Titolo: All In
Moonlit Silver
Autore: Nemeryal
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Giallo
Genere: Slice of
Life, Angst, Introspettivo.
Avvertimenti: One-Shot, Shonen-Ai,
Yaoi [Molto accennato!], Missing Moment
Personaggi: Ivan Braginski/Russia, Alfred F. Jones/America,
Pairing: RusAme
Trama: Si sentiva
gelare e non c’era cura per quel malessere.
La Vodka
bruciava solo la gola, incendiava i polmoni e torceva bollente lo stomaco; la
testa pulsava, gli occhi lacrimavano e il calore non era che lingue e schiocchi
e lampi, fiamme che stordivano, e inaridivano la bocca, appesantivano il petto.
Non c’era
soluzione, solo freddo, brividi, denti che battevano, un’ombra vaga di calore
dal metallo nero della pistola.
Lui odiava Mosca.
Musica: Moscow Nights - Red Army Choir
Dedica: a Silentsky, a Rota e ad Harinezumi (Perché in
realtà doveva essere una FrUk..poi ho ascoltato Moscow Nights..perdono!!
Arriverà! ..Spero!)
Note: Moscow Nights è una
canzone splendida. Da cui è ripreso anche il titolo. Amo le canzoni russe. E’ anche il sottofondo QUESTA bellissima RusAme ad opera di Elita One.
Andate a leggerla, forza! Lasciate perdere la mia! La sua non dovete mancarla! U_U
Le parti in corsivo appartengono al
periodo della fondazione della Compagnia Russo-Americana (1799), ecco perché il
riferimento alle pellicce da parte di Alfred. Le parti non in corsivo appartengono invece ad un periodo non precisato della Guerra Fredda, se non proprio alla Guerra Fredda come periodo di tempo dilatatosi per anni.
Mosca non è ri-diventata capitale
della Russia nel 1918. Prima era San Pietroburgo. (dal 1703).
San Basilio è la Cattedrale della
Piazza Rossa, da cui prende il nome “Rossa”, appunto. Ed è splendida. Voglio
andare a Mosca.
Era Himaruya che aveva detto che le
Nazioni possono spostarsi più velocemente degli essere umani? Sì, no, forse?
Boh, nel caso fosse solo una speculazione/Headcanon dei fan, l’ho utilizzata
anche io.
Bene! Tanta vodka a tutti!!
Ehi! Siamo alle 3000 fan fiction su APH! Festeggiamo!
Ps: Domani parto quindi..BUON ANNO A TUTTI!!
All In Moonlit Silver
-Un giorno ti porterò a vedere Moskva, da-
Lui odiava Mosca.
Odiava quel
gelo che mordeva le carni, il fiato che si condensava se soffiato via dalle
labbra livide, le mani che si screpolavano e sanguinavano, rose dal vento e dal
ghiaccio che graffiava le strade.
Come tanti,
minuscoli pezzetti di vetro, i cristalli di neve occhieggiavano –ammucchiati alla
bell’e meglio- dagli angoli delle finestre, e sgocciolavano dai tetti e dalle
braccia sbeccate di qualche statua consunta. Le lunghe ciocche di pelo dei
colbacchi si afflosciavano, appesantiti e luccicanti, e i pastrani sembravano incrostati
di polvere tanto era il bianco che si artigliava al tessuto.
Lui odiava Mosca.
-Credevo fosse Saint
Petersburg la tua capitale-
Era stata un’affermazione lanciata con la tipica
sicurezza di un americano e una domanda posta con l’ingenua curiosità di un
bambino.
Ivan sorrise e il pavimento traslucido della Grande
Sala ne restituì il riflesso, acceso dalle candele incastonate nel lampadario sopra
le loro teste.
-Sankt Peterburg la si visita per questioni politiche..-
Lui odiava Mosca.
Il riflesso
del suo volto era distorto dalla luna, che pendeva sghemba sopra la Piazza
Rossa.
Era
grottesco vedersi allampanato e affondato nelle profondità di quei tasselli
traslucidi, in un mondo alla rovescia dove le sue dita -oblunghe e scheletriche-
spiccavano bianche contro la notte mentre artigliavano il lampo metallico di
una pistola.
Era persino
nauseante notare come il suo sorriso eroico si fosse liquefatto, impastando la
faccia in un’espressione ridicola: le labbra storte, quasi maciullate dal rosso
di San Basilio, si mescolavano ad un poco convincente ghigno di superiorità.
Gli occhi, che dovevano mantenere una crudezza quasi teatrale, non erano che
spilli azzurri e vuoti, conficcati nel volto contratto.
Lui odiava Mosca.
-…Moskva va visitata per piacere-
E lui l’aveva colta, sì, la nota nascosta che
vibrava nella voce dell’Impero Russo. Lo aveva fissato con un sorriso
divertito, per poi lanciare un’occhiata al resto della Sala.
Dame russe si intrattenevano con soldati americani,
l’ambasciatore e lo zar discutevano animatamente di tutto e niente, la zarina e
la moglie dell’ambasciatore nascondevano segreti e confessioni dietro sorrisi e
ventagli.
Chi, in fondo, si sarebbe accorto della loro
mancanza?
