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Autore: Haruakira    30/12/2011    3 recensioni
Dal primo capitolo: "Ammettilo Hayato, avrebbe voluto dirlglielo Yamamoto, ammettilo che l' aria che respiro è la stessa che vorresti respirare, meglio se quella di un bacio, che starmi vicino è la cosa che più ti completa, che se quel vicino diventa un poco più lontano allora desidereresti annullare ogni distanza. Ammettilo. Perchè è quello che provo io, avrebbe voluto aggiungere.
Yamamoto socchiuse le palpebre degli occhi scuri e ingoiò amaro quella preghiera che sapeva di fiele, arricciò le labbra in un modo un po' infantile e alla fine tese la mano, avrebbe anche parlato forse ma una voce lo sorprese facendolo girare verso il nuovo venuto. Era Akari, la sua Akari dalle trecce perennemente arruffate e il fiocco allentanto sulla divisa."
Yamamoto si è fidanzato, come la prende Gokudera?
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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prova 1 NOTA: IN QUESTO CAPITOLO SONO PRESENTI DEGLI SPOILER RELATIVI ALLA SAGA DELLA CERIMONIA DI SUCCESSIONE.

LOST IN YOU

Parte seconda







Perdere tempo è più facile che afferrare il coraggio a due mani.
Meno male che ci sono i fuochi d' artificio.

Gokudera aveva accantonato la rivista scientifica in un angolino del divano sotto il cuscino nuovo che Uri aveva artigliato per dispetto un paio di giorni prima fino a ridurlo in una massa informe di piume e stoffa grigia. La rivista era la sua preferita però quel giorno se l' era dimenticata, troppo concentrato e masticare da ore la stessa chewingum insipida e a far stridere i denti tra loro, sospirando ogni due per tre a chiedersi se da grande non si era per caso rincoglionito. Teneva la foto che il sè stesso di dieci anni più tardi gli aveva mandato tra l' indice e il pollice di entrambe le mani, squadrandola con gli occhi di un investigatore che stava maneggiando una prova di vitale importanza alla ricerca di un indizio. Sempre quella, sempre quella foto di fronte a Palazzo Vecchio. Che non ne avevano altre? si ritrovò a chiedersi. Quella lui l' aveva già vista ma alla fine, tutto sommato, no, poteva benissimo immaginare che l' idiota non fosse sposato, allora cacciò la fotografia nella tasca dei pantaloni e uscì per andare a scuola.

Era bellamente stravaccato sulla sedia mentre il professore distribuiva i risultati dei compiti in classe.
-Sawada- urlò l' uomo a un certo punto facendo sobbalzare Tsuna e il suo braccio destro- tu la volta scorsa non c' eri...- e no, Tsuna in effetti non c' era e non  per colpa sua. La colpa ovviamente era di Reborn che gli aveva organizzato un allenamento speciale che lo aveva fatto finire in ospedale con un braccio rotto (tralasciando lividi e contusioni varie)- lo rifarai proprio ora- terminò l' uomo piazzandogli sotto al naso il test con un ghigno malefico. Gokudera quella mattina lottò con tutte le sue forze per poter restare e supportare il suo juudaime ma il professore e le braccia di Yamamoto intorno alla vita lo fermarono.
-Su, su Gokudera, Tsuna farà un ottimo lavoro- e intanto l' idiota rideva- io che dovrei dire? Ho preso un' insufficienza!
-E te ne vanti?!- gli urlò in faccia Gokudera non appena era riuscito a liberarsi dalla presa
-Yamamoto Takeshi-intervenne il professore dalla porta- in effetti non c' è molto da andarne fieri. Rifarai il compito la prossima settimana insieme agli altri tuoi compagni che sono nella stessa situazione- diede un' occhiata sconsolata verso il ragazzo che all' interno dell' aula sudava freddo sul foglio di carta davantì a sè- suppongo che ci sarà anche Sawada.
Yamamoto e Gokudera rimasero qualche minuto fermi davanti alla porta dell' aula, poi il più basso si guardò intorno per il corridoio affollato di studenti:- Dov' è quella cozz-...- tossì imbarazzato- Sazuki.
Il moro si mise le mani dietro alla testa:- Aveva gli allenamenti- poi guardò in aria leggermente crucciato- cavolo, sarà un bel problema. Forse dovrei mettermi a studiare- concluse con un sorriso rilassato
-G... già- e a Gokudera in quel momento venne un' illuminazione. In teoria si sarebbe dovuto scusare con l' idiota che a quanto sembrava aveva già dimenticato quello che era successo nei giorni scorsi. Al guardiano della tempesta, paranoico com' era, venne l' atroce dubbio che forse non gliene fregava niente, che in fondo la loro amicizia per Yamamoto non contasse poi tanto. Colto da questi pensieri era sul punto di fare dietrofront e scappare. Si era innevosito e un po' per tenersi impegnato e un po' perchè ne aveva davvero bisogno, aveva infilato le mani in tasca  alla ricerca di una sigaretta ma quello che le sue dita sfiorarono invece fu l' angolo spiegazzato di un foglio sottile. Rimase un momento fermo in quella posizione a fissare il pavimento mentre Yamamoto blaterava qualcosa -probabilmente di insensato- e indeciso sul da farsi, sfregò un poco le dita sulla foto per darsi coraggio:- Ma... tu dovresti essere incazzato- disse alla fine dando voce ai suoi dubbi.
Yamamoto sorrise:- Non mi piace litigare con la gente. E poi lo sai, non riesco ad arrabbiarmi con gli amici.
Noi non siamo amici, avrebbe ululato di solito il guardiano, ma le circostanze quella volta erano leggermente diverse, era teso, i pensieri altrove eppure concentrati proprio nella persona che aveva davanti: -Giusto, giusto- annuì- giusto- ripetè prima di rivolgergli l' abbozzo di un sorriso indeciso- se vuoi ti aiuto a studiare.
L' espressione di Yamamoto si fece sorpresa e poi sollevata. Quello non era Gokudera Hayato pensò in un primo momento, poi si ricordò che Natale era vicino e che tutti, forse anche Gokudera, erano più buoni:- Grazie, Gokudera, con il tuo aiuto mi sento più tranquillo! Sono sicuro di farcela.
-Non farti idee strane, idiota!

