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Autore: VaniaMajor    22/12/2011    1 recensioni
Ultimo capitolo della trilogia dello Scettro dei Tre. Le rinascenti forze di Takhisis continuano a minare la vita dei fratelli Majere. I Cavalieri di Solamnia premono per avere Steel in custodia, mentre Katlin cerca di recuperare la sua magia e Crysania viene messa alla gogna a causa della sua relazione con Raistlin. Sul futuro grava la minaccia di una totale distruzione...
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ritorno dei Gemelli'
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Author’s note: Scusate l’assenza, problemi lavorativi…Mai sottovalutare il colpo d’occhio di Raistlin! E adesso?!

CAPITOLO 25

NON POTER DIMENTICARE

Erano ormai a un giorno di viaggio dal quartier generale dei Cavalieri di Solamnia. Il lungo viaggio da Solace era quasi concluso e Caramon aveva osservato con rassegnazione la luce di ansia e desiderio che aveva man mano soffuso il volto del giovane Steel, facendo quasi scomparire la preoccupazione per la lontananza di sua zia. Inutile che si intestardissero: Steel era nato per essere Cavaliere, come suo padre prima di lui.
“Almeno qualcuno uscirà contento da questa esperienza.” pensò, rabbuiato. Per parte sua, nonostante la partenza entusiasta ora si sentiva stanco e di cattivo umore. Non gli piaceva che Kat fosse andata via con l’elfo oscuro, si pentiva di aver incoraggiato Steven a provare sentimenti verso sua sorella, avrebbe voluto imporsi sul ragazzo e farlo restare a Solace ancora per due anni o tre. Soprattutto, avrebbe voluto stringere le mani attorno al collo sottile del suo gemello per la conversazione privata che aveva preteso con Steel. Caramon non aveva idea di cosa i due si fossero detti, ma lo sguardo del ragazzo quando gli aveva restituito lo specchio magico…beh, non gli era piaciuto per niente. Raistlin era fin troppo bravo a manipolare gli altri per i suoi scopi.
«Caramon, stai bene? Hai fame? Hai la faccia di uno che ha mangiato un limone.» gli disse Tasslehoff, sporto sulla sella dietro di lui. Caramon scrollò le spalle possenti.
«Non ho niente.- borbottò- Però non hai avuto una brutta idea. Fermiamoci a fare uno spuntino. Vi va? Steven? Steel?»
«Per me va bene, zio Caramon.» assentì il ragazzo, senza mostrare di avere appetito. Anche Steven annuì. Si era fatto silenzioso e si era incupito a sua volta, negli ultimi giorni.
«Fermiamoci in cima alla salita, così sarà più facile tenere d’occhio la strada in entrambe le direzioni.» disse soltanto, pratico.
Caramon annuì e spinse il cavallo a un piccolo scatto in avanti, per controllare che il loro punto di sosta prescelto fosse tranquillo e non occupato da altri viaggiatori. Ci voleva una pausa. Più si avvicinavano alla sede dei Cavalieri, più il guerriero sentiva un peso sul cuore. Brutti presentimenti nell’aria.
“Sto diventando paranoico.” si disse. Tika lo avrebbe sgridato, incitandolo ad essere positivo per il bene del ragazzo. Già, ma Tika non sapeva bene quanto lui cosa significava fare la pedina all’interno dei giochi intessuti da coloro che praticano la magia…
«E’ già occupato, Caramon.» lo riportò alla realtà Tasslehoff.
«Eh?» chiese, confuso. Il braccio di Tas gli comparve a fianco, indicando di fronte a loro.
«C’è già qualcuno che bivacca. Dovremo fermarci un po’ più giù, a meno di volere un po’ di compagnia. Personalmente non mi dispiacerebbe chiacchierare un po’, ma immagino che per voi non sia lo stesso. Voglio dire, guarda che facce…» finì il kender, borbottando.
