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Autore: Annamirka    10/01/2012    3 recensioni
"Me o No.6, quale scegli?"
Cosa sarebbe successo se Sion e Nezumi non avessero avuto l'obbiettivo comune di infiltrarsi nel Penitenziario per salvare Safu? Se Safu non fosse mai stata rapita? Se Nezumi avesse messo Sion alle strette una volta per tutte affinchè prendesse la sua decisione?
Se No.6 avesse proseguito con il recupero del loro campione vivo in fuga, come era stato detto... Se...
Nezumi è l'unico in grado di fermare Elyurias. La furia della divinità dalla forma di vespa è più irrefrenabile e incontrollabile che mai.
Se scoperto il passato di Nezumi, Sion trovasse un modo per ottenere gli stessi poteri di Nezumi? Se potesse ottenere il suo stesso legame con Elyurias?
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2 - Sin and Sanctity

 

 

Sion sorrise, stiracchiandosi leggermente. Non pensava che i pallidi raggi del sole, in una serena mattinata invernale, potessero sembrare così caldi sulla pelle scoperta del viso. Inspirò profondamente. Qualcuno potrebbe pensare che l'aria del West Block fosse molto più irrespirabile di quella di No.6, eppure al di fuori delle mura aveva trovato luoghi, come la piccola distesa verso le montagne a Nord accanto alla fonte, in cui l'aria sembrava tanto fresca e serena che il solo restare in quel posto aveva il potere di riscaldargli il cuore. Era una sensazione che in quella No.6 che aveva sottomesso la natura al suo volere, con i suoi parchi, la sua vegetazione, i giardini ricchi e colorati, non aveva mai provato. L'essenza di una vegetazione ancora semi incontaminata, ignara della mano dell'uomo. Un luogo dove la natura riusciva ancora a prevalere in tutta la sua forza e la sua maestosità. Sion aveva sempre amato la natura, e il suo cuore non poteva che vibrare di gioia, immerso in un simile spettacolo.

 

Si stiracchiò di nuovo, inginocchiandosi davanti alla fonte e sollevando tra le mani un po' di acqua. L'acqua scendeva fresca e pura per la sua gola.

Riconosceva quell'acqua. Un sapore che non avrebbe mai dimenticato. Era l'acqua che aveva allietato la sua gola asciutta, in seguito alla sua battaglia con la vespa parassita. Ricordava ancora la mano di Nezumi che gli alzava leggermente il capo, facendogli scorrere nella bocca il liquido fresco e gustoso. Il ricordo di quell'acqua, insieme alla voce che lo aveva incitato a non mollare, a tornare indietro, a non rinunciare alla sua vita, erano una delle memorie più care che il suo cuore custodiva. Non avrebbe mai potuto dimenticare il giorno della sua rinascita, così come la mano che lo aveva afferrato e tirato fuori dall'oscurità che era stata sul punto di inghiottirlo. Qualsiasi cosa il suo coinquilino avesse potuto fargli o dirgli, nulla avrebbe cambiato quelli che erano i sentimenti che custodiva per lui nel suo cuore. Nulla.

 

Prese il contenitore dell'acqua e lo tenne immerso nella fonte fino a quando non si riempì abbastanza. Aveva preso l'abitudine di andare alla fonte per riempire acqua fresca ogni mattina, mentre Nezumi restava ancora a letto.

Sion aveva notato che il ragazzo con cui viveva era una persona incredibilmente pigra al mattino, ed era convinto che se avesse potuto, Nezumi sarebbe rimasto a letto fino a mezzo giorno. Sion sorrise.

 

Chissà che persona saresti divenuta se non avessi dovuto vivere una vita così dura...

 

Scosse la testa per darsi una mossa, ed avvitò il coperchio del contenitore ormai pieno, sollevandolo con forza dal terreno. Lo caricò sul piccolo carrellino ed iniziò a trascinarlo lungo la discesa alberata. Il cielo invernale mostrava alcune nuvole grigie all'orizzonte, ma oltre quelle poche macchie, sembrava sereno. No.6 sembrava dominare tutta la vallata, illuminata nella sua costante luce.

 

Mamma, a quest'ora avrai già aperto il forno, e i soliti clienti affezionati saranno fermi davanti alle scale del negozio, appagati dal semplice profumo del pane appena sfornato e dei tuoi muffin. E i tuoi dolci? Hai poi cominciato a vendere le tue torte come avevi pensato di fare? Sono sicuro che avranno avuto un grande successo...

 

Mamma... perdonami.

 

Il viso di sua madre Karan, con il suo dolce sorriso, comparve davanti agli occhi di Sion. Chissà quando avrebbe potuto rivederla. Era uscito di casa un mattino per recarsi a lavoro ma non aveva più fatto ritorno. La morte del suo collega Yamase-san, che si era accasciato improvvisamente al suolo, e lo aveva visto invecchiare all'improvviso davanti ai suoi stessi occhi. La vespa parassita uscita fuori dal suo collo, la prima che aveva visto. Poi gli ufficiali del Dipartimento di Sicurezza che lo accusavano dell'omicidio del suo collega. L'allarme di Sampo che suonava, e il topolino che faceva su e giù lungo il braccio del robottino, da cui erano uscite le parole di Nezumi. "Esci di lì. Sei nei guai."

Quell'uomo, Rashi... le sue parole crudeli.

"Un cittadino? Diritti? Pensi davvero di averne?"

Poi era stato portato via dal Dipartimento di Sicurezza. Le parole di Nezumi che aveva continuato a ripetere a se stesso come un mantra, quando l'automobile del dipartimento di sicurezza viaggiava attraverso Lost Town, e gli mostrava sua madre che stava servendo dei clienti, ignara della sorte toccata al suo bambino.

"Sion, non avere paura. Sto venendo ad aiutarti." le parole che aveva udito da Nezumi poco prima di essere portato via. E proprio così, Nezumi aveva mantenuto la sua parola, salvandolo e sottraendolo dal dipartimento di Sicurezza; impedendo che venisse portato nel Penitenziario, dove sarebbe sicuramente morto per la vespa parassita. Se non ci fosse stato Nezumi, non sarebbe riuscito a sopravvivere. Guardando indietro al susseguirsi degli eventi, domande si formavano inevitabilmente dentro di lui. Il modo in cui il cadavere trovato nel parco e quello di Yamase-san san erano stati portati via nel mistero; l'immediata accusa di omicidio mossa contro di lui... Nezumi aveva detto che la città doveva essere necessariamente consapevole dell'inusualità della causa di quelle morti, ed aveva utilizzato Sion, tenuto sotto controllo da quattro anni, come capro espiatorio in modo da far passare le morti come opera di uno psicopatico in cerca di vendetta. Ed in più era impossibile che un animale o insetto, per quanto piccolo, passasse inosservato al sistema centrale. Se quelle vespe erano nate all'interno della città, era impossibile che la città non ne fosse a conoscenza...