Casa Gokudera quel giorno era stata pulita accuratamente. Il suo proprietario aveva aperto le finestre per far arieggiare le stanze nonostante il freddo polare proveniente dall' esterno, aveva passato l' aspirapolvere, spolverato, lavato il pavimento, aveva infilato il piede a mollo al secchio nel disperato tentativo di far rientrare Uri nel suo Vongola box, aveva persino riempito il frigo e la dispensa deserti e ora si stendeva semidistrutto sul divano per due minuti fino all' esatto istante in cui il campanello non aveva iniziato a suonare. Gokudera fu sul punto di inveire contro la porta dimentico di quanto aveva sfacchinato fino a  quel momento e per chi, un secondo trillo lo convinse ad alzarsi e ad andare ad aprire. Yamamoto lo guardava un po' perplesso:- E' un bel grembiule- commentò indicando il tessuto a coniglietti colorati del guardiano e rabbrividendo una volta varcata la soglia- fa freddino-aggiunse dopo uno starnuto.
Gokudera aveva sollevato le punte del grembiule contemplandolo attentamente prima di arrossire come un peperone e toglierselo di dosso simile a una belva impazzita, poi con insolita calma andò a chiudere le finestre borbottando- Avevo caldo.
-Mio padre ti manda del sushi
-Ringrazialo da parte mia. E siediti.
I due ragazzi avevano trascorso le ore successive lavorando spalla a spalla, poi Yamamoto aveva iniziato a raccogliere le sue cose ringraziando infinitamente l' amico. Alla fine lo smokin' bomb gli afferrò la manica della camicia guardandolo accigliato:- Mangia qua.
Yamamoto sollevò le sopracciglia spiazzato dal comportamento insolito del guardiano.
-Quel sushi è troppo per me- si affrettò a spiegare.
Gokudera guardava Yamamoto mangiare e pensava che quello era il momento adatto per dichiararsi a costo di ucciderlo rischiando di fargli andare la cena di traverso.
-Domani posso venire di nuovo?
Poi questa domanda stupida lo aveva fatto desistere, aveva annuito col capo pensando che per parlare di quello c' era tempo, che se si fosse dichiarato in quel momento l' idiota non sarebbe più andato a studiare da lui, che magari qualcosa sarebbe cambiato, che non sarebbero più potuti stare da soli. Per dirgli i propri sentimenti c' era tempo, era meglio sfruttare quello che avevano a disposizione serenamente senza il rischio di rovinare tutto quanto.
Il giorno dopo i due guardiani avevano saputo che anche il compito di Tsuna era andato male e alla fine avevano deciso di studiare tutti insieme. Gokudera per un attimo il giorno prima si era dimenticato del suo Juudaime, inutile dire che si era sentito parecchio in colpa, si era dato del verme strisciante di fronte a uno Tsuna particolarmente stupito -e terrorizzato- dal comportamento del suo autoproclamato braccio destro, sì, perchè era  dovere di un perfetto braccio destro quale era Gokudera Hayato aiutare il boss a studiare. Non sarebbe stato più da solo con Yamamoto ma almeno, si consolò, Sazuki non era tra le scatole.
Quando era arrivato il Natale non molto dopo il guardiano della tempesta della decima generazione si era reso conto di avere sprecato l' occcasione di parlare con l' idiota. Dopo il compito Sazuki la stronza sembrava essere ritornata alla carica più agguerrita che mai.
Bianchi gli aveva fatto notare che il 25 dicembre era la festa degli innamorati, lei, si scusava con il suo fratellino, l' avrebbe passata con il suo amato Reborn.
Dalle sue parti il Natale era una festa religiosa e si passava in famiglia, per gli stupidi innamorati c' era il quattordici Febbraio.
Nonostante ciò lo smokin' bomb, che religioso lo era sempre stato ben poco e che si sentiva in tutta onestà, più giapponese che italiano -tranne quando doveva imprecare in maniera particolarmente colorita- non potè fare a meno di chiedersi con chi l' avrebbe passata lui quella festa ridicola. Accese la televisione e sprofondò sul divano dando un' occhiata al suo Vongola box. Qualche secondo dopo Uri rompeva il vaso sul tavolo.

Il cellulare del ragazzo squillò nel tardo pomeriggio, all' altro capo del telefono il suo juudaime gli chiedeva che fine avesse fatto.
-Prego?
-Gokudera-kun, è tutto il giorno che provo a cercarti. Io e gli altri siamo riuniti a casa mia per festeggiare. Ci sono quasi tutti.
Al ragazzo scappò un sorriso commosso dalle labbra:- Sto arrivando, juudaime. Grazie juudaime.