In effetti c’era una persona seduta sul ciglio della strada, ma non stava bivaccando. Sembrava in attesa. Forse era stanca, o non si sentiva bene. Si trattava di una donna. Caramon corrugò la fronte, osservando quella figura vestita di bianco mentre si avvicinavano.
«E’ una chierica di Paladine.- disse, perplesso- Cosa ci fa una donna sola sulla strada per…» D’improvviso sgranò gli occhi e trattenne il fiato.
«Cosa? Caramon, cosa c’è?!» chiese Tasslehoff, avvertendo la tensione della sua schiena.
«Per tutti i fulmini, quella è Crysania!»
«Cosa?!» sbottò il kender, sporgendosi oltre la mole del gigante tanto da essere quasi orizzontale sulla sella. La figura bianca si era voltata verso di loro e si stava alzando. Quella era proprio Crysania, senza alcun dubbio. Caramon spronò il cavallo, guadagnandosi richiami preoccupati da parte di Steven, più indietro.
«Crysania!- esclamò Caramon, scendendo di sella mentre il cavallo ancora scalpitava- Per tutti i draconici, che ci fai qui?! Sola?! Dovresti essere…»
«Al Tempio, a farmi giudicare.- finì per lui la donna, con un sorriso ambiguo- Qualcuno ha deciso che avevo espiato abbastanza.»
«E’ meraviglioso trovarti qui!» disse Tasslehoff, eccitato dalla novità che stava scuotendo il mortorio degli ultimi giorni.
«Qualcuno?! Chi…» balbettò Caramon, perplesso.
«La Reverenda Figlia Crysania?!» chiese Steven, giunto in quel momento insieme a Steel. Crysania alzò lo sguardo sui due e chinò il capo in un cenno di saluto.
«Crysania, questi sono Steel Brightblade, nostro nipote, e Steven Sharphalberd, un Cavaliere di Solamnia.- disse velocemente il guerriero, liberandosi delle formalità- Crysania, come fai a trovarti qui? E’ stato Raistlin?»
Crysania scosse il capo, poi sorrise a Tasslehoff.
«E’ stato un amico speciale del nostro Tas.» rispose soltanto. Il kender e Caramon capirono e si scambiarono un’occhiata stupefatta.
«Beh…allora non c’è niente da aggiungere. Voglio dire, è un sollievo sapere che almeno lui non si è arrabbiato con te. Non che avessi dubbi, ma i chierici a volte sono così testardi! Senza offesa, Crysania…» disse Tas.
«Nessuna offesa, Tas.- assicurò Crysania, poi guardò Caramon- Posso accompagnarvi?»
«Non…» mormorò Caramon, perplesso, poi la prese gentilmente per il gomito e si avvicinò, sussurrando: «Non preferisci andare da Raistlin? Non vi vedete da molto tempo. Possiamo fare una deviazione e scortarti da lui, se vuoi.»
I grigi occhi di Crysania furono attraversati da un lampo di malinconia, ma la chierica scosse la testa e posò gentilmente una mano su quella del guerriero.
«Se sono stata condotta a voi, c’è sicuramente un motivo, Caramon. Vi seguirò. Raistlin saprà presto di potermi vedere, se ne avrà il desiderio.» disse.
«Immagino che lui lo sappia già.» borbottò Caramon.
«Già, lui sa sempre tutto.- asserì Tasslehoff, annuendo- Crysania probabilmente ha ragione, se Fizban l’ha portata da noi allora forse deve seguirci. Noi andiamo dai Cavalieri di Solamnia, Crysania. Sai…per Steel.»
Crysania annuì e alzò lo sguardo per sorridere al ragazzo. Lo vide troppo serio, pallido. Anche lei, come Caramon poco prima, avvertì nelle ossa che i guai erano appena cominciati. Stava per succedere qualcosa.
“Paladine, cosa c’è in serbo questo ragazzo? Cosa c’è in serbo per tutti noi?” si chiese. Fu scossa da un brivido. Presa dal processo interno al Tempio, per qualche tempo si era quasi scordata delle immani potenze in gioco contro i Majere e le forze del Bene. Negli occhi cupi di quel ragazzino, nell’assenza di Raistlin e Katlin, Crysania ritrovò bruscamente la realtà di quanto li attendeva.


