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Autore: MystOfTheStars    30/12/2011    2 recensioni
[[Fanfiction scritta per il prompt-athon 2011 su hetafic_it @ LJ. Ho giocato liberamente con l'ambientazione Gakuen e con i personaggi in versione Nyotalia, soprattutto per cimentarmi in una delle versioni che preferisco della GerIta, ovvero ItaliaXfem!Germania~ Altri pairing: het!Spamano, triangolo fem!Prussia/male!Ungheria/fem!Austria]]
Luise è un'adolescente decisa, ma un po' insicura del suo aspetto, timida ed impacciata soprattutto nei confronti dell'altro sesso. Questo è il suo primo giorno di scuola nel liceo frequentato anche dalla sorella più grande, che, al contrario di lei, è l'apoteosi della sicurezza di sé e dell'estroversione. Al di sotto dell'apparenza impeccabile della sua divisa inamidata, Luise spera di non fare figuracce, e, soprattutto, che nessun ragazzo le si avvicini troppo. Ma poi... arriva Feliciano!
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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[[Aggiornamento in anticipo sulla tabella di marcia dato che domani è l'ultimo dell'anno e io devo ancora preparare tutto... Spero il nuovo capitolo vi piaccia~

Ci vediamo nel 2012, tanti auguri di buona fine e buon inizio ;3]]


Prompt di questo capitolo: pacchetto sogni, incubo
Personaggi in questo capitolo: Luise, Feliciano, Julchen, Sophia, Gary, mr. Weilschmidt
Beta: Yuki Delleran








Guten Tag, Vati.”
Guten Tag, Luise. So, wie geht's dir in der neuer Schule? Alles in Ordnung?”
Luise sospirò, lontano dal telefono.
Ganz gut, Vati, danke.”
Non si poteva dire che le cose andassero male, questo no. I voti dei suoi test e dei suoi paper erano sempre alti, era diventata capitano della squadra di pallavolo del primo anno, e nel secondo semestre avrebbe fatto richiesta per entrare a far parte del consiglio studentesco. Esternamente, insomma, il suo anno accademico stava andando a gonfie vele.
E tuttavia, molto spesso le sue giornate erano un incubo.