Gokudera quando varcò la soglia di casa Sawada comprese in maniere cosciente cosa significasse far parte di una famglia, e di una numerosa per giunta, con un sacco di fratelli, di sorelle e di parenti più o meno acquisiti. Tutte persone con cui sorridere, litigare o star male. Gokudera relizzò di avere una fede, era la stessa fede che lo accomunava al suo boss, all' idiota, all' altro fissato della boxe, persino a Lambo e più in generale a tutta la gente riunita -e non- in quella stanza. La famiglia è la mia fede, avrebbe risposto ciascuno di loro se gli avessero chiesto il proprio  credo, la ragione per lottare, per non arrendersi, quella per cui erano diventati i Vongola e combattuto contro tanti nemici.
Era alzarsi la mattina e sapere che tutti sarebbero stati lì, che Gokudera e Yamamoto avrebbero litigato -questo almeno secondo il punto di vista del primo-, che Lambo avrebbe puntualmente combinato qualche casino, che Reborn avrebbe fatto penare Tsuna con qualche idea strampalata, che Ryohei si sarebbe messo a gridare al' estremo con i pugni rivolti verso il cielo impegnandosi -ugualmente all' estremo- in ogni cosa che avrebbe fatto, che Hibari e Mukuro se le sarebbero date di santa ragione finchè Chrome non sarebbe apparsa timidamente al posto dell' illusionista, che Haru, Kyoko, Bianchi e I-pin si sarebbero prese cura lei, che Fuuta li avrebbe aggiornati con infallibili classifiche, che Dino sarebbe venuto dall' Italia senza inciamapare nelle proprie scarpe perchè acanto a lui c' era Romario, che Nana infine avrebbe aperto la porta di casa a tutti loro pensando che era ora di andare a comprare qualche altra sedia.


Nana non si chiedeva mai chi fossero gli strani personaggi che varcavano la soglia di casa sua, li accoglieva sempre con un sorriso e un piatto caldo in tavola. Aveva accolto Reborn, Bianchi, Lambo, I-pin e Fuuta come se fossero stati dei figli e le piaceva sentirsi chiamare mamma da tutti quei bambini più o meno cresciuti, le piaceva la confusione che regnava sovrana in quella casa che per anni, con Iemitsu lontano, era stata riscaldata solo dalla presenza sua e di Tsuna, non avrebbe scambiato quel suo piccolo paradiso -caotico, rumoroso, una specie di guaio perenne e ambulante- con nulla al mondo.
Gokudera la guardò in mezzo a tutta quella confusione.
Arigatou, disse mentalmente a quella donna, al suo Juudaime, a sua sorella, a tutti indistintamente, persino a Lambo anche se lo aveva fatto cadere per terra e ora stava tirando fuori una bomba a mano che era caduta sulla torta al centro della tavola.
Ca-boom. Fuochi d' artificio a Natale a casa Sawada.
 L' unico che sembrava mancare all' appello per godersi quel calore incasinato era Yamamoto. Qualche ora dopo Gokudera aveva saputo che  lui e Akari erano fuori per una romantica cenetta. Sperò che gli venisse un' indigestione. L' idiota aveva sprecato una serata come quella, una loro serata, con la sua famiglia, per stare con quella cozza.


***


Akari, è solo innamorata.
Ma Yamamoto Takeshi... di chi è innamorato?

Akari aveva sciolto i capelli, ora castani, sulle spalle. Aveva tolto le lenti a contatto e le unghie finte, aveva indossato un vestito rosa pallido e un paio di stivali non troppo alti sotto il giubbino marrone, il trucco sul viso era leggero. Quando Gokudera l' aveva vista a fine serata aveva dovuto riconoscere che in effetti non era propriamente da buttare. Si chiedeva solo il perchè di quel cambiamento. Personalmente si ricordava una spilungona che di vero probabilmente aveva solo le tette -ammesso e non concesso che non fossero imbottite con la cartaigienica- e ora si trovava davanti una comunissima ragazza, con comunissimi capelli castani, altrettanto comuni occhi scuri e unghie non troppo lunghe. Nonostante fosse spiazzato per quel cambiamento gongolò di piacere nell' appurare che le sue teorie su quella falsissima bionda si fossero rivelate vere. Ora Yamamoto l' aveva vista al naturale, magari non gli sarebbe nemmeno più piaciuta. Gokudera dovette ammettere però che probabilmente in quello non ci doveva sperare troppo visto come l' idiota la guardava soddisfatto. Poi notò che le ragazze avevano trascinato Sazuki la befana da parte tempestandola di domande sui motivi di quel cambiamento improvviso.
-A me piaceva essere diversa- aveva ammesso Akari- giocare col colore dei miei capelli, con gli occhi e le unghie. E poi sembravo anche più bella forse, mi distinguevo. La gente mi notava.
-Adesso però non sei poi così diversa da qualsiasi altra ragazza giapponese- le aveva fatto notare Bianchi.
Akari aveva semplicemente annuito guardando in direzione di Yamamoto:- Non devo più farmi notare- aveva concluso.
Yamamoto sapeva che Akari amava cambiare, contrariamente a quanto Gokudera pensasse aveva capito che la sua ragazza non era bionda e che i suoi occhi non erano azzurri lo aveva scoperto molto presto. Quando Akari si era accorta con orrore della ricrescita scura ai capelli si era rifiutata di uscire di casa per giorni, Yamamoto le aveva comunque fatto una sorpresa andando a trovarla.
-Io non credo che sia necessario cambiare qualcosa di noi per farci notare- le aveva detto appoggiando il palmo della mano sotto il mento appollaiandosi con un sorriso pigro alla scrivania della sua stanza- se la gente ci nota è perchè qualcosa di noi, qualcosa di nostro, la colpisce. Poi se ci piace... uhm... giocare con il nostro aspetto perchè è divertente è un altro discorso.
-A me piace giocare con il mio aspetto... in parte. Ti piacerei anche se fossi normale?
Il ragazzo aveva annuito vivacemente prima di spostare la sua attenzione -e la sua risata divertita- sul maialino di pezza alle spalle di Akari.
Yamamoto non aveva mai portato una ragazza fuori a cena, non aveva mai avuto una ragazza a volere essere precisi, non era mai stata una cosa prioritaria o interessante per lui, nessuno aveva mai catturato la sua attenzione tanto da fargli desiderare qualcosa di più di una semplice amicizia da parte di una delle tante rappresentanti dell' altro sesso che lo circondavano a scuola. Prima di allora erano contati il baseball e gli amici. Prima di allora solo una persona aveva attirato la sua attenzione e non era di certo una ragazza. A quel pensiero il guardiano della pioggia scoppiò in una risata genuina, una ragazza di nome Gokudera non sarebbe di certo passata inosservata e non propriamente per la sua bellezza, non che non lo fosse, eh! Ma Gokudera aveva un carattere molto... particolare.

