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Alan e Sophie
A.
Siamo dei
burattini in mano a qualcosa di molto più grande di noi.
Per quanto
possiamo sentirci liberi di seguire le nostre scelte c’è qualcuno sopra di noi
che ci controlla e ci indirizza verso il nostro futuro.
Ma a noi non importa.
In questo
mondo ci limitiamo semplicemente a respirare, questo per noi è vivere.
Nulla di
complicato, crediamo. Fesserie, rispondo io.
La verità è che nessuno ci pensa, nessuno riflette sul perché delle cose,
nessuno si domanda per quale ragione c’è la fame nel mondo o del dolore morale
che qualche battuta può far scaturire.
Ed io
continuo a chiedermene il motivo.
“Alan,
passami la mazza”. Josh mi fa un cenno con il mento, indicandomi un massiccio
bastone.
Sono nauseato.
Guardo con disgusto quel pezzo di legno. “Alan”. Ribatte. “Passami la mazza”.
Digrigno i
denti e mi decido a seguire i suoi ordini, come un fantoccio senza anima. Ma d’altronde
è quello che sono. Tutto il possibile l’ho già provato a fare in vari modi
diversi. Ma non ce l’ho fatta. Ho perso. Ma almeno ci ho provato. Ho tentato. E
non ce l’ho fatta. Ho combattuto. E sono caduto.
“Chissà
che questa volta impari la lezione, frocio”. Il mio amico sputa quelle parole,
quasi come se gli scottassero la bocca.
Siamo in tre. Tre contro uno. Guardo il povero malcapitato. David Cooper. Lo
conosco, è un bravo ragazzo, frequentiamo la sesta ora di biologia con il
professore Sheido. Non ha mai dato problemi a me, o alla mia cricca. E’
tranquillo, pacifico. E poi non è uno di
quei perdenti pieni d’acne o fissati con i giochi ruolo. Anzi, piace molto alle
ragazze, da quello che ho capito, insomma. Però è diverso. Non è come noi. Lui
è malato. E’ questo quello che penso
mentre Josh inizia a torturarlo. E’ diverso e va punito per questo. Sento i
suoi singhiozzi. Le sue invocazioni di pietà. Ma io sono fermo, immobile.
Guardo il mio amico. Si sta divertendo. Sorride soddisfatto della sua giustizia
personale. Liam, che anche lui sta in disparte come me a osservare questo
triste cortometraggio, si irrigidisce. E ne capisco pochi attimi dopo il
motivo: Sangue. David sta sanguinando. Un labbro è mezzo sfasciato, e il naso
sembra rotto. Ma a Josh non interessa. Si sta divertendo. Per lui è un gioco. Per
lui tutto è un gioco. Avrei voglio di prenderlo a pugni, infatti eccomi stringere
le nocche. Non lo capisco. Non capisco il suo disprezzo. Liam si avvicina al
mio amico, “Josh, può bastare”. Sussurra. Ma lui lo scansa, quasi ringhiando. “Tu
non ti intromettere”. Si passa il dorso della mano sul naso, scuotendo la
testa. “Non capisci che è colpa di questa feccia se il mondo sta andando a
puttane?”. Chiede, arrogante.
Sta guardando un David devastato e impaurito. “Sei solo spazzatura”. Lo accusa.
Poi, prende la mazza, e penso che è meglio se muoia, così la smette di soffrire
così ingiustamente, assestandogli un forte colpo sulla nuca. Il ragazzo cada a
terra, mezzo stordito, delle sottili lacrime di sangue escono dal suo cranio, mescolandosi con il parquet da pochi soldi. E’
forte, resiste.
Era meglio
se morivi, allora penso.
Volto la testa, disgustato, nonostante dovrei essere abituato a questo genere
di tetri e raccapriccianti spettacolini. Liam si rassegna, ha capito che non c’è
soluzione e che non è bene mettersi in mezzo tra Josh e le sue questioni
personali.
David
urla. Così mi costringo a guardarlo. E’ distrutto. Ma il mio amico continua a
riempirlo di calci, accompagnandoli da parole piene di disprezzo e rancore.
