il corpo; Tsuna se ne accorse per la propria mano che ancora sostava sulla sua spalla in un tentativo di rassicurarla. O almeno di calmarla abbastanza da cercare di capire qualcosa della situazione.

Innanzitutto, era chiaro a quel punto che quella sala da bowling inutilizzata si trovasse all'interno di Kokuyo Land, che una volta era stato un parco di attrazioni sul genere. Gli sfuggiva però come avesse fatto ad arrivare lì dalla propria stanza, per esempio.

Inoltre, non riusciva a capire il motivo per il quale Chrome si stesse scusando: qualcosa gli diceva che non era affatto per la possessione di Daemon, ormai passata e per la quale si era riscattata, salvando anche Kyoko e le altre che erano state coinvolte.

La risposta a quel secondo interrogativo – e forse anche al primo – fu però intuibile quando una nebbia leggera iniziò ad avvolgere il corpo di Chrome. E divenne poi del tutto evidente quando, diradandosi, quella stessa foschia gli mostrò non più la giovane che sembrava preda del senso di colpa, ma Rokudo Mukuro.

Le labbra incurvate in quel sorriso sardonico che lo aveva sempre caratterizzato, il Guardiano lo osservava a pochi passi di distanza, quella poca che Tsuna aveva ripristinato al comparire improvviso della nebbia.

Il castano avvertì un brivido lungo la schiena, sensazione che quasi sempre accompagnava la presenza di Mukuro nella stessa stanza o quando era comunque abbastanza vicino da essere percepito; stava in silenzio, come se si aspettasse che fosse Tsuna a parlare per primo.

«Mukuro...?» chiese stupidamente conferma, come se temesse che non si trattasse davvero di lui, nonostante ci fossero ben pochi dubbi in proposito. L'altro incurvò appena di più le labbra nello stesso sorriso di poco prima, lo sguardo che non si spostava dal viso del castano.

«Kufufu... Sawada Tsunayoshi, mi offende che tu non sia sicuro di chi hai davanti quando mi vedi.» lo prese palesemente in giro, con quel tono beffardo che gli aveva sempre rivolto fin dal loro primo scontro e incontro.

Più o meno, in realtà: a voler essere precisi, la prima volta in cui aveva incrociato Mukuro fra gli alberi che costeggiavano Kokuyo, l'altro si era dimostrato pacato e cordiale, anche se per trarlo in inganno.

Ma in ogni caso, Tsuna supponeva che in quel momento non fosse importante.

Si guardò intorno nervosamente, senza poter controllare quella sensazione che aveva da quando Chrome si era mostrata così strana: «Ascolta, Mukuro» esordì, spingendo per un attimo quel disagio in un angolo della propria testa «cosa sta succedendo? Chrome è stata l'unica persona che ho incrociato e sembrava... sembrava che stesse per piangere.» spiegò.

Sapeva che, a discapito di quanto sembrasse, Mukuro aveva a cuore Chrome; lo aveva dimostrato diverse volte, forse anche indirettamente e al tempo stesso in un modo quasi palpabile. Tsuna, osservando quel tipo di riguardo impacciato come quello di un bambino, aveva intuito che per motivi difficili da comprendere fino in fondo, se c'era una persona che Mukuro non avrebbe mai tradito quella era Chrome.

Tutti gli altri, sì., si ritrovò a formulare mentalmente ancor prima di accorgersene, sorprendendosene lui stesso.

Scosse la testa leggermente, ma ben visibile a Mukuro che – ancora senza rispondere – rimaneva fermo di fronte a lui.

«Chrome è una brava ragazza.» fu la frase con la quale catturò nuovamente la sua attenzione. Sembrava detta così, in maniera assolutamente casuale ma al tempo stesso pronunciata come se, oltre alle doti illusorie, Mukuro avesse avuto anche la capacità di leggere quei pensieri messi a tacere un attimo prima.

«Forse la sua sfortuna è stata il legame con me?» aggiunse, come se stesse ipotizzando varie soluzioni ad un problema per vagliare poi la migliore fra esse.

Tsuna aggrottò le sopracciglia, ancora più confuso: quel tipo di affermazione non sembrava tipica di Mukuro.

«Vedi, Sawada Tsunayoshi...» continuò il Guardiano, muovendo qualche passo alla propria sinistra prima e alla propria destra poi, facendo avanti e indietro: «lei ha sviluppato nei tuoi confronti qualcosa che mescola all'affetto la stessa ammirazione che si può avere per un fratello maggiore o qualcosa di molto simile. Avverte il bisogno di proteggerti pur avendo lei stessa la necessità di essere protetta.» spiegò, prendendola alla larga, in maniera quasi snervante.

