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Autore: HarleyQ_91    21/12/2011    1 recensioni
“Ehm… credo che dovremmo fare l’esercizio”. Mi azzardai a dire.
Lui rilassò la fronte e assunse un’espressione più serena. La pelle bianca gli dava uno strano fascino. Era bello, ma sembrava finto.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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CAPITOLO 1
- JODI BLACK -

 

Salve a tutti!^^ Sono HarleyQ_91 e sono nuova di EFP!
Questa è la mia prima fanfiction, ma spero ugualmente riesca a soddisfarvi!
Beh, non voglio farvi perdere altro tempo, buona lettura!^^

******

Il vento mi faceva volare i capelli sotto il casco slacciato che indossavo.
La mia moto – regalo di mio padre per i miei diciassette anni – correva indisturbata sulla strada verso Forks.
Ero eccitatissima all’idea di frequentare il nuovo liceo. Nella riserva di La Push, dove vivevo, la scuola era per il novanta per cento maschile e le poche ragazze non erano altro che semplici burattini nelle mani degli uomini.
Non ho mai capito questo atteggiamento maschilista, era snervante.
Mio padre non voleva che andassi a Forks. Era un tipo protettivo e preferiva tenermi dove il suo occhio vigile poteva controllarmi. In più aveva paura che, in un posto come Forks – per me ancora sconosciuto – potessi cacciarmi in qualche guaio, diciamo… per le mie stranezze.
La mia famiglia infatti non era una cosiddetta normale famiglia americana. Mio padre, Jacob Black, discendeva dai lupi e aveva l’abilità di prendere quelle sembianze quando lo riteneva opportuno. Era il capo del suo branco.
Sinceramente La Push era piena di licantropi, quindi la particolarità di mio padre non destava alcuna agitazione. Era mia madre la vera novità.
Renesmee Cullen, per gli amici Nessie – nomignolo datole da mio padre – discendeva da una famiglia alquanto singolare, nemica della riserva e, per tanto tempo – e credo ancora adesso – bandita da La Push.
I Cullen venivano chiamati freddi, o più volgarmente vampiri, nemici giurati dei licantropi. Nessie tuttavia non era un vampiro completo – altrimenti lei e mio padre si sarebbero trovati disgustosi a vicenda –. Mia nonna, Bella Swan, la concepì prima che mio nonno, Edward Cullen, la trasformasse in vampiro. Dunque in mia madre scorreva anche sangue umano.
Sebbene il mio cognome fosse Black, sapevo che una parte di me moriva dalla voglia di conoscer l’altro lato della mia famiglia.
Per tutta la mia infanzia Jacob non mi permise mai di andare a Forks; diceva che tanto i Cullen se ne erano andati da un pezzo perché, non mutando mai di aspetto, a lungo andare qualcuno avrebbe potuto insospettirsi.
Circa un mese fa però mia madre ricevette una curiosa telefonata. Rimasi colpita quando non ne fece parola con Jacob – di solito tra loro non si nascondevano mai nulla – e quando le chiesi che l’avesse chiamata, la risposta mi chiarì ogni cosa.
“Era mia madre”. Mi disse “Mi ha avvertito che, dopo vent’anni, i Cullen sono pronti per tornare a Forks”.
Nessie era eccitatissima all’idea di rivedere i suoi genitori. E lo ero anch’io.
I Cullen partirono subito dopo le nozze dei miei e non si fecero più né vedere né sentire. Mio padre naturalmente voleva che frequentassi solo La Push, poiché tanto a Forks non c’era nulla che potesse interessarmi. Ma ora che i Cullen erano tornati, volevo assolutamente conoscerli.
“D’accordo, andremo a fargli visita… un giorno”. Aveva detto Jacob quando lo avevo messo al corrente della mia decisione.
“Io voglio andare a scuola a Forks, papà… non mi accontento di una semplice visita”.
“Ma perché? Credevo che alla scuola di La Push ti trovassi bene”.
“Sì infatti. Però… ci sono troppi licantropi”.
Jacob storse il naso appena finii la frase. Lui stesso era un licantropo perciò si sentiva toccato nel profondo.