 

E poi... il libro. C'era il libro che aveva trovato nascosto in casa di Nezumi quasi una settimana fa. Il Popolo della Foresta, il villaggio di Mao, la Divinità Dominatrice, le vespe, le uova...

 

Sono collegati, ma come?

 

Sion si fermò, asciugandosi la fronte con la mano. Il carrello con l'acqua era pesante, ma non gli dispiaceva procedere in questo compito ogni mattina, se significava sollevare Nezumi da almeno un peso. La prima volta il ragazzo lo aveva preso in giro, "Un signorino come te, che non ha mai mosso un dito per tutta la sua vita, non ce la farebbe mai a portare il carrello da solo; e se per grazia divina dovessi farcela, finiresti per ruzzolare fino a valle trascinato dal peso del carrello." Sion lo aveva fulminato con lo sguardo, sbattendosi la porta alle spalle, ed aveva risalito le scale con carrello e cilindro per l'acqua in spalla, dirigendosi a grandi falcate verso il viale che conduceva alla fonte. Ovviamente, esattamente come predetto da Nezumi, si era ritrovato ad inseguire il carrello dell'acqua per tutta la discesa, fino a quando era andato a bloccarsi, - capovolgendosi in un fosso, - ed aveva dovuto ricominciare da capo. Non volendo darla vinta a Nezumi, aveva provato in vari modi, - cercando di tirarlo, mettendosi avanti per evitare di farlo cadere, interrogando il topolino che saliva e scendeva dalla sua spalla in incoraggiamento, - fino all'arrivo di un estremamente divertito Nezumi che gli aveva spiegato –mantenendosi la pancia dal ridere – che avrebbe dovuto usare i freni delle ruote per l'intera discesa. Dopo la sua sonora sconfitta Sion aveva cominciato a recarsi alla fonte tutte le mattine, scoprendo che l'aria di prima mattina accanto al piccolo fiumiciattolo era una delle cose più piacevoli che avesse mai incontrato.

 

In vero, trattandosi di una zona poco frequentata, secondo Nezumi avrebbe potuto uscire liberamente anche senza compagnia. Dopo la brutta esperienza al mercato in cui aveva rischiato seriamente di finire ucciso almeno due volte nel giro di dieci minuti, - forse tre, contando anche la ruzzolata nelle rovine, - Inukashi gli aveva offerto un cane di scorta nel caso in cui avesse avuto bisogno di spostarsi "Se sei disposto a pagarmi, ovviamente."

 

Così ogni mattina usciva presto di casa con il suo carrellino, restava seduto per qualche tempo a riva a fissare la natura, quella No.6 che dominava la vallata o a pensare, e faceva infine ritorno alla loro piccola casa dove avrebbe trovato Nezumi intento a preparare la colazione o a leggere un libro. Alcune volte un topolino si sarebbe arrampicato sulla sua spalla o sarebbe saltato sulla piccola cisterna dell'acqua mentre usciva di casa, altre lo avrebbe raggiunto mentre si trovava seduto sul greto del torrente, accompagnato dall'arrivo di Nezumi.

Gli piaceva stare lì. Certe volte, quando il tempo era abbastanza sereno da poter stare all'aperto, era solito portare in riva al torrente la piccola Karan e Rico, i due bambini che vivevano al di sotto della collina. Karan gli aveva raccontato che in primavera l'intera fonte sarebbe stata circondata da numerosissimi fiorellini rosa di ogni tonalità. Non vedeva l'ora di poterli vedere. La sorgente si trovava nei pressi di una piccola cascata. Non ne aveva mai viste prima di allora, se non nei libri. Quando i bambini lo avevano preso per mano portandolo in esplorazione, con i piccoli visi sorridenti, si era sentito pieno di gioia. Amava la natura, e scoprire i più piccoli segreti e anfratti di quel luogo nascosto e celato vicino le montagne aveva riempito il suo animo di gioia ed eccitazione. Aveva sentito la sua anima vibrare.

"Guarda," gli aveva detto il piccolo Rico, indicandogli con la manina in direzione della cascata. Le acque della cascata colpivano quelle calme della superficie del piccolo lago al di sotto. Piccoli spruzzi d'acqua riempivano l'aria, rimbalzando verso l'alto all'impatto con le acque e i piccoli sassi che riempivano il letto del lago. Un leggero arcobaleno attraversava la nuvola bianca che sorgeva là dove le acque della cascata incontravano le loro compagne nel piccolo bacino circondato da costoni rocciosi e vegetazione. Anche in inverno, gli alberi che lo circondavano erano di un verde intenso, formando con i loro rami una tettoia che ricopriva il corso d'acqua fino al centro del fiumiciattolo. Lo spettacolo che si trovava davanti era di una bellezza mozzafiato. Chissà come sarebbe stato in primavera, quando le sue sponde sarebbero state completamente ricoperte di fiori.

Magari in primavera ci tornerò con Nezumi. Potremmo portare alcuni libri e qualcosa da mangiare, e passare l'intera giornata qui, insieme. Potremmo leggere con i topolini sulle spalle, poi fare una nuotata e resteremo qui, circondati dal profumo dei fiori e cullati dal suono delle acque.

 

Sapeva che qui nel West Block fare progetti anche solo per il giorno successivo era qualcosa di stupido e insensato, ma non poteva evitarlo.

 

Posso almeno sperare e sognare... giusto?

 

Sion aveva guardato lo spettacolo mozzafiato che si era ritrovato davanti con attenzione, gli occhi sgranati dalla meraviglia, fino a quando Karan aveva tirato leggermente la manica per attirare la sua attenzione. La ragazzina aveva indicato un piccolo viale lungo il costone della montagna, che sembrava sparire oltre la cascata stessa.

