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Autore: WrongHysteria    02/01/2012    4 recensioni
Vite che bruciano. Sentimenti che scottano. Come fuoco ardente queste storie s'insinueranno in voi, lasciando i piccoli semi del male che compaiono nella mia mente malata, seminando distruzione nel vostro cuore.
Almeno è ciò a cui miro.
I mostri sono reali, i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono. Stephen King.
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~apatia


I got a hangover, wo-oh!

I’ve been drinking too much for sure
I got a hangover, wo-oh!
I got an empty cup
Pour me some more

So I can go until they close up
And I can drink until I’m told up
And I don’t ever ever want to grow up

Taio Cruz, Hangover.


- ...fanculo!
La porta d'ingresso sbatté con violenza: così si concluse l'ennesima litigata. Le lacrime, fino a quel momento aghi negli occhi, poterono finalmente scorrermi lungo le guance. Per niente al mondo piangerei davanti a lui; prima di tutto, perché mostra la mia debolezza. La seconda ragione è che lo fa sentire in colpa ed è una cosa che non sopporto: da ipocrita qual è, solo le mie lacrime possono farlo tornare sui suoi passi, per quante ragioni io possa avere. Alla fine i miei singhiozzi furono liberi di riecheggiare nella casa vuota e silenziosa, e potei nascondermi nel mio mondo segreto: la vasca da bagno. Qui entro sempre in uno stato di totale apatia, non penso a nulla e ne esco, in qualche modo, con le idee chiare e più forte, come se la schiuma potesse costruire una corazza intorno a me. Dunque, appena il mio pianto si placò un poco, mi alzai, chiusi la porta a chiave e mi diressi spedita verso il bagno, pregustando il sollievo dell'acqua calda e del profumo leggero di lavanda. Mi immersi fino al collo e sentii subito una grande calma diffondersi attorno a me. La pelle tirava dove le lacrime erano passate, gli occhi bruciavano, ma costrinsi il mio sguardo a fissarsi sulle mattonelle color crema delle pareti e in contemporanea la mente si svuotò.
Non so quanto tempo passai lì dentro... so solo che quando mi sentii pronta per uscire era già buio, e Adam non era ancora tornato. Incrociai le dita perché cenasse fuori e mi avvolsi nell'asciugamano più morbido che ho, una piccola coccola in vista della battaglia che m'attendeva. Nello specchio, una donna dagli occhi gonfi mi fissò con un'aria inquietante, stanca, quasi spettrale. Le voltai le spalle e andai in camera da letto per vestirmi. Poi sentii il click della chiave nella porta. Merda.
Adam varcò l'ingresso a grandi passi, rumorosamente, e neanche tre secondi dopo era davanti a me, come se sapesse già in quale stanza cercarmi. Odorava di sudore e terra.
- Dove sei stato? - chiesi secca. In realtà non mi interessava, volevo solo finire in fretta i convenevoli. Lui alzò le spalle. - Faccio una doccia, okay?
Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere e sparì dalla mia visuale. Un moto d'irritazione si fece strada in me come il calore dell'alcol il sabato sera. Sentii il cuore accelerare il proprio battito, preparandosi allo scontro. Tra cinque minuti uscirà dalla doccia e riprenderà la discussione da dove l'ha lasciata, devo essere pronta, pensai. Mi tormentai l'unghia del pollice, indecisa sul da farsi. So che a volte sarebbe meglio arrendersi subito, è solo che mi secca dargliela vinta.
Dalla camera da letto passai alla cucina: ovviamente, tutto ciò che avrei preparato sarebbe stato solo per me. Sapeva come prendere del formaggio dal frigorifero.
Ma, per la prima volta nella sua vita, Adam mi sorprese: uscì dal bagno con indosso solo l'asciugamano, l'acqua che gocciolava ancora dai capelli corvini; percorse spedito il corridoio fino a me e mi abbracciò. - Scusa, ho esagerato, - disse. - Non parliamone più. - Mi stampò un bacio in fronte e tornò indietro, in direzione della camera.
Restai a guardare il vuoto dove prima c'era lui, sbigottita, sentendomi le braccia umide lì dove avevo avuto un contatto con la sua pelle bagnata. Aveva lasciato perdere?
Quando tornò in cucina ero ancora esterrefatta, nella stessa posizione in cui mi aveva lasciata. Rise e iniziò ad apparecchiare. - Non essere così sconvolta. Sto cercando di essere una persona migliore.
Sorrisi.

