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Autore: Dony_chan    30/12/2011    6 recensioni
La storia è ambientata dieci anni dopo rispetto agli avvenimenti attuali.I vari prototipi dell'APTX4869 non hanno avuto riscontri positivi, anzi: gli anticopri di Shinichi Kudo sono addirittura diventati immuni al farmaco sperimentale. Cosa ne sarà dei nostri protagonisti?
Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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What If..?
3.

 
 
Il mio mese preferito è sempre stato settembre. Il motivo preciso non lo so ancora, ma mi piace pensare che sia per il tempo: c’è ancora caldo e il sole, ma alla sera è già tempo di mettere il cardigan a maniche lunghe.
Ricordo che quando ero piccola ed io e mamma abitavamo ancora con papà, verso metà settembre, in una giornata come questa, ci prendevamo il pomeriggio libero e lo passavamo a svuotare gli armadi dai vestitini leggeri dell’estate, e li riempivamo di caldi maglioni per l’inverno.
Mamma adora l’inverno, anche se è molto freddolosa. La sua giornata perfetta è verso il periodo natalizio, da passare davanti al camino con una bella tazza di cioccolata fumante.
Papà, invece, l’inverno non lo sopporta. E tantomeno i maglioni di lana che gli pizzicano il collo. Lui è fatto per l’estate, per il mare e per gli ombrelloni.
Mi piace pensare di essere la giusta unione di quelle due anime così diverse, ma così affini.
Sento il braccio bollente e lo ritiro al riparo della macchina, per poi svoltare verso il mio vecchio liceo.
Oggi è lunedì e ho gli allenamenti di karate per la squadra femminile del primo anno. Sono molto orgogliosa delle mie ragazze e non finirò mai di ringraziare Yasuro, il mio ex allenatore, per la grande fiducia ed opportunità che mi ha offerto.
Due anni fa, me lo ricordo come se fosse ieri, era venuto a trovarmi a casa. Diceva di essere passato per salutare la sua karateka preferita e per sapere come me la cavavo con l’università. Abbiamo parlato senza inibizioni di ruoli, e abbiamo passato tranquillamente un paio d’ore al cafè Poirot sotto casa mia.
Solo alla fine, quando se ne stava per andare, mi aveva proposto di aiutarlo alla palestra con le ragazze del primo corso. Aveva detto che di me si fidava e che non lo avrei deluso.
 
“Io ormai sono vecchio e ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano. E tu sei la persona perfetta per questo”
 
L’idea mi ha attratta subito, ma avevo deciso di dargli la mia risposta dopo aver riflettuto attentamente sul da farsi. Ero nel pieno degli esami universitari e non avevo quasi un minuto libero. Studiavo di notte e lavoravo come aiutante infermiera all’asilo di Beika per meno di 610 yen* all’ora, e stavo diventando matta.
Se avessi accettato ne avrei tratto solo profitto: il karate mi avrebbe impegnata cinque giorni su sette per un paio di ore, la mattina l’avrei passata sui libri e la notte avrei dormito per recuperare.
È vero, il lavoro di aiuto infermiera mi avrebbe potuto dare una mano nella pratica ospedaliera, ma il caso più eccitante che mi davano era disinfettare ginocchi sbucciati.
Così, tre giorni dopo mi recai alla palestra del liceo Teitan e accettai la proposta di Yasuro, il quale ne fu felicissimo.
Un mese dopo cominciai il lavoro con l’avvio del nuovo anno scolastico e, devo ammetterlo, l’insegnamento mi fece molto bene: ero tornata nel mio elemento. Ogni tanto sostituisco Yasuro con il corso delle medie, ma i risultati migliori li vedo nel primo corso delle superiori.
Il karate l’ho lasciato a livello agonistico appena uscita dal liceo. Ero ancora nel mio periodo depressivo e non riscontravo profitto nel livello avanzato.
Così scelsi di evitare inutili ed ulteriori delusioni ai miei, che ci tenevano alla mia carriera sportiva, e mi ritirai.
Solo dopo aver capito che non sarei potuta andare avanti così, non per colpa sua, tornai sui miei passi e decisi di tornare a praticare karate.
Era passato un anno e mezzo dall’ultima volta che avevo indossato la mia divisa e, naturalmente, ero fuori esercizio.
Ragionevolmente non mi iscrissi al corso avanzato, non per essere derisa ulteriormente. Così decisi di provare con un corso ‘leggero’. Si trattava di tre incontri settimanali della durata di circa due ore, nelle quali ci si allenava divisi in piccoli gruppi. Le persone iscritte avevano tutti all’incirca trent’anni, ed erano tutti mamme o papà di famiglia che, troppo presi dal lavoro avevano deciso di anteporre la carriera e la famiglia alla loro passione per le arti marziali e che quindi, per non abbandonarla del tutto, avevano formato questo gruppo.
Segretamente, sto pensando di partecipare ad un corso full-immersion di karate, ma prima voglio laurearmi, e poi mettermici sotto seriamente.
L’unico motivo che mi trattiene dal dirlo a qualcuno è circa il luogo dove si terrà questo speciale corso. Sarà in America, precisamente a New York, e la durata è di sei settimane.
Se lo dico a papà, gli prenderà un infarto visto come ha reagito al mio trasferimento di casa.
Parcheggio la mia auto accanto al cancello della scuola e spengo il motore, sentendo una carica positiva di adrenalina.
Amo il mio lavoro.
Mi volto verso il mio silenzioso compagno di viaggio, che è ancora intento a guardare fuori dal finestrino.
“Prendi il tuo borsone e andiamo” gli dico slacciandomi la cintura. Conan si leva gli occhiali – che ultimamente porta sempre di rado, solo per studiare e guardare la tv, nonostante sia miope – e li infila nel borsone di calcio. **
Scendiamo dalla macchina e percorriamo in silenzio il breve tratto di strada che porta alla palestra di karate. In lontananza, il campo di calcio.
Inspiro la fresca aria, guardando con una punta di nostalgia quello sprazzo di verde.
“Buon allenamento” mi dice Conan, avviandosi con il borsone sulla spalla.
Lo guardo andare ancora per qualche secondo, poi mi volto e arrivo fino alla porta della palestra. “Sì, sarà un buon allenamento” annuisco a voce alta.
 
