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Autore: Vagabonda    03/12/2011    4 recensioni
No, il titolo non è sbagliato. C’è scritto proprio Callen, avete letto bene. Perché così è come Elisabetta chiama all’inizio la più famosa e invidiata famiglia di vampiri. Elisabetta ha molte cose in comune con Bella Swan. Per esempio, è timida come lei, con una particolare predisposizione per catastrofi e un’assoluta mancanza di equilibrio. Un giorno, quasi per caso, il libro Twilight capita tra le sue mani. E lei comincia a leggere, e si ritrova in un mondo incredibile, talmente simile al suo da sembrare quasi lo stesso. Che sia tutta una questione di coincidenze? La ragazza non ne è poi tanto sicura…
Rimasi a bocca aperta, fissando la faccia del volume con un misto di sorpresa e ilarità. La lucida copertina nera ricambiò il mio sguardo, le lettere rosse che parevano dichiarare prepotentemente il loro nome. Twilight lessi.
Fui presa dall’insensata voglia di ridere e un singulto isterico uscì dalle mie labbra serrate. Quando si parla del diavolo…
Ma ero soddisfatta e abbastanza impaziente, quando cominciai a sfogliare le pagine del libro. Finalmente avrei appreso la storia del vampiro più discusso del momento direttamente dalle parole dell’autrice, e non sarei più apparsa una completa ignorante di fronte alle acclamazioni della mia amica.
Non avevo mai pensato seriamente alla mia morte, recitava la prima frase, seguita da molte altre. Sorrisi, afferrando quel libro così improbabile tra le mie mani, e mi sistemai comoda sul sedile. Mi rimanevano ancora pochi minuti di viaggio, ma perché non sfruttarli al meglio? A dir la verità, quel volume mi incuriosiva e non poco, e già le prime parole avevano stuzzicato il mio istinto di lettrice. E poi, non ero forse impaziente di conoscere meglio questo Edward?
Con quei pensieri e la pioggia scrosciante che accompagnava i miei occhi avidi di sapere, cominciai a leggere il libro
Twilight.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tolsi le mani dal viso, facendo passate i polpastrelli sotto le palpebre morbide e asciugando l’ennesime lacrime che minacciavano di scappare dai miei occhi. Chinai lo sguardo sulla figura adagiata sul letto di fronte a me. Ancora una volta, guardandola, non potei evitare che il cuore mi si stringesse nel petto.
Alessia sembrava piccola e indifesa, sotto tutte quelle coperte, in mezzo a tutti quei fili. Lei era indifesa, era fragile. Lo era da una settimana, ormai.
Sfiorai il suo viso con la mia mano tremante. Era pallida e immobile. Era sempre immobile. Non potevo sopportare la vista della mia amica, la mia Alessia, così vitale, vivace, gioiosa, che se ne stava lì, fredda e come morta.
Dov’è il tuo principe azzurro? Quand’è che verrà a salvarti?
Mi risedetti sulla sedia che ormai abbandonavo raramente. Ero sempre al suo fianco. Finita la scuola, schizzavo in ospedale da lei, studiavo lì, le parlavo di sciocchezze, mi confidavo con lei. I medici ci avevano detto di fare così, di parlarle come se lei potesse sentirci. Ma lei non poteva, o se poteva, perché non si muoveva, non dava segni di aver sentito le mie parole?
A volte non riuscivo a nascondere le lacrime, i singhiozzi, e allora la pregavo e scongiuravo di tornare da me, di tornare dai suoi amici.
Come io non lasciavo mai il capezzale di Alessia, così Umberto non lasciava mai me. E quando c’era lui un po’ del dolore se ne andava, e aspettare non sembrava più così impossibile. Spesso il mio ragazzo arrivava insieme a Giorgio, e allora l’atmosfera si riscaldava e diventava familiare, come le battutacce del mio amico. Sorrisi a quel pensiero: Alessia l’avrebbe fatto.
Con mia enorme sorpresa, anche Rosaspina si recava spesso in “quell’edificio triste e puzzolente”. Sebbene non sopportasse gli ospedali, anche lei era venuta a trovare la mia amica. Erano venuti tutti, tranne la persona che più avrei voluto venisse.