Tutto era iniziato in quel malaugurato, confusionario primo giorno di scuola. Il pomeriggio stesso ogni classe si era riunita per le prime ore di lezione. Nel banco accanto a lei non si era seduto nessuno – tutti sembravano già conoscere qualcuno, o aver già scelto il proprio compagno di banco... oppure, più semplicemente, nessuno voleva sedersi vicino a quella pazza violenta che aveva appena dato spettacolo in aula magna.
Poi, a lezione appena iniziata, la porta dell'aula si era spalancata ed era comparso proprio lui, la causa di tutto quel trambusto. Naturalmente, l'unico posto ancora libero era quello accanto a Luise.
Naturalmente, era ovvio che il ragazzo non avrebbe voluto sedervisi: la guardava con gli occhi spalancati di chi si aspettava di venire nuovamente preso a schiaffi da un momento all'altro.
Lei aveva tentato di ignorarlo per tutto il tempo, ma quella disgrazia semovente aveva dimenticato la penna, e poi non aveva il temperamatite, e poteva mica prestargli un foglio del suo block-notes? Grazie...
Finita la lezione, Luise si era alzata e se n'era andata in tutta fretta, ma si era resa subito conto che il ragazzo la stava seguendo lungo il corridoio – e non c'era stato nulla da fare, per quanto tentasse di seminarlo, l'altro la pedinava, tenendosi sempre ad una determinata distanza, come se stesse facendo finta di nulla.
Alla fine, dopo essersi appositamente spinta in un corridoio vuoto (se doveva dargli una lezione, preferiva non avere testimoni), si voltò per affrontarlo.
Per svariati minuti non accadde nulla. Dopo un po', però, Luise si accorse di uno strano ricciolo di capelli castani che si intravvedeva da oltre il muro, all'angolo del corridoio.
“Ehi, tu! Vieni fuori! Hai paura di affrontare una ragazza?”
Il viso di Feliciano face capolino piano piano da dietro l'angolo.
“B-beh... t-tu sembri così...”
Gli occhi di Luise si ridussero a due fessure. Mani sui fianchi, avanzò a grandi passi nella direzione di Feliciano.
“Così cosa?!”
Feliciano fece un salto. “Così arrabbiata con me!”
Luise lo afferrò impietosamente per la cravatta dell'uniforme. “Per forza! Chi è stato a mettermi in imbarazzo davanti alla scuola, prima?!”
“M-ma è stato un incidente, non l'ho fatto apposta!!! E p-poi, non è stato nemmeno male, n-no? Aaaah!” si coprì la faccia con le mani, notando il lampo assassino negli occhi azzurri della ragazza.
“Cos'è, mi stavi seguendo per ripetere l'esperienza?! Con chi credi di avere a che fare, brutto maniaco?!”
“Noooo!” Feliciano ululò, scalpitando per liberarsi dalla presa della bionda. “V-volevo solo... ridarti questa! P-prometto che domani non mi dimentico l'astuccio, lo promettooo!” implorò, sollevando con mano tremante una delle penne che Luise gli aveva dato. In tutta la fretta che aveva avuto, si era dimenticata di richiederla indietro.
La prese, diffidente.
“D'accordo. Comunque, farai meglio a non dimenticartelo, visto che domani non ti metterai vicino a me, e non so se gli altri ti sopporteranno abbastanza da prestarti le cose.” disse, severa, lasciandolo andare.
“Eeeeh? E perché non posso sedermi vicino a te, scusa?”
“Perché mi innervosisci, ecco il perché!” Luise lo squadrò dall'alto in basso, sperando di fargli paura, ma l'altro ancora non se la dava a gambe.
“Ascoltami bene.” sospirò, una mano a massaggiarsi le tempie che iniziavano a dolerle. “Se non te ne fossi reso conto, il tuo comportamento è inappropriato. E poi, io non posso passare le ore di lezione a prestare quaderni e matite a qualche distratto che non sa nemmeno dove ha lasciato la testa. I-inoltre...” arrossì, voltando lo sguardo “Tutta quella scenata di stamattina è stata davvero imbarazzante. Non voglio che tu mi stia vicino, va bene? Finirà che ti prenderò a schiaffi di nuovo e tutti penseranno che io sia una pazza violenta... insomma, sono già abbastanza incapace a... relazionarmi agli altri. Non ho bisogno di altri impicci, verstanden?”
Perché mai doveva confessarlo a quel piccolo matto che si trovava di fronte, poi, non lo sapeva. Fece un movimento brusco con la mano, come a voler scacciare le parole che le erano appena uscite dalla bocca, e superò Feliciano per tornare in stanza in tutta fretta.

L'indomani, ovviamente, si era ripetuta esattamente la stessa scena del giorno prima. A quanto pareva, Feliciano e la sua sveglia non andavano d'accordo. Luise non poteva certo togliergli la sedia da sotto il sedere, né rifiutarsi di prestargli la penna, o chissà cosa avrebbe detto il professore.
Tuttavia, quando quel pomeriggio era tornata in camera e aveva sistemato la borsa, si era accorta di un bigliettino tutto accartocciato che spuntava dal suo astuccio.
Le ci era voluto un po' di tempo per decifrare la scrittura svolazzante ma incomprensibile, e alla fine aveva potuto leggervi:
“Cara Luise, mi dispiace di essere il motivo per cui non puoi farti amici in questa scuola. Credo che siccome sei tanto bella e brava non avrai problemi, però d'ora in poi ci penserò io ad essere tuo amico, così mi farò perdonare. Mi impegnerò tanto! E grazie per la matita, te la riporto domani. Ciao, Feli~”
In effetti, mancava una matita.
Luise, tutta rossa – ma davvero?! Bella e brava?! Ma per chi la prendeva?! - aveva buttato via il biglietto, salvo poi recuperarlo dal cestino e piazzarlo in un cassetto. Non si poteva mai sapere, era sempre meglio conservare le prove.
Da quel momento in avanti, comunque, il posto di Feliciano in quell'aula era rimasto fisso accanto al suo. Del resto, non si poteva pretendere che gli altri cambiassero banco solo perché a lei dava fastidio, no?




