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Autore: Benkei    29/12/2011    1 recensioni
La guerra si avvicina: gli Shinigami della Soul Society contro gli Arrancar del ryoka Sousuke Aizen. Tuttavia il confine apparentemente netto che separa una fazione dall’altra non è mai stato tanto sottile. Fra le mura di Las Noches, infatti, casa delle dieci spade di Aizen, luogo dove cameratismo e solidarietà sono inesistenti e provare sentimenti è vergognoso segno di debolezza, qualcosa cambierà inaspettatamente fra Grimmjow Jeagerjacques e Neliel Tu Oderschvank: non solo la percezione della propria realtà, un’insopportabile destino di solitudine e sottomissione, ma anche quella del rapporto che li lega. Crescerà fra loro un amore imprevisto, maturo ma profondo, che porterà i due Espada a mescolare le parti in gioco nella guerra, all’inseguimento di una libertà mai avuta.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jaggerjack Grimmjow, Neliel Tu Oderschvank
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Attack
 


 In seguito all’avventata dichiarazione di Grimmjow, nella stanza era calato il silenzio: un’assenza di suoni più greve, paradossalmente assordante perché infinitamente più carica di tensione e aspettativa di una semplice quiete. Fra quelle quattro mura nella Soul Society, circondate dalla serenità e dalla rassicurante luminosità di una giornata come tante altre, che da tempi immemori si susseguivano in quel luogo eterno, si giocava il futuro di un numero incommensurabile di anime, appartenenti a Shinigami quanto a Hollow. Neliel si sforzava di mantenere un atteggiamento composto, che non tradisse minaccia né nervosismo, ma il cuore palpitava al centro del suo petto, rimbombandole nelle orecchie più simile ad incessanti colpi di tamburo che a normali battiti.
Una parola. Bastava una parola, no, un solo cenno di quell’uomo e sarebbe potuto finire tutto: il suo potere era chiaramente indiscusso e la ragazza era conscia che se avesse ordinato la loro esecuzione nessuno, neppure il gruppo di Shinigami che li aveva accompagnati fino al cospetto del loro comandante, dopo averli accettati come alleati, si sarebbe opposto. Forse in cuor loro non l’avrebbero ritenuto giusto, ma non avrebbero osato opporsi, poiché avrebbe significato tradire i propri compagni, la fedeltà ai propri superiori, il loro stesso spontaneo rispetto verso gli ordini, intrinseco della loro natura.
Il Comandante Generale Yamamoto squadrava minacciosamente i due Arrancar da sotto le folte sopracciglia canute. Non sembrava risentire della loro schiacciante reiatsu, né pareva preoccupato per i propri sottoposti, che, a contrario di lui, giacevano a terra, le mani premute sulle gole, le labbra spalancate in mute richieste d’aiuto. Nel silenzio che permeava l’atmosfera tesa della stanza, ogni tanto prorompeva un lieve rantolo rauco, un tonfo pesante di quegli Shinigami che, sopraffatti dall’ondata spropositata di potenza, perdevano i sensi lasciandosi trascinare dalla propria debolezza nel mare dell’incoscienza, come un naufrago alla deriva. Alle spalle di Neliel e Grimmjow, Orihime crollò a terra per prima, immediatamente soccorsa da Ichigo che, da bravo uomo di giustizia qual era, si affrettò a soccorrere la fanciulla.
«Quale arroganza…»
La voce burbera del comandante li fece tutti sobbalzare. A Neliel sembrò di aver atteso tanto a lungo un qualche suono, che quelle due semplici parole, quel timbro fermo e inflessibile le ferirono i timpani. Nonostante la risposta tutt’altro che incoraggiante, si sforzò di riprendere fiato, accorgendosi di aver trattenuto il respiro tanto intensamente che il petto le doleva e i polmoni gridavano il loro bruciante bisogno di ossigeno. Grimmjow si era irrigidito, ma non ribatté.
Il comandante Yamamoto strinse la presa sul legno nodoso del bastone. Le sue nocche sbiancarono e il viso grinzoso si contrasse in un’espressione dura. «Cosa pretendete da me, dichiarando a viso aperto i vostri intenti?», domandò. «Il mio aiuto? La mia approvazione? O forse pensate che vi dia la mia benedizione, accogliendovi come preziosi alleati? Prima che vi salti in mente di dirmeli, sappiate che non mi interessano i vostri personali motivi d’avversione contro l’ex capitano, e attualmente ryoka, Sousuke Aizen. Il fatto che voi adesso siate contro di lui, non vi permette di rientrare automaticamente fra le nostre schiere».
Grimmjow sbuffò stizzosamente. «La nostra dichiarazione non è una richiesta…», disse con voce profonda. Pareva offeso, come se il vecchio comandate gli avesse personalmente sputato in un occhio. «ma un’offerta».