«Ed ammetto che è qualcosa che non avevo previsto.» aggiunse in quella sorta di monologo personale: «Perché non è mio interesse proteggerti, è ovvio fin dal nostro primo incontro. Ed è altrettanto vero che la coscienza di Chrome, soprattutto all'inizio, è stata piuttosto succube della mia.» osservò, concedendosi una pausa pensierosa.

La sensazione che Tsuna aveva avuto da quando il suo sguardo aveva incrociato quello dell'illusionista non aveva fatto altro che acuirsi, confondendosi al tempo stesso con il disagio, con l'impressione di qualcosa che gli sfuggisse come aria fra le mani, e con qualcosa di familiare, di già visto.

Meno evidente di un dejà-vu, più vago forse.

«Non ti negherò che la cosa mi dà qualche problema.» riprese Mukuro, catalizzando di nuovo l'attenzione su di sé: «Perciò ho pensato di dover trovare una soluzione.» concluse, il sorriso derisorio rivolto a Tsuna, ormai inconsapevolmente preda del panico dato da quell'intreccio di sensazioni che lo appesantiva sempre di più.

Panico che sfociò nell'agitazione quando la figura di Mukuro sbiadì fino a scomparire.

Almeno alla vista, almeno ai suoi occhi.

«E se ti eliminassi, Sawada Tsunayoshi?»

 

 

Un sospiro leggero gli sfuggì tra le labbra, lo sguardo verso l'edificio che aveva già ospitato la prova di successione della Nebbia.

In una calma apparentemente assoluta, attendeva qualcosa o qualcuno, che non era solo il gruppo di persone che lo stava raggiungendo di corsa.

Con Colonnello a guidare il gruppo insieme a Fong, i Guardiani del Decimo ad esclusione di Chrome furono in breve tempo vicino a Reborn, che si limitò ad accoglierli con uno sguardo che non lasciava trapelare nulla di preciso.

Il primo a parlare, mosso da preoccupazione ed impulsività, fu Gokudera: «Reborn-san!» esclamò, un passo in avanti quasi aggressivo e certamente impaziente «perché chiamarci così?! Cosa significa che il Juudaime sta combattendo?! È la prova di successione? Quando...?»

«Calmati, Gokudera.» soffiò placido Fong, a cui si aggiunse una mano di Yamamoto a posarsi sulla spalla del Guardiano della Tempesta.

Reborn parve essere rimasto in attesa proprio di quello e si rivolse a Colonnello.

«Grazie di averli portati qui, Colonnello.» pronunciò, tornando a rivolgere lo sguardo all'edificio senza aggiungere nulla; atteggiamento, quello, che non giovò al nervosismo di Gokudera.

Stava infatti per perdere totalmente il controllo – lo mostrava il suo chiudere le mani in due pugni e il riaprirle l'attimo dopo – quando fra lui e Reborn si frappose una fiamma color arancio, inconfondibile.

Svanendo, essa rivelò la figura di Giotto, l'espressione pacata ma seria.

Reborn alzò lo sguardo su di lui in silenzio, imitato presto dagli altri presenti. Giotto non indugiò oltre, avendo forse intuito con facilità l'ansia che li animava.

«Devo chiederti di fermarti e avere pazienza, Gokudera Hayato.» pronunciò rivolto al giovane Guardiano nello specifico: «E così anche a tutti voi.» aggiunse rivolgendosi poi anche agli altri.

Gokudera tacque, mordendosi nervosamente il labbro inferiore; Colonnello, ancora a mezz'aria grazie a Falco, si portò più avanti parlando direttamente a Giotto.

«Perché ci hai chiesto di portare Sawada proprio qui, ehi?» domandò diretto, esprimendo lo stesso interrogativo che forse interessava anche Fong e Reborn. Era altrettanto probabile che ai Guardiani suonasse totalmente assurda, quella rivelazione indiretta.

Giotto spostò lo sguardo verso l'edificio che aveva sempre ospitato dapprima Mukuro, Chikusa e Ken, e recentemente anche Chrome: «Era necessario che fosse qui. Non è questo il luogo più familiare al Guardiano della Nebbia?» si interrogò, ma era chiaro che si trattava di una domanda retorica.

«E cosa c'entra il Guardiano della Nebbia, ehi? Non è di Sawada, la prova di successione, ehi?» domandò Colonnello. Giotto riportò lo sguardo su di loro: un sorriso indecifrabile gli incurvava le labbra.

«Il Decimo ha dimostrato un'innegabile forza d'animo, ma al tempo stesso un'indole pericolosamente gentile.» prese parola Primo: «Desidera il potere non in quanto fine a se stesso, ma per difendere altri, e questo gli fa indubbiamente onore. Tuttavia, è un potere grande, più di quanto il Decimo riesca a cogliere.» ammonì. Nel silenzio rispettoso che lo avvolgeva, Giotto sembrava pronunciare una sentenza futura, piuttosto che un giudizio sul suo possibile erede.