Però allora cosa avrei dovuto dire io? In me scorreva tanto sangue umano quanto quello di un licantropo e di un vampiro.
A La Push nessuno me lo faceva pesare, ma io me ne rendevo conto da sola che non mi vedevano di buon occhio. Ero troppo… diversa!
A Forks invece non mi conosceva nessuno e con un cognome come Black – che era circoscritto alla riserva – nessuno avrebbe sospettato di un mio legame con i Cullen.
Alla fine mio padre acconsentì al mio trasferimento nel liceo di Forks, però mi estorse la promessa di non entrare in contatto con nessuno dei Cullen senza il suo consenso.
Jacob si fidava di loro – conosceva bene soprattutto Bella – sapeva che non mi avrebbero fatto mai del male, ma voleva essere presente durante il nostro primo incontro, per valutare la reazione dei vampiri alla notizia di una discendente un po’ vampiro, un po’ licantropo ed un po’ umana.
Sinceramente non ero del tutto certa che avrei mantenuto la promessa.

Parcheggiai la moto sotto una tettoia, così che anche in caso di pioggia – e a Forks pioveva spesso – non si sarebbe bagnata.
Entrai nell’edificio 1 e mi diressi verso la segreteria per chiedere l’elenco delle mie lezioni.
Prima ora: biologia.
Entrai in aula e mi sedetti nell’unico posto libero che c’era. Il ragazzo accanto a me non si mosse. Non sembrava nemmeno essersi accorto del mio arrivo. Erano tutti così ospitali nel liceo di Forks?
Il professore passò tra i banchi e distribuì dei fogli in cui dovevamo finire di compilare l’elenco delle ossa del corpo umano. Era un esercizio da eseguire col proprio compagno di banco, ma il ragazzo accanto a me rimase sempre immobile, con le spalle appoggiate allo schienale della sedia e le braccia incrociate sul petto.
Mi sentivo il suo sguardo addosso, ma non avevo il coraggio di ricambiarlo, mi metteva un po’ in soggezione.
Aveva gli occhi color ambra, profondi e, almeno così mi sembravano, un po’ arrabbiati. Le sopracciglia leggermente aggrottate sotto i capelli castano scuri, non abbastanza tuttavia da evitare qualche riflesso color miele sotto la luce delle lampade al neon.
Sembrava essere concentrato su qualcosa, ma non si trattava del compito assegnato di biologia. Sembrava concentrato… su di me.
“Ehm… credo che dovremmo fare l’esercizio”. Mi azzardai a dire.
Lui rilassò la fronte e assunse un’espressione più serena. La pelle bianca gli dava uno strano fascino. Era bello, ma sembrava finto.
“Era ora!” Disse. La voce pacata e melodiosa mi colpì particolarmente. “Credevo di avere qualche problema, invece ti sei finalmente decisa a fare ciò che ti ho ordinato”.
Lo guardai stranita. Il suo atteggiamento era tanto singolare quanto il suo aspetto.
“Ordinato? Ma se non mi hai rivolto la parola fino ad ora?”
I suoi occhi si arrabbiarono di nuovo; ci guardammo per qualche attimo, poi abbassò lo sguardo e contrasse la mascella.
“Comunque il compito bisogna farlo… quindi diamoci una mossa!” Gli porsi il foglio e una penna. Poi avvicinai lentamente la mia sedia alla sua.
Il suo sguardo rabbioso mi fissò di nuovo.
“Dovesti farlo tu!” Mi disse.
“No, dobbiamo farlo insieme!”
“Ma io ti avevo…” serrò la mascella come per impedire a delle parole di uscirgli dalla bocca. Adesso mi stavo arrabbiando anche io.
“Lasciamo stare”. Ringhiò. Prese il foglio e la penna e si mise a scrivere. Non cambiò la sua espressione per tutto il tempo in cui lo vidi eseguire l’esercizio. Lo finì nel giro di pochi minuti, poi tornò alla sua posizione iniziale, composto e con le braccia conserte.
Non ci rivolgemmo la parola per tutto il resto dell’ora. Suonata la campanella lo vidi sbuffare, come se non vedesse l’ora di liberarsi di me.