“Com'è il tempo? Inizia a fare freddo, vero?”
Suo padre era in viaggio, ora, da qualche parte nell'altro emisfero.
Ja. Ha già iniziato a nevicare.” rispose Luise, osservando con sguardo assente il giardino bianco fuori dalla sua finestra.




Già, la prima neve era arrivata più di due settimane prima. A Luise quel bianco soffice non dispiaceva, ma le davano fastidio tutti gli studenti che, dopo le nevicate, dichiaravano guerra senza quartiere a tutto e tutti, costruendosi fortini e munizioni gelate.
Feliciano aveva avuto modo di pentirsi amaramente dell'unica palla di neve con cui era riuscito a colpire Luise, la settimana prima, quando lei aveva ricambiato il favore facendogliene scivolare una manciata per tutta la schiena, giù fino alle mutande. Da quel giorno andava in giro con la sciarpa così stretta attorno al collo che sembrava volercisi soffocare.

Inoltre, con il freddo i club avevano smesso gli allenamenti all'aria aperta. C'erano abbastanza palestre per consentire a tutte le squadre di organizzarsi con gli orari che volevano, certo, ma Luise preferiva di gran lunga fare attività fisica all'aperto, anche se era freddo. Le palestre avevano sempre un odore di chiuso e di plastica che lei non amava affatto.
Se non altro, non avrebbe dovuto più incrociare i ragazzi del club di calcio, ecco. Così si sarebbero evitate scene imbarazzanti come quando Feliciano, magari impegnato sul campo, inciampava sul pallone tutte le volte che la vedeva passare nella sua tenuta sportiva (che, peraltro, comprendeva dei pantaloncini decisamente troppo, troppo corti).
Il ragazzo cominciava ad agitarsi tutto, a gesticolare in maniera ridicola nella sua direzione, gridando “Veee, Luise! Cia-” e si ritrovava immancabilmente con il viso affondato nell'erba del campo.
Una volta, lei aveva dovuto perfino fermarsi ad aiutarlo perché, scivolando, si era sbucciato un ginocchio.
“C-c'è sangue!!!” si era lamentato, guardandosi la sbucciatura come se si aspettasse di morire dissanguato da un momento all'altro.
“Sangue, queste due gocce? Idiozie! Sapessi con cosa ho a che fare io tutti i mesi!” gli aveva risposto Luise, facendo apposta a calcare la mano mentre gli disinfettava la gamba con un batuffolo di cotone. Se n'era pentita un poco, quando l'altro aveva mugolato miseramente.
“Sii uomo! Non è niente!”
Feliciano la guardava con negli occhi tutto il dolore del mondo.
“Bacino e passa tutto?” aveva fatto improvvisamente, indicandosi la guancia.
Il pizzicotto doloroso che era arrivato al posto del bacio lo aveva lasciato a gemere per il resto dell'allenamento.




“La tua compagna di stanza, invece? A Julchen non sembra stare molto simpatica.” osservò il padre.
“Mmh...” Luise aveva iniziato a farsi le sue ipotesi, rispetto all'odio che sua sorella serbava per Sophia, ma doveva ancora averne conferma. Inoltre, non credeva di poterne parlare al padre: se, come sospettava, si trattava di gelosia nei confronti di un certo ragazzo, erano confidenze che non era il caso di fare al proprio genitore, no?
“E' una ragazza molto discreta ed educata. Ama molto la musica, e... beh... sì, ha una certa passione per il cucito.”
Soprattutto per il rammendo, sì, ma quello preferiva non specificarlo. Insomma, suo padre aveva sempre voluto che le figlie indossassero solo abiti di ottima fattura e tessuti, e Luise, sebbene non fosse incline agli sprechi, non si era mai fatta problemi a cambiare vestiti sgualciti o logori con abiti nuovi, soprattutto quando si trattava di biancheria.




