Capitolo
1
Dal fuoco nel camino
scoppiettavano più scintille del solito quella sera. Segno
evidente che stava
per succedere qualcosa… e la ragazza seduta ad ammirare le
fiammelle sapeva
esattamente cosa.
In strada, un uomo si
accorse che stranamente attirava l’attenzione di chiunque
incontrasse sul suo
tragitto e si chiese il perché di questo strano
comportamento, visto che in
genere non faceva voltare lo sguardo di nessuno nemmeno se si metteva a
ballare
urlando. Non che fosse sempre stato un uomo perdigiorno e introverso ma
purtroppo da qualche anno lo era diventato suo malgrado. Si
ricordò solo in
quel momento della serata passata a bere, delle tante birre scolate e
della
mattinata passata dormendo vicino bagno della taverna. Capiva ora
perché tutti
lo guardassero con tanta insistenza: era ancora sotto i fumi
dell’alcool e
barcollava spaventosamente rischiando di tanto in tanto di finire
addosso a
qualcosa o qualcuno.
Finalmente riuscì a
riconoscere la facciata della villetta color pesca come casa sua e si
buttò
pesantemente addosso al portone di legno sapendo che di lì a
poco sarebbe
arrivato qualcuno ad aprire.
I grandi occhi verdi,
in cui si stavano rispecchiando le lucenti scintille volanti, erano
rivolti al
cielo per l’esasperazione. Ginevra si alzò dalla
comoda poltrona e si diresse
alla porta. Stava andando raccattare per l’ennesima volta il
fratello ubriaco
dalla soglia di casa e questo la infastidiva non poco.
“Ron! Lo sapevo! Questa
storia deve finire perché non ho più la minima
intenzione di raccoglierti da
terra ancora per molto” disse esasperata vedendo il fratello
disteso sul
pianerottolo di casa. Era una minaccia che Ginevra ripeteva
ogni volta, ma entrambi sapevano
quanto fosse inutile dato che non avrebbe mai avuto un riscontro
pratico.
“Piantala con queste
scemenze donna”
Ginevra si
fece forza e chinandosi con un sospiro
prese il braccio sinistro del fratello e cercò di
sollevarlo. Ron però non
cercava neppure lontanamente di contribuire all’operazione e
nel giro di
qualche secondo si ritrovò di nuovo sulla roccia fredda.
“Attenta stupida mi vuoi
rompere un osso?”
“Sarebbe una buona idea
così resteresti a casa e lontano da quella maledetta
taverna” disse Ginevra di
ribatto “Avanti se non vuoi restare qui vedi di aiutarmi ad
alzarti”
Così dicendo riprese
il braccio di Ron e questa volta riuscirono a entrare senza troppe
difficoltà
in casa. Prima di richiudere la porta Ginevra diede una veloce
sbirciata fuori
per controllare che nessuno avesse visto quella scena indecorosa ma per
fortuna
era una mattinata uggiosa e per strada non c’era
più nessuno se non un uomo su
un cavallo, ma era ancora lontano tanto che sentiva a malapena il
rumore degli
zoccoli.
Richiusa la porta
dietro di sé diede tutta la sua attenzione al fratello che
in quel momento
stava tentando di ritrovare l’equilibrio appoggiandosi al
mobile dell’ingresso,
ma l’unico risultato che aveva ottenuto era stato far cadere
la statuetta di
porcellana vinta dai genitori a una gara di ballo.
“Possibile che tu non
riesca a smettere di bere? Mi chiedo cosa ci troverai di
così divertente nel
venire a casa traballante e ubriaco fradicio? Per di più
sono le 11 di mattina,
tutti ti possono vedere!” esclamò con veemenza
Ginevra sbattendo con forza la
statuetta al suo posto.
“Smettila tu non sai
cosa vuol dire essere un uomo finito” così dicendo
rivolse lo sguardo verso il
suo braccio destro, quello stesso braccio destro che non riusciva
più a muovere
da quasi tre anni.