 Lui e Akari erano stati a cena, avevano fatto un giro per la città, guardato le bancarelle e infine erano andati a casa di Tsuna. Il ragazzo però aveva l' impressione che la serata non fosse ancora finita. Akari gli aveva fatto sapere -balbettando- che i suoi genitori erano a Tokyo. Sottotitolo: La casa è vuota. Sottotitolo al sottotitolo: siamo soli. Messaggio subliminale: Ho un letto e potremmo spingerci oltre i bacetti.
Sì, perchè in effetti sotto le coperte o sopra, Akari e Takeshi non si erano spinti oltre ai baci e le carezze e Yamamoto doveva riconoscere che le occasioni non erano mancate.
La casa di Akari era particolarmente silenziosa, la ragazza entrando accese la luce dell' ingresso e si tolse le scarpe, afferrò la mano di Yamamoto nella sua guardandolo con un sorriso disegnato sulle labbra, poi si voltò guidandolo verso il piano di sopra. Takeshi mentre saliva le scale si allentò il nodo alla cravatta e no, non era perchè sentiva caldo o perchè avesse intenzione di spogliarsi, non era abituato alla cravatta, non sapeva nemmeno farsi il nodo. Di solito glielo faceva Gokudera. Il guardiano della pioggia si sentiva a disagio. Si sedette sul pavimento togliendosi la giacca e buttando in un angolo la famigerata cravatta. Si vide le gambe di Akari a un palmo dalla faccia e poi il viso della ragazza di fronte al suo e le labbra schiacciate contro la bocca. Oh Kami, qualsiasi uomo sarebbe stato felice al suo posto. Respirò a fondo svuotando la mente e rilassandosi, toccò le gambe di Akari, le accarezzò, raggiunse le cosce e la fece stendere sotto di sè, la abbracciò, chiuse gli occhi abbandonandosi ai sensi, muovendo la lingua contro la sua, leccando le labbra, mordendole.
-Takeshi- la voce di Akari tremava, un sussurro. Era sempre bello sentire le sue grandi mani sulla pelle, la eccitavano. La sua presenza la eccitava e allo stesso tempo la faceva sentire protetta di solito, ora però era un momento importante, di quelli che ricorderai sempre e lei avebbe voluto ripensarci con sollievo e felicità, potersi dire che no, non lo aveva fatto sui sedili posteriori di una macchina o nel bagno della scuola o a una festa mezza ubriaca, ma che era stato romantico, su un letto morbito e in una casa che risuonava solo delle loro voci, con il ragazzo di cui era innamorata persa. Un po' di sicurezza in più non le avrebbe fatto male anche perchè Marika aveva borbottato che la prima volta faceva davvvero schifo, una sua compagna di scuola si era lamentata  di non aver sentito niente perchè  il suo ragazzo le era venuto addosso ancora prima di iniziare e Aya, la sua compagna di banco le aveva confessato che faceva parecchio male.
Yamamoto avrebbe voluto guardarla, accarezzarle il viso e rassicurarla, avrebbe voluto sorriderle e dirle di non preoccuparsi, che tutto andava bene, che sarebbero stati bene tutti e due. Ma non ci riusciva perchè in realtà non c' era niente che andasse bene, se avesse aperto gli occhi aveva la brutta sensazione che non si sarebbe sentito affatto bene. Sospirò pesantemente smettendo di baciarla, sentiva le mani di Akari che gli accarezzavano i capelli fermarsi. Non poteva farle questo. Si alzò sorridendole imbarazzato:- Scusami.
Akari lo guardò stralunata prima di realizzare e sedersi a gambe incrociate di fronte a lui:- Ah, ho capito. Non fa niente. Capita. Di solito sono le ragazze a non voler fare questo passo- rideva nervosamente- capita, no? L' importante è che mi vuoi. Non mi hai detto ti amo, Yamamoto, e va bene, è giusto, apprezzo la tua sincerità. Forse non vuoi fare l' amore con una persona che non ami, è una bella cosa, sai? Ma io ora vorrei sapere se davvero vuoi stare con me. Cosa provi. Sai, è normale che a una ragazza vengano le paranoie in un caso del genere.
Yamamoto la guardava dispiaciuto e con aria colpevole, la ascoltava parlare, sfogarsi, chiedere delle risposte.
-Tu mi piaci. Mi piaci tanto Akari.- era vero- Ma non posso fare questo passo.- era vero anche questo ma non voleva, non è che non ci riusciva, non era mica stupido, spiegarsi il perchè.
-Yamamoto, ne sei sicuro? Che ti piaccio? Perchè c' è una bella differenza tra essere amici e fidanzati di una persona. I motivi delle due cose sono ben diversi.