Dopo quella terribile giornata, Nicolò era diventata un’altra persona. Era chiuso, triste, riservato. A scuola mi evitava, ci evitava tutti. E sebbene in parte lo capissi, non potevo fare a meno di provare un misto di rabbia e compassione per lui.
Presi la mano fredda e abbandonata della mia amica tra le mie, cercando di trasmetterle un po’ di calore insieme al mio amore, sempre amore.
-Andrà tutto bene- dissi, più a me stessa che a lei. Ormai quella frase era diventata un ritornello di una canzone triste, un mantra che ripetevo ogni giorno, ogni volta che pensavo sarei rimasta schiacciata dagli eventi.
Ogni volta che il peso dei ricordi mi sommergeva, rischiando di soffocarmi.




Il primo senso a tornare a funzionare nel mio corpo fu l’udito. Sentii un sonoro crac, come se qualcosa di molto grande si fosse spezzato.
Tolsi le mani dagli occhi, e fu la volta della vista. L’immensa barriera che aveva circondato Daniele e Alessia e che aveva tenuto alla larga Nicolò non era più invisibile. A dire il vero, non era più nemmeno intatta. Il mio amico e il suo vampiro l’avevano rotta, non so come. Schegge bellissime e luminose tagliavano l’aria.
Quando Umberto mi chiamò, il mio udito rispose.
-Elisabetta, vai da Alessia!-
Le mie gambe si mossero verso quella scena da cui sarei solo voluta scappare. La mia amica era a terra, non più tra le braccia assassine di Daniele. Mi chinai su di lei, prendendola tra le mie mani, e il tatto mi confidò quanto fosse fredda la sua pelle. Sul suo collo, segni viola indicavano il passaggio delle dita implacabili di quel mostro.
Mostro.
Strinsi Alessia al mio petto, strizzando gli occhi e liberando le lacrime. Aprii la bocca e il gusto mi sussurrò il sapore salato e disperato di quelle piccole perle bagnate.
Infine il mio olfatto respirò. Respirò odore di morte, l’odore della vita che se ne va, la vita della mia amica. Il rumore di un motore potente mi distolse dai miei pensieri.
Mi voltai e individuai subito l’enorme pick up che avanzava sbuffando verso il campo di grano. Si fermò con un rompo poco lontano da me, la portiera si spalancò e comparve l’ultima persona che mi sarei aspettata di vedere.
Il mio cuore reagì ancor prima della mia testa. Mancò un battito, poi riprese a pompare più forte, come se quella vista mi avesse ridato la voglia di vivere e la forza per farlo.
Urlai il suo nome, piangendo lacrime di gioia –Luca!-
Mi sorprese come, anche in mezzo a quel delirio, lui riuscisse a individuare proprio me. I suoi occhi trovarono i miei e lui corse al mio fianco. Lo accolsi con un sorriso, che dopo un attimo ricambiò. Poi, i suoi occhi si spostarono sul corpo esanime della mia amica.
-Dammi una mano a portarla in macchina, ha bisogno subito di un dottore- disse, tendendomi le braccia.
Lo seguii mentre correvamo verso il pick up. I miei occhi non abbandonarono mai il suo viso. Avevo così tante cose da dirgli, così tante domande…
Ma soprattutto, volevo che capisse quanto fossi contenta che lui fosse lì, con noi, con me.
Con estrema delicatezza, Luca adagiò sui sedili posteriori il corpo della mia amica. Le prese il polso, e mi stupii ancora una volta di quanto attenti e premurosi fossero i suoi gesti.
-Il battito c’è, è lento ma regolare- disse con la sua voce profonda. Poi incrociò il mio viso –Dobbiamo sbrigarci, non posso dire su due piedi come sia la situazione lì dentro- aggiunse, indicando il corpo della mia amica.
Annuii, pensando al lampo di tristezza che avevo visto passare nei suoi occhi. Poi, un grido ci fece voltare entrambi.
Daniele era accasciato di fronte a Nicolò, la testa fra le mani e un’espressione di pura sofferenza dipinta sul bel viso. Come il mio amico, anche lui aveva tagli e lividi qua e là. In piedi di fronte a lui, Nicolò lo guardava con odio e disgusto.