Lo accontentai. Presi la mia roba ed uscii dall’aula. Volsi lo sguardo verso di lui un’ultima volta prima di varcare la soglia della porta: era ancora seduto e gli si erano avvicinati altri due studenti. Un ragazzo ed una ragazza, restai sbalordita dalla loro bellezza.
Non li avevo notati prima perché occupavano i posti più nascosti della classe, ma di certo non era gente che passava inosservata.
“Tu sei Jodi Black, giusto?”
Distolsi lo sguardo dal trio che sembrava appena uscito dal cast di un film e mi voltai dall’altra parte.
Una ragazza minuta, con i capelli legati in una coda alta mi fissava sorridendo. Non mi sorprese che sapesse il mio nome. Sapevo che a Forks le notizie giravano in fretta.
“In persona”. Risposi ricambiando il sorriso.
“Scusami, avrei dovuto accoglierti all’entrata, ma sono arrivata in ritardo e tu già non c’eri più. Comunque non mi sembra che tu abbia avuto problemi ad orientarti”.
“Tranquilla, me la sono cavata abbastanza bene”.
Il senso dell’orientamento era una delle mie migliori qualità – ereditata dai geni canini di Jacob – saprei ritrovare la strada di casa anche nella più buia e fitta foresta.
“Io sono Eva Newton e sono la responsabile del comitato di benvenuto per i nuovi studenti. Se vuoi ti posso accompagnare alla tua prossima lezione, cos’hai?”
Senza chiedermi niente prese il modulo dei miei orari e gli diede un’occhiata.
“Filosofia. Fantastico, ce l’ho anch’io. Allora andiamo insieme”.
Annuii sorridendo, ma non ero del tutto convinta di passare la prossima ora con Eva. Di carattere non ero una persona solitaria, mi piaceva stare insieme alla gente, ma Eva Newton mi sembrava un po’ troppo esuberante per i miei gusti.
“Sai, mio padre è il capo della polizia di Forks, mentre mia madre gestisce un negozio di cosmetici a Port Angeles. Se non hai nulla da fare potremmo andarci. Forks non è molto equipaggiata per lo shopping”.
“Credo che dopo scuola tornerò alla riserva di La Push. In più sto con la moto ed il tempo non promette bene”.
Proprio in quel momento un lampo squarciò il cielo e lo seguì un tuono assodante che fece sobbalzare Eva.
“Beh, se hai intenzione di rimanere a Forks, ti ci dovrai abituare”. Mi disse.
Sorrisi leggermente. Anche a La Push pioveva spesso, ma la presenza del mare mitigava un po’ il clima. Forks era molto più fredda.
Entrammo in classe e ci sedemmo vicine. La professoressa stava già scrivendo qualcosa alla lavagna intanto che l’aula si riempiva di studenti.
“Eccoli che arrivano”. Sentii mormorare dalla ragazza davanti a me nell’orecchio della compagna – l’udito sopraffino era un'altra qualità che avevo ereditato dai miei singolari genitori –
Alzai lo sguardo e vidi entrare due ragazzi. Capii immediatamente per quale motivo attiravano tanto interesse.
Il primo era alto e robusto, di sicuro raggiungeva i due metri, ma dal viso gentile. Il secondo invece era più basso – giù visto nell’ora di biologia mentre parlava con il mio teorico compagno di corso – aveva i capelli ramati e gli occhi castano-dorati, le labbra sottili aperte in un leggero sorriso.
“Belli, vero?” Eva mi distolse dalle mie considerazioni. “Se fossi in te non ci perderei troppo tempo, sia Edward che Emmett sono fidanzatissimi”.
“Io non ho detto niente”. Le feci notare.
“Lo so, ma ogni ragazza che vede i Cullen pensa sempre la stessa cosa”.
“I Cullen?” La mia voce doveva apparire molto agitata perché mi sentii rimbalzare il cuore in gola.
“Sì, Emmett ed Edward Cullen. Li conosci?”
Scossi immediatamente la testa e mi misi a seguire la lezione. Le parole della professoressa però mi scivolavano addosso senza che mi entrassero in testa.
Il mio sguardo era fisso sui due ragazzi bellissimi che si erano seduti in fondo all’aula.