Ognuno dei presenti ancora sufficientemente cosciente da afferrare il significato di quelle parole, sembrò trattenere il respiro, nello stesso istante, come un solo individuo. Quale superbia, questi Arrancar! Azzardarsi ad insinuare che lo Shinigami più potente degli ultimi millenni – e con lui, l’intera Soul Society da egli rappresentata - avesse bisogno del loro aiuto! Persino per chi aveva riposto la sua fiducia nei due Espada, quello fu un affronto che stuzzicò non poco il loro orgoglio di Shinigami. Grimmjow tentò di affrontare a viso aperto la raggelante occhiata lanciatagli dall’anziano comandante, ma ben presto l’intimidatoria aura di potere che emanava gli fece abbassare il mento e chinare il capo, facendolo sorprendentemente sentire più umiliato che mai, ma in maniera diversa, in minor misura rispetto a quando era costretto a prostrarsi dinanzi ad Aizen. Già, perché quel vecchio il rispetto lo meritava pienamente, nonostante gli bruciasse ammetterlo con tanta arrendevolezza, e Grimmjow dubitava che perfino Aizen stesso potesse sostenere quello sguardo più a lungo di quanto ci fosse riuscito lui. Digrignando i denti, si limitò a lasciar scivolare lo sguardo di lato, come per accettare quell’umiliante reazione.   
Ma Yamamoto non gli risparmiò le proprie occhiate pacatamente irate e continuò a puntarlo con i suoi occhi rossi stretti a due fessure, ardenti come le leggendarie fiamme della sua spada.
«Che parole boriose devo sentirmi rivolgere da un moccioso», brontolò, il tono di voce basso, eppure duro e rude come il suono di due pietre che cozzano l’una contro l’altra. «Solamente osservando te, si potrebbe risalire senza alcuno sforzo particolare alla personalità del tuo padrone, anche ammettendo che non sappia di lui quanto in verità so: arrogante, vanesio e terribilmente immaturo. Aria di superiorità, tendenza al tradimento. Si può capire molto di qualcuno, osservando i suoi sottoposti, poiché, per quanto lo possano odiare, finiranno sempre per assomigliargli».
Un ringhio basso nacque dalla gola di Grimmjow.
«E’ dovere di un buon comandante fare in modo di non condizionare troppo i propri subordinati, di non trasmettergli una parte di sé ma dei propri principi, affinché trattino i compagni come sono stati trattati. Questo è un principio fondamentale per un buon esercito: l’unione. La fedeltà. Il rispetto. E in questo Aizen, da quanto posso ammirare dalla tua persona, ha fallito miseramente, ammesso e non concesso che ci abbia mai provato».
Neliel era impressionata. Si accorse di aver sempre stimato eccessivamente l’intelligenza di Aizen perché, lì dove la natura gli aveva concesso l’intelletto, l’aveva sfidato a conquistare qualcosa di altrettanto prezioso, che ancora non possedeva e probabilmente per superbia non sarebbe mai arrivato a possedere: l’esperienza. Rapita dalla veridicità di quelle parole, si affrettò a raggiungere Grimmjow e lo zittì prima che combinasse il finimondo.
«Probabilmente ha ragione», le sfuggì d’un tratto.
Yamamoto inclinò la testa, come una vecchia tartaruga. «Certamente ce l’ho, Arrancar».
Neliel tacque un istante. Poi riprese: «Ed è proprio per ciò che ha appena detto che Grimmjow ed io siamo riusciti a voltare le spalle senza rimorsi a quella vita. Non è stato un tradimento, perché non c’era nessun legame a farci indugiare sulla nostra scelta», ribatté Neliel. Improvvisamente si era sentita piccata da quel discorso che li etichettava come traditori. «Quella di Aizen è la fazione sbagliata e a prescindere dalla nostra natura, quello da cui proveniamo non era il luogo né il gruppo adatto a noi. Nell’Hueco Mundo, il nostro mondo, gli Arrancar non sono uniti da ideali, né legami, né sentimenti. Ciò che accomuna tutti gli Hollow è la paura: di scomparire, regredire, di essere deboli. Aizen è apparso contemporaneamente come un’ancora di salvezza e una zavorra mortale per i deboli. Era il più potente, una sua parola e il più forte di noi poteva essere schiacciato. La paura di lui, la brama della sua protezione è stato l’elemento che ci ha legati l’uno all’altro, nostro malgrado».
Un sorriso piuttosto beffardo increspò le labbra del vecchio. Lentamente, socchiuse le palpebre in un gesto tanto di sopportazione quanto di stanchezza. «Stranamente sono belle parole, Arrancar ma nulla di più. Il tuo bisogno di giustificare le vostre azioni forse indica che vorresti la mia comprensione, ma sappi bene…», la sua voce vibrò appena, come scossa da un’emozione troppo intensa per essere trattenuta. «Che non vi permetterò una seconda volta di assumere quell’atteggiamento di superiorità. La Soul Society non ha bisogno di voi: vinceremo questa guerra anche senza le vostre boriose offerte di aiuto. Non vi biasimo Arrancar, ma neppure vi perdono».