***


Dalamar si alzò dal letto con uno scatto, passando dall’immobilità al movimento con la stessa rapidità con cui la sua pazienza si era spezzata. Katlin ci stava mettendo troppo. Lui aveva tenuto avvinti Flint e gli altri con le sue novità dal nord per più di un’ora, anche se ad un certo punto il giovane Raistlin se n’era andato con una scusa brusca, e dopo averli salutati aveva aspettato un’altra mezz’ora. Nessuna traccia di Katlin. Possibile che qualcosa fosse andato storto? Che lo Shalafi, tornando, avesse colto la donna in flagrante?
Non poteva più stare lì ad aspettare. Doveva andarle incontro e scoprire cos’era successo. Uscì dalla propria camera, controllando che nessuno si fosse soffermato nei paraggi. Non aveva alcuna intenzione di incrociare Kitiara per sbaglio. Tutto era silenzioso. Dalamar scivolò fuori dalla stanza da letto, tornò nella sala comune e sgattaiolò oltre la porta d’ingresso, seguito solo dal fioco rumore di pentolame in cucina, dove una luce era ancora accesa. Si allontanò un po’, poi si bloccò. Katlin stava entrando proprio in quel momento. Si ritirò precipitosamente nell’ombra e tornò in camera. Lungi da lui mostrarle inutilmente la sua preoccupazione!
“Non è mai stato nel mio carattere fare mosse altruistiche.” si rimproverò, seccato con se stesso. Attese, seduto sul letto, poi la sentì bussare. Si alzò e aprì, come se niente fosse. Lei scivolò dentro senza nemmeno guardarlo in volto. Andò subito alla finestra, le mani appoggiate all’intelaiatura di legno.
Dalamar corrugò la fronte. Qualcosa non andava in lei. La testa era china, come se stesse fissando i propri piedi, la schiena un po’ curva. Nel complesso dava una sensazione di sconfitta e desolazione che gli riportò alla mente il tempo in cui Takhisis aveva utilizzato il suo corpo fino allo stremo.
«Katlin.» mormorò. Lei scosse la testa, invece di rispondere, facendogli capire di non avere molta voglia di parlare. L’elfo oscuro si avvicinò, le sfiorò un braccio. «Non l’hai trovata.» disse.
«Raist deve portarla con sé.» mormorò lei, senza alzare la testa. Dalamar corrugò la fronte.
«Gliela sottrarrò domani, allora.» le disse. Come prevedeva, ottenne solo un altro cenno del capo. Non essere entrata in possesso della gemma non costituiva la sola causa di quell’atteggiamento sconfitto, introverso. «Cosa c’è?» sussurrò.
«Ho…sottovalutato la portata dei miei ricordi, temo.» si spremette lei con fatica, senza guardarlo in faccia. Esalò il fiato con impazienza per se stessa, passandosi una mano sulla guancia. «Dammi tregua. Grazie per avermi atteso, ma…torna in camera tua. Ne parleremo domattina.»
«E’ questa la mia camera.»
Katlin alzò la testa e lo guardò, momentaneamente smarrita.
«Oh…scusa, allora. Sai indicarmi la mia?» chiese, la mente altrove. Dalamar prese un respiro. Sembrava un pessimo momento per ammetterlo, ma il giochetto era finito.
«Abbiamo una sola camera, Katlin. Otik non aveva altro da offrirci.» rispose, calmo.
Sul volto di Katlin si susseguì una ridda di sentimenti e colori che l’elfo riuscì a leggere senza difficoltà, sentendosi più stanco e amareggiato che divertito, per quanto non volesse ammetterlo. Stupore, comprensione, sospetto, collera, furia, gelo. L’ultima stazione sembrò quella definitiva. Probabilmente Katlin non aveva voglia di svegliare tutta la locanda cercando di sbatterlo fuori a calci dalla camera.
«Capisco.- disse soltanto- Allora c’è poco da fare. Non sono così poco signorile da farti dormire per terra, quindi divideremo il letto. E’ già accaduto.» Si abbassò e scaraventò sul letto doppio le loro sacche da viaggio, sistemandole con gesti bruschi in mezzo al materasso. «Ecco. Tutti felici e contenti. Ora fammi il piacere di essere abbastanza gentiluomo da voltarti mentre mi levo questo dannato vestito.»
