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Autore: Miss Paget e Miss Doyle    31/12/2011    4 recensioni
[Piramide di Paura!verse] La mente acuta di Sherlock Holmes non teme alcun confronto: il suo possessore è consapevole di avere a disposizione uno strumento raffinato e pressoché infallibile. Ma cosa potrà mai accadere ad un simile ingegno nel momento in cui le ombre di un passato torbido, dipinte delle cupe tinte del terrore, ritornano ad offuscarne la lucidità?
Genere: Angst, Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Carissimi colleghi,
sovente abbiamo girovagato per questo grande Mondo di opere letterarie, frutto dell'ingegno di molti entusiasti apprezzatori dell'arte di Sir Doyle. Abbiamo provato tutte le serrature, aperto ogni porta, esplorato ogni stanza. Tuttavia, questa è la prima volta che, prendendoci per mano, intraprendiamo insieme un cammino arduo, ma colmo di soddisfazioni, come è destinato ad essere quello di ogni sperimentatore.
Augurateci buona fortuna. Dal canto nostro, speriamo che il frutto di quest'opera condivisa vi possa essere gradito.
Miss Paget e Miss Doyle

EDIT: l'avvertimento è stato aggiornato in seguito alla corretta osservazione di Vodia. Grazie :)



La Tela di Osiride



Prologo

Sebbene la mia memoria di quella notte sia rimasta pressoché inalterata nel corso degli anni, ho recentemente scoperto di non conservare alcun ricordo del modo in cui attraversai la City, mi addentrai in Pall Mall e raggiunsi la dimora di mio fratello. Stentavo a reggermi in piedi, e da un esame meticoloso ed approfondito del mio soprabito, usurato nelle spalle e sulla schiena, potei in seguito dedurre che mi ero appoggiato ai ruvidi muri di mattoni dei palazzi, sfregando contro di essi mentre barcollavo nella poco dignitosa foggia d'un ubriaco.

Rammento bene la strada illuminata da fioche e distanti luci di lampioni, l'oscurità, la nebbia giallastra che sembrava impregnare i miei stessi polmoni, l'umidità sulfurea che mi faceva sobbalzare e tossire, piegando la mia persona dolorante.

Vidi una forma massiccia delinearsi vicino ad una delle porte ed avanzai trascinandomi sul selciato. L'idea di raggiungerlo prima che sprangasse l'uscio dietro di sè equivaleva nella mia mente a quella di salvezza, e non esitai ad arrancare innanzi, sperando che mi notasse, che quel buio opprimente non avesse intontito anche le sue facoltà percettive.

E quale spavento ebbi! - lo ammetto, fu dovuta al terrore, la pungente sensazione che provai quando l'uomo mi saettò un'occhiata sospettosa e rovistò freneticamente nella tasca del cappotto per trovare le chiavi. Non mi aveva riconosciuto, e credeva che fossi uno di quei loschi individui che la malavita Londinese ha l'abitudine di annoverare tra le sue folte fila.

La fortuna tuttavia mi concesse di approfittare della proverbiale pigrizia del mio fastidiosamente lento fratello maggiore, che impiegò più di due minuti a trovare la chiave e ad inserirla nella serratura. In quel lasso di tempo ero già ad una distanza più ragionevole, ed egli mi scrutò attentamente con occhi la cui incisività superava persino quella dei miei.

"Sherlock?" chiamò, esitante. Pervaso di sollievo, feci il madornale errore di rilassarmi, accasciandomi contro la parete che mi forniva un rozzo supporto. Purtroppo questo atto liberò le forze maligne dell'insensibilità, che iniziarono ad avere la meglio sulla mia volontà di ferro e a farmi sprofondare in un mare torbido e turbinoso dal quale non avevo speranza di poter riemergere.

"Per Giove - Sherlock!" esclamò mio fratello, affrettandosi verso di me; notai con intimo disagio - un ronzio nelle profondità del mio cranio - il suo tono atterrito. Mi cinse con le grosse braccia appena in tempo per evitare un mio brusco collasso sul selciato sporco. La mia vista sfocata registrò a malapena il suo viso tondeggiante di fronte a me, la sua mano grassoccia che cercava goffamente di sorreggere la mia testa che crollava in avanti priva di forze.

Con un sovrumano sforzo, mantenni la lucidità per un solo minuto ancora.
Fantasmi terribili emergevano dai meandri del mio inconscio, si insinuavano nel mio intelletto e minacciavano di dilaniarlo crudelmente. Quando essi fossero riusciti nel loro infernale intento, non avrei più potuto parlare; questa consapevolezza ed il panico che la seguì servirono, se non altro, da catalizzatori.
"Mycroft. Ascoltami. Un medico. Un s-sedativo, serve..." balbettai, quasi incoerente, "... Watson. Cerca Watson, lui sa." la risposta che aspettavo non si presentò e la esortai con un attonito, "Mycroft!"

"Ho capito, Sherlock. Cerca di calmarti. Cosa ti è accaduto?"

Volli replicare, ma il crepuscolo calava su qualsiasi barlume di coscienza che ancora permanesse all'interno del mio cervello, "W-Watson. Lui sa." mi limitai a bisbigliare.

La mia lotta con - qualsiasi cosa minacciasse la mia sanità mentale - era divenuta troppo faticosa, troppo penosa. Mi abbandonai al mio destino, imponendomi di serrare il pugno destro intorno all'oggetto che vi nascondevo, unica chiave di quell'enigma. La voce di mio fratello, che pronunciava ripetutamente il mio nome, divenne sempre più distante; infine si perse, come un sibilo lontano, nell'aria gelida.



"Per Giove - Sherlock!" esclamò mio fratello, affrettandosi verso di me [...].
  
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