Daniele urlò ancora e una sagoma spettrale comparve al suo fianco. Istintivamente rabbrividii, mentre Luca si spostava davanti a me, facendomi scudo col suo corpo.
Il vampiro che era comparso era James, senza ombra di dubbio. Proprio come nel libro, era alto e muscoloso, il viso distorto da una smorfia cattiva, gli occhi rossi e luccicanti fissi su Jasper.
-Era ora che venissi allo scoperto- disse il mio amico vampiro.
-Mi sono divertito a osservare i vostri patetici sforzi- rispose James, senza cambiare espressione. Improvvisamente, capii dove avevo già visto quei lineamenti: erano gli stessi di Daniele. Spostai lo sguardo su di lui, sobbalzando per la sorpresa.
Daniele stava piangendo. Si teneva ancora la testa fra le mani e guardava James come se fosse un fantasma. Come se fosse un incubo.
Nicolò invece non distoglieva gli occhi da lui, e anche la sua espressione era immutata. Possibile che non si accorgesse di quello che era successo?
Guardai Umberto e i miei amici. Anche loro fissavano il ragazzo per terra con rabbia e disgusto. Vedere quei sentimenti sul viso di Umberto mi fece male al cuore.
Possibile che avessi capito solo io?
-Devi aiutarlo-
Mi voltai verso Luca –Devi aiutare quel ragazzo. Non so cosa sia successo e perché ce l’abbiano tutti con lui, ma è chiaro che non sa dove si trova e perché- dissse.
Annuii –Hai ragione-
Corsi verso Daniele, ignorando i richiami dei miei amici. Loro non capivano, non potevano capire. Mi fermai di fronte al ragazzo, che alzò gli occhi su di me. Trattenni il respiro. Il suo viso era di una bellezza sconvolgente, anche se rigato di lacrime. Gli occhi, di quel fantastico colore castano caldo, erano spalancati e completamente terrorizzati. Gli tesi una mano che lui afferrò e l’aiutai a sollevarsi in piedi.
-Elisabetta, cosa stai facendo?-
Sostenni lo sguardo di Nicolò –Sto aiutando un innocente-
Il mio amico spalancò gli occhi –Innocente? Ha quasi ucciso Alessia-
Sobbalzai –No, non è stato lui. È colpa di quel vampiro. Ma non capisci che era sotto il suo controllo? Guarda i suoi occhi, Nicolò! È più spaventato di tutti noi messi insieme-
Il mio amico non degnò di uno sguardo Daniele, che tremava al mio fianco –Le sue mani si sono strette intorno al collo della mia ragazza. Ha quasi ucciso la tua migliore amica, e ora tu lo difendi?- ripetè.
La risata di James squarciò l’aria, raggelandomi dentro.
-Così, litigate tra di voi! Mi rendete tutto più facile- disse, la voce carica di sarcasmo.
Inorridendo, mi accorsi di Jasper chino di fronte a lui, le mani sulla gola, il corpo scosso da sussulti. Davanti a me Nicolò cadde in ginocchio con un urlo, prendendosi la testa tra le mani, mentre lacrime di dolore gli rigavano il viso.
-Basta!- urlai –cosa gli stai facendo?!-
-Sta frugando nelle loro menti- disse Edward, glaciale al fianco del mio ragazzo –è questo il suo potere: piegare le volontà-
Tesi una mano verso Nicolò ma le mie dita incontrarono ancora la barriera invisibile. Incrociai lo sguardo rosso e assassino del vampiro, e una certezza mi colpì: se non avessi fatto qualcosa, Nicolò e Jasper sarebbero morti. Pensai alla mia amica esanime, al ragazzo terrorizzato al mio fianco, e una grande rabbia mi esplose nel petto.
Allargai le braccia, fissando quelle iridi scarlatte –D’ora in avanti, tu non farai più male a nessuno- dissi, la voce potente e amplificata da non so quale potere. Me ne sentivo pervasa, rinvigorita. Con quell’energia, potevo fare tutto. Potevo liberarci da quel male.
Mentre gli occhi di James si allargavano e il terrore prendeva forma sul suo volto, sentii al mio fianco la presenza di Bella.