«È un potere sotto gli occhi di tutti, e quasi intangibile al tempo stesso. Se non sarà in grado di percepirlo, ne verrà inghiottito.»

«Ma non hai detto tu che hai visto la forza d'animo del Juudaime?!» proruppe Gokudera.

«Così è.» replicò senza alcun mutamento nel tono di voce, apparendo come un adulto che si dimostrava indulgente con un bambino: «Ma la forza d'animo non basta. Tu meglio di molti altri dovresti saperlo, che la Mafia e i legami al suo interno sono come patti di sangue. Tuttavia, la Mafia conosce anche il tradimento. Il Decimo accoglie i nemici come gli alleati, sono state queste le tue parole. Ma è un pregio? E fino a che punto? Fin dove arriva l'indulgenza di cui fa uso? Ha un limite?» domandò, insinuando il dubbio anche se non malignamente.

Tacque per qualche istante, in una pausa tesa in cui l'espressione si fece più mesta, colma di consapevolezza: «E se il nemico della Famiglia arrivasse dall'interno, cosa sceglierebbe: il perdono che potrebbe rivelarsi un pericolo continuo? O l'accusa, alienando il traditore ed indebolendo quel legame di fiducia che dovrebbe essere inscindibile?» espose duramente, nonostante il tono restasse pacato.

Gokudera vacillò: «Avrebbe... avrà comunque i suoi Guardiani sempre al suo fianco!» esclamò.

Giotto lo guardò per qualche istante, socchiudendo poi gli occhi: «Non c'è certezza di quanto affermi, e lo scontro con Daemon dovrebbe aver già insinuato il dubbio in tutti voi.» gli riportò alla mente.

Reborn sembrava comprendere chiaramente il monito dietro quelle parole.

«“Givro eterna amicizia”.» recitò Giotto: «Una promessa. Ma per qualcuno erano diventate forse delle catene troppo pesanti.» pronunciò Primo quasi soprappensiero.

Lui che conosceva la difficoltà di calpestare i propri sentimenti per scegliere ciò che era giusto, non avrebbe potuto lasciare in eredità la propria volontà a qualcuno senza mostrargli lo scenario peggiore.

 

 

Rilasciando all'ultimo momento una quantità maggiore di fiamma in modo da aumentare la velocità, Tsuna scansò l'attacco di Mukuro.

Non avrebbe mai potuto dire che quel che stava accadendo “non fosse da Mukuro”, né che più di qualcuno non lo avesse messo in guardia in proposito.

Dal loro primo incontro, il Guardiano della Nebbia – forse avrebbe dovuto smettere di pensare a lui in quel modo – aveva reso chiaro il suo obiettivo: distruggere il mondo della Mafia, che tanto disprezzava e odiava. Tsuna, fin da allora, era sempre stato etichettato come uno strumento. Lui era niente più di un mezzo atto a raggiungere uno scopo.

Ma un mezzo che finisce per ostacolare, viene eliminato; a questo ci arrivava persino lui.

Eppure, in realtà, non se ne era mai convinto.

Tsuna, da qualche parte dentro di sé, aveva cercato una scappatoia, forse; perché tutto quello non era per lui. Niente di tutto ciò che lo sfiorava dall'arrivo di Reborn gli apparteneva.

Combattere, non era per lui.

La Mafia, non era per lui.

Il pericolo, non era per lui.

Avere fiducia in se stesso, non era per lui.

«Smetti di scappare. Stai diventando ancora più irritante, Sawada Tsunayoshi.»

…Dubitare degli altri, non era per lui.

 

Come ti ho detto... sei troppo debole.

 

«Urgh...» mugolò di dolore, schiantandosi al suolo dopo un colpo diretto di Mukuro.

Non era il primo che gli infliggeva, e non sarebbe stato l'ultimo.

Se ne era accorto, Tsuna: che nessuno di quei colpi era mortale. Ed era certo che non fosse indulgenza; c'era certamente qualcosa che Mukuro voleva mostrargli o dimostrargli. Qualcosa che poteva essere tante cose in realtà – la sua inadeguatezza, cosa di lui lo avesse stancato al punto tale da tentare di sbarazzarsene anche quando aveva rappresentato un mezzo per il raggiungimento di uno scopo.

Tsuna, in uno dei suoi momenti di inguaribile ottimismo, aveva quasi pensato di aver trovato un qualcosa che potesse accomunarli. Un punto in comune che avrebbe potuto permettere non un'amicizia, ma almeno una reciproca alleanza priva di tradimenti.

Tsuna aveva infantilmente creduto che quel disprezzo di entrambi per la Mafia, nonostante causato da circostanze ben diverse, avrebbe potuto rappresentare quella sorta di compromesso o oggetto di solidarietà per il quale... convivere pacificamente, se non altro.