Grimmjow strinse i pugni con tanta forza da conficcarsi le unghie nella carne, imponendosi di non perdere il controllo. Il suo carattere impulsivo e collerico lo aveva sempre condotto alla ribellione verso ogni autorità, eppure mai come allora si era sentito in grado di trattenersi, capace di prendere il controllo su di sé e le proprie emozioni. Forse stava sviluppando una coscienza, meno probabilmente stava imparando a riflettere. Alla sua sinistra, Neliel scostò rapidamente una ciocca dagli occhi, gettandola alle sue spalle in un gesto che Grimmjow ormai considerava abituale; un refolo di vento, quasi impercettibile, scaturì da quel semplice movimento e attraversò la stanza, raggiungendo le narici di Grimmjow, che lo annusò distrattamente. Sull’onda di quell’alito di vento era racchiusa una debole traccia del dolce profumo di Neliel: il suo odore naturale e allo stesso tempo così fresco e gradevole da sembrare la creazione geniale di qualche profumiere. Era una fragranza di pesca, di mare o di miele, oppure di lillà: naturalmente, l’Arrancar non sapeva dargli un nome. E nel cullarsi in quella deliziosa scia di profumo, lentamente le sue dita, non più simili ad artigli, si distesero, la sua mascella contratta si rilassò, il ringhio svanì.
Non era diventato più accorto. Semplicemente, adesso aveva qualcosa che lo teneva saldamente ancorato alla vita, come un palloncino trattenuto fra le mani di un bambino, pronto a lasciarsi trasportare sulla scia del vento nel momento in cui quelle dita avrebbero allentato la presa.
«Vogliamo collaborare», disse ad un certo punto, con il tono di voce più serio che si fosse mai dato la pena di adottare. «Conosciamo Aizen, i suoi progetti, la sua fortezza, il numero e le capacità dei suoi sottoposti. Non vogliamo piacervi, né essere guardati con rispetto. Solo diventare alleati», concluse, scrollando le spalle. Neliel gli rivolse un sorriso tanto fugace, che l’Espada credette di non averlo neppure visto veramente, ma si sentì comunque stranamente soddisfatto. Con rinvigorito orgoglio, sollevò il mento altezzosamente.
Il Comandante Generale non ribatté: quel discorso presentava argomentazioni piuttosto convincenti e non poteva non apparire allettante. Dopotutto l’esito della guerra al momento non era loro favorevole.
I suoi occhi vagarono da Grimmjow a Neliel, e sembrarono scrutare e calcolare ogni cosa; la sua concentrazione era tale, che i suoi pensieri, per la prima volta durante quell’incontro, parevano scritti sul suo volto. La corporatura robusta e vigorosa di Grimmjow, quella esile di Neliel, il carattere impetuoso di uno e l’evidente capacità di osservare i dettagli e riflettere dell’altra ed infine il rango di entrambi, elevato perfino tra gli Arrancar. I difetti e le mancanze di ognuno dei due parevano compensate dalle capacità del compagno; una coppia di perfetti opposti, ma che insieme si bilanciavano equamente. La mente brillante e navigata del comandante Yamamoto riconobbe un’accoppiata con un potenziale notevole; eppure rimaneva un rischio accogliere due Arrancar fra le proprie file. Doveva prendere una decisione: rischiare o rifiutare e sperare, affaccendandosi senza sosta per trionfare in quella guerra, dalle prospettive tutt’altro che rosee e favorevoli.
Le mani grinzose del Comandante Generale si strinsero sul bastone nodoso.
«Non posso permetterlo», tuonò. La sua voce tonante riecheggiò nell’atmosfera di silenzio e aspettativa di cui era carica la stanza e rimbombò contro le pareti rivestite da pannelli di legno, echeggiando come urla nella mente di tutti i presenti, alcuni sollevati, altri raggelati. Grimmjow sentì una scossa percorrergli il braccio destro e capì di essere pronto a reagire in ogni istante. La situazione era improvvisamente precipitata, ma forse era ancora in grado di fuggire insieme a Neliel, nonostante quella prospettiva per lui fosse disgustosa e vergognosa. Neliel affondò i denti nel labbro inferiore, mentre un vago tremore le scuoteva le ossa.
Adesso erano veramente in trappola.
«La Soul Society non accoglierà fra le sue file due Espada, nemici e traditori dei loro stessi compagni, per quanto possano essere d’aiuto», dichiarò il Comandante e sbatté con violenza il bastone al suolo, accompagnando le sue parole dure con quel suono secco. Immediatamente la porta scorrevole si spalancò ed entrò una fiumana di Shinigami che si precipitò a circondare gli Espada e soccorrere i compagni privi di coscienza. Sui volti dei più apparvero espressioni stupefatte, smarrite o furiose, nel vedere i due nemici al cospetto del loro capo e tutti quei compagni svenuti, palesemente per colpa loro.