-E sia- annuì Alfred –Ma non intendo morire di
freddo. Porta un po’ una di quelle famose pellicce-
Lui odiava Mosca.
Sollevò gli
occhi e strinse le dita sul calcio della pistola.
Si sentiva
intirizzito fin nelle ossa e quel maledetto ghiaccio tutt’intorno bruciava più
del fuoco: non era il calore acre di uno sparo, né quello crocchiolante della
cenere d’un camino.
Si sentiva
gelare e non c’era cura per quel malessere.
La Vodka
bruciava solo la gola, incendiava i polmoni e torceva bollente lo stomaco; la
testa pulsava, gli occhi lacrimavano e il calore non era che lingue e schiocchi
e lampi, fiamme che stordivano, e inaridivano la bocca, appesantivano il petto.
Non c’era
soluzione, solo freddo, brividi, denti che battevano, un’ombra vaga di calore
dal metallo nero della pistola.
Lui odiava Mosca.
-Ho freddo!-
Si lagnò Alfred, stringendosi nel pastrano. Ivan,
accanto a lui, sorrise e affondò il viso nella sciarpa.
-Vuoi della Vodka, Amerika?-
-Non è che avresti del rum del Rhode
Island, eh?-
Ma l’espressione dell’Impero Russo, tra l’offeso e
il costernato, fu più eloquente di un sì o di un no. Anzi, di un da e di un nyet.
-Ho freddo!-
Uggiolò ancora, pestando i piedi; una vecchietta
incartapecorita dal freddo e con la schiena curva per l’età, lo guardò
socchiudendo gli occhietti a spillo. Masticò qualcosa di molle tra le labbra
rugose, probabilmente un insulto, e mostrò i denti –o quel poco che rimaneva.
Ivan sorrise e America gli lanciò un’occhiataccia,
stringendosi ancora di più nelle spalle; tremava così tanto che le cupole di
San Basilio ondeggiavano tra i fiocchi di neve. Stava congelando e quasi non
gli sarebbe dispiaciuto tornare a Saint Petersburg, nell’aria soffocante –ma calda- del
palazzo dello zar.
-Ho freddo!-
Gnaulò ancora e l’Impero Russo, questa volta, si voltò,
afferrandogli il gomito.
Alfred si bloccò: fece scorrere lo sguardo dalle
dita di Ivan fino al suo volto, indovinando un sorriso tra le pieghe della
sciarpa e scovandolo negli occhi colmi della luce vermiglia della Cattedrale.
-In Russia abbiamo anche un altro modo per
scaldarci, da-
Lui odiava Mosca.
-Dovresti
uccidermi, lo sai, Amerika?-
Alfred serrò
la mascella e gettò via la pistola, in un gesto che di eroico aveva ben poco.
Si lanciò contro Russia, afferrandolo per la sciarpa e strattonandolo verso di sé.
-Lo farò!-
ringhiò –Lo farò, lo farò, lo farò, lo farò!-
Ivan doveva
aver bevuto parecchio, America lo capì dal respiro che l’altro gli soffiava
sulle labbra.
-I’ll do
it!- gridò –I swear it!-
Lasciò
andare la sciarpa, caricò il pugno e colpì. Russia non arretrò di un passo: si
portò la mano al viso e si asciugò il sangue col dorso del guanto. Sorrise, di
un ghigno gelido che fece salire un brivido lungo la schiena di Alfred.
-Hai freddo,
Amerika?- chiese, con un sibilo –Stai
tremando-
Lui odiava Mosca.
C’era la neve.
Fiocchi bianchi, grossi, piccoli, lucidi, stelle e
lacrime di luce che piroettavano nella notte moscovita.
C’era Ivan.
Le sue mani, le sue labbra, il suo petto, la sua
pelle, fiati e respiri che si intrecciavano nella stanza buia.
C’era la notte.
I gemiti, gli ansiti, le parole, le promesse,
sussurri e sospiri che si perdevano nel cristallo della Piazza Rossa.
C’era la neve. C’era Ivan. C’era la notte.
America quasi si stupì, accorgendosi di come fosse
facile dimenticare la prima e l’ultima presenza.
Lui odiava Mosca.
-Dovresti uccidermi, lo sai, Amerika?-
Lui odiava la neve.
-E lo farò!-
Lui odiava Ivan.
-Lo hai detto anche l’altra notte, da-
Lui odiava la notte.
-Ma perché sono un eroe!
Gli eroi danno sempre al nemico
La possibilità di redimersi!
Ci volessero anche mille e mille notti!-
Lui odiava Mosca.
La odiava perché
c’era la neve. Perché c’era Ivan. Perché c’era la notte.
Perché ogni
volta, tra i fiocchi bianchi, grossi, piccoli, lucidi, stelle e lacrime di luce
che si perdevano nella notte moscovita, dimenticava la sua promessa.
Perché ogni
volta, con le sue mani, le sue labbra, il suo petto, la sua pelle, fiati e
respiri che si intrecciavano nella stanza buia, dimenticava la redenzione.
Perché ogni
volta, coi gemiti, gli ansiti, le
parole, le promesse, sussurri e sospiri che si perdevano nel cristallo della
Piazza Rossa, dimenticava sia la neve che la notte.
E non si
stupiva più di sentire solo Ivan.