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Autore: Horrorealumna    29/12/2011    1 recensioni
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Insieme alla mia vita e alla sua.
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Con la nostra morte.
Dopotutto non c’è niente da temere.
Perché temere la morte quando si ha già paura del buio?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Dahlia Gillespie
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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L'ETA’ ADATTA
 
L’uomo era Micheal Kaufmann. Il primario dell’ospedale Alchemilla. Era sostenitore dell’Ordine ma non ne faceva ufficialmente parte; lo conoscevo bene perché spesso veniva a parlare con mia madre d’affari o cose che non mi interessano granché.
Il dottore mi venne vicino e pizzicò la mia guancia con fare affettuoso.
Ahia! Però fa male!
Rise e rivolgendosi a mia mamma disse:
- E’ davvero cresciuta questa piccola peste. Oggi viene con noi?
Mia madre mi squadrò:
- Sì. E’ abbastanza grande ormai per unirsi anche alle cerimonie sacre. Fino ad ora poteva solo visitare la chiesa senza il permesso di unirsi ai riti ma adesso … e poi è un disastro! Non fa altro che combinare guai! Pensa che se la lasciavo sola poche ore fa, era capace di incendiarmi l’intera casa.
 
Io vivevo nella periferia di Silent Hill, quasi fuori città. Qui era tutto tranquillo e a me piaceva così. E poi casa mia era davvero grande, forse troppo.
Il dottore parlò:
- Anche Wolf si unirà a noi stasera. Sembra che l’Ordine di Valtiel abbia concluso in anticipo la cerimonia, così ha deciso di “venirci a trovare, con un paio di ospiti”. Dopotutto è obbligato: sua figlia ha tutti i diritti di partecipare al tuo rito.
- Quella bambina è sempre stato suo oggetto di vanto. Leonard pensa che sua figlia sia la Madre che tutti noi aspettiamo!
- Perché? Tu pensi che non lo sia? Ha dimostrato poteri fuori dal comune …
- Non è la sola, Micheal! Non è la sola.
La figlia di Leonard Wolf? Claudia! Che bello! Verrà anche lei!
- Mamma, mamma! Verrà anche Claudia dove stiamo andando noi ora?
Mia madre non mi rispose. Perché la mamma non risponde mai alle mie domande. Aveva occhi e orecchie solo per quell’uomo.
- Io e mia figlia percorreremo la strada a piedi. Deve imparare la strada e memorizzarla. Ci vedremo là.
- D’accordo, Dahlia. Ci vediamo dopo. – e detto ciò l’uomo si allontanò nel buio della notte.
Mamma mi prese la mano e mi trascinò verso la città. Silent Hill. Era quasi deserta probabilmente per l’ora tarda. Ci avviammo sulle grigie sponde del lago Toluca e dopo un bel po’ di marcia arrivammo in via Nathan. Era una strada lunga ma molto bella poiché era completamente invasa dal dolce rumoreggiare dell’acqua del lago. Passammo davanti ad una chiesa, alla stazione dei pompieri della città e alla banca. Poi ci trovammo nel bellissimo parco “Rosewater”. Era pieno di cespugli verdi e di statue commemorative.
Io e mamma intanto, eravamo avvolte in un silenzio innaturale. Neanche un’auto che creava luce e suoni per la strada. Infransi io il silenzio:
- Questo parco potrebbe essere l’ideale per dei fidanzati. Così bello, semplice e romantico, con vista sul lago.
- Cammina! Ti sembra il momento di sognare!?
E ok, cammino mamma!
Superato il parco, già da un pezzo, ci trovammo vicino a quello che sembrava un locale: c’erano uomini, sicuramente ubriachi fradici, che amoreggiavano con donne davvero poco vestite.
Continuammo il nostro viaggio.  Dopo quella che sembrava un’eternità, avevo i piedi a pezzi e le gambe che facevano malissimo, ma non me la sentivo di chiedere a mamma qualche minuto di riposo. Tanto conoscevo già la risposta.
All’improvviso quel lungo tragitto in linea retta fu interrotto da un’inaspettata svolta a destra per Sendford Street. Camminammo e camminammo. Eravamo davanti al parco giochi Lakeside, quando mia madre parlò:
- Visto tesoro? La strada è davvero facile. Memorizzala, ne avrai bisogno in futuro.
L’avevo già fatto: e chi se lo dimentica un tragitto così estenuante?!
- Sì, mammina. Ma quando arriviamo?
- Siamo vicinissimi.
Infatti dopo qualche altro minuto svoltammo a sinistra e dopo qualche metro raggiungemmo il retro del luna-park ed entrammo in una piccola struttura in pietra. Era davvero piccolissima e strettissima. Mamma stava per aprire la piccola porticina che ci avrebbe fatte e entrare a prima parlò:
- Adesso fai attenzione: per di qua si scende in un corridoio sotterraneo e le scale che stiamo per prendere sono ripidissime. Potresti cadere e romperti l’osso del collo.
Aprì la serratura e iniziò la discesa. Io indugiai un poco ma poi, con i piedini che mi tremavano paurosamente, iniziai a scendere. Delle torce illuminavano il cammino e strani graffiti e disegni adornavano le pareti. L’aria divenne gelata. Eravamo davvero scese in basso, avevo perso il conto dei gradini; quando questi terminarono mamma si fermò e mi osservò, come per accertarsi se ero ancora viva: non mi aveva né degnata di uno sguardo, né parlato per tutta la discesa.
- Ora, invece c’è una piccola salita da compiere.
Sbuffai mentre si voltava, ma lei mi sentì e minacciosa si riavvicinò a me, mollandomi uno schiaffo in piena guancia.
- Cammina! Davanti a ME!
Odiavo quando mi diceva di camminare davanti a lei. Voleva tenermi d’occhio sempre e diceva che quando le andavo dietro sembravo un cane.
Iniziai la salita …
 