Evidentemente, però, agli occhi di Mukuro lui era già parte di quel qualcosa che voleva annientare.

«È così deludente.» lo sentì commentare, mentre avvertiva i passi causare l'unico rumore che era possibile cogliere oltre la sua voce; si facevano più vicini, con ritmo lento, come se avessero tutto il tempo del mondo a disposizione.

«Ti ho osservato volente o nolente in tutte le tue battaglie, Sawada Tsunayoshi. E ho visto sempre quell'incrollabile, stupida voglia di provare a combattere quando anche solo stare in piedi era un'impresa. Quando la tua debolezza era schiacciante. Quando la vittoria poteva essere solo un'illusione creata per assecondare quell'animo buonista che ti caratterizza in maniera tanto fastidiosa.» fece notare, raggiungendolo. Tsuna lo vide piegare le ginocchia, e la sua figura rientrò nel suo campo visivo.

Lo confuse, notare l'altro che posava il tridente al proprio fianco, a terra; sembrava improbabile che solo ora volesse parlare con calma, quando prima non era sembrato affatto avvezzo all'idea.

«Invece adesso, persino colpirti fa sembrare l'atto in sé privo di significato.» aggiunse, una nota di noia nel tono, lo sguardo fisso sul viso del castano.

«Non rispondi ai colpi, e questa cosa ci porta a tre possibili soluzioni. La prima, che escludo categoricamente, hai voglia di farti malmenare. Ma non è proprio da te, perciò ti farò l'onore di non prenderla nemmeno in considerazione.» iniziò, senza mai spostare lo sguardo da quello dell'altro.

Tsuna si chiese dove quel discorso dovesse portare.

Perché Mukuro non sprecava inutilmente le parole.

«Seconda possibilità: non vuoi colpire qualcuno che consideri stupidamente un tuo compagno. E nonostante io ti abbia più volte ripetuto che hai una visione distorta del sottoscritto, e sappia che in buona parte è esattamente questo il motivo per cui ancora  non alzi un dito su di me, ho dovuto scartare quest'ipotesi.» continuò placidamente, una mano coperta dal guanto che sfiorò la fronte di Tsuna nell'atto di scostare i capelli.

Un gesto dolce e familiare, che per la situazione e colui che glielo aveva rivolto, sembrava più una falsa premura rivolta per alleviare qualcosa di terribile che sarebbe venuto poi.

Mukuro scostò la mano: «La verità, Tsunayoshi, è che sei così ingenuo che attirarti in una trappola è  semplice al punto da risultare quasi tediante. Inscenare qualcosa di grande, e vedere che tu quasi ti ci precipiti dentro, vanificando gli sforzi fatti per ideare una trappola quanto più perfetta possibile.» temporeggiò ancora, senza mai arrivare al punto.

Come i colpi ricevuti, quelle parole davano a Tsuna la stessa sensazione di qualcosa di sfuggente; non volevano affatto arrivare velocemente alla conclusione per comunicare il punto focale della questione.

Erano lente, avvolgenti, soffocanti.

Erano le parole di chi ti lascia intravedere un filo di verità in una matassa di menzogne, sapendo che ad ogni nodo che faticosamente si districa, uno di ansia si stringe, facendoti mancare l'aria.

Era una tortura crudele e asfissiante.

Non c'era nulla di benevolo, nella verità che alla fine sarebbe arrivata; sarebbe stato solo il colpo di grazia.

«Ai miei occhi, sei come un topo: non importa quanto io mi ingegni per costruire il marchingegno con cui catturarti. Alla fine scoprirò che sarebbero bastati semplicemente un pezzo di formaggio e quanta colla bastava a non farti fuggire.» concluse quella metafora che non faceva che confondere Tsuna ancora di più, mentre il respiro affannato si calmava lentamente, tornando alla sua regolarità.

«Però ho notato che non importa quanto tu sia disperato. Quando non si tratta di te, ma c'è qualcuno che devi difendere, combatti persino con avversari davanti ai quali chiunque sano di mente fuggirebbe, Sawada Tsunayoshi.» aggiunse, un sorriso strano ad incurvargli le labbra.

Un sorriso che fece venire i brividi a Tsuna, specialmente quando un suono che non apparteneva né a lui, né a Mukuro riempì la stanza.

«J-Juudai...me.» sentì mormorare debolmente. Sobbalzò, perché non era difficile immaginare chi fosse: una sola persona utilizzava quell'appellativo nei suoi confronti.

Voltò il viso lateralmente, finché nel suo campo visivo non rientrò – nemmeno troppo distante da loro – Gokudera. Giaceva a terra, l'aria esausta e ad un'ulteriore occhiata Tsuna notò che era ferito, anche piuttosto gravemente.