Mi sento
impotente. E non vorrei. Vorrei prendere David, portarlo subito in qualche
posto, lontano miglia e miglia da Josh e dirgli che tutto passerà. Ma non
posso. E’ la legge dei più forti: Asseconda sempre il migliore, ti preserverà
lui sotto le sue ali.
Continuo a
fissare David, poi ecco, i suoi occhi incontrano i miei. E tutto va a
rallentatore, come su quei patetici film americani. Sono azzurri. Di un bel
azzurro cielo. Hanno paura. Paura e qualcos’altro, qualcosa di nuovo, diverso,
che non avevo notato prima.
E poi
capisco. Lui sa. Lui sa che sono anche io differente. Sa che non sono come
loro, come fingo di essere. Sa che sono malato.
Come lui.
Ma sta in
silenzio. Ormai i sui lamenti sono finiti, così come lo è lui.
E’ stato in silenzio. Non mi ha condannato.
Per quello
l’ha già fatto il destino.
Sono un
fantoccio costruito male.
Sono un fantoccio omosessuale.
S.
Ho sempre
amato la mia bocca. Di un color caffelatte, grande, ma non troppo. “Bocca di
rose” mi chiamava papà. Continuo ad osservarla. E’ così carina.
Ai fotografi piace. E durante le interviste mi dicono spesso che ho un bel
sorriso. Probabilmente è questo che mi ha fatto avere successo nel mondo del
cinema.
Ma non è stato sempre facile.
A volte i pregiudizi della gente sono davvero pesanti. Mi soffocano qui. Mi
troncano la gola, faccio fatica a respirare. E anche se non lo dimostro mi
feriscono.
Ma la vita
di nessuno è facile, d’altronde. O almeno credo. Perché se così non fosse sarei
curiosa di sapere che effetto si prova a vivere una vita perfetta.
Mamma
diceva che senza brutti momenti non si possono trovare le vere soddisfazioni
che danno un senso alla vita.
Ma allora
mi chiedo perché c’è così tanta gente che piange, perché non vedono arrivare il
momento buono, perché sono così soli.
Tutti mi ribadiscono
che non ci devo pensare. Oppure che è troppo complicato da spiegare e che è
meglio se mi limito a sorridere e a fare come dicono loro.
Ma sono
stanca.
Stanca di non pensare, di far in modo che tutto sia perfettamente perfetto o
semplicemente di non chiedermi il perché.
Molta
gente vuole essere come me. Ma io, al contrario, desidererei la loro vita.
Voglio essere libera. Libera di sbagliare. Libera di buttarmi, e di cadere. Di
cadere e vedere se sono abbastanza forte per rialzarmi.
Odio la
mia vita.
Chiusa in queste quattro mura di gomma, dove rimbalzo continuamente
ritrovandomi sempre al centro, in posizione assolutamente neutrale. E troppo
stabile.
Ho sempre amato la mia bocca. Di un color caffelatte, grande, ma non troppo. “Bocca
di rose” mi chiamava papà. Prima che morisse e mi lasciasse sola. Sola con me e
la mia gabbia di fiori.
Outlow’s Corner:
Ho messo due
piccoli P.O.V. di Alan e Sophie.
Premetto che sono personaggi “secondari”.
Compariranno meno rispetto ad Amy, Justin ed Evan, infatti.
Ma comunque
sono molto importanti per la trama della storia.
Alan, beh
si, si capisce qual è il suo problema.
Mentre
Sophie, quasi, c’è ancora un piccolo appunto da sapere ma che svelerò più
avanti.
Ringrazio di cuore le povere anime
che hanno recensito il capitolo precedente, siete state molto gentili! E anche
chi ha semplicemente letto, grazie comunque!
Spero che questo
capitolo non vi abbia deluso.
Perché a me, sinceramente, non è che abbia fatto impazzire, anzi…
Il prossimo capitolo sarà
incentrato su un altro personaggio, Justin, che ammetto essere il mio preferito.
Mentre, finalmente, poi ci sarà il quarto.
Dove ci sarà l’incontro dei “quattro” ed Evan, e quindi della “Chat del Soli”.
Bene detto
questo chiudo.
Vi ringrazio immensamente!
Fatemi sapere che ne pensate, ne sarei molto felice.
Un saluto,
Cency.