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Autore: My Pride    07/12/2011    3 recensioni
Forse lo scopo della nostra vita è il viaggio stesso, non la destinazione. Qualunque risposta mi attenda, oggi è l’inizio del mio viaggio.
La mia storia comincia qui.

Quell’occhiata avrebbe dovuto mettermi soggezione, probabilmente, ma in quel momento ero troppo preso dalla foga di quella che sperai sarebbe stata la mia prima avventura.
Di una cosa, però, ero sicuramente certo: non sapevo in che guaio mi ero cacciato.
[ Prima classificata al «Pirates Contest!» indetto da visbs88 ]
[ Vincitrice del Premio Coppia più originale al «Chi è normale non ha molta fantasia» indetto da Butterphil ]
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Curse of the sea'
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Oceani_4 ATTO IV: ROSEAU › MAR DEI CARAIBI, 1768
SHIVER ME TIMBERS!
[1]

    E
ssere riusciti ad arrivare fino a Roseau con quella bagnarola ridotta in quello stato pietoso era un vero e proprio miracolo. Avevo creduto che saremmo affondati ancor prima che la nostra caravella prendesse il largo o giungesse nei pressi di Plymouth, interrompendo così bruscamente il viaggio in cui ci eravamo imbarcati. Invece eravamo sopravvissuti. Contro ogni previsione, certo, ma eravamo sopravvissuti. L’unico problema era che, adesso, quella nave era quasi del tutto inutilizzabile.
    Era ciò a cui pensavo mentre me ne stavo seduto al tavolo di una pessima locanda lì a Roseau in compagnia degli unici due componenti della mia ciurma, che si stavano ingozzando come maiali davanti ai miei occhi. L’aria era asfissiante e puzzava di sudore, carne stantia e whisky scadente, e il caldo era così insopportabile che mi ero liberato della casacca per restare solo in camicia. Patrick e Cid, invece, sembravano non essersi accorti di niente o non farci minimamente caso, troppo intenti a consumare le pietanze che avevano dinanzi con voracità, quasi non mangiassero da giorni. E, beh, quello era quasi del tutto vero.
    Sbuffai sonoramente e abbassai lo sguardo nel mio piatto, scansando svogliatamente qualche pezzo di carne che avevo precedentemente tagliato. A differenza loro, io non avevo tutta quella gran voglia di mangiare. Ero stato tormentato per tutto il viaggio dal pensiero di quella stupida mappa, senza capacitarmi del perché Cid avesse deciso di rubarla. Era sempre stato affascinato da cartacce varie e cimeli antichi, era una cosa di cui ormai ero a conoscenza, però non aveva molto senso di inimicarsi la marina solo per una stupida mappa. Avrei preferito fare qualcosa di più grandioso se proprio dovevo ritrovarmela fra i piedi.
    «Lei non mangia, Capitano?» Alzai lo sguardo non appena la voce di Patrick si fece largo fra i miei pensieri, e sbattei le palpebre per osservarlo in viso. Durante quella nostra traversata di era calmato pian piano e aveva cercato di seppellire momentaneamente nei recessi della sua mente la bombardata che avevamo subito, capendo subito da solo che soffermarsi su quel determinato avvenimento non avrebbe portato praticamente a nulla. Ragazzo intelligente.
    Scossi di poco il capo e fissai Cid, chiedendomi come facesse ad essere così tranquillo ora che ci trovavamo sulla terra ferma. Beh, a ben pensarci non avrei dovuto stupirmi più di tanto. «Dobbiamo procurarci una nave, Cid», lo riportai all’ordine, vedendolo alzare lo sguardo con fare confuso. Aveva la bocca piena ed entrambe le mani occupate, visto che con una reggeva un boccale colmo di liquore e con l’altra la forchetta, sulla quale era stata infilzata così tanta carne che ebbi quasi la netta impressione che alcuni pezzi potessero ricadere nel piatto da un momento all’altro.
    «A quella ci penso io», bofonchiò, sputacchiando qualche frammento di carne prima di annuire convinto e inghiottire. «Ne sceglierò una con le contro palle. Vedrai che ti piacerà da morire, Gale».
    «Sceglierla?» ripeté Patrick, fissandolo attento. «Che significa?»