 
Papà scioglie il nostro abbraccio solo quando tirare su con il naso non è più sufficiente. Prende un fazzolettino e si soffia rumorosamente il naso, continuando a borbottare qualcosa di incomprensibile.
Mamma gli batte premurosa sulla spalla: anche lei è scioccata dalla sua reazione. Ok, mi immaginavo che per papà sarebbe stata dura, però non mi aspettavo questo pianto ininterrotto.
“La mia bambina...” mugugna asciugandosi le lacrime. Poi scrolla la testa e finge di essersi ripreso, anche se gli occhi tornano a diventare lucidi in men che non si dica.
“Papà verrò a trovarti spesso, lo sai. E poi non parto mica per l’America; sono a mezzora da qui” lo consolo.
Lancio un’occhiata all’orologio e vedo che è tardi: tra meno di un’ora la proprietaria del mio appartamento verrà a farmi firmare il contratto e io sono ancora qui.
“Adesso devo proprio andare. Passerò domani a prendere gli ultimi scatoloni” dico ai miei genitori, facendo per salire in macchina. Mi accorgo di non avere la borsa con me e richiudo la portiera.
“La borsa” dico con un sorriso, dirigendomi velocemente su per le scale. Prima di entrare nel mio appartamento do un’ultima fugace occhiata ai miei genitori: mamma sta ancora cercando di consolare papà, passandogli un altro fazzolettino pulito.
Sorrido. Non sono mai stati così vicini senza litigare da anni. Forse la mia ‘partenza’ genererà qualcosa di positivo anche tra quei due.
Scrollo la testa, pensando di stare fantasticando troppo, ed entro in casa. Quei due sono cane e gatto, se non bisticciano non sono contenti.
Mi dirigo nel piccolo salone e recupero la borsa proprio dove l’avevo lasciata. Controllo di avere tutto dentro, quando la mia mano si scontra con un pacchettino.
Ma certo! Il regalo che ho comperato a papà due giorni fa. Avevo programmato di consegnarglielo il giorno in cui mi sarei trasferita, però vista la sua reazione... lo farei piangere ancora di più.
Meglio appoggiarglielo vicino al cuscino, così se ne accorgerà soltanto stasera.
Apro inconsapevole la porta della camera di mio padre e mi trovo davanti il mio fratellino mezzo nudo.
“Aaah, Conan!” esclamo arretrando e coprendomi gli occhi.
Le mie dita si separano appena e mi permettono di scorgere la faccia perplessa di Conan. In realtà non è mezzo nudo, constato, ma si stava semplicemente cambiando la maglietta.
“Sei ancora qua? Non dovevi correre via?” mi domanda, riprendendo a sistemarsi la maglietta sportiva.
Giusto, oggi ha gli allenamenti extra di calcio. Me n’ero scordata. Avrei dovuto fare più attenzione, avrei dovuto bussare.
Imbarazzatissima, tengo gli occhi distanti dalla sua figura e incespico su me stessa per arrivare al letto.
“Ran? Stai bene?” mi chiede lui.
Sbatto lo stinco sul bordo del letto e vedo le stelle. Cerco freneticamente il pacchetto regalo per mio padre nella borsa, mentre fingo di fare la risoluta. “Sì, sì, tutto bene. Perché?”.
Sistemo il pacchettino accanto al cuscino e arretro, sorridendo nervosamente. Conan è sempre più perplesso, soprattutto quando sbatto la nuca sullo stipite della porta.
Faccio scattare una mano sulla parte dolente e ridacchio. “Che sbadata che sono oggi! Bè, ci si vede. Buon allenamento!” farfuglio in fretta e mi chiudo la porta alle spalle.
Mi appoggio al freddo muro e sospiro pesantemente.
Oddio, ma che cosa mi è preso?
 