Neliel indietreggiò, finché non sentì la propria schiena contro quella di Grimmjow, trovandosi accerchiata da una moltitudine di lame puntate contro le loro gole. La sua mano corse all’elsa della sua katana, ma ancora non la estrasse; un velo di sudore freddo le copriva il volto. Alle sue spalle, ancora accasciata a terra, Orihime trattenne il fiato, terrorizzata e si aggrappò più saldamente a Ichigo, gli occhi sgranati dallo sgomento. Neliel la vide lanciare un’occhiata spaurita prima allo Shinigami, poi a Rukia; entrambi evitarono i suoi occhi supplichevoli, abbassando lo sguardo, impotenti.  
«Non mi piacete, Arrancar. Non mi interessa che foste sottoposti di Aizen, né che lo siate ancora oppure no. Ma da qualsiasi parte stiano, i traditori non sono mai ben accetti ai miei occhi», disse Yamamoto, una nota di disprezzo nella voce. Si voltò, facendo svolazzare l’ampio haori bianco e la lunga barba immacolata, ordinando – con tono di gelido distacco - ai propri sottoposti: «Imprigionateli».
 
 
Le sbarre sferragliarono, producendo un fracasso assordante, quando Grimmjow le colpì con un calcio. Eppure, nonostante la potenza inaudita delle percosse, quegli ostinati pezzi di metallo si limitavano a vibrare come in preda alle scosse di un terremoto, senza, però, arrivare mai a spezzarsi. Grimmjow imprecò ad alta voce. Marciò fino all’entrata della cella e, in un ultimo tentativo, afferrò fra le dita una spranga, la fronte corrugata e la mascella contratta dalla rabbia, provando in tutti i modi a piegarla con la sua forza.
«Smettila Grimm…», borbottò Neliel. La sua voce emerse dall’angolino buio in cui si era rifugiata, in un tono più aspro di quanto volesse adottare. Quel baccano era insopportabile, le martellava nella scatola cranica, frantumando come un martello ogni suo pensiero coerente e risuonava nel corridoio silenzioso, senza però scatenare nessuna esortazione a smettere dalle sentinelle che li sorvegliavano: infatti, sebbene Grimmjow fosse imprigionato ed effettivamente innocuo, Neliel sapeva quanta paura le guardie avevano di lui e per questo non osavano intimargli il silenzio, a costo di farsi venire, e far venire anche a lei, un gran mal di testa. «Non sono stupidi, non ci rinchiuderebbero mai in una cella che potremmo facilmente demolire con la forza».
L’Espada, in tutta risposta, esplose in un ringhio e si scagliò per l’ennesima volta contro l’inflessibile parete di sbarre. Sentiva il vuoto nella sua mano lasciato dall’elsa di Pantera, ora rinchiusa nei recessi di quel luogo sconosciuto, in gabbia come lui, e, per calmare il bisogno bruciante di riempire quella mancanza, l’aveva colmata con i propri pugni. «Almeno… sfogo… la rabbia!», accompagnò ogni parola con una nuova scarica di pugni, finché, giunto all’ultima, le nocche scorticate e sbucciate cominciarono a sanguinare copiosamente. Ogni colpo che sferzava l’aria, tracciava una scia di goccioline scarlatte sul pavimento della cella.
Neliel gli scivolò accanto e gli prese le mani fra le sue, per fermare quelli che ormai erano gesti di furiosa disperazione: il sangue di Grimmjow le gocciolò fra le fessure delle dita, serpeggiando in rigagnoli lungo il suo polso, quasi a voler penetrare nella pelle della ragazza e congiungersi al suo.
«Così ti farai male…», lo rimproverò con più dolcezza, lo sguardo chino sulle sue nocche martoriate. Quando fece per strappare un lembo della veste, da usare come delle bende improvvisate, fu Grimmjow a fermarle le dita, già strette ai bordi del vestito. Si chinò verso di lei e appoggiò la fronte contro quella di Neliel, dipinta sul volto un’espressione che aveva ormai superato il limite della rabbia, diventando simile allo sconforto e ad un insopportabile tormento.
«Scusami Nel», mormorò a bassissima voce, in uno sforzo di autocontrollo.
Neliel rimase di stucco. Non credeva che l’avrebbe mai sentito chiedere scusa. «Ma cosa… perché?», si affrettò a chiedere, dopo un silenzio troppo lungo.