“Piccola salita”?! Arrivai in cima senza fiato!
Mamma sembrava abituata a tutti gradini perché non aveva il fiatone.
Davanti a noi si presentò un grande porta di legno, tutta decorata e intagliata. La riconobbi subito: mamma era solita portarmi ogni mattina del sabato, al sorgere del sole, nella Cappella del nostro culto.  Lei mi ordinava di stare in una specie di atrio interno, quello che si presentava davanti a noi. Questo atrio aveva due entrate: quella in cui di solito entravo ogni sabato,  e quello che io e mamma avevamo appena percorso.
Quei sabato, non era la mia mamma ad accompagnarmi ma dei membri dell’Ordine che nemmeno conoscevo: prendevano una barca per attraversare il lago e poi nella Cappella mentre io aspettavo la fine del rito per poter rivedere la mia mamma e tornare a casa. Non mi era, infatti, permesso di assistere al rito, ma potevo visitare la struttura dopo le celebrazioni che di solito presidiava mamma.
Ma non capivo? Perché mamma mi aveva condotto nel posto di sempre però percorrendo quella strada lunghissima?
- So cosa pensi – disse mamma. – D’ora in poi sarà questa la strada che percorrerai per recarti qui.
Bhé mamma, ne avrei fatto anche a meno, lo sai.
Mi fissò, con espressione feroce. Oh, caspiterina! A volte penso che tu riesca a leggermi nella mente!
 
Entrammo nell’atrio, vuoto, e lo percorremmo tutto fino a raggiungere la porta che porta alla Cappella. Mamma mi aveva sempre detto di chiamarla Chiesa della Santa Via, ma è troppo lungo come nome. I banchi era colmi di donne.
Mi era sempre piaciuto quel posto, adoravo i quadri appesi alle pareti e amavo ammirare la grande e colorata vetrata frontale. Perdevo la nozione del tempo quando la fissavo. Era davvero stupenda. Anche i quadri non erano niente male.
Percorremmo la navata mentre la gente mi osservava incuriosita.
Mamma indicò un banco, quasi vuoto, e disse:
- Siediti là, Alessa.
Al suono del mio nome tutti i presenti trattennero il fiato e iniziarono a bisbigliare fra di loro.
Senza farci molto caso mi sedetti. Guardai alla mia destra: vidi una lunga chioma bionda, un faccino tondo che mi fissava, occhi grigi e allegri: Claudia!
- Ciao sorellina – bisbigliai.
Ero solita chiamarla così perché ci volevamo davvero tanto bene, per me lei era come una vera sorella e viceversa. Ci conoscevamo sin da quando eravamo davvero piccolissime e condividevamo le stesse passioni e la stessa religione.
Claudia era un po’ più piccola di me, doveva avere quasi cinque anni, mentre io ne stavo per compire sei. Era dolce e amichevole. Era la mia migliore amica.
Lei e i suoi genitori facevano parte della setta di Valtiel, simile a quella in cui io facevo parte, ma loro avevano una particolare devozione per …
- Ciao, piccolina. Allora, Dahlia ha deciso farti assistere al rito. Ah! Povera illusa!
Un uomo mi aveva rivolto la parola: era Leonard Wolf, il papà di Claudia. Era seduto vicino a lei; portava un lungo cappotto nero che nascondeva una vistosa tunica rosso-sangue.
Iniziò a parlare con se stesso; era un po’ strano quel tipo.
- Cosa sarebbe quella megera senza di me?! Crede che così possa diventare importante! Possa invece essere divorata dal fuoco dell’Inferno.
Si alzò e uscì dalla Cappella, sbattendo la porta.
- Anche per me è la prima volta qua dentro. Papà non voleva portarmi, però la mamma l’ha convinto - mi sussurrò Claudia.
- Ti invidio, sai – le risposi.
-Perché?
-Perché tu hai un papà.
Cadde un lungo silenzio imbarazzante. Forse l’avevo fatta sentire a disagio
Sentivo gli occhi della gente puntati su di me; era una cosa che mi faceva star male. Mi sentivo come una specie d’ospite d’onore ma odiavo stare al centro dell’attenzione. Mamma, voglio andare a casa.
 
 
Quante ore erano passate?
Tante, cara mia.
Non riesco a rimanere concentrata; ho un mal di testa lancinante!
Passerà.
 
E’ finito il rito?
Sì. Ma la gente è ancora qua, aspettano…
Bhè, io non ho capito una parola di tutte le cose che mamma diceva.
Claudia invece sì.
Sono stata con lo sguardo perso, fisso sulla vetrata.
Ma ora alziamoci.
Perché?
Mamma ti ha appena chiamato all’altare.
 
   
 
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