«Katlin…»
«Voltati, per favore.»
«Katlin, dobbiamo parlare. Cos’è successo mentre eri in casa di…» insistette Dalamar, iniziando a irritarsi.
«Non voglio parlare!- sibilò lei, paonazza, poi cercò di dominarsi- Voglio dormire. Sono stanca. Dividerò il letto con te, ma non ho intenzione di discutere, ora. Chiudi la bocca e dammi modo di riposare!»
Dalamar ne sostenne lo sguardo, valutando se insistere o meno, poi cedette e si voltò. La sua idea di sedurla era andata in fumo prima ancora di iniziare e, tanto per cambiare, era colpa dello Shalafi. Con Katlin in tali condizioni di spirito, doveva ritenersi fortunato che non gli fosse saltata alla gola per quel piccolo trucchetto volto a passare la notte in intimità.
Sentì dietro di sé i fruscii del vestito che veniva sfilato e poi cadeva sul pavimento e suo malgrado avvertì il desiderio risvegliarsi. Katlin non aveva tutti i torti a non fidarsi di lui. Credeva di saper essere più freddo, contando che fino a una settimana prima l’avrebbe presa volentieri a schiaffi. Invece, reagiva come un ragazzino. Era perfino imbarazzante.
«Buonanotte.»
Il lapidario saluto giunse come segnale che poteva voltarsi. Katlin era già sotto il lenzuolo, da cui usciva un braccio nudo e una spalla coperta dalla sottoveste bianca. Il viso era così affondato nel cuscino che non riusciva a vederne nulla. Stringendo le labbra in una linea sottile, Dalamar scalciò via gli stivali, si spogliò con ostentata noncuranza e si mise a sua volta a letto, spegnendo la candela con un soffio forse troppo irritato.
Cominciò così una notte che prevedeva insonne. A pochi centimetri dal corpo di lei, nel caldo estivo della camera, si sentiva bruciare e non sapeva a quale delle due cause attribuire la colpa. Al contempo doveva contenere sia la voglia di alzarsi a sedere sul letto e mettersi a litigare per il solo gusto di giungere a un punto di rottura, che quella di chiederle di nuovo cosa le avesse dipinto quella desolazione sul volto. Lei era sveglia. Lo capiva dal suo respiro veloce e poco profondo, dalla tensione della spalla e della schiena, appena discernibili nel buio.
L’elfo si coprì gli occhi con l’avambraccio, esalando un breve sospiro. Maledizione al kender e alle sue belle proposte…Sarebbe stato più facile continuare a odiare quella donna. Lei gliene aveva dato motivo fino alla nausea, no? Allora perché intestardirsi, perché mandare in poltiglia un cervello di cui andava fiero per una dannata umana che sapeva solo tradirlo?!
Il corpo al suo fianco sussultò appena, scosso da un singulto appena percettibile. La sensazione che provò nel capire che Katlin stava piangendo silenziosamente gli diede la risposta che cercava. Per amare, purtroppo, non era necessaria alcuna buona ragione.
Allungò una mano e scaraventò giù dal letto l’effimera barriera, poi si sporse su di lei e le posò un bacio sui capelli, circondandole le spalle con un braccio. La sentì irrigidirsi, trattenere il fiato con un ansito. La strinse ancora più forte al suo petto, come se volesse imprigionarla, impedirle una reazione che ancora non c’era stata. Continuò a baciarla sul capo, sulla curva delicata del padiglione auricolare, sulla tempia.
«Dalamar, cosa…smettila…» balbettò lei, cercando senza grande sforzo di liberarsi. Era confusa…e forse non voleva affatto essere libera. Qualcosa l’aveva sconvolta tanto da portarla al pianto e lui non aveva saputo vedere oltre le sue richieste di solitudine, i suoi modi altezzosi. Forse Dalamar non aveva mai capito un accidente di quella donna.
Coprì la bocca di lei con la propria e finalmente Katlin tentò di spingerlo via, di liberarsi. Troppo tardi, per entrambi. Le sue proteste non durarono a lungo e la passione tenuta a freno per mesi, mascherata d’odio, si prese quanto dovuto.