"Guarda bene," aveva detto con una voce bassa, come un bambino intento a raccontare una storia paurosa in una serata estiva. "Lì dietro... c'è una grotta."

Sion aveva guardato con attenzione nella direzione indicata dalla bambina, e aveva notato un'ombra nera che si perdeva oltre il salto dell'acqua. Sembrava davvero l'ingresso di una grotta. La curiosità stava già spingendo i suoi piedi in quella direzione, quando venne fermato dalla voce della ragazzina. "Si dice che quelle grotte corrano attraverso tutte le montagne," proseguì la ragazzina, in tono serio. Rico strinse con più forza la sua mano. "Si dice che chi si addentri lì dentro non riesce più ad uscire, è la strada per un altro mondo."

Sion aveva sorriso loro, inginocchiandosi davanti a Rico per accarezzargli rassicurante la testa. Il bambino lo aveva guardato con i grandi occhioni spalancati, fino a quando sua sorella non gli aveva posato una mano sulla spalla. "è solo una diceria per non far avvicinare nessuno. È vero, però, che si trovano un gran numero di grotte e cunicoli lì sotto. Nessuno si avvicina a quel posto."

Sion aveva guardato verso la cascata per l'ultima volta, domandandosi se avessero condotto davvero in un altro mondo, poi prese per mano i due bambini. "Torniamo a casa adesso." Ed avevano ridisceso insieme lo stretto viale alberato.

 

Quando si ritrovava a dover aspettare l'arrivo di Nezumi, in ritorno dal suo lavoro in teatro, - che non era ancora riuscito a convincerlo a mostrargli, - avrebbe preso un paio di libri, e con i topolini in spalla sarebbe andato a leggere in riva al fiumiciattolo. E lì sarebbe rimasto fino a quando il tramonto avrebbe annunciato l'imminente ritorno di Nezumi.

 

Sion girò il famigliare angolo dell'edificio semi dissestato, e si avvicinò alla falsa parete. Cercò con le dita il masso che gli aveva indicato Nezumi e pigiandolo, la parete scivolò lateralmente in modo silenzioso, mostrandogli il sottoscala semi immerso nell'oscurità. Sollevò il grosso contenitore con le due mani, cercando di convogliare la forza nelle braccia. Questa era la parte più difficile, e puntualmente avrebbe visto spuntare Nezumi da dietro la parete.

Anche questa volta non faceva eccezione. Ed infatti senza dire una parola, l'altro ragazzo risalì le scale scuotendo la testa e gli prese la tanica d'acqua dalle mani. Sion mormorò un grazie e raccolse il carrello, seguendo giù Nezumi per le scale.

Era ormai diventata una consuetudine.

 

L'odorino che raggiunse il suo naso appena entrato nella stanza, gli fece brontolare sonoramente lo stomaco. Sentì le guance avvampare leggermente, mentre vedeva Nezumi versare la tanica d'acqua all'interno del serbatoio. Era grazie a questo che potevano permettersi una doccia con acqua corrente, anche se era talmente vecchia e mal funzionante che i getti d'acqua gelida si alternavano a quelli d'acqua bollente, facendolo sobbalzare ogni volta. Eppure anche così, era una fortuna poter usufruire di una doccia nel West Block.

 

Sospirò sonoramente, buttandosi pesantemente sulla sedia.

 

"Già stanco? Sei davvero debole tu." Disse Nezumi con un sorrisetto sul volto, passandogli la ciotola con la sua razione di pane zuccherato per colazione.

 

Sion lo fulminò con lo sguardo, decidendo che era troppo stanco ed affamato per rispondergli, e prese la sua colazione tra le mani, ringraziandolo poi con un sorriso. Nezumi si poggiò contro il tavolo poco distante da Sion e fece colazione lentamente.

Sion lo guardò con la punta dell'occhio. Questa mattina sembrava più rilassato. "Nezumi?"

"Mh?" disse continuando a mangiare.

"Devi uscire presto stamattina?"

 

"Cosa c'è, senti già la mia mancanza?"

 

Sion sentì le guance diventare rosse e gli lanciò contro il tessuto di superfibra appallottolato, che era rimasto appeso al bracciolo della sedia fino a quel momento. Nezumi sorrise, afferrandolo al volo con non curanza, e se lo lanciò su una spalla, mormorando un "Grazie, ma sai, prima della sciarpa va indossato il giubbotto."

Sion considerò se fosse il caso di lanciargli la ciotola ancora piena di colazione, ma decise di no. Lo zucchero era un alimento prezioso e difficile da trovare, il loro arrivava dalla dispensa di Rikiga-san che lo aveva costretto ad accettare come regalo. Non era opportuno sprecare il cibo, meglio mangiarlo, decise, e si limitò a mormorare un "idiota."

 

Nezumi finì di mangiare il resto della colazione, prese la ciotola dalle mani di Sion e le portò entrambe al lavello, accingendosi a sciacquarle.

"Aspetta, lascia che le lavi io" Disse Sion affrettandosi a raggiungerlo al lavello del bagno.

"Non serve. Piuttosto, non sarebbe meglio ti facessi una doccia? Guardati, sei completamente fradicio che potrei strizzarti e riempire un secondo catino d'acqua."

"Ma tu hai da fare, non è giusto che faccia sempre tutto tu." Obbiettò Sion.

"Sion, tranquillo. Va' a farti pure quella doccia, va bene così." Disse Nezumi senza degnarsi nemmeno di guardarlo.

"...Ok"

 

Sion tornò nella stanza, cercando velocemente un asciugamano in mezzo alla montagna di libri. I topolini sembravano sapere cosa stesse cercando, e corsero su e giù per lo scaffale fino a quando Sion non individuò la posizione dell'asciugamano.

"Grazie." disse sorridendo ai piccoli roditori che squittirono per risposta. Raccolse l'asciugamano e tornò nel bagno dove Nezumi aveva appena terminato di lavare le ciotole. Rimase in piedi contro la porta della doccia a fissare le spalle di Nezumi, fino a quando questo non si girò a guardarlo.

"Cosa c'è?" "Stavo aspettando che uscissi dal bagno"

"Che c'è, ti vergogni di farti vedere nudo?"

"Questo non- non centra niente, è solo che la stanza è piccola, e non c'è abbastanza spazio per due persone."