Più guardava quel suo
arto menomato e più cresceva in lui la rabbia e il rancore
verso l’uomo causa
di questa sua condizione, ma probabilmente se fosse stato sobrio e
più
razionale avrebbe capito che ciò che provava non era odio,
ma semplice amarezza
e immensa tristezza. Ginevra non sapeva come comportarsi con lui, le
aveva
provate tutte in questi anni, era stata severa, dolce, intransigente e
gioiosa
ma niente di quello che lei faceva o diceva riusciva a scuotere il
fratello
dallo stato di torpore in cui cadeva ogni volta che pensava a quel
lontano e
maledetto giorno.
Persa nei suoi
pensieri non si accorse che Ron stava cominciando a svuotare con
copiosi sorsi
il bicchiere di whisky appena riempito dalla brocca in salotto.
“Non ti pare di avere
bevuto abbastanza per oggi? Vuoi stramazzare del tutto al
suolo?”
“Oggi ti ho
già detto di
piantarla con le scemenze?”
“Se fosse sobrio te lo
ricorderesti… sai bere non giova alla memoria”
disse piccata Ginevra . Stava
per dirgli di andare subito a letto quando avvertì qualcosa
di strano… il
fuoco! Con uno scoppio secco dalle braci ardenti si sollevarono
più scintille
che mai e restarono a volteggiare in aria. Un centinaio di piccole luci
giravano e giravano sopra le fiamme, sembravano quasi impegnate in un
antico
ballo unendosi e staccandosi subito dopo. Ginevra rimase incantata ad
osservarle come se cercasse di sentire anche lei quella musica che
faceva
ballare le scintille. Fin da piccola sua madre le aveva sempre detto
che c’è,
per ogni essere magico, un elemento capace di riflette il suo destino e
il sua
forza: il suo era il fuoco. Guardando le fiamme riusciva a
tranquillizzarsi o a
trovare la determinazione necessaria per andare avanti, ma ora non
capiva cosa
le fiammelle volessero dirle, sentiva solo che presto non sarebbe
più stata la
stessa persona di sempre.
Uscendo da questo strano
stato di trance si rese conto che il fratello, svuotato il bicchiere di
whisky,
era crollato addormentato sulla poltrona davanti al fuoco e aveva preso
a
russare sonoramente. Guardandolo con aria sconsolata ma allo stesso
tempo
tenera, si stava già preparando per la faticaccia che
avrebbe dovuto fare per
portarlo al piano di sopra a letto. Cercò di svegliarlo
chiamandolo,
scuotendolo, provando persino a rovesciargli un bicchiere
d’acqua in faccia ma niente
risvegliava Ron dal suo sonno profondo. Anzi quasi le sembrava che, per
prenderla ulteriormente in giro, avesse incominciato a russare
più forte.
Provare a sollevarlo con le sue forze era escluso non avrebbe fatto
neppure due
passi e le sarebbe venuto un gran male alla schiena…
“Ron dormirà sulla
poltrona, non sarà poi la fine del mondo” decise
infine Ginevra.
Presa questa pratica
decisione Ginevra decise di preparare del tè per quando il
fratello si fosse
svegliato e dirigendosi verso la cucina provò
all’improvviso una sensazione di
vuoto: mancava qualcosa. Il rumore di zoccoli che fino a poco prima
sentiva
distintamente fuori dalle sue finestre era cessato: il cavaliere
solitario che
poco prima procedeva fra la nebbia doveva essersi fermato davanti a
casa sua.
Sicuramente era uno dei tanti amici di suo padre, infatti proprio
quella
mattina l’aveva avvisata che nel pomeriggio sarebbe arrivato
un cento Neville
Pachiok e lei lo avrebbe dovuto accogliere nei migliori dei modi.
“Probabilmente”
pensò Ginevra
con sarcasmo “avrà deciso che Neville
sarà un perfetto marito per la sua
adorata figlia… Mah baggianate, sto benissimo
così e mio padre farebbe bene ad
accettarlo una buona volta”. Ginevra restò in
attesa e quando dopo qualche
secondo il campanello trillò si diresse spedita verso la
porta d’ingresso.
