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Autore: Talesteller    07/01/2012    1 recensioni
Questa cosa è andata ben oltre dove speravo andasse.
E questo ci ha portati alla catastrofe.
Ma la gente deve sapere perché ora sono qui, in questa cella, ad attendere la fucilazione.
Ciò che ho fatto non deve morire con me e con i miei.
Questi sono i miei diari.
Queste sono le origini del più grande movimento anarchico della Galassia.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4 gennaio 15027, Sirio
Post dal blog “Storie di Sirio”, ora locale 21.30.
Post rimosso per incitazione alla rivolta, rivelazione di segreto professionale e diffamazione implicita di autorità ufficiale.
Provenienza: IP 356.089.664.
 
Sta piovendo.
Non pioveva da circa due mesi, è un evento piuttosto raro su Sirio.
Non posso sapere da dove leggete, quindi non so cosa piove sul vostro pianeta, ma qui piovono gocce di diossido di idrogeno.
Si trasforma in gas alcuni metri prima di toccare il suolo, o meglio, quello che abbiamo costruito, sul suolo.
E in forma gassosa è altamente tossico per gli umanoidi originari di qui.
Quindi non si esce.
Per gran parte di voi, si e no nove miliardi di Siriani, non cambierà molto.
L’ultima volta in cui ho visto un po’ di gente in strada è stato quando la Flotta d’Assalto Kolbat è entrata nell’atmosfera in seguito alla nostra disfatta nella Guerra Galattica.
Per il resto, per strada non c’è mai nessuno.
Fino a tre giorni fa.
Dopo tredici anni, di cui tre li passai a vedermi solo con la gente di cui avevo strettamente bisogno per portare a termine il mio depuratore, lungo quella lingua di cemento scolorito che è la strada ho incontrato una Siriana per la strada.
Vivo in una delle zone più morte della città.
Una zona in cui non c’è altro motivo per andare in strada se non respirare un po’ d’aria, che qui è leggermente migliore che negli isolati circostanti.
Non le ho parlato, non avrei avuto la forza di farlo.
Forse non è nemmeno chi immagino che sia, forse era lì semplicemente perché si era trasferita.
Ma era lì, e tutto in lei non poteva essere più diverso da gran parte della gente che ho conosciuto finora.
Tutta la gente, eccetto una ragazza.
Chi più chi meno, tutti assomigliavano l’uno all’altro, o al limite ciascuno perfettamente identico al suo gruppo.
Tutta gente che aveva plasmato la sua coscienza in base a chi gli stava intorno.
Lei era diversa.
Ed è morta.
Tutto questo sta accadendo di nuovo.
Non permetterò che mi sfugga tra le mani la mia seconda possibilità.
Lei ha cambiato qualcosa in me, è stata l’unica persona a farlo davvero, pur non essendone consapevole.
È stato dopo averla conosciuta il primo anno dell’IFAG che ho iniziato ad interessarmi alla musica terrestre.
Musica che lei odiava o, al massimo, ignorava.
Ma non sono qui per parlarvi di lei.
Recentemente ho avuto contatti con un mio vecchio compare dell’ASTI, uno di quelli con cui ho progettato e costruito il mio depuratore.
Anzi, direi che è stato grazie a lui che ho potuto costruirlo.
Mio padre non mi avrebbe mai procurato ciò di cui avevo bisogno, e quando lui lo venne a sapere si procurò i materiali necessari di sua iniziativa, senza voler essere pagato.
Questo Siriano lavorava fino a qualche tempo fa per il Governo, ora è uno degli ingegneri più grossi della Light Industries, una compagnia aerea indipendente.
Vive su un pianeta residenziale in un sistema vicino, ha un appartamento qui su Sirio ed una villa sul pianeta che ospita i cantieri e i pozzi minerari della sua compagnia.
È uno dei trenta Siriani viventi più ricchi.
Mi ha descritto il pianeta su cui si trovano i cantieri della Light come una desolazione di ferro e roccia.
Gli ho risposto che almeno lì vede il cielo.
Non capisco come possa la gente preferire questo ammasso di acciaio e asfalto ad un pianeta quasi disabitato, con si e no il 3% della superficie occupata da edifici.
