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Autore: postit2    21/08/2006    4 recensioni
1814. Una ragazza dai poteri diversi da quelli degli altri maghi dovrà innamorarsi di un mostro e baciare un principe... La leggenda narra che chi trovi una rosa in pieno inverno abbia trovato il vero amore...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Dal fuoco nel camino scoppiettavano più scintille del solito quella sera. Segno evidente che stava per succedere qualcosa… e la ragazza seduta ad ammirare le fiammelle sapeva esattamente cosa.

In strada, un uomo si accorse che stranamente attirava l’attenzione di chiunque incontrasse sul suo tragitto e si chiese il perché di questo strano comportamento, visto che in genere non faceva voltare lo sguardo di nessuno nemmeno se si metteva a ballare urlando. Non che fosse sempre stato un uomo perdigiorno e introverso ma purtroppo da qualche anno lo era diventato suo malgrado. Si ricordò solo in quel momento della serata passata a bere, delle tante birre scolate e della mattinata passata dormendo vicino bagno della taverna. Capiva ora perché tutti lo guardassero con tanta insistenza: era ancora sotto i fumi dell’alcool e barcollava spaventosamente rischiando di tanto in tanto di finire addosso a qualcosa o qualcuno.

Finalmente riuscì a riconoscere la facciata della villetta color pesca come casa sua e si buttò pesantemente addosso al portone di legno sapendo che di lì a poco sarebbe arrivato qualcuno ad aprire.

I grandi occhi verdi, in cui si stavano rispecchiando le lucenti scintille volanti, erano rivolti al cielo per l’esasperazione. Ginevra si alzò dalla comoda poltrona e si diresse alla porta. Stava andando raccattare per l’ennesima volta il fratello ubriaco dalla soglia di casa e questo la infastidiva non poco.

“Ron! Lo sapevo! Questa storia deve finire perché non ho più la minima intenzione di raccoglierti da terra ancora per molto” disse esasperata vedendo il fratello disteso sul pianerottolo di casa. Era una minaccia che Ginevra  ripeteva ogni volta, ma entrambi sapevano quanto fosse inutile dato che non avrebbe mai avuto un riscontro pratico.

“Piantala con queste scemenze donna”

Ginevra  si fece forza e chinandosi con un sospiro prese il braccio sinistro del fratello e cercò di sollevarlo. Ron però non cercava neppure lontanamente di contribuire all’operazione e nel giro di qualche secondo si ritrovò di nuovo sulla roccia fredda.

“Attenta stupida mi vuoi rompere un osso?”

“Sarebbe una buona idea così resteresti a casa e lontano da quella maledetta taverna” disse Ginevra di ribatto “Avanti se non vuoi restare qui vedi di aiutarmi ad alzarti”

Così dicendo riprese il braccio di Ron e questa volta riuscirono a entrare senza troppe difficoltà in casa. Prima di richiudere la porta Ginevra diede una veloce sbirciata fuori per controllare che nessuno avesse visto quella scena indecorosa ma per fortuna era una mattinata uggiosa e per strada non c’era più nessuno se non un uomo su un cavallo, ma era ancora lontano tanto che sentiva a malapena il rumore degli zoccoli.

Richiusa la porta dietro di sé diede tutta la sua attenzione al fratello che in quel momento stava tentando di ritrovare l’equilibrio appoggiandosi al mobile dell’ingresso, ma l’unico risultato che aveva ottenuto era stato far cadere la statuetta di porcellana vinta dai genitori a una gara di ballo.

“Possibile che tu non riesca a smettere di bere? Mi chiedo cosa ci troverai di così divertente nel venire a casa traballante e ubriaco fradicio? Per di più sono le 11 di mattina, tutti ti possono vedere!” esclamò con veemenza Ginevra sbattendo con forza la statuetta al suo posto.

“Smettila tu non sai cosa vuol dire essere un uomo finito” così dicendo rivolse lo sguardo verso il suo braccio destro, quello stesso braccio destro che non riusciva più a muovere da quasi tre anni.