Grimmjow emise uno sbuffo frustrato. «A causa mia finisci sempre richiusa in buchi puzzolenti come questo. Prima a Las Noches, adesso perfino qui, a casa di questi schifosi Shinigami», sporse la testa verso il corridoio, «esatto, parlo di voi! Pezzi di merda!». La sua voce echeggiò lungo il corridoio, stavolta scatenando un brusio sommesso che si levò dalla postazione di guardia degli Shinigami, che subito si zittì quando Grimmjow schioccò minacciosamente la mascella.
Neliel gli afferrò di nuovo la mano e intrecciò le dita con le sue. «Eh sì, siamo proprio controllati a vista da quei due cani da guardia…», sospirò, ironica, sperando di strappargli un sorriso che non arrivò mai. Grimmjow non sorrideva mai. Non aveva mai visto sulle sue labbra un’espressione che gli arrivasse agli occhi e li illuminasse non di selvaggia ebbrezza, non di saccente sarcasmo, ma di felicità; l’azzurro dei suoi occhi era un limpido cielo privo di sole, celato dietro nuvole che solo talvolta gli permettevano di fare capolino.
La ragazza si morse il labbro e una spiacevole fitta le serrò la bocca dello stomaco. La felicità era un sentimento primordiale, facile da accettare nella sua devastante impetuosità più della frustrazione o della malinconia, a cui è ancor più facile abbandonarsi poiché più semplice da scatenare. Perché non le rivolgeva mai neppure una smorfia di divertimento? Oltre le avversità, non lo rendeva felice il fatto di non essere mai stati separati, almeno un decimo di quanto rendeva felice lei? Per quanto lei ne sapeva sulle sue emozioni, poteva anche darsi che in lui si stesse facendo strada una punta di rammarico per tutte quelle scelte sbagliate.
Prima che potesse arrischiare una qualsiasi domanda, Grimmjow sciolse improvvisamente la stretta fra le loro dita intrecciate e si allontanò, una mano premuta contro il volto. Le dita fremevano, quasi si stesse trattenendo con tutte le proprie forze dall’artigliare la propria pelle. Sembrava fuori di sé. «Non lo sopporto proprio…», mormorò, la voce tremante. «Non sopporto essere rinchiuso alla loro mercé… sto uscendo di testa…»
Neliel non trovò nulla da dire. Rimase impalata dov’era, destata dal suo rimuginare, le braccia abbandonate lungo i fianchi a guardarlo, scosso da capo a piedi da fremiti di rabbia. La temperatura nella cella sembrava essere calata di colpo sotto lo zero. Grimmjow si afferrò la testa fra le mani, digrignando i denti. «Non lo sopporto!», gridò. Il pavimento e le pareti tremarono, squassate solo dalla potenza del suo urlo. Rimase lì, ad ansimare come una bestia inferocita, rinchiuso nelle sue frustrazioni, tormentato dai propri insuccessi e dalle umiliazioni subite, circondato come da un muro impenetrabile.   
Neliel chiuse gli occhi: aveva voltato lo sguardo per un solo secondo, ma l’illusione d’umanità le era già scivolata fra le dita. Ora, davanti a lei non c’era che una creatura arrabbiata con il mondo.
 
 
«Ahia!»
Ichigo si fermò di colpo e lanciò un’occhiata apprensiva nella fitta oscurità che li circondava come un bozzolo. Alle sue spalle, una decina di metri più indietro, Orihime era accasciata a terra e si lamentava piano, il volto nascosto dai lunghi capelli ramati. «Inoue!», chiamò Ichigo, preoccupato; sistemò meglio l’enorme spada che reggeva sulle spalle e corse cavallerescamente verso la ragazza per aiutarla a rialzarsi. Orihime rise piano, in un tentativo di schernirsi, ma le riuscì solamente una breve risatina acuta.
«Mi spiace tanto, Kurosaki- kun…», mormorò piano, abbassando lo sguardo per nascondere il rossore che lentamente si stava diffondendo sulle sue gote. «Vi sto rallentando terribilmente… sono così imbranata…». Ichigo sospirò e, prendendola sotto le ascelle come una bambina, la tirò su piuttosto energicamente, rimettendola subito in piedi. «Non dire sciocchezze, Inoue», disse con voce ferma e decisa. «Nessuno ha fretta, quindi non ci stai affatto rallentando».
«Ichigo?», la voce di Rukia proruppe dal fondo dell’oscura galleria. «Cosa succede?».
«Nulla», rispose il ragazzo. «Mi si era solo… slacciata la scarpa». Si levò un borbottio indistinto e ad Ichigo parve di sentire qualcosa come “il solito perditempo”, prima di tornare a concentrarsi su Orihime, che gli aveva rivolto un nervoso sorriso di ringraziamento. La ragazza lo impensieriva: da quando erano partiti dalla Soul Society, decretando che la loro presenza lì non era più di alcun aiuto, e specialmente da quando avevano varcato l’entrata del Dangai per tornare a Karakura Town, Orihime si era intristita e non aveva più proferito parola. Qualcosa la preoccupava, si poteva notare soprattutto dal peggiorare della sua goffaggine: rimaneva sempre per ultima e sembrava non riuscisse più a camminare neppure su un terreno piano senza impedirsi di inciampare sempre più spesso. Ichigo poteva anche non essere molto pratico di certe cose, ma stavolta non era difficile capire quali pensieri la tormentassero.