Dopo qualche breve istante di incredulità, nella sua testa fu chiaro il perché delle scuse di Chrome, della voce spezzata quando gliele aveva rivolte.

Si scusava di qualcosa che era sfuggita al suo controllo, di qualcosa che era più complesso di una semplice “possessione del suo corpo” che l'aveva resa apparentemente carnefice di un atto di cui non si sarebbe mai macchiata, altrimenti.

Tsuna si morse il labbro inferiore, incredulo e spossato; era completamente folle.

«...Dove sono gli altri?» mormorò, il tono basso ma ben udibile per Mukuro, ancora ironicamente al suo fianco come il più dedito dei Guardiani.

«In punti diversi di questo edificio divenuto campo di una battaglia impari.» replicò placido l’altro, l'occhio sinistro che brillò appena nella penombra, facendo temere a Tsuna l'attivazione di un potere illusorio di lì a qualche istante.

«Per inciso, credo dovresti sapere una cosa.» riprese, come per rimediare ad una dimenticanza. Recuperò il tridente, lasciato inerme al proprio fianco fino a quel momento, colpendo senza preavviso Tsuna in pieno stomaco con la parte priva delle tre lame.

Un gemito di dolore sfuggì tra le labbra del castano, gli occhi chiusi in un gesto istintivo.

«Se vuoi dirgli qualcosa, sarà il caso che ti alzi e lo raggiungi, Sawada Tsunayoshi. Solo perché è l'unico Guardiano rimasto vivo...» calcò quell'unica parola con tono sprezzante e crudele: «...non vuol dire che abbia ancora così tanto tempo da poter aspettare te, Decimo Boss dei Vongola.» concluse, infimo, facendosi da parte quasi con atteggiamento di derisione.

Tsuna lo ignorò, focalizzando l'attenzione solo su Gokudera; si alzò lentamente, barcollando in sua direzione, una mano premuta contro lo stomaco nel punto colpito da Mukuro. Affiancò il Guardiano della Tempesta nello stesso istante in cui si rese conto che non era la penombra o la maggiore oscurità a rendere più scuro il pavimento in quel punto.

Una macchia di sangue fin troppo ampia per sembrargli qualcosa di diverso da un film cruento si allargava lentamente sotto il corpo del compagno.

Incredulo, si inginocchiò senza curarsene, facendo per allungare una mano verso l'altro.

Era quasi certo di aver sentito la consistenza del suo viso praticamente sotto le dita, quando la sua figura scomparve sotto i suoi occhi. Nell'improvviso moto di panico che lo colse, portò quasi frettolosamente lo sguardo su Mukuro, che sembrava ridacchiare sommessamente.

«Anche Gokudera Hayato avrebbe voluto risparmiarti la sofferenza di vederlo morire senza poter fare nulla.» arrivò alle sue orecchie, il tono... di scherno.

La fiamma che normalmente avvolgeva i guanti con cui combatteva si spense bruscamente, mentre entrambi tornavano bianchi e morbidi, con il numero in rosso ricamato su di essi.

Tutto gli sfuggiva troppo velocemente tra le mani, come sabbia.

Non era possibile che Mukuro avesse improvvisamente deciso di ribellarsi alla condizione di Guardiano, approfittando del potere sul corpo di Chrome per macchiarsi dell'uccisione del resto dei Guardiani al solo scopo di smuoverlo e rendere la sua presunta fine più penosa e dolorosa.

Razionalmente, si diceva che bastava pensare a chi figurava fra i Guardiani.

Yamamoto era forte, forse il più forte di tutti loro dopo Hibari-san; e quest'ultimo certamente non si sarebbe fatto uccidere così facilmente, men che meno da Mukuro con il quale aveva un conto aperto da sempre.

E Lambo sì, era un bambino, ma Ryohei non avrebbe mai permesso una cosa simile; infine, anche Chrome... lui, Tsuna, non la reputava così debole.

Eppure il sangue era ancora lì.

Gokudera, fino ad un attimo prima... era ancora lì.

E sembrava chiedere perdono.

 

I deboli non hanno diritto di vivere!

 

«Perché... avresti dovuto fare tutto questo?» mormorò così piano, che temette di non essere stato udito.

Ma la risposta che Mukuro diede, prima di qualsiasi cosa smentì quel suo timore.

«Perché non avrei dovuto?» gli fece eco, il tono placido come se non stessero parlando di persone che erano state presumibilmente uccise.

Tsuna tremò: non era di quelle persone che perdevano la calma. Era incline – nel bene o nel male – a perdonare sempre, forse anche quando non avrebbe dovuto.

Non era mai arrivato ad odiare nessuno, né aveva mai avuto la necessità di farlo; forse Byakuran si era lentamente trasformato nell'unica eccezione.