Grazie per essere qui, le dissi mentalmente.
Riuscivo quasi a vederla sorridere. Non ringraziarmi, è un dovere, rispose. Non feci in tempo a chiederle il perché di quel tono così triste, che il mondo esplose davanti ai miei occhi.
Di nuovo schegge di vetro brillarono del cielo, catturando mille riflessi. La rottura della barriera fu accompagnata dall’urlo di James, un suono soffocato e pregno di dolore. Incrociai un’ultima volta quegli occhi così inquietanti. L’espressione strafottente aveva finalmente abbandonato il suo viso.
Poi, in un tripudio di luce e brillii, James esplose in mille pezzi.
Caddi per terra. Dentro di me, qualcosa si ruppe. Fu come se mi venisse strappato un pezzo di cuore.
Poi, tutto si fece buio e svenni.




Ero stata in ospedale tre giorni. Ventiquattro ore le avevo passate a dormire. Poi mi avevano tenuta in osservazione. Volevo tornare a casa, ma i medici avevano insistito. Erano preoccupati per il mio colorito pallido e i miei occhi rossi, sempre gonfi di pianto. Ma quello che si era rotto dentro di me non poteva essere aggiustato da nessun dottore.
Lo scatto della porta mi fece girare. Mi voltai, pronta a sorridere al mio ragazzo. Fui sorpresa di incontrare due occhi castani che mi guardavano colpevoli.
-Ciao- dissi di getto, trattenendo il respiro.
-Ciao- Luca mi guardò in faccia, circospetto. Improvvisamente, mi ricordai perché mi era piaciuto tanto. Sembrava avere la capacità di leggermi dentro con i suoi occhi così caldi ed espressivi.
-Non ti sei fatto più vivo- la mia non era una domanda. Semplicemente, era vero. Dopo quel giorno al campo di grano non l’avevo più visto, né a scuola né fuori. Non era mai venuto in ospedale, e non mi aspettavo che l’avrebbe mai fatto.
-Mi dispiace-
Scossi la testa, sorridendo debolmente –Non devi dispiacerti. Hai fatto anche troppo per noi- strinsi la mano che cingeva le dita di Alessia.
-Come sta?- chiese Luca, guardando la mia amica.
-Sta- risposi –i medici dicono che l’unica cosa da fare è aspettare-
Mi voltai verso di lui, gli occhi gonfi di lacrime –Ho aspettato. Sto aspettando da una settimana. Non un segno di vita, nulla- un singhiozzo sfuggì alle mie labbra –io odio aspettare. Mi fa sentire così…impotente-
Improvvisamente fui tra le sue braccia. Luca mi strinse a sé e bastò quel gesto a trasmettermi tutto il suo amore e la sua solidarietà. Poggiai la testa sulla sua spalla, piangendo silenziosamente.
Quando ci staccammo, gli sorrisi –Ti ho bagnato tutta la maglietta-
Lui guardò la macchia umida, facendo spallucce –Tanto poi la lava mia madre-
Un suono cristallino riempì l’aria. Impiegai qualche secondo a rendermi conto che si trattava della mia risata.
-Non ridevo da un sacco di tempo- dissi, sorpresa.
Luca sorrise –Allora una cosa buona l’ho fatta-
Lo guardai, tornando seria –Io ti volevo ringraziare. È merito tuo se Alessia è ancora qui. In coma, incosciente, ma viva-
Vidi le sue guance tingersi di rosso –Non ho fatto nulla. È merito tuo-
-Mio?-
-Sei stata tu a guidarmi. Io…a volte penso di riuscire a sentire i tuoi pensieri. Anzi, no. È qualcosa di più…le tue sensazioni, sì, ecco-
Aveva parlato tutto d’un fiato, impappinandosi, ma mi aveva lasciata lo stesso senza parole.
-Tu…senti quello che provo?-
Luca annuì, lentamente.