    «Che la prenderò in prestito, mi sembra ovvio». Mimò la parola con le virgolette non appena ebbe le mani libere, sorridendo divertito nel vedere l’espressione incredula che si era dipinta sul volto del ragazzo. «Andiamo, cosa ti aspettavi? Che andassi lì e la comprassi tranquillamente? Siamo pirati, per tutti i pescecani».
    «Lascia stare il ragazzo, Cid», rimbeccai sarcastico, scostando da me il piatto che avevo dinanzi per concentrarmi invece sul mio boccale. Ignorai il fatto che il mio vice avesse adocchiato il mio cibo e sbuffai, aggiungendo, «Questa non è la sua vita».
    Patrick, però, aggrottò la fronte. «Ma posso imparare», replicò in tono serio, stringendo la presa sulla forchetta e maledicendosi per averlo fatto pochi istanti dopo. Gli avevo fasciato le dita e le mani con delle garze non appena avevo potuto, giacché le ferite che si era procurato non avevano smesso un secondo di sanguinare. Aveva anche un taglio sul viso, ma quello l’avevamo tralasciato perché era poco più di una ferita di striscio.
    Mi grattai la testa, brontolando, «Per essere un pirata devi essere pronto a tutto, anche ad uccidere, se necessario». Lo vidi deglutire e, prima che tornasse ad aprire bocca per ribattere, lo fermai alzando bruscamente una mano. «Non una parola, Patrick. Torna a mangiare».
    Cid non poté fare a meno di ridacchiare per l’espressione che si era dipinta sul volto del ragazzo, che aveva aggrottato le sopracciglia con fare nervoso e incrociato le braccia al petto, gonfiano le guance come un moccioso. Che si arrabbiasse pure; meglio vederlo nervoso che vederlo morto o ridotto ad un pirata della peggior specie. Non che io e Cid fossimo poi dei così bravi ragazzi, però... avevamo i nostri limiti e cercavamo di non superarli, se riuscivamo ad evitarlo.
    Fu proprio a quel punto che, una volta terminata del tutto la propria cena - ed essersi mangiato anche ciò che avevo rimasto nel piatto, dannazione a lui -, Cid tirò fuori dalla tasca quella maledetta mappa che aveva rubato, sorridendo al mio indirizzo. «Guardala, non è fantastica?» mormorò con occhi sognanti, e ci mancò poco che cominciasse a baciare con ardore quel pezzo di carta, neanche si fosse trattato di una donna focosa. «Apparteneva al grande Barbanera in persona, e pare sia stata confiscata anni fa a causa del segreto che gravava su di essa».
    «Che razza di segreto?» domandai con scarso entusiasmo. Per me restava solo una mappa come un’altra.
    «Nessuno lo sa con certezza», rispose. «La marina cerca di capirlo dal giorno in cui l’hanno presa, si dice, ma pare che nasconda luoghi di tesori formidabili. Non mi meraviglio che quel Commodoro volesse tenersela a tutti i costi».
    Sollevai un sopracciglio. «Credi davvero che sia per questo motivo?»
    «E per cos’altro, altrimenti?» mi chiese stralunato, abbassando lo sguardo sulla mappa. Segnava tutto il mar dei Caraibi e le varie isolette che lo popolavano, ma era così logora che diversi punti si erano cancellati, mostrando unicamente zone morte.
    Feci per rispondere, ma al mio posto parlò Patrick. «Non sarebbe poi così strano, conoscendo il Commodoro Waine», ci informò, e ci voltammo entrambi ad osservarlo. Aveva abbassato lo sguardo e fissava ostinatamente il piatto ormai vuoto che aveva dinanzi, la fronte aggrottata per la concentrazione e le mani chiuse a pugno poggiate sulle cosce. «E’ un ufficiale spietato e senza scrupoli, quasi al pari di parecchi pirati che solcano questi mari. Ne ha trucidati a centinaia e ne ha pedinati altrettanti, volendo a tutti i costi assicurarli alla giustizia... peccato che i suoi metodi siano poco ortodossi». La voce gli divenne incerta e arricciò il naso, disgustato. «Come se non bastasse, poi, è uno a cui piace incutere timore persino fra i suoi uomini. Tre mesi fa ha impiccato uno dei suoi sott’ufficiali solo perché l’aveva sentito commentare negativamente il suo modo di agire». Lo vidi rabbrividire sotto i miei occhi, e fu solo a quel punto che alzò lo sguardo su di noi. «Le sue angherie e la sua avarizia non hanno limiti... non mi meraviglierei del fatto che voglia tenersi quella mappa e carpirne il segreto».