"Oh, mi perdoni sua maestà, tuttavia il tempo stringe e avrei bisogno di eliminare un po' di barba da questo mio volto." Disse prendendo un vecchio rasoio da una scatola dell'unico mobiletto del bagno. "Deve perdonarlo, ma questo suo umile servo necessita di fare uso di questo viso per poter portare cibo alle regali labbra di sua maestà."

 

Sion lo guardò mentre bagnava la lametta con l'acqua, e senza applicare schiuma da barba o altri prodotti passava la lama contro la pelle, spostando la bocca in una buffa espressione alla ricerca di un'angolazione migliore. Nezumi lo notò trattenere a stento una risata attraverso lo specchio. "Bhe, ti decidi a spogliarti o vuoi che lo faccia io per te?"

Sion lo guardò a metà tra l'indignato e l'imbarazzato, e si girò di spalle, sentendo le guance andare a fuoco. Nezumi ridacchiò guardandolo dallo specchio, e aggiunse. "Avanti, non è niente che io non conosca già."

"Ah già, dimenticavo che tu fossi uno stalker"

"Oh, giusto, avresti preferito che ti lasciassi portare al penitenziario. Mi dispiace, non me ne sono reso conto prima. Ma non è troppo tardi, sei ancora in tempo per andarci. Sono sicuro che ti accoglierebbero a braccia aperte." Nezumi vide Sion fargli una linguaccia attraverso lo specchio, poi proseguì con un sorriso sarcastico, "E poi con il fisico che mi ritrovo non potrei di certo lasciarmi impressionare da un corpo pelle ed ossa come il tuo"

A queste parole una maglietta piovve sulla testa di Nezumi, intento ancora a guardare nello specchio, tentando di non tagliarsi con il rasoio. La piccola bestemmia che Sion sentì provenire da sotto la maglietta, gli fece immaginare che probabilmente si era proprio tagliato. Ridacchiando soddisfatto della sua piccola vendetta, entrò nella doccia, chiuse la tenda mezza strappata, e gettò gli slip da qualche parte in direzione di Nezumi.

"Anche se devo ammettere che un serpente intorno al corpo è alquanto affascinante..."disse afferrando al volo gli slip prima che gli colpissero la testa "Hai idea di quanti ammiratori in più potrei avere? E con quei capelli poi?"

Allo scrosciare silenzioso dell'acqua Nezumi strinse impercettibilmente gli occhi. Il ricordo della vespa parassita doveva essere ancora qualcosa di doloroso per Sion. Il simbolo della sua sopravvivenza.

 

Nezumi strinse il pugno, fissando il suo riflesso negli occhi. Qualunque fosse stato il prezzo da pagare per continuare a vivere, lui avrebbe continuato a vivere comunque. Questa era la sua filosofia, questo era il modo in cui aveva scelto di vivere. Aveva una vendetta da compiere, e avrebbe continuato a vivere fino al giorno in cui avrebbe visto il suo nemico in ginocchio implorante pietà. E lui avrebbe dato un fendente deciso, staccando di netto la testa al suo nemico. Solo allora avrebbe lasciato spazio a qualsiasi altro pensiero. Rimpianti, tristezza, solitudine, desiderio. Nulla contava di più di continuare a vivere. Qualsiasi fosse stato il prezzo da pagare, lui avrebbe accettato di tutto, purché fosse stato in grado di continuare a vivere, a tenere in vita il ricordo.

 

Si toccò istintivamente la base della schiena. Qualunque fosse il prezzo, vivere era più importante.

 

Per questo, quando aveva visto Sion andare in panico alla vista di quella cicatrice e dei suoi capelli, del suo aspetto completamente mutato, aveva pensato eccolo lì, il cittadino di No.6, una persona capace di dare peso solo a qualcosa di arrogante e superficiale.

Eppure Sion lo aveva sorpreso. Guardandolo dritto negli occhi gli aveva detto che voleva vivere, che non importava quello che sarebbe potuto diventare, la sua vita era più importante. Non si era vergognato di quello che era divenuto il suo nuovo aspetto. Non aveva cercato di mutarlo o coprirlo, di nascondere i segni della sua battaglia per la vita. Aveva accettato di portare su di sé quei segni, di indossarli con orgoglio quale simbolo della sua vittoria. Non glie lo aveva mai detto, ma era rimasto davvero colpito dallo Sion che si era trovato davanti quel giorno.

 

Davvero imprevedibile... quando penso di aver capito che persona sei, ecco che fai qualcosa di totalmente inaspettato...

 

"Scusami, non volevo farti ricordare." Va bene così, se non è rimpianto il tuo allora va bene...

 

"No... tranquillo. È che non mi sono ancora abituato a tutto questo. Tutto qui."

 

Nezumi vide il suo riflesso nello specchio sorridere leggermente. Per un attimo si ritrovò sorpreso nel vedere un'espressione simile sul suo volto. Sono forse... fiero di lui...?

 

Scosse la testa per scacciare il pensiero, e vide una mano fare capolino dalla tenda ed afferrare l'asciugamano posato sul piccolo sgabello. Pochi istanti dopo Sion uscì dalla doccia, asciugamano in vita, e con un piccolo inchino indicò la doccia. "Vostra maestà, il suo umile servitore ha terminato il lavaggio delle sue carni. È libero di servirsi del nobile lavacro adesso" Disse, poi raggiunse Nezumi accanto al lavello.

 

"è tanto difficile radersi con quell'affare?" disse indicando il rasoio che era posato ora su di un bordo del lavello. Nezumi lo guardò perplesso, chiedendosi quali peli pensasse di tagliarsi, visto che non glie ne vedeva quasi nessuno, poi gli disse indicando il mobiletto.

"Lì dentro c'è un vasetto con una specie di spuma da barba. È fatta con la cenere, non è difficile da fare. Io non la uso perchè mi secca prepararla, e riesco a fare la barba anche senza, ma se ti serve puoi usarla."

Sion guardò per un momento nella direzione indicata dal dito di Nezumi, chiedendosi esattamente quante cose fosse in grado fare Nezumi, e poi aprì il mobiletto, tirando fuori un barattolo contenente un liquido biancastro.

"Questo come hai imparato a farlo?" "Ti prego, non cominciare con il tuo interrogatorio già di prima mattina."

"E dai, ti ho chiesto solo una cosa...."

Dopo qualche secondo di lotta di sguardi, Nezumi sospirò, un sospiro esagerato.