In effetti, Luise si era decisamente sorpresa quando, una sera, aveva ritrovato le due paia di slip, ormai rovinati e da lei buttati via quella mattina stessa, ben piegati sul suo letto.
“Oh, uhm, li avevo gettati via, questi.” aveva spiegato un po' imbarazzata a Sophia. Che li avesse visti nel cestino e avesse pensato che lo avesse confuso con il cesto della biancheria sporca...? Questo... in ogni caso, era imbarazzante.
Sophia l'aveva squadrata con un'aria seria, al di là degli occhiali.
“Warum?”
“Perché erano lise e... insomma!” rispose Luise, punta sul vivo. Erano affari suoi, se decideva di buttare un paio di mutande!
Ma, apparentemente, Sophia aveva un'idea ben diversa.
“Uno spreco inutile. Te le ho rammendate io. Puoi continuare a metterle.”
Così, per la prima volta in vita sua, Luise si era ritrovata ad indossare qualcosa di rammendato, il tutto solo per preservare il rapporto civile che aveva instaurato con la compagna di stanza.
Quando, in seguito, le si era bucato un paio di calzini, aveva avuto il buon senso di gettarli nel cassonetto fuori dalla palestra: occhio non vede, cuore non duole, si era detta. Per un paio di giorni, comunque, aveva avuto il sottile timore di ritrovarseli rammendati sotto il cuscino.




“E gli altri compagni di scuola? Hai dei buoni rapporti?”
“...beh, diciamo di sì. Ogni tanto...” sospirò, di nuovo lontano dal telefono “...ogni tanto do una mano a quelli che si trovano più in difficoltà.”
“Oh, sei molto altruista. Brava.”
Luise si massaggiò la fronte, perplessa. Altruista? Non era sicura che fosse la parola giusta...




Il problema era che Feliciano, l'ultima volta che aveva preso un votaccio in un test, aveva speso tutto il pomeriggio a lagnarsi e a piangersi addosso – o meglio, a piangere e lagnarsi addosso a Luise.
Feliciano non era stupido, lei lo sapeva, era solo terribilmente pigro e troppo incline ad addormentarsi con la testa sui libri, mentre studiava. Ecco che Luise si era perfino ritrovata a finirgli gli esercizi di matematica, o a rileggergli i temi mentre l'altro sonnecchiava beatamente riverso sulla scrivania.
Non pensava che si trattasse di altruismo, no. Sarebbe stata altruista a svegliarlo a suon di calci e a fargli ripetere a memoria tutte le formule algebriche che doveva imparare, se avesse voluto aiutarlo davvero. Ma dopo pomeriggi interi dedicati senza alcun risultato a questo metodo “altruistico”, aveva deciso che l'altra soluzione era, in definitiva, la più comoda ed indolore – per Feliciano, almeno.




“Ci sentiamo presto, Luise. Manca poco a Natale.”
“Già... saremo presto a casa per le vacanze, Vati.”
Vacanze dagli studi, sicuro, ed anche dal suo improvvisato ruolo di babysitter.


~*~


Mancavano due settimane alle vacanze di Natale, la neve cadeva fitta e Luise era in stanza da sola. Sophia era partita quel pomeriggio, per partecipare ad un concorso di musica in un'altra città. Nonostante fosse venuta a prenderla un'auto enorme e lussuosa per portarla all'aeroporto, Gary aveva insistito per accompagnarla al cancello con i bagagli – anche se aveva finito con lo scortarla tendendola a braccetto, per non farla accidentalmente scivolare nella neve. Certo non si poteva permettere che una pianista inciampasse e, per disgrazia, si facesse male ad una mano.
Julchen aveva osservato il tutto dalla finestra digrignando i denti, l'odio che trapelava dalle iridi rosse.
“Hai capito, la nobildonna?! Se ne va per una settimana, in barba agli esami di fine semestre, solo perché con le sue ditine d'oro sa schiacciare due tasti su un pianoforte. E guardalo, quello zerbino! Ma perché i suoi dovrebbero pagargli la retta della scuola, eh?! Lo avrebbero già bell'e sistemato al servizio della signorina Edelstein! Che nervi!”
Luise aveva scoccato un'occhiata scettica all'indirizzo della sorella e poi aveva osservato la grossa auto ripartire nella nevicata. Gary era rimasto a guardare finché l'auto non era sparita alla vista, ed era tornato indietro, saltellando faticosamente nelle impronte lasciate prima.
“E' già tanto se non gliel'ha spalata via con la lingua, la neve, prima che sua signoria mettesse piede fuori dal portone.” commentò Julchen, acida.
Luise si astenne dal rispondere: discutere con la sorella a proposito di Sophia non portava mai da nessuna parte e Julchen finiva sempre con il rinfacciarle un accusatorio “ma da che parte stai?!” che a Luise non piaceva sentirsi rivolgere.
Nonostante avesse le sue stramberie (forse anche dovute al suo essere nobile o al suo essere musicista, o entrambe le cose, chissà) Sophia era una pianista eccellente, Luise non poteva non riconoscerlo, non fosse per il fatto che aveva già vinto diversi premi. Era ovvio che la scuola chiudesse un occhio, anche se si trattava di saltare gli esami, quando una studentessa del genere non faceva che portare lustro al nome dell'accademia.
In ogni caso, per Luise si prospettava una settimana in cui avrebbe avuto la stanza del dormitorio tutta per sé. La cosa la lasciava, tutto sommato, indifferente: né lei né Sophia erano grandi chiacchierone, e Luise non disdegnava affatto la solitudine. Certo, veniva meno il gradevole sottofondo di musica classica che accompagnava spesso le serate in quella stanza, ma Luise amava anche il silenzio, soprattutto ora che doveva concentrarsi sugli esami; anzi, il fatto di essere sola in stanza le avrebbe consentito di rimanere alzata più a lungo per ripassare, senza disturbare nessuno.