Non passò neanche un minuto che il più basso si voltò verso di me e mi lanciò un’occhiata incuriosita.
Non c’erano dubbi, lui era Edward Cullen. Adesso mi sembrava così assurdo non averlo riconosciuto subito quando lo avevo visto a biologia.
Mi ricordai immediatamente del suo potere speciale. Se davvero riusciva a leggermi nel pensiero allora si era già accorto che io li conoscevo. Sapevo che i Cullen erano tutti vampiri.
Mi voltai verso la professoressa e tentai di mantenere la mente occupata prendendo appunti, così che Edward non potesse ascoltare altro che concetti su Hobbes e Locke.
Suonata la campanella Eva mi chiese di farle compagnia per pranzo. Acconsentii senza batter ciglio e uscii di corsa dalla classe. Non volevo che i miei pensieri avessero il tempo di pendere posto nella mia mente. Dovevo assolutamente distrarmi prima che Edward scoprisse tutto su di me.
Anche se mi costava molto, non volevo infrangere la promessa fatta a mio padre, altrimenti lo avrei deluso.
“Sai Eva, ripensandoci credo che oggi pomeriggio potremmo andare a Port Angeles”. Dissi mentre mi sedevo ad un tavolo della mensa.
“Davvero?” I suoi occhi si illuminarono. Mi conosceva da nemmeno un’ora e già le facevo questo effetto? Forse l’avevo giudicata male. Anche se era un po’ troppo esuberante, non significava che non potesse rivelarsi una buona amica.
“Credo che mia madre non avrà nulla in contrario se mi faccio dei nuovi amici”.
Naturalmente questi amici non dovevano chiamarsi Cullen. “Perciò mi piacerebbe venire a fare un giro per negozi con te”.
Dagli occhi di Eva capii che non poteva aspettarsi una frase migliore. Mi prese le mani tra le sue e le strinse forte. Aveva un sorriso che la faceva sembrare un’idiota, ma il suo sguardo era affettuoso.
“Ti divertirai da morire, vedrai”. Mi disse non accennando a togliersi quel sorriso dalla faccia. “Chiamo anche due mie amiche, se per te non è un problema, ovviamente”.
Scossi la testa. “Certo che no. Più gente conosco, più ho possibilità di farmi degli amici”.
Il mio sguardo si mosse involontariamente verso la porta d’ingresso della mensa. Mi si bloccò il respiro.
Il primo ad entrare fu Edward, mano nella mano con quella che di sicuro era Bella Swan; Li seguirono Emmett e la sua ragazza – mi pare si chiamasse Rosalie, se non sbaglio – ed altri due vampiri che, per esclusione, dovevano trattarsi di Alice e Jasper.
Si sedettero tutti ad un tavolo nel fondo della sala. La gente li teneva a distanza e nessuno gli aveva ancora rivolto la parola da quando erano entrati.
Tuttavia me li immaginavo più cupi. Invece erano lì, seduti – senza mangiare né bene niente, ovviamente – che ridevano e scherzavano come qualsiasi altro liceale.
Passato qualche minuto, ai Cullen si avvicinò un ragazzo. Lo riconobbi all’istante, era lo stesso con cui avevo passato l’ora di biologia.
Jasper gli fece posto e lo fece accomodare sulla panca accanto a lui.
Come mai non ci avevo pensato prima? Era così ovvio: la pelle pallida, gli occhi ambrati e profondi, i tratti somatici degni di un modello… anche quel ragazzo era un vampiro.
Però non avevo riscontrato la sua presenza nei racconti di mia madre. Doveva trattarsi di un membro accolto da poco.
“Ancora intenta a fissare i Cullen?”
Distolsi lo sguardo e lo posai su Eva. Aveva ragione, mi ero lasciata di nuovo abbindolare da quella famiglia così affascinante, dopo che mi ero ripromessa di pensarci il meno possibile.
“Parliamo d’altro, per favore?” Mi affrettai a dire prima che altri pensieri sui Cullen potessero assalirmi.
Eva si strinse nelle spalle e sorrise.