Nello stesso istante in cui aprì la porta di uno spiraglio
si ricordò del
fratello steso scomposto sulla poltrona a russare e fece appena in
tempo a
intravedere una figura scura e coperta da un impermeabile cercare di
ripararsi
dalla forte pioggia che aveva preso a scendere. Praticamente gli chiuse
la
porta in faccia mormorando un “Arrivo subito”
appena udibile. Precipitandosi in
salotto restò qualche secondo a girellare nervosamente
attorno a Ron addormentato
cercando di trovare una soluzione, alla fine optò per
buttargli addosso lo
scialle che aveva attorno alle spalle sperando di attenuare almeno un
po’ il
tronfio russare del fratello. Osservò per alcuni secondi il
risultato della sua
fantasia e giudicò che, se l’ospite si fosse
trattenuto per poco, forse non se
ne sarebbe accorto. Il Signor Paciock! Se ne era completamente
dimenticata, lo
aveva lasciato davanti alla porta e sotto la pioggia per di
più, se non se ne
era già andato chissà quali insulti le avrebbe
rivolto contro. Questa ultima
possibilità a conti fatti non era poi così male e
per qualche istante prese in
seria considerazione la possibilità di lasciarlo
lì dov’era ma alla fine decise
per curiosità di vedere il volto, probabilmente orrendo, del
Signor Paciock.
Correndo ad aprire la
porta preparò uno dei suoi migliori sorrisi sperando di
addolcire almeno un po’
la collera del signore, non aveva voglia di perdersi litigi. Quello che
la
giovane strega non poteva sapere era che quel sorriso cambiò
la vita dell’uomo
e con essa la sua.
La prima cosa che Ginevra notò furono gli
stivali, costosi e davvero ben
fatti, ma non aveva tempo per analizzare il vestiario del Signor
Paciock, si
fece da parte e lasciò entrare l’uomo zuppo di
pioggia. Richiudendo la porta
passò davanti al mago e venne investita da un forte profumo
di pioggia e terra,
quasi non voleva muoversi per non correre il rischio di non sentirlo
più. Si
riscosse voltandosi verso il Signor Paciock.
“Benvenuto signore, mi
dispiace molto avervi lasciato sotto la pioggia ma.. ma.. avevo una
pentola sul
fuoco e si stava bruciando tutto e voi sapete di questi tempi non si
può
sprecare nulla..” non era molto brava a trovare prontamente
una scusa ma questa
le sembrava abbastanza plausibile comunque ancora non aveva trovato il
coraggio
di alzare lo sguardo sull’uomo per evitare di vedere la sua
espressione di
certo scettica e infuriata. Decise di continuare a parlare a vanvera
almeno non
avrebbe dato tempo al Signor Paciock di inveire contro di lei.
“Sa cucinavo patate,
patate
lesse e quelle beh forse lei non lo sa ma non si possono lasciare sole
un
secon…”
“Scappano certo, la mia
infanzia è costellata di ricordi in cui rincorro patate
sfuggite alla cuoca”
Se non avesse avuto il
carattere che aveva probabilmente Ginevra si
sarebbe sotterrata dalla vergogna ma era da
sempre tremendamente sicura di sé e il fatto che un perfetto
sconosciuto
mettesse in dubbio, in modo così sfrontato, le sue parole la
faceva infuriare
da matti, ma chi si credeva di essere? Naturalmente non
considerò affatto che
la sua storia non avesse alcun senso… Anzi alzò
con aria di sfida gli occhi
sull’uomo, pronta a difendere il concetto delle
“patate fuggitive”.
“Finalmente vedo i vostri
occhi, meravigliosi da sembrare gemme” disse il Signor
Paciock lasciando
completamente spiazzata Ginevra . Il complimento non era molto
differente dai
tanti ricevuti per i suoi occhi di un intenso verde ma la voce bassa e
quasi
roca di quel uomo le rimbombava nel cervello provocandole uno strano
piacere
lontano.
“Volete darmi il
soprabito?
Sarete bagnato fino all’osso” disse Ginevra nel vago tentativo di
cambiare argomento.