"Dai libri puoi imparare di tutto, credo di avertelo già detto."

Sion fissò Nezumi con ammirazione, uno sguardo che fece quasi venire i brividi a Nezumi, poi si girò determinato verso il lavello, e cominciò la sua operazione di sbarbatura.

Nezumi fissò per un attimo Sion, poi guardò la doccia con disagio.

 

Sion notò la perplessità dell'altro attraverso lo specchio."Nezumi?"

"Mh?", "Cosa c'è?"

 

"Mh?"

 

"Cosa c'è? Mi sembri strano."

Nezumi guardò un'ultima volta verso la doccia, poi andò verso la porta. "Nulla, questa stanza è davvero troppo stretta, vorrà dire che farò la mia doccia quando avrai finito. Stanza tutta tua, contento?" e senza aggiungere altro chiuse la porta alle sue spalle.

 

Sion rimase a fissare la porta per qualche secondo poi tornò a concentrarsi sul riflesso nello specchio. Che strano... come mai era andato via? La stanza stretta era chiaramente una scusa,

...ma perchè?

All'improvviso gli venne in mente qualcosa. Nezumi non era mai comparso davanti a lui senza maglietta, mai, nemmeno una volta. Tra due ragazzi che vivono insieme, cambiarsi nella stessa stanza non era qualcosa di inconsueto, eppure Nezumi sembrava sempre sparire ogni qual volta doveva cambiarsi. Perchè?

 

Uno bussare alla porta interruppe il flusso dei suoi pensieri.

"Ohi Sion." "Mh?" "C'è una lettera per te."

 

Finito di farsi la 'barba', o come aveva detto Nezumi di "Togliere quei due peli in fila che hai in faccia", Sion uscì finalmente dal bagno, trovando Nezumi accanto alla porta in compagnia di un grosso cane marrone chiaro. Era uno dei cani di Inukashi, quello che li aveva seguiti quel giorno al mercato. Si avvicinò a Nezumi, che senza dire una parola gli passò un foglio giallastro. Lo aprì, e alcuni caratteri insicuri e slabbrati comparivano al di sopra, macchiati e sbiaditi dalla saliva del cane.

 

Ehi Sion, ti interessa un lavoro? È un lavoro come lavacani. Mi servirebbe una mano. Se ti va di farlo, segui il cane. Finquando sarà con te, nessuno dovrebbe farti nulla di strano. Ci si vede. Oh, PS: questo qui ha detto che saresti un lavacani perfetto”

 

Cosa è un lavacani?” , “Esattamente quello che hai letto. Dovresti lavare i cani...quelli che Inukashi presta come scaldini. Quelli grossi e docili dal pelo lungo. Dovrebbero essercene una ventina. A volte i clienti si rifiutano di pagare perché i cani puzzano o hanno le zecche, così una volta a settimana, in una giornata soleggiata, porta i cani fuori e li lava. Allora, cosa pensi di fare?”

Ci vado, ovviamente” Sion stava ardendo dalla contentezza. “Mi ha chiesto se voglio un lavoro. Il mio primo lavoro. Ho un lavoro adesso”

La pianti di entusiasmarti?” disse Nezumi con una smorfia. “Cavoli, è davvero facile farti contento, eh?” “Nezumi, pensi dovrei portare qualcosa con me? Del sapone forse?”

Probabilmente non ti servirà nulla. Stai solo attento a uomini e donne che potrebbero trascinarti in un vicolo buio. Teoricamente se quel cane è con te, non dovrebbero esserci problemi. Sto uscendo anche io, facciamo mezza strada insieme”

 

A proposito, mi piacerebbe vedere dove lavori, un giorno. E magari assistere ad uno spettacolo”

 

Non sperarci troppo”

 

Il cane abbaiò.

 

Grazie” gli disse Sion. “Grazie a te sono riuscito ad avere il mio primo lavoro. Sono tutto tuo, portami pure dove vuoi”

 

***

 

La porta del forno si richiuse, seguita da un campanello, e Karan sospirò. Erano passati più di tre mesi da quando suo figlio era uscito di casa una mattina, senza più fare ritorno, e nonostante fosse ora consapevole che suo figlio era vivo da qualche parte nel West Block, non poteva fare a meno di sentirsi in ansia per lui. Come viveva? Mangiava abbastanza? Stava bene? Era in pericolo?

 

Diverse erano le voci che aveva sentito a proposito di quel posto, e diversamente da molti residenti di no.6, lei poteva dire aver conosciuto il luogo con i suoi stessi occhi. Si trattava di qualcosa risalente a tantissimi anni fa, quando No.6 era ancora una cittadina in fase di crescita, ed era possibile spostarsi liberamente tra i blocchi. Anzi, in realtà il West Block, nella sua struttura attuale, non era altro che ciò che restava del piccolo paesino dove lei stessa era nata e cresciuta, Rose Street.

Aveva passato la sua infanzia in quel luogo, quando gli stati mondiali non facevano che guerreggiare tra loro. Era poco più che una ragazzina all'epoca ma ricordava ancora bene quegli avvenimenti. Guerre, riscaldamento globale, corsa al nucleare. L'uomo aveva finito per distruggere quasi la totalità delle terre che occupava. Era poco più che una bambina all'epoca, ma anche dopo tutti questi anni non riusciva a dimenticare la preoccupazione negli occhi dei suoi genitori e di qualunque adulto che guardava un bambino.

 

In quale mondo vi costringeremo a vivere? Perdonateci, abbiamo sbagliato ma ormai è troppo tardi per rimediare.

 

Karan strinse una mano al petto, sedendosi sulla piccola sedia di legno scuro dietro al bancone. La stanza semi immersa nell'oscurità era talmente silenziosa che le sembrava quasi di impazzire. Accese distrattamente il piccolo televisore appeso alla parete, e posò il proprio mento nel palmo della mano, il gomito poggiato contro il bancone.

 

Sion...

Ora che era madre poteva comprendere bene la preoccupazione che aveva visto negli occhi dei suoi genitori.

Dove abbiamo sbagliato. Un pensiero che le capitava spesso di formulare.