“Allora Jodi, perché hai deciso di venire a Forks? Il clima di La Push mi sembra migliore rispetto a questo, no?” Con il dito indicò fuori dalla finestra e vidi la pioggia scontrarsi violentemente contro il vetro, mentre folate di vento agitavano gli alberi nel giardino antistante la mensa.
“Non è poi tutta questa differenza”. Dissi, contenta che Eva avesse esaudito il mio desiderio di cambiare argomento senza chiedermi il perché. “E poi il liceo di La Push non mi piaceva. Diciamo che non mi ero ambientata bene”.
“Come mai?”
“Troppi pregiudizi, credo”.
Eva abbassò lo sguardo come se fosse dispiaciuta.
“E’ perchè tuo padre riveste un ruolo importante,vero?”
Rimasi perplessa qualche secondo prima di comprendere il significato di quelle parole. Mio padre in effetti era una specie di capo-branco, ma non riuscivo a capire cosa c’entrasse questo con il mio trasferimento a Forks.
“Sai, anche io a volte non vengo vista di buon occhio”. Continuò. “Quando tuo padre è un personaggio importante a livello pubblico, tutti cominciano a pensare che i tuoi successi siano dovuti solo da raccomandazioni”.
Ora capivo. Eva cedeva che io me ne fossi andata da La Push per evitare che qualcuno mi considerasse una privilegiata.
Mi commosse vedere come si preoccupava per me.
“Beh, qualcosa del genere”. Risposi. Le lasciai credere di avermi compreso perfettamente per renderla contenta. E poi, se le avessi risposto di no, avrei dovuto dare altre spiegazioni, rischiando così di tradirmi.
Mi sentii degli occhi puntati addosso. Sapevo che provenivano dal tavolo dei Cullen, ma avevo troppa paura di voltarmi. Se fosse stato Edward significava che era rimasto in ascolto per tutto il tempo.
La paura di essermi lasciata scappare qualche pensiero di troppo mi assalì.
“Daniel Cullen guarda verso di noi”. Sentii mormorare Eva.
“Chi?” La domanda mi venne spontanea, come se la voce mi fosse uscita dalla bocca senza che io glielo avessi ordinato.
“Daniel Cullen”. Ripeté Eva.
Ancora una volta il nome non mi rievocò nessuno dei racconti di mia madre. Doveva sicuramente trattarsi del mio compagno di biologia.
Ci avevo visto giusto, era un Cullen!
“Credo stia fissando te, Jodi. Il tuo arrivo deve aver incuriosito anche gli impassibili Cullen”. Eva rise leggermente.
“Per favore Eva, ti avevo chiesto di non parlare dei Cullen”.
Lei si mise una mano davanti alla bocca e con lo sguardo mi fece capire che le dispiaceva.
“Ma posso sapere il perché?”
Ecco la domanda che speravo non arrivasse mai.
“Te lo spiego oggi pomeriggio a Port Angeles”. Le feci cenno con la testa di non poter palare perché i diretti interessati erano presenti.
Eva mi rispose con l’occhiolino e si mise a parlare d’altro. Non prestai attenzione a ciò che diceva, a volte non era facile tenere a bada i miei pensieri e, per quanto mi sforzassi, i Cullen erano sempre al centro di essi.
Dopo la pausa pranzo avevo l’ora di chimica. Eva si diresse verso l’aula di spagnolo dicendomi di aspettarla all’uscita alla fine delle lezioni.
Entrata in classe notai subito Bella ed Edward nel banco più in fondo. Lui la teneva per mano e le parlava all’orecchio, lei rideva dolcemente con una voce che assomigliava più ad una melodia.
Non riuscii a reprimere un sorriso di tenerezza. Era bello vedere quanto si amassero, – soprattutto dopo tutto quello che avevano passato – si meritavano di essere felici.
Appena conclusi questo pensiero, Edward si voltò verso di me ed aggrottò le sopracciglia.
Ops.
Mi sbrigai a sedermi ad un banco e cominciai a leggere le strane formule scritte alla lavagna, giusto per tenere la mente occupata.
“Rilassati, non serve sforzarsi tanto”.
Mi voltai e vidi Daniel Cullen sedersi accanto a me. Poggiò le braccia sul banco e rise leggermente.