Lì almeno si vede ancora lo spazio, e sotto i piedi non c’è l’asfalto posato da una qualche macchina automatizzata, ma il ferro originatosi da una supernova.
Non so cosa darei per trascorrere qualche tempo su quel pianeta, ma questa piaga che chiamano “orgoglio” mi impedisce di chiederglielo, finché non gli potrò offrire qualcosa in cambio.
Mi ha chiamato per una di quelle che chiama “consulenze”.
Sostanzialmente, si tratta di piccolezze che gli sono sfuggite e che gli guastano tutto il suo bel progetto.
Le sue conoscenze tecniche raramente sono inferiori alle mie.
Da quando frequento l’IFAG, non ricordo di essere riuscito a portare a termine qualcosa di particolarmente impegnativo senza il suo contributo.
Normalmente iniziavamo a lavorare ciascuno per se’ sullo stesso progetto, e finiva che io eliminavo il mio file e mi mettevo a lavorare con lui.
Quell’incontro è servito solo a farmi ricordare questo e quanto odio la gente.
La sede di Sirio della Light Industries è un immenso grattacielo di vetro, costituito da due torri collegate da ponti.
L’ingresso è in un centro commerciale dismesso, adattato come residenza per chi lavora nelle torri.
Definirei entrambe le hall come monumentali.
Occupano l’intera base delle due torri e il soffitto sarà alto trenta metri.
Ovviamente, tutto trasparente e tirato a lucido dai robot.
Questo genere di edifici mi affascinava da bambino.
Sognavo di lavorare lì, un giorno, di vedere la città dall’alto.
Ora, quando vi entrai, tutto ciò che volevo era andarmene al più presto.
Non mi piace avere gli occhi della gente puntati addosso. Non mi piaceva da bambino, e con gli anni questa cosa non ha fatto che crescere, fino a farmi trovare meglio nel mio isolato deserto che non in uno di quei bar di lusso affollati nei grattacieli sopra la nube.
La gente andava e veniva in continuazione.
Dopo un po’ ho perso il conto delle occhiate torve al mio indirizzo.
Erano tutti vestiti perfettamente allo stesso modo.
Giacca nera a righe sottili quasi lucida sopra ad una camicia bianca, collo alto e chiuso, calzoni in sintonia con la giacca e scarpe nere lucide.
Io avevo un aspetto leggermente differente.
La giacca mi arrivava ben oltre ai polsi e sotto la vita, gli orli erano piegati ed il nero stava diventando grigio, sopra ad una camicia grigia con un disegno di origine terrestre.
Nel mio armadio si trovavano solo pantaloni di tela spessa blu, anche quelli terrestri. Tutti si trovavano lì da almeno cinque anni, e tutti ne portavano i segni come la mia giacca.
Tutto ciò che portavo al collo era una lunghissima sciarpa nera e grigia.
Chiesi in giro dove fosse l’ufficio di quel mio antico compagno, ma nessuno mi rispose.
Procedevano tutti a gruppi di minimo tre persone, ed il massimo che ottenni fu di interrompere una conversazione e ricevere un’occhiata torva da tutti e tre.
Più tempo passavo in quell’edificio trasparente, più odiavo tutto e tutti.
Dovetti andare in portineria per sapere dove fosse quel dannato ufficio.
Era quasi in cima alla torre in cui mi trovavo.
Durante la salita in un ascensore grande quanto una stanza di casa mia, affollatissimo, ebbi modo di vedere la città da sopra la nube, per la prima volta in sette anni.
Una foresta di enormi palazzi di vetro illuminati dalla luce di Sirio, collegati da corsie e tunnel aerei, tutti intasati di traffico, fin dove il vapore giallo bloccava la vista.
E, tra i palazzi, la nube.
La città di Sirio, che occupa l’intero pianeta Sirio, che orbita intorno alla stella Sirio.
In origine il pianeta si chiamava Sirio III, ma negli ultimi secoli il numero di distanza dalla stella è decaduto.
Quella vista un tempo mi avrebbe profondamente eccitato.
Ora mi trasmette solo desolazione.
Nove miliardi di Siriani, e uno, forse due, che si rendono conto di quello che l’Imperatore e i suoi ci stanno facendo.
Per questo continuo a lottare.