 

Aveva vissuto all'interno di questa città dalla data della sua creazione. Aveva assistito a tutti i momenti bui e le lotte che l'umanità aveva dovuto affrontare per sopravvivere, quando più della metà della popolazione mondiale era morta a causa delle guerre o delle conseguenze delle sconsiderate scelte dell'uomo. L'uomo aveva lentamente condotto se stesso alla rovina, e i pochi sopravvissuti avevano cominciato a interrogarsi su dove avessero sbagliato. Erano stati ignoranti ed arroganti. La brama per il potere e la ricchezza li aveva portati alla distruzione. Guerre, malattie, sconvolgimenti climatici, l'uomo si era ripromesso di non ricommettere mai più gli stessi errori.

Così sul pianeta, le persone sopravvissute avevano abbandonato con riluttanza razza, nazionalità, confini, ed avevano giurando di mantenere la pace, e di vivere con semplicità. Da questa speranza e volontà di rinascita erano nate sei metropoli.

 

Questa avrebbe dovuto essere la città in cui viveva. Un luogo dove vivere in pace. Un utopia. L'ultima speranza e l'ultimo baluardo della razza umana. Qui, le persone potevano vivere al sicuro, dalla loro nascita fino alla morte, in tranquillità e felicità. Si supponeva dovesse essere così. Lei non si era mai soffermata a pensare seriamente a tutto questo. I cittadini vivevano nella convinzione che, fino a quando fossero restati in No.6, una vita appagante sarebbe sempre stata loro garantita.

 

Ecco cosa pensavano – avevano pensato – era stato insegnato loro a pensare così.

 

È tutta una menzogna. Tutto quanto – è solo apparenza.

 

La verità era diversa... Erano tutti divisi in classi, attraverso i loro ID card, al punto da non essere nemmeno liberi di muoversi all'interno della Città. Suo figlio era stato preso forzatamente in custodia, e non le era permesso nemmeno di presentare un'obiezione formale, o di rivederlo per l'ultima volta. Dove era questa libertà? Dove erano la pace, la salvezza, e la vita di soddisfazioni? Non esistevano affatto.

 

Se è così, allora cosa abbiamo fatto per tutto questo tempo? Perché mai abbiamo creato una Città simile? Cosa abbiamo fatto – in cosa abbiamo sbagliato?

 

Non poteva fare a meno di domandarsi quale fosse il mondo che avevano lasciato in eredità ai propri figli, così come i suoi genitori si erano domandati quale sarebbe il mondo in cui sarebbe vissuta lei.

 

Infilò una mano nella tasca del grembiule. Al suo interno c'era il piccolo pezzo di carta che aveva acceso la luce della speranza ancora una volta, quella sera.

 

Mamma, mi dispiace. Sono vivo e sto bene.

 

Erano le parole dell'ultimo bigliettino che aveva ricevuto da suo figlio, consegnatole da un piccolo topolino dal manto castano, che la stava attendendo nella stanza a fianco, mentre aveva servito gli ultimi clienti. Gli aveva dato un roll al formaggio, come aveva fatto la prima volta che il piccolo roditore le aveva consegnato il messaggio che le aveva permesso di scoprire che suo figlio era in salvo, che si trovava da qualche parte nel West Block. Era riuscita a ritrovare la speranza grazie a poche semplici parole scritte su di un piccolo pezzo di carta, ma esse avevano acceso in lei un ulteriore angoscia. Come viveva suo figlio? Era terrorizzato? Quando lo avrebbe rivisto?

Di una cosa sola era certa. La persona che si trovava con lui in quel momento, quella persona che si era firmata Nezumi in quel suo piccolo biglietto di speranza, doveva essere la persona che Sion aveva passato gli ultimi quattro anni nella speranza di rivedere. Non conosceva i dettagli, suo figlio aveva sempre evitato il discorso, eppure diverse volte lo aveva colto distratto e sognante, e in una di quelle occasioni era riuscita a sentirgli fare proprio quel nome. Nezumi.

Non sapeva chi fosse, ma era facile sospettarlo. La ragione della loro caduta da Cronos alla parte più bassa della città. Il VC che Sion aveva aiutato il giorno del suo 12 compleanno, nascondendolo dal dipartimento di sicurezza. Non aveva mai biasimato suo figlio per le scelte che aveva compiuto. Certo, per una persona dalla grande intelligenza come Sion, era facile dire che si fosse trattato di un gesto avventato e sconsiderato, ma non poteva portarsi a condannare l'azione di suo figlio. Lei sapeva che suo figlio aveva scelto il suo cuore al lusso e la ricchezza, e questo era qualcosa che non avrebbe mai potuto rimproverargli.

 

Squit Squit’

 

Il suo pensiero venne interrotto dal verso del topolino, seduto sul pavimento davanti a lei, che la guardava in attesa.

"Oh, perdonami, signor-topolino. Ero persa nei miei pensieri e mi ero dimenticata di te, scusami." Disse, prendendo dal vassoio un altro pezzo di pane al formaggio. Gli avrebbe dato una doppia razione per farsi perdonare. "Stai aspettando che scriva la mia risposta?" disse abbassandosi davanti a lui, e porgendogli il pezzo di pane. Il topolino le si avvicinò esitante, annusò il pane un paio di volte, ed infine cominciò a mangiare dalle sue mani. Karan sorrise, e lasciò cadere a terra il pezzo di pane. "La scrivo subito, perdonami se ti ho fatto aspettare."

 

Nel momento in cui si stava sollevando in piedi, sentì bussare alla porta.

 

Il suo animo si riempì d'ansia. Che si trattasse del dipartimento di sicurezza? Nezumi le aveva scritto di fare attenzione, perchè avrebbero potuto tenerla sotto sorveglianza, ma per la gioia dell'aver ricevuto il biglietto non aveva pensato ad eventuali telecamere.

 

Guardò sospetta verso la porta. Se qualcuno avesse tentato di entrare con la forza, la porta non avrebbe retto a lungo. Strinse forte il pugno intorno al bigliettino nella sua tasca, mentre il piccolo topolino correva ad arrampicarsi su di uno scaffale, e si avvicinò al bancone. "S-si?"

Una voce femminile rispose al di là della porta. "Chiedo scusa per l'ora... c'è nessuno in casa?"

Al suono gentile ed esitante, il battito del cuore di Karan rallentò leggermente. Quella voce, pensava di conoscerla.

Si avvicinò alla vetrina del negozio, scostando leggermente la veneziana, ed una giovane donna, avvolta in un cappotto grigio che le arrivava fino alle ginocchia, comparve davanti a lei.