Ma ora per lui mantenere la calma era qualcosa di impossibile.

Non davanti anche solo alla remota possibilità della morte di qualcuno di così vicino, e così caro.

Per mano di qualcuno di... altrettanto vicino.

Forse, anche altrettanto “caro”, in un modo più complesso e difficile sia da spiegare che da comprendere.

Difficile persino per lui stesso, che aveva sempre, ostinatamente pensato all'illusionista come a qualcuno di Famiglia. In un modo o in un altro, anche – a volte – solo per mezzo di Chrome, che glielo ricordava tanto nell'aspetto, quanto poco nel modo di fare.

«Hai ucciso delle persone!» gridò, la voce che tremava quanto le mani, ancora immobili, ancora strette in due pugni.

«Incolpa te stesso.» lo interruppe bruscamente Mukuro, il tono ora gelido, crudele non più in quel modo sibillino che gli apparteneva, ma come di chi vuole ferirti. E lo desidera sinceramente.

«Ti ho ripetuto più volte di non considerarmi un compagno, Sawada Tsunayoshi.» riprese, avanzando con meno lentezza e più decisione verso di lui, mentre Tsuna quantomeno si alzava in piedi.

«Ti ho detto chiaramente qual'era il mio scopo. Te l'ho ripetuto. Ho affermato di non essere un tuo Guardiano, e di non voler essere considerato tale. Ma tu no, tu hai quel vizio di voler assolutamente credere in tutto e tutti.» sbottò, il tono improvvisamente privo della calma distaccata di prima, ora seccato, irritato.

Lo colpì nuovamente con la parte del tridente priva di lame.

«Quel disgustoso, modo ipocrita che hai di avvicinarti a chi della tua vicinanza non se ne fa nulla. Quel modo snervante di convincere le persone che tutto può essere perdonato. Quella visione da bamboccio ingenuo che hai della vita, che hai vissuto richiuso in quattro mura che trasudavano tranquillità. Quel mondo non esiste, Sawada Tsunayoshi. Quel mondo è fantasia.» sibilò, abbandonando la propria arma e colpendolo direttamente, forte, senza riguardi.

Non era una scazzottata tra amici.

Non era nulla di simile ad una lite tra persone il cui punto di vista sul mondo è estremamente diverso.

Somigliava al preludio di un gioco al massacro privo di regole che non fossero il semplice sopravvivere all'altro.

Ma quello non era un gioco adatto alle persone come Tsuna.

«Tu sei uno stupido, debole, inadatto a cambiare la Mafia: la sola tua pretesa di volerlo fare con la gentilezza, mostra quanto tu sia inadeguato.» sbottò infine, assestandogli un colpo particolarmente forte che sbilanciò il castano, mozzandogli il respiro e portandolo a tossire quando fu a terra, piegato in avanti su se stesso.

Mukuro si chinò, con il probabile intento di aggiungere qualcosa o costringerlo a guardarlo negli occhi, ma fu bloccato: un pugno di Tsuna si era abbattuto più forte possibile contro il suo viso, obbligandolo a voltarsi lateralmente sotto la forza del colpo stesso.

Quasi piacevolmente stupito, l'illusionista portò lo sguardo sul castano, che ancora non aveva alzato il proprio su di lui; parlò senza guardarlo.

«Io non ho mai chiesto... di diventare il Boss di nulla.» mormorò, il fiato corto ancora.

«Io non ho mai voluto dei Guardiani. Non ho voluto... gli Anelli. Non ho voluto conoscere il futuro prima del tempo. Non ho voluto... mettere in pericolo le persone care. E non ho voluto nemmeno l'eredità dei Vongola.» alzò appena il tono, frustrato; tremava di nuovo.

«Però, anche se non volevo, ho avuto tutto. L'unica cosa per cui posso pensare di essere grato, sono le persone che sono arrivate con tutto questo. Se non avessi avuto anche le cose spiacevoli... non li avrei nemmeno conosciuti. Perciò adesso... smettila.» mormorò, mentre Mukuro – le ginocchia a terra, sbilanciato a sua volta dal colpo anche se meno rispetto all'altro – manteneva lo sguardo su di lui.

Era pietoso, quel giovane Boss inadatto al suo ruolo, che peraltro rinnegava lamentandosene come un bambino in fasce.

«Smettere cosa?» gli fece eco, quasi canzonatorio.

«Smettila con questa illusione!» sbottò, cogliendolo di sorpresa, e stavolta non piacevolmente: «Chrome... no. Sia Chrome che Mukuro, sono persone che non farebbero mai una cosa del genere. Mukuro odia la Mafia, ma ha sempre compiuto il dovere di Guardiano, anche se... anche se non vuole essere considerato tale!» continuò, quel cipiglio sincero e deciso, che era sempre stato la forza che aveva guidato gli altri Guardiani, anche se Tsuna non ne era consapevole.