Più guardava quel suo arto menomato e più cresceva in lui la rabbia e il rancore verso l’uomo causa di questa sua condizione, ma probabilmente se fosse stato sobrio e più razionale avrebbe capito che ciò che provava non era odio, ma semplice amarezza e immensa tristezza. Ginevra non sapeva come comportarsi con lui, le aveva provate tutte in questi anni, era stata severa, dolce, intransigente e gioiosa ma niente di quello che lei faceva o diceva riusciva a scuotere il fratello dallo stato di torpore in cui cadeva ogni volta che pensava a quel lontano e maledetto giorno.

Persa nei suoi pensieri non si accorse che Ron stava cominciando a svuotare con copiosi sorsi il bicchiere di whisky appena riempito dalla brocca in salotto.

“Non ti pare di avere bevuto abbastanza per oggi? Vuoi stramazzare del tutto al suolo?”

“Oggi ti ho già detto di piantarla con le scemenze?”

“Se fosse sobrio te lo ricorderesti… sai bere non giova alla memoria” disse piccata Ginevra . Stava per dirgli di andare subito a letto quando avvertì qualcosa di strano… il fuoco! Con uno scoppio secco dalle braci ardenti si sollevarono più scintille che mai e restarono a volteggiare in aria. Un centinaio di piccole luci giravano e giravano sopra le fiamme, sembravano quasi impegnate in un antico ballo unendosi e staccandosi subito dopo. Ginevra rimase incantata ad osservarle come se cercasse di sentire anche lei quella musica che faceva ballare le scintille. Fin da piccola sua madre le aveva sempre detto che c’è, per ogni essere magico, un elemento capace di riflette il suo destino e il sua forza: il suo era il fuoco. Guardando le fiamme riusciva a tranquillizzarsi o a trovare la determinazione necessaria per andare avanti, ma ora non capiva cosa le fiammelle volessero dirle, sentiva solo che presto non sarebbe più stata la stessa persona di sempre.

Uscendo da questo strano stato di trance si rese conto che il fratello, svuotato il bicchiere di whisky, era crollato addormentato sulla poltrona davanti al fuoco e aveva preso a russare sonoramente. Guardandolo con aria sconsolata ma allo stesso tempo tenera, si stava già preparando per la faticaccia che avrebbe dovuto fare per portarlo al piano di sopra a letto. Cercò di svegliarlo chiamandolo, scuotendolo, provando persino a rovesciargli un bicchiere d’acqua in faccia ma niente risvegliava Ron dal suo sonno profondo. Anzi quasi le sembrava che, per prenderla ulteriormente in giro, avesse incominciato a russare più forte. Provare a sollevarlo con le sue forze era escluso non avrebbe fatto neppure due passi e le sarebbe venuto un gran male alla schiena… “Ron dormirà sulla poltrona, non sarà poi la fine del mondo” decise infine Ginevra.

Presa questa pratica decisione Ginevra decise di preparare del tè per quando il fratello si fosse svegliato e dirigendosi verso la cucina provò all’improvviso una sensazione di vuoto: mancava qualcosa. Il rumore di zoccoli che fino a poco prima sentiva distintamente fuori dalle sue finestre era cessato: il cavaliere solitario che poco prima procedeva fra la nebbia doveva essersi fermato davanti a casa sua. Sicuramente era uno dei tanti amici di suo padre, infatti proprio quella mattina l’aveva avvisata che nel pomeriggio sarebbe arrivato un cento Neville Pachiok e lei lo avrebbe dovuto accogliere nei migliori dei modi.