“Perché ridi?”
“Sei buffa”. Mi disse senza togliere quel sorriso dalla faccia. “Fai di tutto per reprimere i tuoi pensieri così che Edward non possa ascoltarli”.
Maledizione, allora non c’ero riuscita.
“Ma la cosa divertente è che è tutta fatica inutile”.
“Non ci posso credere”. Esclamai. “Mio padre mi uccide!”
“Scema”. Commentò lui.
“Ehi, piano con le offese”. Gli dissi aggrottando le sopracciglia. Lui di tutta risposta riprese a ridere.
“Smettila di ridere, io sono nei guai fino al collo”.
“No che non lo sei, tranquilla”. Daniel tentò di soffocare un’altra risata, riuscendoci appena. Tuttavia vederlo ridere non mi innervosiva, anzi il suo viso sembrava ancora più bello. Mi ripresi immediatamente al pensiero che Edward avesse potuto sentire anche questo.
“Edward non riesce a sentirti”. Mi disse. “O meglio non ci riesce completamente. Ti sente a tratti, però qualcosa è riuscito a cogliere”.
Dicendolo mi si avvicinò un po’ al viso ed il mio cuore cominciò ad accelerare il battito. Tentai di rimanere lucida.
“Che… che cosa ha sentito esattamente?” Riuscii infine a dire, poi mi morsi il labbro inferiore ed abbassai lo sguardo. Ero sollevata dal fatto che, almeno in parte, la mia mente era al sicuro.
“Ha sentito che già sai chi siamo, o meglio cosa siamo”.
Mi si bloccò il respiro.
“Ma non è riuscito a sentire altro”. Abbassò lo sguardo senza smettere di sorridere.
“Quindi anche io… come Bella…” Riuscivo solo a balbettare, ancora incredula.
“Oh no,” mi contraddisse Daniel. “Con Bella era buio totale. Niente di niente. La tua mente invece ha qualche spiraglio di luce, anche molto chiaro a volte, ma sentire pensieri saltuariamente non ci permette di capire tutto”.
“Quindi non avete capito… il perché io sappia tutte queste cose su di voi”. Riuscii a riprendere un po’ il controllo di me stessa.
“In effetti no”. Disse sogghignando. “E’ terribilmente frustrante”.
Risi leggermente. “Questa l’hai rubata ad Edward”.
Mi ricordai di uno dei tanti racconti di mia madre: quando Edward non riusciva a sentire i pensieri di Bella diceva sempre che trovava la cosa terribilmente frustrante.
“Edward e Bella hanno paura che tu possa crearci qualche problema”.
“Oh no, no”. Mi sbrigai a dire. “Non dirò niente, fidatevi. Non potrei mai dirlo a nessuno”.
Daniel annuì, poi scrisse qualcosa che il professor aveva appena detto sul quaderno che aveva aperto davanti a sé. Dopo qualche istante riportò il suo sguardo su di me.
“L’immunità mentale è dunque una qualità ristretta a Bella Swan”. Considerai ad alta voce.
“Sì, teoricamente. Però, quando vuole, Bella riesce a far ascoltare i suoi pensieri ad Edward. Nel corso degli anni si è allenata molto per riuscire a padroneggiare il suo scudo. Adesso riesce addirittura ad annullarlo”.
“Davvero? Questo non lo sapevo”.
“Tu non dovresti sapere tante cose, Jodi”.
Appena pronunciò il mio nome mi sentii rimbalzare il cuore in gola.
“Bella comunque non abbassa quasi mai il suo scudo e, quando lo fa, è solo per far ascoltare qualcosa ad Edward. Tra loro c’è un legame indissolubile”.
Daniel contrasse la mascella come se si fosse sforzato nel dire le ultime parole.
Io annuii dolcemente. Era bello vedere due persone che si amavano così tanto, anche se si trattava di una coppia di vampiri.
“Comunque, se ti può consolare”. Riprese Daniel. “Un’immunità ce l’hai anche tu. Non con Edward, ma con me!”
Spalancai gli occhi. “Come? Cosa? Di cosa stai…?”
“Niente, lascia stare”.