"Safu."

 

 

Accertatasi dell'identità della ragazza la fece accomodare. Ricordava Sion aver detto che la ragazza era partita per uno scambio, ma sembrava fosse tornata a causa della morte di sua nonna. Anche lei, così giovane, aveva conosciuto cosa significava restare completamente soli al mondo. No, non era preciso. Perché Karan conservava ancora nel cuore la speranza di poter rivedere suo figlio un giorno.

 

All'improvviso, la ragazza la guardò decisa.

 

La prego, mi dica dove si trova Sion. È vivo, non è vero? Non è tenuto prigioniero nel Penitenziario. Lui è vivo...dove si trova?”

 

Karan aveva nutrito il sospetto che potesse essere qualche tranello da parte del dipartimento di sicurezza, ma era presto giunta alla conclusione che se avessero desiderato ricavare informazioni da lei, lo avrebbero fatto in altro modo, come con un siero della verità. Così le aveva detto tutto quello che sapeva, grata del fatto di non essere l'unica a vivere con quell'angoscia. Safu le aveva detto che credeva che fino al momento in cui Sion fosse rimasto al di fuori della città, sarebbe stato al sicuro. "Sento che questa Città è davvero chiusa... Chiusa in se stessa come un riccio. Completamente isolata e che risolve tutto al suo interno... e minimamente interessata o intrigata da quello che si trova al di fuori da essa” le aveva detto la ragazza.

 

Era vero, tutto ciò che accadeva al di fuori della città era come se accadesse su un altro pianeta. Non si era mai soffermata a pensare a quello che accadesse alle terre al di fuori delle mura, da quando aveva cominciato a vivere al loro interno. Il mondo era limitato a quelle mura, ecco quale era la visione generale diffusa tra tutti i cittadini. Eppure... non era un mistero che al di fuori vivessero altre persone... allora perché, perché tutti riescono a ignorare le loro esistenze come se non fossero nemmeno umani?

 

Signora, dove si trova Sion?” La domanda della ragazza la colse alla sprovvista. Dove si trovava suo figlio? Tutto quello che sapeva era che si trovava al di fuori delle mura, in quel West Block dove le vite dei residenti non riusciamo a considerare nemmeno al nostro pari...

 

È nel West Block... è tutto ciò che so.”

 

West Block...Allora è cosi?” Un sospiro sfuggì dalle labbra di Safu. Per un istante il suo sguardo vagò nell'aria. Poi chinò profondamente il capo verso Karan.

 

La ringrazio. Sono felice di averla potuta rivedere, Signora”

 

Aspetta. Cosa hai intenzione di fare, ora che sai dove si trova Sion?”

 

Andrò da lui”

 

 

Ma...ma...lo hai detto tu stessa ora. Potrebbe essere possibile uscire dalla città, ma rientrare...”

 

 

"Non ha importanza per me" Aveva risposto Safu piena di determinazione. “Anche se non potessi far ritorno mai più qui, non lo rimpiangerei. Se Sion si trova nel West Block, allora è lì che andrò”

 

Aveva provato a fermarla, aveva provato a fermare quella ragazza determinata e innamorata. Ma si sa, l'amore è una delle forze più potenti e distruttive esistenti al mondo, e una persona spinta da essa diviene quasi inarrestabile. Così Safu era andata via, stringendo tra le sue mani il suo amore e la sua forte determinazione di raggiungere la sua persona amata.

 

"Non posso starmene seduta ad aspettare Sion in questo stato. Voglio vederlo così tanto. Questo è tutto quello che posso fare... non sono una madre, signora...non posso essere forte come lei. Non posso continuare ad attendere fiduciosa. Non voglio dover rimpiangere nulla. Se...se per caso, dovesse finire per non tornare più in dietro... sarei io a dover soffrire per tutta la vita. Non desidero questo.” Questo era quello che aveva detto. Le aveva chiesto chi si trovasse con suo figlio, e quando Karan le aveva fatto quel nome che era riuscita ad udire per caso dalle labbra di suo figlio, una scintilla si era accesa negli occhi della ragazza.

 

Signora, sono felice di essere riuscita ad incontrarla. Addio” Le aveva detto, e poi era andata via.

 

Karan era rimasta in silenzio, pensando ad un modo per fermare la ragazza. Non poteva permetterlo, da adulta e da donna non poteva lasciare che una ragazza così giovane si mettesse in pericolo per una cosa simile.

 

Una donna può andare avanti a vivere senza un uomo. Potrà essere doloroso, potrà sembrare come se le tue braccia ti fossero state strappate via dal corpo, ma saresti comunque in grado di vivere e portare con te quella ferita. Anche con quel peso, un giorno sarai in grado di ridere di nuovo. Ecco perché...ti prego, non mettere la tua vita in pericolo per un uomo. Ti prego, vivi per te stessa.

 

Avrebbe voluto dirle quelle parole, ma non era riuscita a farlo. Sapeva che non sarebbero state ascoltate. Anche lei, in passato aveva amato un uomo con tutta se stessa. Eppure quando questa persona l'aveva abbandonata, lasciandole come unico dono quel figlio di cui lui stesso aveva scelto per nome quello del fiore che lei amava tanto, era andata avanti a vivere, aggrappandosi con tutte le sue forze a quella piccola vita tra le sue braccia. Ed ora quell'ancora le era stata strappata via dal dipartimento di sicurezza, e lei non aveva la forza o il coraggio di fare altro se non attendere fiduciosa un ritorno che avrebbe potuto non avvenire mai. La ragazza che era appena andata via, invece, era disposta a prendere in mano le redini della sua vita e combattere per il suo cuore. Due strade completamente diverse, due modi di amare differenti. Eppure poteva dire che uno dei due fosse sbagliato? Non era forse scegliere il sentimento alla ragione qualcosa che anche suo figlio aveva fatto quattro anni prima? Però lei era un'adulta, aveva il dovere di essere forte anche per quei ragazzi che si abbandonavano al proprio cuore. Aveva deciso che avrebbe protetto quei sentimenti preziosi, perché il cuore era forse l'unica speranza che ancora restava all'umanità.