“Probabilmente” pensò Ginevra con sarcasmo “avrà deciso che Neville sarà un perfetto marito per la sua adorata figlia… Mah baggianate, sto benissimo così e mio padre farebbe bene ad accettarlo una buona volta”. Ginevra restò in attesa e quando dopo qualche secondo il campanello trillò si diresse spedita verso la porta d’ingresso. Nello stesso istante in cui aprì la porta di uno spiraglio si ricordò del fratello steso scomposto sulla poltrona a russare e fece appena in tempo a intravedere una figura scura e coperta da un impermeabile cercare di ripararsi dalla forte pioggia che aveva preso a scendere. Praticamente gli chiuse la porta in faccia mormorando un “Arrivo subito” appena udibile. Precipitandosi in salotto restò qualche secondo a girellare nervosamente attorno a Ron addormentato cercando di trovare una soluzione, alla fine optò per buttargli addosso lo scialle che aveva attorno alle spalle sperando di attenuare almeno un po’ il tronfio russare del fratello. Osservò per alcuni secondi il risultato della sua fantasia e giudicò che, se l’ospite si fosse trattenuto per poco, forse non se ne sarebbe accorto. Il Signor Paciock! Se ne era completamente dimenticata, lo aveva lasciato davanti alla porta e sotto la pioggia per di più, se non se ne era già andato chissà quali insulti le avrebbe rivolto contro. Questa ultima possibilità a conti fatti non era poi così male e per qualche istante prese in seria considerazione la possibilità di lasciarlo lì dov’era ma alla fine decise per curiosità di vedere il volto, probabilmente orrendo, del Signor Paciock.

Correndo ad aprire la porta preparò uno dei suoi migliori sorrisi sperando di addolcire almeno un po’ la collera del signore, non aveva voglia di perdersi litigi. Quello che la giovane strega non poteva sapere era che quel sorriso cambiò la vita dell’uomo e con essa la sua.

La prima cosa che Ginevra  notò furono gli stivali, costosi e davvero ben fatti, ma non aveva tempo per analizzare il vestiario del Signor Paciock, si fece da parte e lasciò entrare l’uomo zuppo di pioggia. Richiudendo la porta passò davanti al mago e venne investita da un forte profumo di pioggia e terra, quasi non voleva muoversi per non correre il rischio di non sentirlo più. Si riscosse voltandosi verso il Signor Paciock.

“Benvenuto signore, mi dispiace molto avervi lasciato sotto la pioggia ma.. ma.. avevo una pentola sul fuoco e si stava bruciando tutto e voi sapete di questi tempi non si può sprecare nulla..” non era molto brava a trovare prontamente una scusa ma questa le sembrava abbastanza plausibile comunque ancora non aveva trovato il coraggio di alzare lo sguardo sull’uomo per evitare di vedere la sua espressione di certo scettica e infuriata. Decise di continuare a parlare a vanvera almeno non avrebbe dato tempo al Signor Paciock di inveire contro di lei.

“Sa cucinavo patate, patate lesse e quelle beh forse lei non lo sa ma non si possono lasciare sole un secon…”

“Scappano certo, la mia infanzia è costellata di ricordi in cui rincorro patate sfuggite alla cuoca”

Se non avesse avuto il carattere che aveva probabilmente Ginevra  si sarebbe sotterrata dalla vergogna ma era da sempre tremendamente sicura di sé e il fatto che un perfetto sconosciuto mettesse in dubbio, in modo così sfrontato, le sue parole la faceva infuriare da matti, ma chi si credeva di essere? Naturalmente non considerò affatto che la sua storia non avesse alcun senso… Anzi alzò con aria di sfida gli occhi sull’uomo, pronta a difendere il concetto delle “patate fuggitive”.

“Finalmente vedo i vostri occhi, meravigliosi da sembrare gemme” disse il Signor Paciock lasciando completamente spiazzata Ginevra . Il complimento non era molto differente dai tanti ricevuti per i suoi occhi di un intenso verde ma la voce bassa e quasi roca di quel uomo le rimbombava nel cervello provocandole uno strano piacere lontano.