In quell’istante suonò la fine dell’ora e Daniel si alzò di scatto, uscendo dalla classe senza nemmeno lasciarmi il tempo di chiedere altre spiegazioni.
Mi alzai anch’io, sbuffando.
Il mio primo giorno al liceo di Forks era finito e di cose ne erano successe fin troppe.
“Jodi! Jodi!” Riconobbi la voce di Eva. Mi chiamava dalla parte opposta del corridoio e mi fermai per aspettare che mi raggiungesse. “Senti, per Port Angeles… credo ci convenga andare con la macchina, visto il tempo…”
La pioggia non accennava a diminuire.
“Ma la mia moto non posso lasciarla qui”. Esclamai, come se fosse l’unica cosa che mi importasse. In effetti mi padre mi avrebbe ucciso se fosse capitato qualcosa alla mia motocicletta, dopo tutto il tempo che ci aveva speso per rendermela perfetta.
“Andiamo Jo, chi vuoi che te la rubi?”
Aggrottai la fronte. Non volevo nemmeno pensare alla possibilità che qualcuno potesse portarmela via.
“Con questa pioggia comunque non credo che riusciresti a guidare”. Eva abbassò un po’ il tono di voce, come se avesse capito di avermi offeso.
“Non preoccuparti, guiderò piano fino a casa e poi prenderò l’autobus per tornare qui. Non dovrei metterci tanto. Facciamo tra un'ora nel parcheggio della scuola?”
Eva annuì senza battere ciglio.
“La macchina ce l’hai, vero?” Chiesi, venendomi il dubbio di come ci saremmo mosse una volta a Forks per arrivare a Port Angeles.
“Sì, ci penso io”. La sua voce divenne d’un tatto monotona, come una cantilena, e non faceva altro che annuire.
Mi preoccupai quando vidi il suo sguardo perso nel vuoto. C’era qualcosa che non andava.
Scorsi Daniel dietro di lei, intento ad aprire il suo armadietto. Ma sapevo che con la coda dell’occhio guardava verso di noi, e sorrideva.
Eva sbatté le palpebre di nuovo e mi tranquillizzai.
“Ci vediamo dopo, allora”. Uscì da scuola andando sparata verso il parcheggio. Continuai ad essere certa che qualcosa non andasse.
Puntai lo sguardo su Daniel. Doveva ancora spiegarmi in che cosa consisteva la mia immunità su di lui. Una mano fredda tuttavia si posò sulla mia spalla, bloccandomi prima che riuscissi a fare un passo.
“Jodi Black, posso parlarti un secondo?”
Mi ritrovai davanti una bellissima ragazza. Occhi ambra che tuttavia avevano delle sfumature castane e dei capelli scuri un po’ arruffati che si posavano perfettamente sul suo viso tondo e pallido.
“Bella Swan”. Riuscii a sussurrare.
“Ormai nessuno mi chiama più così”. Disse sorridendo e facendomi segno di seguirla. “Ormai sono Bella Cullen”.
“Giusto, è vero”. In fondo lei ed Edward erano sposati.
Entrammo in un’aula completamente deserta e Bella si sedette su un banco, facendomi un po’ di posto perché mi ci sedessi anch’io.
“Se conosci il mio nome di battesimo significa che sai davvero tutto… intendo tutto ciò che mi è successo con i Cullen, giusto?”
“Più o meno”. Non mi sembrava vero di stare davanti a mia… nonna – soprattutto per via dell’aspetto – però non provavo soggezione, mi sentivo stranamente tranquilla.
“C’è Jasper da qualche parte, per caso?” Mi azzardai a chiedere.
“E’ qui fuori con Edward e Daniel”. Mi disse Bella.
Compresi allora il perché di quella innaturale tranquillità. Jasper aveva il potere di influire sugli stati d’animo delle persone, poteva alterarle o tranquillizzarle a suo piacimento.
“Sai anche dei nostri poteri”. Continuò Bella, facendomi tornare l’attenzione su di lei. “Non sono qui per chiederti spiegazioni. Nessuno nella mia famiglia ci aveva ancora pensato, ma a me è venuta in mente una teoria… se ho visto giusto, ti prego di dirmelo”.