-E allora che hai fatto?- aveva domandato Marika mentre Akari chiudeva l' armadietto negli spogliatoi della palestra.
-Che dovevo fare?
-Io lo avrei lasciato- ammise Aya abbassando lo sguardo, per lei ricevere picche dal suo ragazzo era più che un' offesa bella e buona, fonte di migliaia di paranoie.- i ragazzi non si fanno scappare certe occasioni.
-Takeshi è diverso- aveva sorriso Akari- non pensa solo col suo...- aveva guardato in alto, le guance rosse di imbarazzo- pene- aveva concluso.
Marika aveva iniziato a ridere:- O dio, quanto sei pudica!
-Insomma, Akari, ti sei sfogata con noi, ci hai raccontato la tua serata per filo e per segno ma non ci hai ancora detto che hai intenzione di fare- incalzò Aya spazientita.
Akari sospirò afferrando il borsone e mettendolo sulla panca:- Sono sicura che Takeshi mi voglia bene, il nostro rapporto è perfetto. All' inizio ci sono rimasta malissimo, ho pensato di non essere abbastanza bella per lui, però pensandoci capisco che non abbia voluto... insomma, mi ha detto chiaramente che vuole amarla una persona. Volerle bene non basta.
-Non ti fa male?- aveva chiesto Marika
Le labbra di Akari si erano incurvate in un sorriso triste:-Tanto, ma mi accontento anche così.


***




Gokudera non aveva -quasi- mai pregato in vita sua, ora però sperava in un miracolo.
Era il secondo che chiedeva nella sua giovane vita e riguardava sempre quella persona.
Era stata sempre così importante e se ne accorgeva solo ora?