Orihime mosse un passo incerto verso i compagni, ormai lontani, intenzionata ad accorciare la distanza che li separava, ma Ichigo le si parò davanti, impedendole di procedere. La ragazza sgranò gli occhi, smarrita e lanciò un’occhiata al di sopra della sua spalla, come se meditasse di darsi alla fuga da un momento all’altro.
«Inoue», disse Ichigo. Orihime non rispose, incerta se sentirsi imbarazzata o confusa, limitandosi a guardarlo negli occhi, senza riuscire a distogliere lo sguardo come avrebbe desiderato fare.
«S… sì?», riuscì a balbettare.
Il ragazzo sospirò. «Non devi tormentarti per loro».
Orihime abbassò di colpo lo sguardo, sentendosi colta in flagrante. «Non capisco, Kurosaki- kun…»
«Non mi prendere in giro. Ho notato quanto sei giù di morale, so che sei in pensiero per Neliel e Grimmjow, ma non ne vale la pena», le posò le mani sulle spalle con risolutezza. «Sono solo Arrancar».
Inaspettatamente, Orihime si scrollò di dosso la presa di Ichigo, che rimase interdetto. Scosse la testa con aria triste, con l’ingenuità e l’ostinazione di una bambina: «Sei crudele, Kurosaki- kun», esclamò, combattuta fra il timore di dirgli ciò che pensava e l’irritazione per ciò che lui stesso aveva appena dichiarato. Lui, sempre così giusto e buono… «Come puoi dire “sono solo Arrancar”? Io ho incontrato altri Arrancar e so per certo che ciò che ho visto nei loro occhi non era lo stesso che ho visto negli occhi di quei due Espada. Non so se sia perché sono stupida e ingenua o perché ho pochi amici, ma io, in quei pochi giorni che ho avuto l’occasione di stare insieme a loro, ho imparato ad apprezzarli come avrei fatto con qualsiasi altro essere umano», confessò, con voce tremula. Ichigo sbarrò gli occhi, stupefatto; avrebbe voluto ribattere, dirle che era davvero una sciocca se si fidava di due nemici, ancor di più se aveva imparato addirittura a voler loro bene…
 «Neppure tu sei convinto di ciò che affermi, Kurosaki- kun… Sei troppo… troppo onesto e gentile per pensare che si siano meritati ciò che gli accadrà», riuscì a scandire, in un tentativo di sembrare sicura. Strinse le mani, per nascondere il tremito. «Tu c’eri durante la convalescenza di Grimmjow- kun e lo sai, lo sai che non hanno mai tentato di farmi del male, sai che, se non fosse solo per quelle maschere d’osso che portano, avrebbero potuto essere degli umani tali e quali a noi».
Ichigo corrugò la fronte. «Dimentichi che quello schizzato dai capelli blu ha tentato di uccidermi almeno un paio di volte», mormorò, incupito. «Mi fa male ammettere che ci è pure andato vicino… E immagino ricorderai la prima visita di quei due Arrancar, Ulquiorra e Yammi. Io non ho dimenticato nulla, perché ogni incontro con loro si è concluso con una mia sconfitta, che al solo ricordo, brucia ogni istante di più…», digrignò i denti, perso nelle sue rievocazioni. Orihime sentì un brivido percorrerle la schiena. «Potrei farti altri esempi, ma immagino tu abbia compreso quello che voglio dirti. Gli Arrancar sono così, sono crudeli, brutali. Gli piace uccidere perché sono nati per quello. Forse abbiamo incontrato un’eccezione, una sola, e parlo di Neliel, ma ciò non pregiudica che spesso l’istinto ha il sopravvento sulla ragione».
Orihime non credeva ad una parola e sapeva che neppure Ichigo stesso era convinto di ciò che professava; all’improvviso, una morsa allo stomaco le bloccò le parole in gola. Atterrita, scoccò delle occhiate intorno a sé ma non vide che buio: si accorse di tremare di paura. Un gelo mortale sembrava avvicinarsi sempre più velocemente e in un istante la ragazza capì che qualcosa non andava.