Così, quella notte era andata a letto tardi, ma senza alcun pensiero. C'era un silenzio perfetto, tutt'intorno, nessun rumore esterno (tutto era attutito dalla neve) e i corridoi, a quell'ora, erano perfettamente silenziosi. Si era addormentata stanca ma soddisfatta del lavoro compiuto.
Il suo sonno del giusto, tuttavia, non era durato a lungo. A svegliarla era stato qualcosa di insolito, nel suo letto. Qualcosa di freddo. Un piede freddo, per la precisione, ma perché mai dovesse esserci un piede che non le apparteneva, sotto le sue coperte, era un totale mistero: l'ultima volta che era successo era stato anni prima, quando lei e Julchen ancora dormivano insieme, occasionalmente.
Nel dormiveglia, Luise si rigirò tra le lenzuola, chiedendosi che strano sogno stesse facendo. Non riuscì a sistemarsi bene, tuttavia, perché c'era qualcosa che le impediva di mettersi nella posizione che voleva... ma che diamine...?!
Si allungò di scatto per accendere la lampada sul comodino, e così facendo ficcò le dita negli occhi di qualcuno.
“Ohiohiohiohiohi...” fece una voce, il cui tono lamentoso Luise conosceva fin troppo bene.
“Feliciano!!!” sibilò “Che diavolo ci fai qui?!”
Si udì un fruscio di lenzuola, mentre l'altro smetteva di mugolare per risponderle.
“Beh... la tua compagna di stanza è andata via, no? Ho pensato che magari avevi paura a dormire da sola, ecco. Magari potevi fare degli incubi.”
Luise sentì il sangue affluirle furiosamente alla testa.
“...o forse sono io, che ho fatto un brutto incubo...” continuò Feliciano, la voce tra il timido ed il divertito.
“Ma che incubo e incubo! Questo dev'essere un incubo, Feliciano! Come ti salta in mente di entrare nel mio letto?! I ragazzi non possono entrare in questo dormitorio! RAUS!” fece lei, la voce che saliva pericolosamente di tono. Ancora un attimo, e lo avrebbe spinto a forza giù dal letto.
“Eeeeh?! No, no...!”
“Ssssh! Sveglierai tutti!”
Il trambusto tra le coperte andò avanti per qualche momento. Luise tentava di scalciarlo fuori da sotto il piumino, ma Feliciano resisteva con le unghie e con i denti. Lei passò alle vie di fatto usando come arma il cuscino, ma dovette fermarsi quando l'altro smise di muoversi, la testa affondata sotto il guanciale che lei gli stava premendo addosso.
Vagamente preoccupata, Luise lo liberò della presa e si chinò su di lui per vedere se respirava. Gli toccò il naso con un dito, prudentemente.
“N-non voglio tornare in camere mia, adesso!” protestò Feliciano debolmente “Fuori c'è troppo freddo e la neve è troppo alta!”
Luise sospirò. Erano le due del mattino passate e lei aveva quasi voglia di piangere. Ripensò ai piedi gelidi di Feliciano e si disse che era già notevole il fatto che il ragazzo non fosse morto assiderato nel breve tragitto dal suo dormitorio a quello femminile, anche perché se l'aveva fatto indossando solo il pigiama...
“...ehi, aspetta. Dov'è il tuo pigiama?” ora che ci faceva caso, le spalle di Feliciano erano nude, e così il suo petto e il suo stomaco e le sue ginocchia, dove Luise lo aveva preso a calci.
L'altro sporse una mano tremante ad indicare il pavimento, dove era ammonticchiata una pila di vestiti - fradici, immaginava Luise.
“...Feliciano. Ti sei spogliato e sei entrato nel letto di una ragazza nel pieno della notte. Potrebbero arrestarti, per questo, lo sai?” sillabò Luise, conscia del fatto che se lo avesse soffocato ed ucciso, come si sentiva di fare in quel momento, avrebbero arrestato lei, invece.
Feliciano la osservò sorpreso.
“Veee? Ma pensi che potrei farti qualcosa di male? Luise! Tu sei la mia migliore amica! L'incubo era proprio brutto, ma se sto vicino a te, non ho paura! E poi, tu sei molto più virile di me, quindi non mi passerebbe mai per la testa di farti qualcosa che non vuoi, so che rischierei la vita!” affermò lui candidamente.
Molto più virile, eh? Migliore amica... Luise sospirò. Non sapeva bene perché, ma improvvisamente si sentì un po' depressa. Certo, non ci voleva molto a dimostrarsi più virili di Feliciano, con le sue continue lamentele e con le sue paure irrazionali. Eppure, in quello che aveva detto c'era qualcosa che, alle sue orecchie, stonava.
In ogni caso, non aveva davvero il cuore di rimandarlo sotto la neve.
“...va bene, puoi rimanere qui per qualche ora. Ma devi stare fermo e buono nella tua metà del letto, e ti voglio fuori dalla mia stanza prima che suoni la sveglia delle altre!” ringhiò minacciosa.
“Lo sai che le sveglie non sono il mio forte...”
“Ci penserò io, a svegliarti, non temere.”
Alla velata minaccia, Feliciano sentì un brivido percorrergli la schiena. Tuttavia, accoccolato com'era sotto le stesse coperte di Luise, tutti i problemi del mondo gli sembravano distanti. Entrambi si riaddormentarono nel giro di pochi secondi.