    Lo sguardo che ci lanciammo io e Cid non lasciò spazio a fraintendimenti alcuni: quell’uomo, che eravamo sicuri si fosse messo sulle nostre tracce, rappresentava un pericolo che avremmo dovuto evitare per il raggiungimento ultimo del nostro obiettivo. Non potevamo farci fermare da uno stupido ufficiale della marina. «Arricchendosi potrebbe consolidare il suo potere», costatai d’un tratto, grattandomi il mento con fare pensoso, «e la cosa risulterebbe più complicata di quanto non lo sia adesso per ogni singolo pirata del mar dei Caraibi». Scoccai un’occhiata a Cid, dando vita ad un mezzo sorriso sarcastico prima di sporgermi verso di lui per dargli una sonora pacca su una spalla. «Tutto sommato hai fatto bene a rubare quella mappa, figlio d’un cane che non sei altro».
    Abbozzò a sua volta un sorriso, facendo un cenno galante con il capo. «Te l’ho sempre detto che puoi fidarti ciecamente di me, oh mio Capitano», rimbeccò divertito, afferrando il proprio boccale e spronando noi a fare lo stesso. Patrick gli gettò un rapido sguardo prima di prenderlo a sua volta, e lo feci anch’io alzando un po’ lo sguardo al soffitto, brindando con loro per un motivo che neanche noi eravamo sicuri di conoscere.
    Passarono un altro paio d’ore, durante le quali cercammo di fare il punto della situazione e di capire come avremmo dovuto riprendere il nostro viaggio; Cid continuava a dire di voler rubare una nave piccola e veloce che ci avrebbe permesso di prendere il vento in poppa e di seminare eventuali imbarcazioni della marina, mentre Patrick, ancora segnato dall’avvenimento accaduto poche ore addietro, discuteva con lui animatamente e insisteva con il voler prendere qualcosa di più simile ad un galeone - molto più grosso e resistente -, provando a fargli cambiare idea. Dal canto mio, tra l’altro, li lasciavo semplicemente fare. Quel che volevo era semplicemente andarmene il più in fretta possibile da lì e prendere nuovamente il largo, visto che avevamo perso già fin troppo tempo in quella parte del mar dei Caraibi.
    Con le orecchie ormai piene delle chiacchiere di quei due distolsi lo sguardo, facendolo vagare distrattamente in quella bettola come se volessi controllare i clienti presenti; brutti ceffi della peggior specie erano seduti ai tavoli a consumare a loro volta la cena, mentre altri si sollazzavano con le poche donne presenti dai seni prosperosi e in bella mostra. Tutto sommato l’atmosfera era piuttosto vivace, ma essa si frantumò nel momento esatto in cui la porta della locanda si aprì e fece il suo trionfale ingresso un uomo in divisa che mi sembrava di aver già visto, e non ci misi molto a capire di chi si trattasse: il Commodoro Waine alla fine ci aveva trovati.
    Imprecai a denti stretti e, afferrando quegli altri due idioti per la camicia che indossavano, mi fiondai verso il primo muro che riuscii a trovare, portandomeli dietro in fretta e furia e sfruttando esso per nasconderci. Ci misero un po’ a rendersi conto del mio gesto, e prima ancora che Cid potesse aprir bocca per protestare gli voltai la testa verso la ressa della locanda, vedendolo sgranare gli occhi subito dopo. «Dannazione, proprio non molla quel tizio, eh?» sussurrò a mezza voce, lo sguardo ancora puntato sul Commodoro. Si era poggiato con entrambe le braccia al bancone e stava parlando animatamente con il locandiere, sventolando con fare nervoso un foglio spiegazzato dinanzi al suo viso. Non riuscendo a capire che cosa fosse, sgranai gli occhi nel rendermi conto che quello era un manifesto da ricercato, e impallidii nel vedere di sfuggita il volto di Cid su di esso. Ci avevano messo davvero poco a procurarsi un ritratto e a ficcargli una taglia sulla testa, maledizione.