***

Questa mattina mi sono svegliata di buonumore. Lo lascio dormire, preparo il caffè e fischiettando apro l'oblò della lavatrice. I vestiti di ieri mi guardano dalla cesta della biancheria sporca, pronti per essere lavati. Prendo in mano la maglietta bianca che indossava e la rigiro tra le mani, alla ricerca di macchie da trattare con particolare interesse. Intravedo una striscia rosso scuro sul davanti: sangue secco. Ultimamente perde spesso sangue dal naso mentre è al lavoro. Come ogni uomo degno di questo nome, si rifiuta categoricamente di accettare un aiuto e quindi di andare dal dottore. Sospiro, metto uno smacchiatore sul segno rosso e infilo la maglietta in lavatrice; poi lo sveglio con un bacio e, finalmente, bevo il caffè, indispensabile per svegliarmi.
Poi lo sguardo mi cade nell'ingresso, dove è rimasta qualche traccia di terra che probabilmente era sotto le scarpe di Adam. Mi chiedo ancora dove sia stato ieri sera e sento qualche sospetto nascermi dentro, sospetto che ovviamente se ne va come la scopa passa sul terriccio e se lo porta via, intrappolandolo nella paletta. Probabilmente ha fatto una passeggiata.
Nel dubbio, forse è meglio chiederglielo.
- Amore, - dico con il tono più leggero che mi riesce, appena entra in cucina - dove sei stato ieri sera? Giusto per sapere - aggiungo noncurante, anche se la mia mente è stata attraversata da un'enorme insegna luminosa che recita a caratteri cubitali "Ha un'amante!". Lui si versa il caffè con attenzione, si volta a guardarmi e sorride. - Sono andato al bar e mi sono bevuto un paio di birre per calmarmi. Perché?
Annuisco. E' andato al bar, certo. Un bar in campagna. - Niente, è solo che c'era un po' di terra nell'ingresso e pensavo fossi andato a fare una passeggiata...
- No, hai pensato che fossi andato dalla mia amante. Non è così? - chiede con una punta d'irritazione nella voce.
Merda. Mi conosce troppo bene.
- Stai tranquillo. Mi fido di te. - Dico in fretta, ma lui non sembra credermi. Scuote la testa ed esce di casa, ancora una volta sbattendo la porta. Si capisce che è arrabbiato, ma basta davvero così poco per litigare? D'un tratto tutte le mie certezze crollano. Non siamo giusti insieme. Non passa giorno senza discussione, e mi rendo conto di non poter più reggere questo ritmo di discordia tra noi. L'armonia è spezzata e io non voglio più stare con questa nervosa e cinica parodia del ragazzo con cui, tre anni fa, ho deciso di convivere.
Esco sul pianerottolo e lo chiamo. Torna su. - Cosa vuoi?
- Penso che non dovremmo più stare insieme. - Rispondo, con una tranquillità che non sento mia. Sento la mia anima sollevarsi. Non sono più io a parlare, sono entrata nella modalità apatica che si mostra solo quando sono nella vasca da bagno.
Per un momento mi scruta con tanto odio che penso che voglia uccidermi. Poi si rilassa. - Sei sconvolta, litighiamo troppo e non ce la fai più. Ho capito. Non preoccuparti, ne riparliamo questa sera. Ciao. - mi guarda con sufficienza e se ne va.
La rabbia non mi monta dentro come dovrebbe. Lo saluto con calma e chiudo la porta alle sue spalle.
Durante il giorno penso a quant'è successo e mi rendo sempre più conto di aver esagerato. E' l'uomo che amo, e quando ho accettato di vivere con lui pensavo che fosse per la vita. Così dev'essere. Lo devo amare incondizionatamente, sempre. Devo perdonarlo ed aiutarlo, e smettere di pensare alla vendetta ogni volta che mi fa un torto. Piano piano si accorgerà che siamo perfetti insieme e tutto tornerà come prima.
, decido all'improvviso. Faremo pace questa sera.
Gli telefono per dirgli che ceno fuori con un'amica e che tornerò verso le nove; poi inizio a prepararmi. Indosso il completo intimo che preferisce e mi avvolgo nella vestaglia di seta, quella che mi fa sentire una sgualdrina e che infatti indosso solo per occasioni particolari (anniversari o il suo compleanno, per esempio). Mi profumo all'inverosimile e mi trucco con particolare attenzione. Voglio rinnovare il nostro amore, voglio che torniamo innamorati persi come un tempo.
Mi sto rimirando compiaciuta nello specchio del bagno quando sento la chiave nella toppa. Speravo che avrebbe cenato fuori lui, per lasciarmi più tempo. Programmavo di aspettarlo sul letto, ma mi ha colta impreparata. Pazienza, mi dico. Lo sorprenderò ugualmente.
Apro la porta del bagno e mi muovo con più eleganza che posso verso di lui, che non si è nemmeno accorto della mia presenza. Quando si volta e mi vede, mi lancia uno sguardo perplesso. - Ma non eri a cena fuori?
- Ho deciso di aspettarti qui per fare la pace - dico seducente, sbattendo le ciglia. Adam mi guarda, senza cogliere l'allusione. Quando capisce, fa un passo indietro. - Non ce n'è bisogno - dice in fretta, guardandosi intorno. - E' tutto a posto.
Mi sento ferita, respinta; ma per noi, per il nostro bene, cerco di farmi coraggio e ci riprovo. Inizio a giocare con la lampo della sua felpa, inspirando l'odore familiare che mi accompagna da tre anni. Lui s'irrigidisce. - Non ne ho voglia adesso.
- Non essere stupido - rispondo, tirandola giù. - Non lo facciamo da... - le parole mi muoiono in gola quando mi accorgo che sulla sua T-shirt grigia c'è, tra le altre, una grossa macchia di sangue. A forma di mano.
Mi ritraggo, spalancando gli occhi. Lui alza gli occhi al cielo, ma mi accorgo che, impercettibilmente, il suo respiro s'è fatto più veloce. - Non avevo il fazzoletto - inizia a spiegarmi, ma i suoi occhi non sono limpidi ed io non sento più il resto. So che sta mentendo. - Che cos'hai fatto? - chiedo, indietreggiando con quanta più calma possibile. - La verità. - la mia voce s'è ridotta a un flebile pigolio spaventato.
- Mi è uscito ancora il sangue dal naso... dài, mi cambio. Ti porto fuori a cena, ti va?
- Non ti credo.
Sbuffa ed alza di nuovo gli occhi al soffitto. - Cosa credi, che abbia ucciso qualcuno? Non essere ridicola.
E' così sereno che piano piano decido di credergli. Sono ancora un po' dubbiosa quando annuisco e, in silenzio, vado a vestirmi.