Lo so io...
 
dice una vocetta nella mia testa, che mi suona tanto come quella di Sonoko,
 
ma ti sei resa conto di che bel fisico ha tuo fratello?!
 
 
La porta si chiude delicatamente alle mie spalle, mentre io mi lascio scivolare sul legno freddo e mi ritrovo accovacciata per terra.
Guardo la piccola sala da pranzo che sarà mia d’ora in avanti, e sento un brivido quando l’occhio mi cade sull’enorme pila di scatoloni che attendono impazienti di essere aperti e sistemati.
Fortuna che Sonoko sarà qui da un momento all’altro per darmi una mano.
Controvoglia, mi alzo in piedi e vado in cucina, dove sul ripiano c’è ancora il contratto firmato e controfirmato pochi minuti prima. Prendo la cartelletta e la infilo sotto un braccio, poi apro il frigo e pesco una confezione di Ramen istantanea e la poggio sul piano cottura.
Io, che non ho mai cucinato cibo precotto in vita mia, negli ultimi anni sono stata costretta a farlo. Il tempo libero da dedicare alla cucina mi è stato portato via dall’università, dal lavoro, e dalla cura della mia vecchia casa. Forse, da oggi in poi, potrei tornare a cucinare.
Mi volto ancora una volta verso gli scatoloni, ed avverto già il dolore alle braccia che mi sarà causato dal loro peso.
Torno a fissare il Ramen.
“Ma sì, per oggi può andare” mormoro in un sospiro, aprendo la linguetta della confezione.
 
 
Ovviamente, a me è toccato sistemare tutti i libri e le varie cianfrusaglie della mia vecchia camera, mentre Sonoko si è ‘presa la responsabilità’ – come dice lei – di mettere ordine tra i miei vestiti.
È da circa un’ora che lavoriamo in silenzio, esclusi alcuni urletti da parte della mia amica quando adocchia un vestito che le piace.
Il grande scaffale-libreria che occupa un’intera parete del mio piccolo salotto è pieno per metà, l’altra la riempirò più tardi.
Ho le braccia indolenzite, colpa di tutti quei libroni di medicina.
Recupero un paio di aranciate dal mio frigo e vado nella mia stanza, dove Sonoko sta riordinando i miei vestiti estivi.
“È meglio che li metti via, quelli. Siamo già ai primi di settembre” le dico, porgendole una lattina.
Lei fa una doppia smorfia, sia per la frase che ho detto, sia per doversi bere un’aranciata. Preferiva una birra, ma quella non è al momento reperibile nel mio frigo.
“Ran, l’estate è ancora lunga!” esclama, facendo una piroetta che fa fare la ruota alla sua minigonna rosso fuoco.
Alzo le spalle, certa che ribattere non sarebbe servito a niente. Mi siedo stancamente sul mio letto, seguita un secondo dopo da Sonoko, e stappo la mia lattina.
Ne bevo un sorso refrigerante, mentre la mia amica la agita inquieta.
“Come l’ha presa tuo padre?” mi chiede, fissando lo sguardo nel vuoto.
Non rispondo subito. Cerco di convincermi che abbia capito, che sappia che è il meglio per me, ma in realtà so che non avrebbe mai accettato se io non mi fossi imposta così tanto – e anche grazie all’aiuto di mamma.
“Così” rispondo alzando le spalle e fissando il soffitto. “Non mi ha certo sorriso”.
Sonoko si volta di scatto verso di me, gli occhi spalancati dall’incredulità. “Si è messo a piangere?!”.
Abbozzo una risatina. “Sì”.
Sonoko si batte la lattina sulla fronte, mentre borbotta qualcosa di incomprensibile. La lascio maledire mio padre, mentre finisco la mia aranciata e mi rimetto in piedi.
Da uno scatolone fuoriesce una vecchia giacchetta rosso spento, che ricordo di aver indossato tantissimo alle superiori.
La afferro e, appena sfioro il tessuto, come un flash mi torna in mente il caso dello Shiragami. Avevo indossato quella stessa giacca, quei giorni. Il ricordo si fa sempre più nitido, mentre vari spezzoni di quei giorni si fanno largo a forza nella mia mente.
Vedo due occhi azzurri che si voltano a guardarmi, un attimo prima di strizzarsi in una smorfia di dolore.
Lascio andare di scatto la giacchetta, premendo una mano sulla tempia.
Sudo freddo, mentre sento il respiro affannoso.
 