Lo guardai, scavando in quegli occhi castani –Dimmi cosa sento adesso-
-Non è una cosa che posso comandare-
-Tu provaci-
Lui mi guardò ancora un attimo, poi chiuse gli occhi e si concentrò. Cercai con tutte le mie forze di trasmettergli tutta la mia riconoscenza e la mia amicizia. Perché da tempo avevo capito che il sentimento che provavo per lui era cambiato. Sì, un tempo l’avevo amato, e probabilmente un po’ l’avrei amato per sempre. Un grande amore lascia sempre qualche traccia dentro di noi. Ma ora lui aveva preso il giusto posto nel mio cuore. Il posto di un fratello, mentre Umberto aveva occupato quello del mio amore. Lui sarebbe sempre stato il mio amore, l’unico e insostituibile.
Luca aprì gli occhi e mi guardò.
-Non funziona- disse, ma in quelle iridi così espressive lessi ciò che volevo: aveva capito, e aveva accettato la cosa. Sapevo che lui mi avrebbe amata per sempre, ma che avrebbe imparato a convivere con quel sentimento.
Sorrisi –Peccato-
Poi bussarono alla porta.
-Avanti!- gridai, sorridendo di gioia quando il profilo familiare del mio ragazzo comparve sulla soglia.
Umberto si fermò, lanciandomi una breve occhiata e fissando il suo sguardo su Luca. Alzai gli occhi al cielo, ignorando l’aria satura di testosterone. Mentre i due si squadravano decisi di intervenire in tempo prima che tirassero fuori le clave e cominciassero a darsele vicendevolmente in testa.
-Luca è venuto a trovare Alessia- esordii.
-Un pensiero gentile, da parte tua- commentò Umberto, educato.
Luca grugnì un assenso, poi si rivolse a me -È meglio che vada ora-
-Va bene. Ci vediamo a scuola- gli dissi.
-Anche prima- rispose, facendomi l’occhiolino. Poi, si chinò a baciarmi su una guancia.
Prima di uscire lanciò un’occhiata a Umberto che era ancora fermo sulla soglia. Si spostò per farlo passare e rimanemmo da soli.
-Stronzo bastardo- lo sentii mormorare, mentre si chiudeva la porta alle spalle. Lo guardai male e lui venne a sedersi al mio fianco.
-Non dovete fare così. Le cose tra me e lui si sono sistemate. Adesso tocca a voi-
-Magari quando la smetterà di guardarti in quel modo io smetterò di volerlo pestare-
Sbuffai, ma ricambiai il tenero bacio che Umberto mi diede.
-Mi sei mancata- disse, le labbra contro le mie.
-Anche tu- sussurrai, il cuore che mi batteva forte.
Inizialmente, non pensai niente mentre approfondiva il contatto. Le nostre lingue si scontrarono, cominciando a danzare impazzite nelle nostre bocche. Quando le sue mani furono sul mio corpo, un leggero tepore nacque nella mia pancia.
-O vi prego, trovatevi una stanza!-
Mi separai da Umberto, guardando la mia amica senza poter credere ai miei occhi. Alessia era sveglia, e mi guardava con sguardo di rimprovero –Guarda che non sto scherzando, non bisognerebbe fare certe cose, specialmente davanti a…-
Non la lasciai finire, gettandomi su di lei piangendo e ridendo allo stesso tempo.
-Ehi- protestò la mia amica, ma vidi che anche le sue guancie erano bagnate.
-Sei viva!- riuscii a dire tra un singhiozzo e l’altro.
-Ma certo, ci vuole ben altro per farmi fuori- commentò Alessia.
Mi staccai da lei, guardandola tra le lacrime –Questo è un miracolo-
Il rumore della porta che si apriva attirò la mia attenzione.
Mi voltai e vidi Nicolò sull’uscio, che guardava sconvolto Alessia.









Okkei, questo doveva essere il penultimo capitolo. Quindi, ovviamente, me mancheranno ancora tre o quattro. Lo so, lo so, sono prolissa, ma mi lascio prendere dalla storia, dalle parole! Non abbiatevene!
Come tutte le mie storie, anche questa è piuttosto contorta. Ma io sono brava e buona, quindi vi fornirò le dovute spiegazioni prima della fine ;)
Vi chiedo un favore: lasciate una recensioncina, anche piccolina piccolina? Questa storia si sente abbandonata, e a dirla tutta anche io :( fatevi sentire mie lettrici!
Un bacione,
Ele
   
 
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