    «Adesso puoi considerarti un vero pirata, Cid», lo sfottei sottovoce, al che lui si girò e mi scoccò un’occhiataccia, nascondendosi poi dietro al muro quando vide il Commodoro volgere uno sguardo nella nostra direzione. Ci rendemmo conto che il locandiere non aveva aperto minimamente bocca solo quando sentimmo il Commodoro imprecare contro di lui, e con la coda dell’occhio lo vidi affiggere quel manifesto al muro accanto al bancone, srotolandone un altro dalla tasca per fissare anche quello accanto al primo. Fu con somma sorpresa che mi accorsi che quello era il mio mandato di cattura, e sebbene non vi fosse scritto alcun nome, quel “Vivo o morto” quasi marchiato a fuoco lasciava benissimo intendere che alla marina importava ben poco. Och, beh, almeno la somma per la mia testa era quella che era. La cosa che mi rallegrò fu vedere che non ce n’era uno anche per il ragazzo. Avrebbe ancora potuto star tranquillo.
    «Se li vedete», cominciò poi il Commodoro, picchiettando l’uno e l’altro con un dito, «dovrete informare immediatamente la marina. Ogni intransigenza sarà severamente punita secondo la legge. Non provate a catturarli... quei due stronzi sono miei». Quelle parole le pronunciò con un ringhio rabbioso prima di continuare. «Hanno con sé anche un ostaggio: un ragazzo magrolino e di media statura, con lunghi capelli castani legati in un codino. Il padre lo rivuole indietro».
    Al mio fianco sentii Patrick sussultare, e si passò le mani sulle braccia come se avesse freddo; lo guardai per capire che cosa gli fosse preso, ma lui ricambiò la mia occhiata e indietreggiò, pestando senza volerlo la coda del gatto della moglie del proprietario. Quest’ultimo miagolò e drizzò il pelo sulla schiena, soffiandogli contro e richiamando l’attenzione del locandiere e del Commodoro, che si voltò nella nostra direzione.
    Ciò che successe in seguito accadde come a rallentatore: il Commodoro sgranò gli occhi nel momento esatto in cui ci vide, imprecando a denti stretti prima di correre verso di noi che, d’altro canto, ce l’eravamo letteralmente data a gambe non appena l’avevamo visto muoversi. Non ci voleva proprio. Avevo sperato di riuscire a sgattaiolare fuori di lì senza farci scoprire, ma a quanto sembrava mi ero sbagliato.
    Imboccammo un vicolo in cui provvidi a rovesciare i barili riposti contro il muro di uno dei palazzi, così da rallentare quel figlio d’un cane che ci veniva ancora dietro; incespicò e quasi rischiò di cadere, ma si mantenne in piedi per miracolo prima di riprendere la sua folle corsa. Tornai a guardare avanti, imprecando a denti stretti. Quel tipo non mollava proprio. «Cid!» Il mio vice si voltò appena verso di me, affrettandosi a riportare lo sguardo dritto dinanzi a sé ed evitando per un pelo una fila di casse di legno. «Porta Patrick con te, io proverò a farmi seguire! Ci rivediamo al porto tra dieci minuti esatti!»
    Non si voltò, ma alzò una mano per farmi intendere d’aver capito. «Vedi di non tardare, idiota!» esclamò di rimando, accostandosi a Patrick e svoltando svelto insieme a lui verso sinistra; lo vidi scomparire in quella stradina nel momento esatto in cui un colpo di pistola mi fischiò sinistramente nell’orecchio, passando oltre. Sgranai gli occhi e aumentai la mia andatura, lanciando un grido allarmato quando un secondo colpo rischiò quasi di centrarmi una gamba. Aveva difatti beccato il marciapiede, ma ci era andato maledettamente vicino.
    Con una capriola, mi gettai a sinistra, inzaccherandomi il giaccone in una pozza di fango creatasi a causa della precedente pioggia; per quanto tenessi a quel logoro e vecchio cappotto non vi diedi momentaneamente importanza, afferrando a mia volta la pistola che tenevo alla cintola per puntarla svelto verso il Commodoro. Non vedendolo più dietro di me, però, mi accigliai. Dove diavolo era finito? La risposta mi giunse così in fretta che quasi capitai a capire esattamente cosa fosse successo, sentendo il sinistro arretrare del cane di una pistola vicino alla mia nuca.