***


Quando Dalamar si svegliò la luce del sole gli feriva gli occhi. Si alzò a sedere di scatto, maledicendosi per aver ceduto al sonno senza chiarire con Katlin, dopo che entrambi avevano perso il ben dell’intelletto. Ora si sarebbe messa sulla difensiva, accidenti…La vide in piedi, che guardava fuori dalla finestra aperta. Gli dava le spalle, rigida come una lancia infitta nel terreno.
«E’ stato…» esordì lei.
«…uno sbaglio?- la anticipò, amaro, gettando di lato il lenzuolo e iniziando a vestirsi- Per favore, non dire idiozie. Insulti la mia e la tua intelligenza.»
Lei si voltò, il viso paonazzo.
«E allora cos’è stato?- sibilò- Tu mi odi, sei stato abbastanza chiaro in materia. Non serve a nessuno di noi cedere al piacere in questo modo. Siamo entrambi superiori a questo, per fare eco alle tue parole.»
«Sicuramente non servirà a te, che hai un Cavaliere di Solamnia per amante!» sbottò Dalamar, smettendo di far finta di vestirsi e alzandosi per fronteggiarla.
«Co…amante?!» boccheggiò Katlin.
«Stai negando?»
«Certo che nego!»
«Bugiarda! Ho visto come ti guarda, come tu sei debole alle sue lusinghe.- quasi ringhiò l’elfo- E sì, mia cara: ti odio.»
«Questo lo sapevo, grazie tante.» disse Katlin tra i denti, stringendo i pugni come per impedirsi di saltargli agli occhi.
«Ti odio perché non riesco a smettere di volerti.» sputò fuori lui. Ebbe almeno la soddisfazione di ridurla al più completo silenzio. «Tu mi hai umiliato, mi hai condotto dove volevi senza un pensiero su quali fossero la mia volontà o i miei desideri. Non ho mai concesso a nessuno di prendermi per il naso, Kat, e tu lo hai fatto troppe volte!- continuò, quasi vibrando per la furia e la passione che lo stavano riempiendo di nuovo, come se il suo sangue non fosse fatto che di fuoco- Ciò per cui mi detesto, per cui vorrei punirti fino alla fine dei miei giorni, è che in un modo che ancora mi sfugge mi hai legato a te e non mi è concesso liberarmi. Perché credi che sia venuto fin qui, dannazione, per farti da balia asciutta?!»
Katlin sembrò rimpicciolire e ringiovanire di botto. Gli stava di fronte come una bambina sperduta, confusa, impreparata.
«Allora tu…io…stanotte…» balbettò. Inconsciamente, alzò le mani come a volerlo raggiungere, o attrarre a sé. Per Dalamar fu una risposta sufficiente. Lei lo voleva ancora, come il suo corpo gli aveva dimostrato quella notte. Ci sarebbe stato tempo per chiarire il ruolo di quello Steven Sharphalberd. Ora voleva solo annullare la distanza che li separava.
Riuscì a fare solo un passo. Quello successivo fu sottolineato da un discreto ma inequivocabile battere di nocche sulla porta. Katlin abbassò bruscamente le braccia, come svegliandosi da un sogno, e Dalamar trattenne un’imprecazione, stentando a credere quanto la sfortuna si stesse accanendo su di lui. Prese la camicia e la infilò, mentre Katlin apriva la porta di uno spiraglio e scambiava poche parole con l’oste.
Quando sentì richiudersi la porta, si voltò. Katlin alzò su di lui occhi gelidi e professionali e gli offrì la ciliegina sulla torta di quella delirante mattinata d’estate.
«Raistlin è nella sala comune.- gli comunicò- Vuole parlare subito con noi.»

 

   
 
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