Più di cento blog chiusi a causa mia, ma non posso fermarmi, non posso sopportare che nove miliardi di miei simili si riducano ad una massa uniforme di coscienze piatte.
Raggiunto lo studio, la prima cosa che il mio compare mi disse dopo avermi salutato fu che mi vestivo come ai tempo dell’IFAG.
Io gli risposi che lui si vestiva come tutti gli altri.
Eravamo senza ombra di dubbio i più giovani lì dentro, gli altri rimasero appoggiati ad un tavolo dall’altra parte della stanza.
Avevo la sgradevole sensazione di essere sotto esame.
Mi mostrò il motivo per cui mi aveva chiamato.
Era il progetto dello scafo di una nave da trasporto di nuova generazione, una di quelle che dovrebbero essere in grado di guidarsi e difendersi autonomamente, tracciato in tre dimensioni su un grosso schermo portatile. Un altro era ingombro di calcoli. Mi misi ad esaminarli cercando di ignorare tutto il resto.
Quasi ad ogni osservazione che facevo, lui mi rispondeva che vi aveva già pensato, me lo faceva notare e non potevo che constatarlo.
Il mio unico contributo è stato una leggera curvatura nella fusoliera.
Venne fuori che si trattava di un suo errore di calcolo. Lo corresse, si congedò dai suoi colleghi e memorizzò i suoi calcoli sul dispositivo portatile su cui aveva elaborato il progetto, quindi si offrì di accompagnarmi a casa.
Mi sento un idiota tutte le volte che qualcuno si offre di darmi un passaggio, ma accettai. Durante il tragitto parlammo dell’unica cosa che non evitai, ossia i tempi dell’ASTI e dell’IFAG.
Sapevo che aveva una moglie o qualcosa del genere, ma se avessimo deviato su quell’argomento mi avrebbe chiesto se vivevo ancora solo.
Gli avrei risposto di sì e che non me ne importava nulla, ma gran parte della gente, lui compreso, sembra non ritenere possibile che io sia felice così.
Una compagna mi costringerebbe ad avere dei vincoli, ed ormai ho trascorso troppo tempo in solitaria perché possa adattarmi a vivere adattandomi a qualcuno. Dovrei anche trovarmi un’occupazione più proficua, e più volte mi è stato detto che ho il potenziale per essere più che il direttore di una piccola casa editrice, ma è l’unico lavoro che possa fare, l’unico che non mi costringa a stare a contatto con la gente, l’unico che non abbia una regolarità deprimente, e poi ogni tanto mi arriva qualche opera che mi fa sperare che i Siriani non siano ancora una massa di umanoidi apatici.
Tuttavia, la gente sembra incapace di capirlo, e probabilmente penserebbe che voglio solo tentare di nascondere uno stato di depressione in cui non mi trovo.
Soprattutto, ora che so che là fuori c’è qualcuno che non mi è completamente estraneo.
Probabilmente avrà capito ugualmente che vivo ancora solo, dalla sistematicità con cui ho evitato l’argomento.
Atterrò con il suo bel velivolo blu proprio davanti a casa mia, mi salutò e decollò non appena fui entrato nel mio corridoio maleodorante.
Da allora sono uscito sistematicamente tutti i giorni, alla stessa ora di tre giorni fa, eccetto oggi.
Non avete idea della rabbia che provo immaginando lei, seduta davanti ad un altro monitor, a contemplare la pioggia fuori dalla finestra e a desiderare di poter lasciare il prima possibile i quattro muri della sua casa.
Ma probabilmente la pioggia durerà almeno un altro giorno.
Ho grande stima di quel mio vecchio compare, e capirebbe cosa ci stanno facendo.
Se solo si ponesse il problema.
È ciò che dovremmo fare noi tutti, noi nove miliardi di Siriani.
Renderci conto che ci stanno schiacciando.
Non basta capire se siamo liberi di fare ciò che vogliamo o meno.
E comunque, non siamo nemmeno liberi di fare questo.
Altrimenti i cento e più blog chiusi a causa mia sarebbero ancora perfettamente funzionanti.
Vogliono schiacciarci, impedirci di far sentire la nostra voce.
E questa cosa continuerà, non finiranno mai di abbatterci.
Non siete soli, c’è chi sta già combattendo.
È il momento di unirci e usare questa opportunità per essere sentiti.
  
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