Gokudera si era svegliato all' improvviso dopo aver fatto un sogno, un brutto, brutto sogno e quella sera mentre andava al tempio con tutti i suoi amici guardava in tralice Yamamoto accanto a lui, le mani giunte e l' espressione concentrata. Si era chiesto per chi o per cosa l' idiota stesse pregando per il nuovo anno. Unì le mani con un battito deciso e abbassò il capo assumendo un' espressione seria e accigliata:
"Spero che il juudaime stia bene, che i Vongola siano sempre forti e uniti, che la mia famiglia e le persone a cui... uhm... amo (ma questo lo pensò veramente sotto voce) stiano sempre accanto a me. E di potermi dichiarare a quell' idiota del baseball, anzi, siccome questo lo farò sicuramente, spero che possa diventare il mio...il mio... ci siamo capiti no?!"
Yamamoto si girò verso Gokudera domandandosi isitintivamente come mai il ragazzo si agitasse così tanto e il perchè del rossore acceso sul viso e della smorfia crucciata assunta dalle labbra.
Gokudera aveva chiesto un piccolo miracolo. Gokudera quel giorno si era ricordato che non pregava mai, che non entrava in una chiesa cristiana da più o meno una vita, che i sacerdoti e le suore gli facevano una spiccata antipatia fin da piccolo quando si sentiva agitato per via dei loro abiti scuri e della faccia severa. Gokudera non credeva in niente che non fosse reale, si vantava di non avere dei, di non avere credo che non fosse la famiglia, il boss. Eppure si era ritrovato a pregare per ben due volte quando ne aveva avuto più bisogno, quando la situazione gli era sfuggita di mano e si era fatta disperata. Quella notte giungeva le mani in preghiera per un ragazzo, lo stesso ragazzo per cui era entrato in una cappella diroccata neanche troppi mesi prima.
E quella mattina si era svegliato così, con un sogno che gli ricordava il momento peggiore della sua vita, quello in cui aveva creduto di aver perso tutti i fili che lo tenevano legato a Yamamoto Takeshi, quando tutti quei fili splendenti erano diventati rossi mescolandosi col sangue che era stato versato, era il momento in cui aveva creduto di vederlo bianco all' improvviso, con gli occhi chiusi e il cuore fermo. E il sorriso spento. Perchè i morti non sorridono, non possono.
Gokudera si era ricordato di quando aveva saputo che un nemico misterioso aveva colpito il guardiano della pioggia riducendolo in fin di vita. Lui stesso si era preso la responsabilità di avvertire Sawada Tsunayoshi, ingoiando le lacrime e stringendo il telefono tra le dita. Quel giorno c' era solo Yamamoto su un letto  -e non rideva-,  il bip ritmico dei macchinari e la stanza spoglia di un ospedale. C' era il puzzo del disinfettante e gli armadietti d' acciaio, le lenzuola bianche come il pallore sul viso del ragazzo che vi era disteso, le bende sul corpo e l' espressione seria, i medici che parlavano fuori dalla porta facendo ampi cenni negativi col capo. Che stavano cercando di dire dire? Che non ce l' avrebbe fatta?, si era chiesto Gokudera pensando a quanto fossero idioti a pensare una cosa così stupida.
 E alla fine di tutto c' era lui che non sapeva se osservarlo incredulo disteso su quel letto o mettersi a fare casino e distruggere tutto quanto. Magari si sarebbe anche svegliato. Silenzio, urla, silenzio, urla... tutto si era alternato nei pochi giorni precedenti alla partenza per la battaglia. Hayato Gokudera era instabile e la stanza di Yamamoto e chiunque si trovasse nei paraggi finiva inevitabilmente per ritrovarsi al centro esatto di una tempesta imprevedibile. Gokudera pensò ad Akari e a Yamamoto riflettendo che non doveva essere certo lei a stringere la mano dell' idiota vivo e sorridente, no, visto che andava a lui il merito -l' onore, il bisogno e il dolore- di avergli tenuto strette le dita tra le sue mentre era in coma sussurrandogli quanto fosse idiota a non svegliarsi. Gli aveva bagnato il polso con le lacrime che non smettevano mai di scendere imprecando e arrabbiandosi con lui per averli lasciati tutti quanti nella merda. Era incazzato con Yamamoto perchè quella volta sembrava volersene andare e lasciarlo indietro. Pensava migliaia di volte che non lo avrebbe più rivisto, che il suo corpo non si sarebbe più mosso, che se i macchinari non lo avessero più tenuto attaccato alla vita... lui non lo avrebbe più visto, nè sentito. Non ci sarebbe più stato, non sarebbe più esistito.
Gli aveva tenuto la mano e lui non lo sapeva, ci aveva pianto addosso, l' aveva baciata, l' aveva fatta muovere sulle sue guance o tra i suoi capelli come un pazzo che non si sarebbe mai rassegnato. In quei giorni pensava solo al peggio e allo stesso tempo si faceva forza sbraitando che l' idiota era forte, che per i suoi amici avrebbe sconfitto anche la morte. Ci sperava davvero.
-Gokudera, vieni a mangiare qualcosa- gli aveva detto Tsuna mettendogli una mano sulla spalle e indicando la porta della stanza su cui si affacciavano gli amici preoccupati.
Il ragazzo aveva buttato uno sguardo a Yamamoto, si era alzato mordendosi le labbra e stringendo i pugni:- Non li perdonerò mai.-
Cercava la vendetta e la giustizia e pregava che il guardiano disteso sul letto si svegliasse. Ci sperava proprio, non solo per sè, ma anche per la salute dei bastardi che lo avevano ridotto così. O la loro morte sarebbe stata dolorosa. Infernale.
Gli avevano detto di tornare a casa e di prepararsi velocemente per la partenza imminente. Gokudera si era infilato le mani in tasca camminando con aria assente, gli occhi erano rossi e gonfi, le occhiaie violacee e il corpo smagrito urlavano a gran voce una tregua da tutto quell' inferno, chiedevano del cibo, una dormita... e il sorriso di Yamamoto Takeshi. Aveva preso una strada che gli era parsa più breve, un po' per affrettare i tempi e un po' per evitare le occhiate dispiaciute o compassionevoli della gente -le odiava proprio-ed era passato per il vecchio giardino dell' ospedale. Il terreno era incolto e pieno di erbacce, di fiori che crescevano ovunque e di spine che ogni tanto li soffocavano, il sentiero in pietra era ancora visibile e tutto sommato piuttosto ampio nonostante le pietre rotte ogni tanto a cui doveva stare attento. A un certo punto la strada si divideva allungandosi verso destra in un mosaico sbiadito di colori che dovevano essere stati assai sgargianti, la via secondaria, breve, indicava allo sguardo un piccolo edificio abbandonato. Gokudera guardò prima i ciottoli sotto ai suoi piedi, fissò le due vie che aveva davanti e poi quello scheletro di cemento e mattoni alla sua destra, i piedi che si mossero istintivamente verso  quella specie di rudere. C' era ancora il campanaccio e la croce arrugginita un poco piegata su sè stessa, la porta era stata tolta e buttata malamente in mezzo all' erbaccia. Gokudera si mise una mano sul naso e aguzzò la vista aspettandosi il fetore dell' abbandono e qualche topo o qualche serpente in mezzo ai banchi, eppure lì dentro non sembrava esserci nulla di tutto ciò. L' interno era perfettamente integro o quasi eccetto alcuni mattoni sollevati e qualche banco più vecchio degli altri. Tutto, dai banchi in legno, all' altare, era ricoperto con immensi teli bianchi che preservassero quel luogo dalle intemperie del tempo. Gokudera emise uno sbuffo. Che cosa stupida, come se bastassero quattro lenzuola.
Guardò l' immagine davanti a sè, una semplice pittura che rappresentava qualche a santo a lui sconosciuto. Tolse un telo impolverato e si sedette su una delle panche all' ingresso sollevando la polvere e sentendo il rumore del legno marcio sotto di sè. Aveva intrecciato le mani sul grembo e alzato lo sguardo sulla croce al di sopra dell' altare:- Ascoltami bene- fece una piccola pausa, indeciso su cosa dire e molto più probabilmente sull' idea di alzarsi e andare via- io non prego mai- continuò ritenendo che perso per perso, tanto valeva tentare tutto- e non so se tu sia Dio, un Kami qualsiasi, Budda o Allah. Non so se tu sia uno o siate cento e onestamente non mi interessa. Forse sono troppo arrogante... sono fatto così, non riesco a chiedere le cose in maniera troppo gentile. Quello è Takeshi Yamamoto, l' idiota che è ricoverato sul letto nell' ospedale qui di fronte- allungò il braccio indicando con l' indice la porta inesistente mentre di soppiatto gli occhi si riempivano di lacrime che si affrettò ad asciugare- Idiota non è proprio una parolaccia, si può dire vero?
Gokudera si fermò un secondo, sbuffò, forse stava parlando col niente e iniziava a supporre di essere impazzito:- Spero che qualcuno mi ascolti perchè mi sto rendendo ridicolo- si voltò verso la porta appurando che non ci fosse nessuno. A ben pensarci doveva ammettere che in effetti non si sentiva ridicolo, non sentiva niente, non c' era nessuno. Solo un dolore al centro del petto. :- Fa male- singhiozzò- non so nemmeno cosa ci sia dall' altro lato. L' altro giorno, quando ho saputo cosa era successo a Yamamoto ho avuto paura della morte. No, non per me. Per lui. Non voglio che gli accada qualcosa di... brutto. Non morirà vero?- strinse le labbra e gridò- Voglio sentire la sua risata! Voglio le sue mani, che si alzi da quel fottuto letto, voglio vederlo giocare, combattere al mio fianco.... lo voglio sentire, parlarci, voglio incazzarmi con lui. Con nessun altro, con lui.- il ragazzo si piegò maggiormente sulle ginocchia, la voce che era diventata un sussurro ad ogni parola, la fronte che toccava le mani strette tra loro come se stringendole di più potesse trasmettere più velocemente la sua preghiera:- Fatelo vivere.