Inutile a dirsi, le visite notturne di Feliciano furono una costante per tutto il tempo in cui Sophia si assentò da scuola a causa del concorso. Nonostante Luise non nascondesse mai la sua stizza per quelle intrusioni fuori luogo (davvero, se li avessero scoperti?! N-non che stessero facendo nulla di, uh, di male, ecco, ma le regole erano le regole, ed i ragazzi non potevano venirci, nel dormitorio femminile!), non poteva nemmeno negare il sollievo che provava quando Feliciano approdava in camera sua, congelato e fradicio, e si arrotolava assieme a lei sotto le coperte.
Certo, non poteva neanche fare a meno di dubitare che tutto questo facesse davvero solo parte dell'essere migliori amici... ma come poteva saperlo, lei che di amicizia proprio non ne capiva nulla?

Se l'assenza di Sophia non le era pesata, il suo ritorno le fece sentire la mancanza di quei piedi gelati in fondo al letto e di quei vestiti umidi di neve sul pavimento. Tuttavia, non ne fece mai menzione con nessuno, e quelle indesiderate visite notturne rimasero il loro piccolo segreto.







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Guten Tag, Vati.”: Buongiorno, papà.
Guten Tag, Luise. So, wie geht's dir in der neuer Schule? Alles in Ordnung?”: Buongiorno, Luise. Allora, come va nella nuova scuola? Tutto bene?
Ganz gut, Vati, danke.”: piuttosto bene, papà, grazie.
Verstanden?: capito?
RAUS!: Fuori!
  
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