Mukuro non poté trattenere una risata, la mano che andava quasi incredula a coprire parzialmente il proprio sguardo, celandolo al Guardiano del Cielo.

«Arriva a tanto la tua disperazione, Sawada Tsunayoshi? Al punto da convincerti che si tratta di una mia illusione?» lo derise, facendo tentennare impercettibilmente Tsuna nell'incertezza della propria valutazione.

«La morte dei miei amici... non c'è dubbio che mi porterebbe alla disperazione.» commentò flebilmente: «Però... c'è una cosa di Mukuro che non hai imitato bene, Daemon.» pronunciò quel nome di cui era quasi certo.

Non in maniera evidente, e certamente c'era più dell'intuizione dei Vongola che non del sesto senso di Tsuna in quell'affermazione, ma non si coglieva molto dubbio nelle sue parole.

Mukuro, o Daemon che fosse, stava probabilmente per incalzarlo; ma, contrariamente alle aspettative di Tsuna, lentamente sbiadì in quel modo ormai familiare in cui lo facevano le illusioni del Guardiano della Nebbia.

Mentre – nonostante Kokuyo Land rimanesse nei suoi interni così com'era – anche la macchia di sangue spariva, e proprio Mukuro riappariva in una diversa posizione di fronte ai suoi occhi.

La mano sinistra, teneva vicino al volto delle lenti strane che Tsuna non aveva mai visto e che non riuscì a capire a cosa potessero servire: dalla forma insolita, modellate in un modo particolare con delle estremità che ricordavano delle ali, cosa che fece dubitare Tsuna della propria capacità visiva in quel momento. Erano avvolte dalla fiamma della Nebbia.

L'illusionista le abbassò appena, allontanandole dal volto, l'espressione indecifrabile.

«Sono piuttosto seccato dal doverti salvare. E da Daemon Spade che continua a fare i suoi comodi in questo luogo a causa tua, Sawada Tsunayoshi.» pronunciò, nel tono una sfumatura irritata da quel compito a cui non avrebbe voluto adempiere.

Paradossalmente, Tsuna sembrò tranquillizzarsi e lasciar scivolare via la tensione e la paura accumulata in quel qualcosa che non capiva bene cosa fosse stato – forse la sua prova, forse l'ennesimo tentativo di Daemon di imporre su di lui il tipo di Boss che avrebbe voluto per la Famiglia.

«Ostentare addirittura la capacità di riconoscermi rispetto ad un'illusione potente come quella... Inizi ad essere un po' sopra le righe, Sawada Tsunayoshi.» ironizzò, fissandolo ancora in piedi rispetto a lui, mentre Tsuna si lasciava andare a terra definitivamente, spossato più mentalmente che fisicamente.

Mukuro alzò un sopracciglio perplesso: «Alzati. Non ho intenzione di trascinarti anche fuori da qui, oltre che dall'illusione.» fece presente, le lenti che sparirono nella box che il Guardiano teneva nella mano destra, confermando a Tsuna che si trattasse probabilmente dell'arma ereditata proprio da Daemon.

«...Non credo di riuscire ad alzarmi, per ora.» mormorò il castano.

Mukuro incurvò le labbra in un sorrisetto indecifrabile: «Oya, oya...» pronunciò, sedendosi poco distante da Tsuna. Era costantemente così: si avvicinava, poi si ritraeva. Ti avvolgeva l'attimo prima come la Nebbia che lo identificava, e l'attimo dopo già la sua presenza si diradava lasciando un senso di smarrimento.

«Non avrai intenzione di dormire e farmi fare da badante, voglio sperare.» lo apostrofò l'altro; ma Tsuna per tutta risposta si era girato da un lato.

«Mh. Forse solo per un po'.»

 

 

«Come sta Tsuna?» domandò Yamamoto, rimasto in attesa nella stanza con gli altri.

Reborn, quando Giotto a fine prova aveva sorriso quasi sollevato tornando da loro, aveva insistito per parlare da solo con Tsuna, insieme a Colonnello e Fong.

Era stato categorico nel suo ordine che aveva seguito l'enigmatica frase di Giotto: «Non c'è modo in cui si possa ereditare la volontà dei Vongola senza restarne in qualche modo feriti.»

Parole criptiche che avevano messo in agitazione i Guardiani, che senza saperlo si erano ritrovati a chiedersi contemporaneamente la stessa cosa: a quali ferite potesse riferirsi Giotto, se quelle fisiche o quelle a cui Tsuna era più soggetto.

Quelle che rimanevano invisibili, e guarivano molto più lentamente di tutte le altre.