Somehow I found
a way to get lost in you
Let me inside
Let me get lose to you
change your mind
I' ll get lost
If you want me to
Somehow I found
a way to get lost in you
 In qualche modo ho trovato
un modo per perdermi in te
tienimi dentro
lasciami arrivare vicino a te
cambia idea
io mi perderò
se tu lo vorrai
In qualche modo ho trovato
una via per perdermi in te.

-Ehi Yamamoto, devo parlarti.
Il guardiano della pioggia si scusò con Akari e andò verso Gokudera. Il tono e lo sguado accigliato non promettevano nulla di buono. Camminarono in silenzio in mezzo alla folla che si era riunita al tempio.
-Andiamo a scuola- Gokudera lo precedette facendogli cenno con la mano.
-Go-Gokudera... non mi sembra una buona idea- tentò di convincerlo Takeshi- Hibari ci ammazza sul serio questa volta.
-Tch. Cammina, idiota.
Il guardiano della tempesta aprì la porta della palestra deserta, la fiamma dell' accendino brillò nel buio- qui no- disse richiudendosi la porta alle spalle- troppo buio.
Ovviamente di accendere le luci non se ne parlava proprio, non era così stupido da farsi scoprire da Hibari.
-Saliamo sul tetto.
Di solito le dichiarazioni si fanno lì, no? Oppure in giardino. Gokudera ci ripensò:- Meglio andare in classe.
Sì, perchè di solito quel teppista se ne sta sul tetto, si disse saggiamente.
Yamamoto da parte sua non ci stava capendo più niente, si limitava a seguire l' altro guardiano senza dire niente e senza fare domande. Lo avrebbe seguito sempre, poco importava il perchè o la destinazione.
Hayato Gokudera non era mai stato particolarmente bravo con le parole, meglio dire che la diplomazia non era mai stata il suo punto forte, non a caso era il guardiano della tempesta della decima generazione dei Vongola, più incline all' azione e meno alle parole. Le probabilità che lui parlasse in maniera calma e civile erano pari a quelle che aveva Yamamoto di risolvere un' equazione di secondo grado, ovvero più o meno nulle. Fare una dichiarazione poi... Impossibile.
E così aveva respirato a fondo guardandosi intorno guardingo e pensando che sì, l' atmosfera poteva andare anche bene. La classe era vuota e pulita, i banchi perfettamente ordinati, la luce era data dall' enorme luna nel cielo, in sottofondo, come una musica, sentivano il brusio della gente, fuori. Era un bene che ci fosse la luna, contribuiva a dare un tocco di romanticismo e malinconia al tutto. Gokudera si battè il palmo della mano sulla fronte. Stava facendo dei pensieri assurdi oltre che, almeno dal suo punto di vista, osceni. Yamamoto dal canto suo rimaneva in religioso silenzio seguendolo ovunque andasse, e così quando l' albino andò alla finestra sfregandosi il mento fece lo stesso.
Gokudera sentì la presenza di Yamamoto alle spalle, si girò di scatto:- La smetti di seguirmi?!
Il ragazzo di fronte a lui inclinò lievemente la testa sciogliendosi in una grossa risata:-Ma se mi hai chiesto tu di venire con te, Gokudera!
-S..sì, è vero- borbottò l' altro stringendo i pugni e guardando fuori dalla finestra- però non fare casino o quell' invasato ci scoprirà.
-yosh. - Yamamoto si appoggiò al banco- di che volevi parlarmi?
L' altro guardiano si era girato verso di lui ma non parlava e allora l' atleta iniziò a pensare che forse la cosa era più seria di quanto pensasse. Aprì la bocca per dire qualcosa ma si trovò le mani di Gokudera che gli stringevano delicatamente il viso, le labbra schiacciate timidamente sulle sue, il suo corpo che travolgeva il proprio, la gamba tra quelle di Yamamoto, una delle mani che abbandonava la guancia per arrivare al finaco e stringere la maglietta.
Yamamoto dischiuse maggiormente le labbra, chiuse gli occhi avvertendo uno strano calore nel corpo, come fuoco che delicatamente gli bruciava le vene, le sue mani si legarono prima ai fianchi di Gokudera, poi  lo abbracciò, stringendolo a sè in una stretta che non credeva reale. L' aveva sognata da una vita. Gokudera gli si mosse contro facendolo sedere sul banco e mettendosi a cavalcioni su di lui.
Iniziarono a baciarsi in maniera frenetica, a toccarsi cercando di non rompere il contatto tra le labbra. Doveva essere così, doveva essere proprio così da sempre.
All' improvviso il cielo e la stanza non furono più bui. Percepirono addosso a loro delle luci più forti, i rumori sordi dei botti dall' esterno, i fuochi d' articficio che illuminavavano il cielo accogliendo il nuovo anno e interrompento quel momentaneo abbandono.
-G... Gokudera- la voce di Yamamoto uscì strozzata, si era fermato all' improvviso e aveva abbassato il capo allontanando il ragazzo da lui - scusa- aveva detto riabbottonandosi la camicia. Scese dal banco e si allontanò un po' dall' altro, parlò lentamente, in maniera quasi meccanica, misurando ogni parola e separandole da pause infinite- non... posso. Un tradimento, non posso.
Gokudera lo guardava, avrebbe potuto urlargli contro come faceva sempre, avrebbe potuto dire qualcosa, sparare veleno e ferirlo, solo che in quel momento non ci riusciva, non voleva ferirlo:- vai dagli altri.
Yamamoto aveva annuito dandogli le spalle, aprendo e richiudendo silenziosamente la porta.
Hayato si sentiva le labbra pulsare, sulla pelle ancora il contatto con le sue mani, davanti agli occhi lui che si allontanava e la sua voce che diceva non posso.
"Sei troppo corretto, idiota"
Ma non era solo quello, Gokudera sapeva benissimo che avrebbe potuto chidere a Yamamoto di lasciare Sazuki o magari poteva proporglielo lui stesso. Niente di tutto questo era accaduto. Per quanto lo riguardava aveva sbriciolato fin troppo il suo orgoglio. Ma lui, Yamamoto, perchè lo baciava così e poi diceva no?