    «La corsa è finita, pirata». La voce del Commodoro mi giunse come uno stridio fastidioso, dovuto forse anche al respiro spezzato dal troppo correre. «Metti immediatamente giù quell’arma e tieni le mani ben in vista».
    Obbedii, pur non avendone la benché minima intenzione. Quel tipo, però, sembrava più che intenzionato a sparare, e io non volevo di certo concludere lì la mia vita. Mi portai le mani dietro alla nuca e sfiorai inavvertitamente la pistola, sentendone il metallo freddo a contatto con le dita; quella stessa arma piombò a colpirmi il capo con furia, mandandomi quasi al tappeto. Boccheggiai e socchiusi gli occhi, attendendo il momento esatto per fare qualcosa... ma cosa?
    «Niente scherzi», mi redarguì il Commodoro. «Chi di voi due fottuti bastardi ha la mia mappa?»
    Deglutii e mi umettai le labbra. «Non ho idea di cosa stia parlando, Commodoro», replicai, sforzandomi di essere il più credibile possibile, almeno per quanto concessomi dalla situazione in cui versavo.
    Lui mi assestò un altro potente e violento colpo alla testa, nervoso. «Non ti conviene giocare con me, ragazzo», sibilò, afferrandomi per i capelli e portandomi alla sua stessa altezza. Potei così fissarlo con attenzione in viso, scorgendo le pressappoco invisibili cicatrici che lo deturpavano. Ne aveva una che gli percorreva lo zigomo destro e uno svariato reticolo sul lato sinistro del viso, un ammasso cicatriziale così fitto che mi sembrava quasi impossibile che non le avessi viste fino a quel momento. Quelle erano la chiara testimonianza che si era sempre sporcato le mani, facendo tutto da solo. «Consegnatemi la mappa e vi lascerò andare; non me ne faccio nulla delle vostre misere taglie».
    Sentii il calore del sangue lungo il viso e quasi faticai a tenere gli occhi aperti a causa del nuovo colpo che mi centrò in pieno viso, facendo scricchiolare orrendamente la mia mascella. Quel marinaretto ci stava andando giù pesante, ma non avrei mai venduto i miei compagni per aver salva la vita. Sarei morto piuttosto che disonorarmi in quel modo. «La mappa», biascicai, leccandomi via il sangue dalle labbra, «dovrà andare a litigarsela con gli squali, Commodoro».
    «Non mentire, pirata», replicò adirato. «Tu e il tuo amichetto vi credete furbi, eh?» Mi afferrò per il colletto della camicia e mi issò da terra con forza incredibile, tanto che i miei piedi quasi non sfiorarono più il terreno sottostante, ciondolando. «Mi state sottovalutando».
    Aprii piano un occhio e tentai di rispondergli, ma in quel mentre un cupo rimbombo risuonò nell’aria e una spruzzata di sangue mi inzaccherò il viso, proprio nel momento esatto in cui il Commodoro allentò la presa e mi lasciò; le sue grida disarticolate mi riempirono le orecchie, e fu tossendo che alzai lo sguardo su di lui, vedendolo con una mano convulsamente stretta sul proprio avambraccio. Perdeva copiosamente sangue, e brandelli di stoffa e carne erano ricaduti a formare una pozza più scura del fango.
    «È lei che sottovaluta noi», dichiarò infine una voce, e voltandomi nella direzione da cui proveniva vidi la figura sfocata di Cid, che reggeva la propria pistola e la puntava verso di noi. «La prossima volta tenga giù le mani dal mio compagno, Commodoro».
    «Brutto bastardo!» sputacchiò quest’ultimo, agguantando con una mano insanguinata la propria arma; la puntò verso Cid e fece fuoco, colpendolo ad una spalla solo perché lui non fu abbastanza rapido da scansarsi.
    Vedendolo barcollare, gridai «Cid!», ma nel momento stesso in cui provai a rimettermi in piedi le mie gambe cedettero inesorabilmente. Imprecai, sentendo un altro colpo di pistola riempire sinistramente l’aria; alzai la testa di scatto e fissai Cid ad occhi sgranati, vedendo la camicia che indossava praticamente imbrattata di sangue. A cadere, però, fu il Commodoro. L’espressione sgomenta sul suo viso era come marchiata a fuoco, e crollò al suolo lasciando gradualmente andare la pistola che reggeva, colpito in pieno stomaco; boccheggiò e tossì sangue, tentando inutilmente di girarsi su un fianco per riprendere quella lotta che aveva ingaggiato.