Questo Signor Paciock le faceva uno strano effetto e non andava per
niente
bene! Aveva ancora il cappuccio del impermeabile calato sul capo ma il
viso era
illuminato dalle lampade della casa e fermandosi ad osservarlo Ginevra doveva ammettere che era
bello,
incredibilmente bello. Aveva la carnagione chiara e il viso bagnato,
tante
gocce impertinenti scivolavano lungo le sue guance per intrufolarsi nel
colletto della camicia bianca, i ciuffi di capelli biondi che
sfuggivano dal
cappuccio erano bagnati anch’essi ma formavano un elegante
intreccio sulla sua
fronte. La cosa che più piaceva a Ginevra però
erano i suoi occhi, grigi come il mare in
tempesta quando tutto è talmente scuro da non riconoscere
più dove incominci il
cielo e finisca il mare. Mentre era intenta a creare romantiche
similitudini si
accorse che, oltre a essere ammalianti quegli occhi erano anche pieni
di
ironia, quel uomo la stava nuovamente prendendo in giro divertendosi a
guardarla aspettando pazientemente che smettesse di mangiarlo con gli
occhi.
“Non temere faccio questo
effetto a molte donne, anche se devo ammettere che per ora tu sei la
più bella
ragazza incantata che abbia mai visto” disse il Signor
Paciock vedendo la
collera tornare nuovamente sul viso di Ginevra .
“Voi siete Ginevra
Weasley,
figlia di Arthur Weasley giusto?” riprese subito il Signor
Paciockk non dando
tempo alla ragazza di rispondere.
“Si… sono
io” rispose Ginevra
“Voi, invece, dovete essere il signor Neville Pachiok, mio
padre mi aveva
avvertita del vostro arrivo. Prego accomodatevi, volete una tazza di
tè?” disse
Ginevra cercando di
ridare normalità a
quella situazione che le sembrava tanto assurda. Dapprima
l’espressione del
Signor Paciock sembrò sorpresa ma sul suo viso
tornò quasi subito quel sorriso
da bimbo birichino che, sia per rabbia sia per piacere, faceva
aumentare i
battiti del cuori di Ginevra .
“Gradirei molto una tazza
di tè, il tempo oggi è davvero
inospitale”
Ginevra colse
subito l’allusione a quanto era stata
lei inospitale lasciandolo fuori al freddo ma decise di non rispondere
alla
provocazione ma anzi cercò di diventare su due piedi la
migliore “donna di
casa” d’Inghilterra.
“Il tè
arriverà in un
attimo, nel frattempo non state qui sulla porta. Venite, accomodatevi
in
salotto, c’è un bel fuoco e potrete riscaldarvi
comodamente seduto”.
Bene, ora era arrivata al
momento decisivo, poteva sentire distintamente il russare di Ron ed era
praticamente impossibile che il Signor Paciock non si accorgesse di
nulla.
Facendogli strada nel breve corridoio che divideva l’ingresso
dalla sala decise
di restare indifferente, come se quel sordo e continuo rumore non
esistesse.
Per fortuna il Signor Paciock si sedette sul divano e nella posizione
in cui
era almeno non vedeva le gambe di Ron sbucare dai lati della poltrona.
Quanto
era bello, un vero spettacolo anche da seduto! Non ne sapeva molto in
materia
ma in vita sua Ginevra aveva visto pochi uomini con un fisico
così imponente e
ben fatto.
“Insomma ragazza non ti
perdere nei tuoi pensieri come al solito e parlagli o
penserà che sei un pesce”
pensò Ginevra nuovamente incantata.
“Avete fatto un lungo
viaggio signore? Da dove venite?”
“Da Londra, ma
è valsa la
pena sopportare il freddo e l’acqua per essere qui con voi
ora”. Per quale
assurdo motivo quell’uomo si divertiva tanto a metterla in
imbarazzo questo
Ginevra proprio non se lo sapeva spiegare.
“Proprio una pioggia
fortissima, ma ho sentito che nei prossimi giorni il tempo
andrà migliorando”
rispose Ginevra, dovevano smettere di parlare del tempo, la cosa stava
diventando ridicola.
“Noto che siete abituata
a
trattare con un certo riguardo gli ospiti della vostra casa. In
confronto a
lui” disse il Signor Paciock indicando Ron “devo
ritenermi fortunato ad essere
solo stato lasciato fuori dalla porta e sotto la pioggia”.