(Nota dell’Autrice: anche da vampira Bella non demorde con le teorie! XD)
Rimasi con gli occhi puntati su di lei. Il suo sguardo era identico a quello di mia madre, stessa intensità e bontà. Mi prese una stretta al cuore.
“Il tuo cognome è Black, dunque provieni dalla riserva. Può darsi chetai sentito parlare di noi da uno degli anziani di La Push, no?”
Bella aveva collegato il mio cognome alla riserva, ma non a Jacob. Eppure sapevo che loro due erano molto amici. La cosa comunque era di sicuro un vantaggio per me.
“In effetti sì”. Mentii. “Mi sono fatta raccontare tutto il possibile delle leggende dei Quileute e naturalmente anche di voi… freddi. Ero così ansiosa di conoscervi che non ho perso tempo e sono venuta qui a Forks”.
“Ti sei trasferita in questo liceo solo per incontrarci? Mi sento lusingata”.
Bella rise dolcemente. “Comunque il motivo per cui ti volevo parlare è uno solo: siamo ritornati da poco e vorremmo restare qui per parecchio tempo. Ti pregherei quindi di non spargere la notizia del nostro ritorno a La Push. Anche se da più di vent’anni esiste una tregua tra vampiri e licantropi, tenere la nostra presenza lontana dalle menti della riserva non può far altro che agevolare le cose”.
Annuii e sorrisi.
“Certo, capisco”. Dissi. “Non vi preoccupate, non parlerò a nessuno di voi. Immagino che non possiate ancora avvicinarvi a La Push”.
“Il patto non è stato ancora sciolto”. Mi fece notare. “E i Cullen non vogliono mancare di rispetto ai Quileute”.
Detto questo si alzò in piedi e si diresse verso la porta dell’aula, da dove il volto di Edward fece capolino nello stesso istante.
“Contiamo sulla tua discrezione, Jodi”. Disse lui sorridendomi.
La miriade di racconti di mia madre, per quanto dettagliata che fosse, non poteva di certo eguagliare la realtà. Edward era bello da togliere il fiato!
Chissà perché da antenati così attraenti – anche se attraenti è riduttivo – doveva nascere una come me?
I miei genitori erano entrambi molto belli, per non parlare dei miei nonni, e allora perché io ero così… mediocre?
Capelli corvini ed occhi marroni, pelle olivastra e gambe lunghe, troppo lunghe forse. Non avevo nemmeno diciotto anni e già sfioravo il metro e ottanta.
La cosa non mi piaceva per niente.
“Secondo me sei carina”.
La frase di Edward mi destò completamente dai miei pensieri.
“Come? Cosa… cosa hai sentito?”
“Che ti chiedi perché sei così… mediocre”.
Imitò anche il tono della voce nel modo in cui lo avevo pensato, rimasi sbalordita.
“Nient’altro?”
“Che sfiori il metro e ottanta e una cosa che non ti piace per niente”.
“Wow”. Fu l’unica cosa che riuscii a dire.
Edward rise leggermente, poi prese Bella per mano ed uscì dalla classe.
A scuola erano rimasti pochi studenti – alcuni bloccati dalla pioggia, altri dalle lezioni supplementari –.
Il parcheggio era ormai vuoti e la mia moto stava isolata sotto la tettoia della palestra, esattamente dove l’avevo lasciata.
Mi infilai il casco e la giacca in modo da coprire il più possibile i capelli, mi infilai i guanti e salii in sella.
La feci rombare due volte, poi girai l’acceleratore con decisione e partii sulla strada verso La Push.
Benché avessi promesso ad Eva che sarei stata prudente, non rallentai neanche un secondo.
La fortuna di essere la figlia di un licantropo e di un mezzo vampiro era che di sicuro i riflessi non mi mancavano.

******

Rieccomi qua!
Spero che il primo capitolo sia stato di vostro gradimento, aspetto con ansia le vostre recensioni!
Vedrò di postare il secondo prima di Natale (forse domani stesso).
Spero continuiate a seguire la mia storia e che vi piaccia!^^
Un saluto

*HarleyQ_91*


 
  
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