“Volete darmi il soprabito? Sarete bagnato fino all’osso” disse Ginevra  nel vago tentativo di cambiare argomento. Questo Signor Paciock le faceva uno strano effetto e non andava per niente bene! Aveva ancora il cappuccio del impermeabile calato sul capo ma il viso era illuminato dalle lampade della casa e fermandosi ad osservarlo Ginevra  doveva ammettere che era bello, incredibilmente bello. Aveva la carnagione chiara e il viso bagnato, tante gocce impertinenti scivolavano lungo le sue guance per intrufolarsi nel colletto della camicia bianca, i ciuffi di capelli biondi che sfuggivano dal cappuccio erano bagnati anch’essi ma formavano un elegante intreccio sulla sua fronte. La cosa che più piaceva a Ginevra  però erano i suoi occhi, grigi come il mare in tempesta quando tutto è talmente scuro da non riconoscere più dove incominci il cielo e finisca il mare. Mentre era intenta a creare romantiche similitudini si accorse che, oltre a essere ammalianti quegli occhi erano anche pieni di ironia, quel uomo la stava nuovamente prendendo in giro divertendosi a guardarla aspettando pazientemente che smettesse di mangiarlo con gli occhi.

“Non temere faccio questo effetto a molte donne, anche se devo ammettere che per ora tu sei la più bella ragazza incantata che abbia mai visto” disse il Signor Paciock vedendo la collera tornare nuovamente sul viso di Ginevra .

“Voi siete Ginevra Weasley, figlia di Arthur Weasley giusto?” riprese subito il Signor Paciockk non dando tempo alla ragazza di rispondere.

“Si… sono io” rispose Ginevra “Voi, invece, dovete essere il signor Neville Pachiok, mio padre mi aveva avvertita del vostro arrivo. Prego accomodatevi, volete una tazza di tè?” disse Ginevra  cercando di ridare normalità a quella situazione che le sembrava tanto assurda. Dapprima l’espressione del Signor Paciock sembrò sorpresa ma sul suo viso tornò quasi subito quel sorriso da bimbo birichino che, sia per rabbia sia per piacere, faceva aumentare i battiti del cuori di Ginevra .

“Gradirei molto una tazza di tè, il tempo oggi è davvero inospitale”

Ginevra  colse subito l’allusione a quanto era stata lei inospitale lasciandolo fuori al freddo ma decise di non rispondere alla provocazione ma anzi cercò di diventare su due piedi la migliore “donna di casa” d’Inghilterra.

“Il tè arriverà in un attimo, nel frattempo non state qui sulla porta. Venite, accomodatevi in salotto, c’è un bel fuoco e potrete riscaldarvi comodamente seduto”.

Bene, ora era arrivata al momento decisivo, poteva sentire distintamente il russare di Ron ed era praticamente impossibile che il Signor Paciock non si accorgesse di nulla. Facendogli strada nel breve corridoio che divideva l’ingresso dalla sala decise di restare indifferente, come se quel sordo e continuo rumore non esistesse. Per fortuna il Signor Paciock si sedette sul divano e nella posizione in cui era almeno non vedeva le gambe di Ron sbucare dai lati della poltrona. Quanto era bello, un vero spettacolo anche da seduto! Non ne sapeva molto in materia ma in vita sua Ginevra aveva visto pochi uomini con un fisico così imponente e ben fatto.

“Insomma ragazza non ti perdere nei tuoi pensieri come al solito e parlagli o penserà che sei un pesce” pensò Ginevra nuovamente incantata.

“Avete fatto un lungo viaggio signore? Da dove venite?”

“Da Londra, ma è valsa la pena sopportare il freddo e l’acqua per essere qui con voi ora”. Per quale assurdo motivo quell’uomo si divertiva tanto a metterla in imbarazzo questo Ginevra proprio non se lo sapeva spiegare.

“Proprio una pioggia fortissima, ma ho sentito che nei prossimi giorni il tempo andrà migliorando” rispose Ginevra, dovevano smettere di parlare del tempo, la cosa stava diventando ridicola.

“Noto che siete abituata a trattare con un certo riguardo gli ospiti della vostra casa. In confronto a lui” disse il Signor Paciock indicando Ron “devo ritenermi fortunato ad essere solo stato lasciato fuori dalla porta e sotto la pioggia”.