«Kurosaki… kun…», mormorò, con le labbra secche. Il suono della sua voce attraversò la densa oscurità della galleria, lacerando il silenzio innaturale che era calato su di essa. «Cosa…»
Ichigo se n’era accorto. Il suono di voci e passi dei compagni era svanito, come perso nelle tenebre del Dangai; eppure era impossibile che fossero già arrivati a Karakura, avevano varcato l’entrata della galleria da troppo poco tempo…
«Stai dietro di me, Inoue», ordinò Ichigo e si parò davanti a lei, pronto a proteggerla. Impugnò Zangetsu e tentò di concentrarsi, per cercare di percepire chiunque cercasse di avvicinarsi.  «Ho una brutta sensazione».
«Oooh», canticchiò una voce alle sue spalle, carica di ostentato stupore. «Hai una brutta sensazione, Kurosaki- san?»
Ichigo si voltò di scatto, il cuore che palpitava violentemente contro la cassa toracica.   
Dietro di lui, apparsi da chissà dove, c’erano due Arrancar: l’uno alto, gigantesco, dalla pelle scura e una minacciosa maschera d’osso sulla mandibola, l’altro più smilzo, dalla pelle bianca e marmorea, i capelli neri come la pece e due linee verticali che gli attraversavano come lacrime il viso inespressivo. E in mezzo a loro, con un largo sorriso inquietante stampato sul volto, c’era Ichimaru Gin.
Ichigo sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Gin alzò una mano in segno di saluto. «Hola, Kurosaki- san!», esclamò, allargando il ghigno sardonico. «E’ da molto tempo che non ci vediamo e siamo venuti a darvi un salutino. Così, per cortesia e buon vicinato, diciamo...»
Il ragazzo strinse la presa sull’elsa della spada: avrebbe dato volentieri la propria vita per proteggere Orihime e gli altri, non aveva esitazioni. Allungò una mano dietro di sé, sperando inutilmente che nella densa oscurità la vista acuta degli Arrancar non notasse il suo gesto, per esortare Orihime a fuggire non appena ne avesse avuto l’occasione; le sue dita strinsero l’aria.
Ichigo si impietrì. «No», qualcosa dentro di lui si contrasse dolorosamente. «Inoue…»
Gin sventolò la mano affusolata con espressione di falsa incredulità: «Suvvia, Kurosaki- san, non te ne sarai mica accorto adesso?», sospirò affranto e fece un breve gesto alle proprie spalle. Yammi avanzò – con immenso orrore di Ichigo – trascinando per i capelli Orihime e ridacchiando ottusamente, la gettò rozzamente a terra: la ragazza si accasciò al suolo senza un lamento.     
«INOUE!»
Ichigo fece per precipitarsi verso la ragazza, ma qualcosa gli ghermì il braccio destro, facendogli perdere la presa sull’elsa di Zangetsu e lo scagliò a terra; Ulquiorra gli posò un piede contro la nuca, schiacciandogli la faccia contro il suolo freddo e polveroso e gli tirò il braccio verso di sé. Lo Shinigami ansimò, senza fiato e una miriade di puntini rossi esplosero nel suo campo visivo.
«Che reazione inutile e infantile», dichiarò una voce fredda, sopra di lui. Ichigo digrignò i denti. «Muovi un muscolo, Shinigami, e il tuo braccio me lo prenderò io».
Gin batté le mani. «Molto bene!», esclamò euforicamente. «Vedo che hai capito come girano le cose, adesso».
Yammi rise.
Ichigo, ancora immobilizzato, si rivolse allo Shinigami. «Perché lo fai?», gli ringhiò. «Cosa diavolo volete?». Non capiva: Neliel aveva raccontato che era stato proprio Gin ad aiutare lei e Grimmjow nella loro fuga dall’Hueco Mundo. Perché si era comportato così, perché ora li assaliva? 
«Santo cielo, Kurosaki- san, ti facevo più sveglio!», lo beffeggiò Gin in tono di scherno. Con pochi passi leggeri, si avvicinò a lui e, inginocchiandosi per arrivare alla sua altezza, lo guardò negli occhi. «E’ una guerra, signor Sostituto Shinigami. Credi che assaltare giovani donzelle indifese, sia il mio hobby preferito?»
Ichigo avrebbe voluto sputargli in un occhio. «Sei uno sporco traditore», disse.
Per un istante, un solo millesimo di secondo, negli occhi socchiusi di Gin apparve un’ombra di dolore; poi lo Shinigami si alzò con un gran sospiro. «Mostriamo al nostro amico quale al momento sia la sua posizione», disse, rivolgendogli le spalle. «Perché pare proprio che non l’abbia ancora capito».
Schioccò le dita: in lontananza apparve una luce e l’oscurità che gravava sulla galleria fu lacerata dai bagliori di quella fonte luminosa. I freddi raggi di luce colpirono le pareti, dipingendo lunghe ombre sulla pietra e illuminarono una serie di corpi, sparpagliati al suolo lungo tutto il tunnel come inanimate bambole di pezza.
Ichigo sbarrò gli occhi. «Rukia… Renji…», mormorò inorridito.