Non di nuovo... ti prego, non di nuovo...
 
“Ran?” mi chiama Sonoko.
Mi volto a guardarla, sforzandomi di essere serena, ma lei fortunatamente non mi sta guardando all’armata.
“Quella giacca... non ti piace più?” fa evasiva.
Torno a guardarla, afflosciata sullo scatolone, con astio. “No!” dico, puntando poi lo sguardo negli occhi della mia amica. “Non mi è mai piaciuta. Mai”.
Sonoko fa un sorriso a trentadue denti. Si alza e la ripesca dallo scatolone. La osserva rapita e poi se la stringe al petto. “Posso prenderla io, allora? È molto vintage!”.
Annuisco, lasciandomi ricadere sul mio letto. Per distrarmi, cambio argomento. “Vintage? Vuoi dire che mi vesto da antica?!”.
Sonoko mi fa la linguaccia. “Ma no!” e mi fa sorridere di nuovo.
Ripiega la giacchetta sul letto e si siede sul tappeto di fronte a me, con gli occhi spalancati.
Deve dirmi qualcosa, quando mette su quell’espressione.
Lo so, la conosco.
Devo distrarre la mia mente, altrimenti continuo a ripensare a quelle immagine appena riaffiorate, e finisco per impazzire. Decido di dare corda a Sonoko, anche se una parte di me preme per riafferrare la giacchetta e perdermi un’altra volta in quei ricordi. Ma so benissimo che, se lo faccio, starò male il doppio.
Ma perché ancora?
“Cosa c’è?” domando.
“Ho in mente di fare una festa a sorpresa a Makoto!” dice tutto d’un fiato, e a bassa voce come se lui fosse nell’altra stanza.
Accavallo le gambe. “Mmm, idea carina, ma... a Makoto le feste non piacciono particolarmente, a meno che...”
“... non siano quelle sportive, lo so! Quel zuccone... ma l’idea mi frulla in testa da qualche giorno. E poi ho il tempo per organizzare il tutto”.
Inclino la testa, e le sorrido, sforzata. “Non vedi l’ora, vero?”.
Sonoko unisce le mani a mo’ di preghiera e punta gli occhi al soffitto. “So già cosa indossare!”.

 
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* 610 yen sono circa 6 euro.
** grazie a Shine_ che mi ha fatto notare questo particolare importantissimo! Conan-Shinichi ha ancora gli occhiali? ;) grazie cara!
 
 
 
 
Lo sapevo, nel profondo,  che sarei tornata.. non so staccarmi bene da questa storia! Ho trovato cinque minuti quasi ogni sera, e ho scritto il terzo capitolo prima di andare a letto O.O adesso ho gli occhi fuori dalle orbite.. ;P Ma non potevo promettere niente, perché mi sarebbe dispiaciuto poi non mantenere la parola..
Alloooora: terzo capitolo postato, quarto capitolo a ore due, rimanete connessi! Arriverà nel giro di una settimana, insomma, prima dell’8 gennaio (giorno orribile per me studentessa) perché ho già capito cosa metterci dentro e cosa scrivere…
Passo ai ringraziamenti: grazie a coloro che ha solo letto, a _Flami_, Yume98,  Shine_,  anger,  shinichi e ran amore e _Neutron star collision_ per aver recensito, e a Kuroshiro e La_SoSo per aver aggiunto la storia tra le seguite! ^^
 
Buon ultimo dell’anno e buon anno nuovo a tutti!
Un abbraccio,
 
Dony_chan 
  
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