Ginevra arrossì
all’istante
ma tanto sapeva che prima o poi il Signor Paciock si sarebbe accorto di
Ron
quindi…
“È mio
fratello signore. Mi
dispiace che voi abbiate dovuto vederlo in queste condizioni ma da sola
non
sono riuscita a portarlo a letto. Vogliate scusare sia me che
Ron” Ginevra
parlò con lentezza e semplicità, senza troppi
giri di parole e questo nuovo
lato della giovane colpì il Signor Paciock, affascinandolo
ancora di più.
Ginevra Weasley era una ragazza davvero strana, conoscendo suo padre si
immaginava di trovarsi davanti un esserino gracile e con ispidi capelli
rossi,
invece alla porta era apparso un angelo sorridente dai lucenti capelli.
In
quanto al suo carattere, beh si erano incontrati da poco più
di dieci minuti e
già la considerava la persona di sesso femminile
più interessante e
pazza che avesse mai conosciuto. Ma per
conoscerla aveva tempo, per ora si stava limitando ad osservare la sua
bellissima figura aspettare una risposta da lui.
“Vostro fratello non
può
restare lì in eterno” e così dicendo si
alzò dal divano avvicinandosi a Ron.
“Oh non preoccupatevi, ha
la pellaccia dura lui” disse Ginevra vedendo che il Signor
Paciock stava per
sollevare Ron dalla poltrona “ signore davvero non dovete
preoccuparvi, Ron
pesa davvero molto e…”. Inutile continuare il
Signor Paciock aveva già
sollevato quel peso morto di suo fratello come se nulla fosse, e
pensare che
per fare due passi lei aveva faticato come dopo una lunga corsa!
“Volete cortesemente
indicarmi dove si trova la camera da letto di vostro
fratello?”
“Oh si certo, venite vi
faccio strada”
Salendo le scale che conducevano
al piano superiore Ginevra ebbe la sensazione che il Signor Paciock la
fissasse
insistentemente ma non ebbe il coraggio di voltarsi. Se si fosse girata
sarebbe
di certo arrossita vedendo come gli occhi grigi dell’uomo
seguissero il leggero
ondeggiare dei suoi fianchi e della sua sottile vita.
“Ecco questa è
la sua
stanza” disse Ginevra aprendo l’ultima porta in
fondo a un lungo corridoio “Mettetelo
pure sul letto, ci penso io a sfilargli gli stivali e la giacca. Fate
solo
attenzione signore, ecco… mio fratello ha il braccio destro
menomato”. Forse
avrebbe fatto meglio a celare questo particolare al Signor Paciock ma
non
voleva che appoggiando Ron sul letto potesse fargli involontariamente
male al
braccio. L’espressione sul volto del Signor Paciock era
cambiata e questo
preoccupò Ginevra “Probabilmente
ora
penserà che siamo una famiglia di disgraziati e
scapperà appena ne avrà
l’occasione, cioè ora!”
Il Signor Paciock però
non
si ritrasse di scatto né proferì parole di mero
biasimo, si limitò ad stendere
delicatamente Ron sul letto, accertandosi che il braccio stesse sempre
ben
disteso e non finesse sotto il peso del busto. Ginevra sorrise
dolcemente a
quella scena, poche persone avrebbero reagito a quel modo, il Signor
Paciock
doveva essere davvero un’ottima persona.
“Perché non
avete usato la
magia per sollevare vostro fratello?” chiese di scatto
l’uomo facendo bloccare
Ginevra con le mani ancora sullo stivale di Ron. Dal rossore che vide
sulle
gote della ragazza quando si girò a guardarlo
capì di aver posto una domanda
sbagliata o quando meno indiscreta.
“Signore, forse non
dovrei
dirvi queste cose ma sento che non mi deriderete. Vedete non sono brava
con la
magia, anzi sono davvero pessima. Non ho la minima idea di come si usi
una
bacchetta magica o di come si voli su una scopa. Non ne sono capace
signore.”
ammise tutto d’un fiato Ginevra “ Ma non dovete
pensare che non sia una strega,
lo sono e a tutti gli effetti, solo che non uso la magia comune. Mia
madre da
piccola mi ripeteva, ogni volta che un bambino mi scherniva
perché non sapevo
far volare oggetti, “Ginevra tu
hai
un potere speciale che và al di là di pozioni e
bacchette, la tua magia viene
dallo spirito e dal cuore”. Questo è
tutto signore. Ora come mi giudicate?”