***



The pain of it all
the rise and the fall
I see it all in you
Now everyday
I find myself sayin'
I want to get lost in you
I' m nothing without you

    Il dolore di tutto questo,
l' ascesa e la caduta
lo vedo tutto in voi
Ora tutti i giorni
mi ritrovo a dire
che voglio perdermi in te
che non sono niente senza di te




                                                                                                               




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Haru dice:
Ho un paio di precisazioni da fare, la prima riguarda il nostro Yamamoto. Yamamoto di chi è innamorato? O meglio, Yamamoto è innamorato di qualcuno? Dal mio punto di vista sì ma ho voluto mettere un pochino di confusione. Per quanto riguarda il suo rapporto con Akari, per quanto mi riguarda in ogni rapporto, soprattutto adolescenziale c' è una fase del tipo: io ti piaccio e tu mi piaci, non è amicizia ma potrebbe essere qualcosa di più. Mettiamoci insieme e vediamo come va", ovviamente ve lo dico in maniera mooolto sintetica e semplicistica ma tant' è. Tra Akari e Yama c' è un rapporto del genere. Si piacciono. Punto. Akari si è presa una cotta, il nostro adorato atleta non è arrivato a questa fase ma... c' è un ma soprattutto perchè si tratta di Yama-senpai... Yamamoto tiene a lei e le vuole bene, non la sta prendendo in giro, il suo è un affetto genuino per davvero, e proprio perchè le vuole bene e con lei male non sta, si sente in un certo senso legato a lei. Ovviamente Yamamoto deve mettere un poco le cose in chiaro. Io stessa so che questa titubanza -non dico confusione perchè Takeshi tutto sommato sa quello che vuole- non fa parte di Yamamoto ma neanche farlo tirare dritto per la sua strada e pace al suo rapporto con Akari in maniera troppo semplice lo è.
Il secondo punto è relativo alla preghiera di Gokudera. Questa parte è più che altro un extra. Non ci doveva essere,o meglio doveva essere più contenuta e appena accennata e doveva far parte di una shot a parte ma per qualche arcano motivo questo polpettone è finito qui. Chiamiamola ispirazione -più o meno- e mi auguro che il citato polpettone non sia stato sgradito, terrificante e fuori luogo. Ho deciso di tenerlo alla fine anche per rendere meglio il rapporto tra i due e i pensieri molteplici che si possono fare in una situazione come quella descritta in questa ff, con il terzo incomodo di mezzo la mente vola ovunque, ricorda ogni esperienza con l' altra persona, ci si dice "io dovrei essere al suo posto perchè...", un po' come fa Gokudera.
Infine vi avviso che non finisce qui, contrariamente alle mie previsioni questa storia vedrà un terzo capitolo decisamente più breve rispetto agli altri, molto ma molto più breve. o_O  Chiamiamolo pure una specie di epilogo, mi auguro che questo capitolo non sia riultato troppo noioso, non sono abituata a scrivere cose così lunghe -lo è per i miei standard, almeno-, mi scuso ancora per lo spoiler improvviso e imprevisto.
Vi auguro un felice anno nuovo,
Bacioni,
Haru.

DISCLAIMER: La canzone utilizzata è "Lost in you" dei Three Days Grace (ascoltatela *_*) su cui non ho nessun diritto.




   
 
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