Ginevra arrossì all’istante ma tanto sapeva che prima o poi il Signor Paciock si sarebbe accorto di Ron quindi…

“È mio fratello signore. Mi dispiace che voi abbiate dovuto vederlo in queste condizioni ma da sola non sono riuscita a portarlo a letto. Vogliate scusare sia me che Ron” Ginevra parlò con lentezza e semplicità, senza troppi giri di parole e questo nuovo lato della giovane colpì il Signor Paciock, affascinandolo ancora di più. Ginevra Weasley era una ragazza davvero strana, conoscendo suo padre si immaginava di trovarsi davanti un esserino gracile e con ispidi capelli rossi, invece alla porta era apparso un angelo sorridente dai lucenti capelli. In quanto al suo carattere, beh si erano incontrati da poco più di dieci minuti e già la considerava la persona di sesso femminile più interessante  e pazza che avesse mai conosciuto. Ma per conoscerla aveva tempo, per ora si stava limitando ad osservare la sua bellissima figura aspettare una risposta da lui.

“Vostro fratello non può restare lì in eterno” e così dicendo si alzò dal divano avvicinandosi a Ron.

“Oh non preoccupatevi, ha la pellaccia dura lui” disse Ginevra vedendo che il Signor Paciock stava per sollevare Ron dalla poltrona “ signore davvero non dovete preoccuparvi, Ron pesa davvero molto e…”. Inutile continuare il Signor Paciock aveva già sollevato quel peso morto di suo fratello come se nulla fosse, e pensare che per fare due passi lei aveva faticato come dopo una lunga corsa!

“Volete cortesemente indicarmi dove si trova la camera da letto di vostro fratello?”

“Oh si certo, venite vi faccio strada”

Salendo le scale che conducevano al piano superiore Ginevra ebbe la sensazione che il Signor Paciock la fissasse insistentemente ma non ebbe il coraggio di voltarsi. Se si fosse girata sarebbe di certo arrossita vedendo come gli occhi grigi dell’uomo seguissero il leggero ondeggiare dei suoi fianchi e della sua sottile vita.

“Ecco questa è la sua stanza” disse Ginevra aprendo l’ultima porta in fondo a un lungo corridoio “Mettetelo pure sul letto, ci penso io a sfilargli gli stivali e la giacca. Fate solo attenzione signore, ecco… mio fratello ha il braccio destro menomato”. Forse avrebbe fatto meglio a celare questo particolare al Signor Paciock ma non voleva che appoggiando Ron sul letto potesse fargli involontariamente male al braccio. L’espressione sul volto del Signor Paciock era cambiata e questo preoccupò Ginevra  “Probabilmente ora penserà che siamo una famiglia di disgraziati e scapperà appena ne avrà l’occasione, cioè ora!”

Il Signor Paciock però non si ritrasse di scatto né proferì parole di mero biasimo, si limitò ad stendere delicatamente Ron sul letto, accertandosi che il braccio stesse sempre ben disteso e non finesse sotto il peso del busto. Ginevra sorrise dolcemente a quella scena, poche persone avrebbero reagito a quel modo, il Signor Paciock doveva essere davvero un’ottima persona.

“Perché non avete usato la magia per sollevare vostro fratello?” chiese di scatto l’uomo facendo bloccare Ginevra con le mani ancora sullo stivale di Ron. Dal rossore che vide sulle gote della ragazza quando si girò a guardarlo capì di aver posto una domanda sbagliata o quando meno indiscreta.

“Signore, forse non dovrei dirvi queste cose ma sento che non mi deriderete. Vedete non sono brava con la magia, anzi sono davvero pessima. Non ho la minima idea di come si usi una bacchetta magica o di come si voli su una scopa. Non ne sono capace signore.” ammise tutto d’un fiato Ginevra “ Ma non dovete pensare che non sia una strega, lo sono e a tutti gli effetti, solo che non uso la magia comune. Mia madre da piccola mi ripeteva, ogni volta che un bambino mi scherniva perché non sapevo far volare oggetti, “Ginevra  tu hai un potere speciale che và al di là di pozioni e bacchette, la tua magia viene dallo spirito e dal cuore”. Questo è tutto signore. Ora come mi giudicate?”

 

  
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