La cena è fantastica. Beviamo vino, ordiniamo frutti di mare e quand'è il momento di pagare il conto, mi aiuta a indossare il cappotto come un galantuomo. Ridiamo come due ragazzini quando usciamo dal ristorante, aggrappati l'uno all'altra, e non vediamo l'ora di tornare a casa per stare soli. Mi aiuta a salire sull'auto sportiva che s'è comprato con anni di duro risparmio. Ne è così orgoglioso che la lava due volte la settimana. A volte penso che tenga più a lei che a me, addirittura.
Nell'abitacolo però c'è un odore strano, pungente. Come di carne marcia. Adam ride e mi assicura che non è niente, ma persino nella mia ubriachezza capisco che qualcosa non va. E che quell'odore proviene dal retro dell'auto.
Mi alzo traballando sui tacchi. Lui mi ferma e mi avvolge in un goffo abbraccio, cercando di spingermi di nuovo verso il sedile. Mi rifiuto. La strada ondeggia, il baule gira su se stesso. Spingo via Adam, troppo brillo per reagire subito, e prima che possa rendermi conto di cosa sta accadendo apro il baule. L'odore di carne in putrefazione m'investe, i conati non tardano ad arrivare e vomito accanto all'auto mentre due occhi scuri e vacui mi fissano accusatori dal vano aperto. Il sangue è ormai rappreso sui capelli della giovane, i quali alla luce dei lampioni sembrano brillare. Vedo Adam riprendersi e venire verso di me con una lentezza impressionante, vedo, nonostante il buio, le mani legate della ragazza, il sangue secco sui suoi abiti, sotto le sue unghie, la testa in quella strana posizione ed intuisco che è quasi del tutto staccata dal corpo. Capisco tutto, la terra, il sangue sulle magliette, la sua calma dopo essere andato "al bar".
Ancora una volta, sprofondo nell'apatia e sento una voce, la mia, sussurrare - Seppelliamola insieme alle altre.
Dopotutto, lo devo amare incondizionatamente. Sempre.

   
 
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