Erano state quelle parole da parte di Primo ad aver portato Reborn a vietargli di prendere il loro Boss quasi d'assalto con mille domande; quando erano poi ricomparsi nella stanza dove tutti erano rimasti impazientemente in attesa, Yamamoto aveva parlato per primo.

Reborn tuttavia non aveva risposto, chiudendosi in quel silenzio tipico di lui che aveva il potere di far sempre pensare al peggio. Era stato quindi Colonnello a riportare il tutto per suo conto.

Avevano comunicato a Tsuna il messaggio che Primo gli aveva affidato e che non aveva potuto lui stesso riportare a causa della perdita di sensi del Decimo; Colonnello e Fong avevano placato gli animi, spiegando che lo stesso Giotto aveva reputato normale quella stanchezza che aveva colto il giovane Boss dei Vongola: la sua mente era stata messa a dura prova dall'illusione di cui si era servito per metterlo alla prova – che Giotto si fosse rivolto a Daemon come era sembrato dalle parole di Tsuna non lo avevano specificato, dal momento che nessuno dei Guardiani lo aveva domandato.

Colonnello si era preso la briga di spiegare anche il perché dello spostamento a Kokuyo mentre Sawada era incosciente, esattamente come lo aveva riportato anche al castano quando egli aveva ripreso i sensi nella sua stanza: era stato proprio Colonnello, su richiesta di Reborn, ad occuparsene con la collaborazione dell'Arcobaleno della Tempesta.

Infine, aveva assicurato a Sawada che la prova era superata; il giovane gli aveva flebilmente confermato di essere più o meno cosciente quando la voce di Primo lo aveva raggiunto, assicurandogli che era andato tutto bene.

Tsuna non aveva chiesto spiegazioni, e aveva sostenuto di essere semplicemente stanco e di voler solo riposare, raccomandandosi ai tre Arcobaleno di tranquillizzare i compagni che sapeva in attesa nel salotto della propria casa, al piano inferiore.

Approfittando di un momento in cui Fong prendeva la parola, affiancando Reborn, Colonnello si chiuse in un silenzio meditabondo; qualcosa del modo in cui Sawada aveva riportato a grandi linee quanto accaduto non lo aveva convinto del tutto. Non dubitava dei particolari che stancamente aveva comunicato, ma di quell'unica risposta che l'altro aveva eluso.

Quel rifiutarsi di ripetere a voce alta le parole che lui e Giotto si erano scambiati, come un segreto troppo intimo per essere svelato, e troppo spaventoso per essere ripetuto a voce alta.

Sospirò lentamente, tornando a prestare attenzione alle parole degli altri due Arcobaleno, mentre la tensione e la preoccupazione che avevano aleggiato nella stanza andavano svanendo gradualmente.

 

Nel silenzio della propria camera, rimase ad occhi chiusi.

Nonostante la spossatezza e i tentativi di abbandonarsi al calore delle coperte, non riusciva in alcun modo a prendere sonno.

Aprì gli occhi, con un sospiro appena più rumoroso degli altri, portando lo sguardo verso il soffitto; rimase immobile, senza quasi battere ciglio per diversi istanti.

Un nuovo sospiro, mentre la voce di Primo risuonava ancora da qualche parte nella sua testa; con un moto di stizza, portò un braccio a coprire gli occhi, precludendosi la vista della parete bianca. Solo allora si concesse di mutare la propria espressione.

 

«Ti riconosco degno dell'eredità dei Vongola.»

 

Parole che sancivano la fine di quell'illusione, in realtà già interrotta dal Guardiano della Nebbia.

 

«Sei stato bravo, Decimo.»

Parole gentili.

Somigliavano a delle scuse, in verità.

«I tuoi occhi, hanno visto ben oltre quel che potevano scorgere.»

 

Ma c'erano cose che Tsuna non avrebbe voluto vedere: come un amico che moriva, anche se era una finzione.

O la propria debolezza, l'impotenza.

Le parole di Primo, che erano sembrate la lusinga di qualcuno che è colpito dalle capacità del proprio allievo, erano in realtà quasi un ammonimento.

Non lo elogiava di aver guardato oltre l'apparenza di quell'illusione; lo ammoniva del fatto che le somiglianze erano forse maggiori di quelle che si scorgevano superficialmente.

Voleva dimenticare. Voleva assolutamente dimenticare l'espressione di Daemon davanti a Giotto, nella prova di successione del Guardiano della Nebbia.

Non voleva ricordare quanto fossero simili, la sua e quella che fugacemente gli era sembrato di scorgere sul viso di Mukuro.

Non aveva bisogno di qualcuno che insinuasse il dubbio... di un ennesimo tradimento.

 

«L'hai vista, non è vero?» aveva chiesto Giotto.

«L'espressione di chi non sa come chiedere perdono.»

 

   
 
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