    Cid approfittò proprio di quel momento per correre verso di me, allontanando con un calcio la pistola dalla portata del Commodoro prima di chinarsi e afferrarmi per un braccio, facendo in modo che gli circondassi le spalle con esso. «Ce la fai a camminare?» mi domandò preoccupato, ma lo colpii con un violento pugno in testa, ignorando i suoi lamenti.
    «Idiota!» esclamai, lasciandomi però trascinare via da lì, lanciando un’ultima rapida occhiata al Commodoro. Tentava ancora di rimettersi in piedi e di inseguirci... che tipo tenace. In fondo era un peccato doverlo lasciare al proprio destino. Socchiusi gli occhi, continuando a prendermela poi con quello stupido del mio vice. «Sei ferito più di me, che diamine avevi in testa?!»
    Cid strinse gli occhi, dando vita ad una smorfia. «Sono solo colpi di striscio, pirata isterico che non sei altro», sbottò. «E’ questo il tuo ringraziamento per essere venuto a salvarti?»
    «Sei comunque un idiota! Non avevo bisogno del tuo aiuto, me la stavo cavando alla grande!» rimbrottai, conscio che si trattasse di una bugia bella e buona. Ma, ehi, avevo il mio orgoglio, io, dannazione! Ero pronto ad inveirgli contro ancora una volta, ma, inaspettatamente, Cid mi caricò letteralmente sulle spalle, lasciandomi basito. Scombussolato, imprecai contro di lui e tentai di farmi mettere giù, lasciandogliela ben presto vinta a causa dei giramenti di testa che mi avevano assalito. «Guarda che non ti ho perdonato, anche se mi stai portando in spalla», borbottai. «Saresti dovuto restare al porto e aspettarmi».
    «Ho avuto un brutto presentimento», replicò senza tanti giri di parole. «E come vedi ci avevo visto giusto». Quando continuò, sentii dalla sua voce che stava sorridendo. «In compenso, però, ti ho procurato una signora nave».
    Mi issai un po’ e mi portai una mano alla fronte, lasciandomi sfuggire uno sbuffo divertito nonostante tutto. «Ti conviene sperare che sia davvero così, Cid», replicai. «Ti conviene proprio sperarlo». Non attesi poi risposta, accasciandomi contro di lui per poggiare la testa sulla sua schiena, concentrato sul ritmico sobbalzare che compiva il suo corpo ad ogni rapida falcata. Attraverso l’orlo delle ciglia vidi sfrecciare davanti ai miei occhi case dai muri tutti uguali e scalinate che portavano alla parte alta della città, dove risate e schiamazzi si sentivano nell’aria e rallegravano l’ambiente; le luci cominciavano ad affievolirsi in direzione del mare, e il suono della risacca sovrastò ben presto il rumore creato da voci umane.
    «Cid! Capitano Gale!» La voce di Patrick proveniva dal fondo della banchiglia, e alzando lo sguardo oltre il capo di Cid potei vederlo agitare le mani e le braccia per farci cenno di sbrigarci. Quando fummo ad una certa distanza e il mio vice mi rimise giù, poi, riuscii a scorgere sul suo viso i segni della preoccupazione. «Cos’è successo?» gracchiò spaventato. «Siete coperti di sangue!»
    Assicuratosi che io mi mantenessi in piedi senza bisogno di aiuto, Cid gli si avvicinò e gli diede un’amichevole pacca su una spalla, abbozzando un sorriso. «Rilassati, ragazzo. Questo sangue non è nostro», mentì, tappandogli immediatamente la bocca con una mano quando lo vide in procinto di parlare ancora.
    Voltandosi verso di me, poi, allargò il sorriso e, ignorando gli strepiti soffocati di Patrick, mi indicò con la mano libera un vascello alla nostra destra, le cui vele nere erano già state tirate giù e sventolavano nel vento serale. Era la più grossa nave che avessi mai visto dopo la Conqueror. «La Cruises Fear», dichiarò solenne. «Benvenuto a bordo della sua nuova nave, Capitano»
.
 

 

[1] Espressione di sorpresa oppure di paura.
La scelta del titolo sarà chiara mano a mano che si andrà avanti con la lettura del capitolo.


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