I suoi amici giacevano a terra, come Orihime, immobili e privi di sensi: dal primo all’ultimo, perfino il capitano Hitsugaya, erano stati sconfitti dai tre Arrancar. Il ragazzo sentì la rabbia crescere, incontrollabile, violenta e il desiderio di lacerare ogni loro singolo brandello di carne si impadronì di lui, così selvaggiamente da tramutarsi in un fremito che lo scosse fin nelle ossa.
«Che cazzo volete da noi?», gridò. Una scintilla di lucidità gli impedì di divincolarsi, salvando così il proprio braccio destro, ancora stretto fra le dita marmoree di Ulquiorra. Gin non rispose. Yammi improvvisamente avanzò a passi pesanti, come ubbidendo ad un muto ordine, e si fece largo fra i corpi esanimi dei suoi compagni, afferrando fra le sue enormi mani Rukia, sotto lo sguardo confuso e atterrito di Ichigo e allungando le dita, grosse come badili, anche verso Matsumoto.
«Fermo, Yammi», la voce di Gin, stranamente incolore, proruppe dal lato opposto della galleria. La mano di Ulquiorra artigliata intorno al braccio di Ichigo si contrasse impercettibilmente.  «Non vorrei caricarci troppi pesi sul groppone e di ostaggi ne bastano due. Comunque il colpo che hanno preso è sufficiente a farli dormire tutti per un bel po’».
Yammi, un po’ contrariato, ritirò il braccio e si limitò a gettare Rukia di fianco ad Orihime. Ichigo cominciava a capire: volevano qualcosa da lui, ma sapevano che non si sarebbe mai sottomesso di sua spontanea volontà. Volevano ricattarlo, e la posta in gioco erano le vite di Rukia e Orihime.   
«Lasciatele andare», disse. «Farò quello che volete!».
Gin ridacchiò. «Molto cavalleresco, Kurosaki- san. Ma preferiamo essere sicuri che non farai nulla di avventato».
«Ma cosa volete che faccia?», urlò Ichigo. La sua rabbia fu messa immediatamente a tacere da Ulquiorra, che gli premette con più forza il viso a terra; il ragazzo sentì le ossa del naso scricchiolare.
«Tu…», Gin sorrise, mellifluo. «Sarai la nostra guida. Vogliamo fare una gita nella Soul Society, sai Ulquiorra- kun e Yammi- kun non l’hanno mai visitata».
Ichigo si impietrì. Era una follia, l’avrebbero considerato un traditore. A nessuno sarebbe importato il motivo per il quale aveva ubbidito, nessuno avrebbe capito che lo faceva per salvare Rukia e Orihime, avrebbero solamente visto lui, Ichigo, condurre docilmente due Espada e un ryoka per le strade della Soul Society. Tuttavia non capiva neppure il motivo che poteva aver spinto Aizen a mandare tre dei suoi migliori sottoposti fra le braccia del nemico.
«Ma certo…», mormorò ad occhi chiusi, quasi fra sé e sé. «Grimmjow e Neliel. Volete loro».
Gin gli rivolse un ghigno che fece riaffiorare in lui la voglia di tirargli un cazzotto, ma non negò, né confermò ciò che Ichigo aveva appena detto. «Certo, a Las Noches mancano a tutti, specialmente ad un certo Szayel Aporro, e li rivogliamo con noi, tuttavia il motivo non è precisamente quello. Ma la ragione di questo gesto so per certo che non ti interessa, quindi ce la terremo per noi».
Ichigo non disse nulla, conscio di non essere nella posizione più adatta per domandare spiegazioni o chiarimenti.
«Se accetto, lascerete andare Rukia e Inoue?»
Gin annuì, il trionfo scritto in volto. «Hai la mia parola d’onore», disse con eccessiva solennità, portandosi una mano al cuore. «Deduco che accetti?»
Come se fosse una richiesta, pensò Ichigo. «Ho altra scelta?»
Gin rise: «Oh, Santo cielo, certo che no!»


Note:
Chiedo umilmente perdono per l’attesa.
Davvero.
Chino la testa e chiedo perdono.
Questo capitolo è un po’ più corto, mi spiace, ma gli avvenimenti successivi non possono essere interrotti e se li mettevo tutti in questo capitolo diventata un libro. Fa abbastanza schifetto, scusate di nuovo. Comunque scommetto che non vi aspettavate il rifiuto di Yamamoto, eh? O l’arrivo del nostro furbetto Gin, eeeh?
Chiudo dicendo: ce la faranno i nostri eroi imprigionati a liberarsi e ottenere l’approvazione degli Shinigami? Il paladino Ichigo soccomberà davvero al ricatto dei cattivoni?
Grazie per la lettura, grazie se vi verrà voglia di lasciare una recensione.
Ah e Happy New Year in anticipo!
E Buon Natale in ritardo!
Benkei

 

  
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