 

Squit squit’

 

Guardò verso la sedia da cui proveniva lo squittio. Il topolino marrone sedeva su di una piccola sciarpa rosa. Era la sciarpa di Safu. Karan ringraziò il piccolo topino per averle dato il pretesto di correre dietro alla ragazza, raccolse la sciarpa, mentre il topolino entrava in una sua tasca, e lasciò il negozio.

 

 

Trovò la ragazza sulla strada principale, camminava in direzione della stazione.

"Safu!"

 

La ragazza si girò verso di lei, guardandola stupita. "Signora, cosa ci fa qui? Se pensa di potermi fermare, mi spiace ma ho già preso la mia decisione."

 

Karan la guardò esitante, stringendosi un pugno al petto. Sapeva che sarebbe stato difficile ma doveva farle cambiare idea in qualche modo. "Hai lasciato questa in negozio. È fatta a mano, ho pensato dovesse essere un oggetto davvero prezioso per te."

 

Safu fissò la sciarpa per qualche secondo, poi la prese e la strinse al petto. "La ringrazio. È un oggetto molto prezioso per me, è stata mia nonna a farlo."

 

Karan sorrise. Determinata come una donna, ma in lei c'erano ancora i segni di una bambina rimasta sola. Le posò una mano sulla spalla. "La prossima volta vieni pure a trovarmi prima di pranzo” Sperò che le sue parole riuscissero a raggiungere in qualche modo la ragazza vestita di grigio.

 

Prima di pranzo?”

 

Sì. Sforno il pane da prima mattina fino a pranzo. Di prima mattina sforno sopratutto panini e pagnotte, ma verso l'ora di pranzo, anche pane dolce e torte. Stavo pensando di preparare tre specialità diverse di muffin. Mi piacerebbe che venissi ad assaggiarle. Avrei anche del delizioso tea nero per accompagnarli”

 

Ci fu un momento di silenzio tra le due.

 

Ma certo” proseguì Karan, “Safu, se ti va, ti andrebbe di aiutarmi qui in negozio? Potrei insegnarti come si prepara il pane. Mi sono sentita molto sola tutto per questo tempo. Se ti andasse di venire a lavorare qui ne sarei tanto felice”

 

Sapeva che si stava comportando da sciocca. Ma cos altro avrei potuto dire? Come altro potrei distrarre il suo cuore da Sion? Come potrei proteggerla dal pericolo?

 

Grazie, Signora. Io adoro i muffin. Non vedo l'ora di poterli assaggiare”

 

La ragazza stava nuovamente per andare via, quando un'automobile si avvicinò verso di loro a tutta velocità. "Safu attenta!"

 

Karan si era lanciata verso la ragazza, ed erano ricadute entrambe al pavimento. Safu sentì l'aria mozzarsi in gola mentre Karan gemeva leggermente tastandosi un braccio. "Signora, si è fatta male?"

Karan stava sorridendo alla ragazza per rassicurarla, quando udirono un frastuono nella direzione in cui era diretta l'auto, seguito dalle voci di numerose persone che gridavano. Sollevarono entrambe il capo, notando l'auto che le aveva investite, poco distante da loro. Dal suo cofano fuoriusciva del fumo. L'auto era salita su di un marciapiede poco distante da loro ed era andata a schiantarsi conto il muro di un edificio. Numerose persone si erano immobilizzate alla scena, e una cospicua folla di persone stava cominciando a raccogliersi intorno all'automobile sul marciapiede.

 

Safu fu la prima a sollevarsi in piedi, porgendo una mano a Karan per aiutarla a tirarsi su. "Signora, la ringrazio. Mi ha salvato la vita."

 

Karan le sorrise caldamente, un sorriso che le ricordava tanto quello Sion. Quella gentilezza, quel calore che faceva stare bene anche alla sola vista. Le mancava così tanto...

I capelli scompigliati della donna fuoriuscivano dalla fascia che li raccoglieva sulla testa, mentre con la mano si stava premendo ancora il braccio. Si era ferita per proteggerla.

"Signora, lei è ferita. Lasci che la - " Le parole della ragazza che stava allungando la sua mano verso il braccio della donna, vennero sopraffatte da diverse urla. Le grida delle persone che si stavano accumulando intorno all'auto erano fatte sempre più forti e impaurite. Safu sentì il suo sangue raggelarsi nelle vene, mentre una strana ansia si impadroniva del suo cuore.

 

"Che... che cosa succede?"

 

Safu prese Karan per mano, e guardando la donna negli occhi, le fece cenno con la testa. "Andiamo a vedere... " Karan si strinse una mano al petto, ed annuì leggermente.

 

Erano giunte davanti all'auto completamente attorniata da persone, quando all'improvviso si alzò un nuovo boato dalla folla. Una donna era caduta a terra, e si stringeva convulsamente il capo. Le persone accanto a lei si affrettarono a soccorrerla, ma nel momento in cui le avevano sollevato il volto e avevano provato a fermarle le braccia per lasciarla respirare meglio, quello che si erano trovati davanti era stato uno spettacolo agghiacciante. La pelle della donna era completamente ricoperta di rughe e macchie nere. Esattamente davanti ai loro occhi i capelli della donna erano letteralmente diventati bianchi, e ciocca dopo ciocca erano piovuti al pavimento, come se non avessero più avuto l'energia per mantenersi al proprio posto. Dopo i capelli, anche i denti avevano fatto lo stesso, mentre le sue labbra si muovevano disperate senza emettere alcun suono. L'uomo che le stava reggendo il viso aveva sgranato gli occhi inorridito, ed aveva lasciato la presa come scottato. La testa della donna aveva battuto rumorosamente contro il selciato, ma nessuno sembrava avergli dato peso. Alcuni gridavano, altri correvano impauriti, altri ancora fissavano la scena immobili, ma nessuno andava in soccorso della donna che continuava a contorcersi sul pavimento. Karan si abbassò verso la donna, quando si sentì chiamare.

 

"Oba-chan?" La donna sollevò il volto, mentre Safu correva dalla signora riversa al pavimento, che sembrava ormai aver smesso di muoversi. Cercando tra la folla, Karan individuò la voce di chi l'aveva chiamata. Era una piccola ragazzina con i codini che sedeva in braccio alla sua mamma. "Lili, Renka-san."

 

La donna teneva sua figlia strinta a se, in modo da coprirle la visione della donna che giaceva immobile a terra, ma anche così la bambina tremava visibilmente. Al fianco della donna, un uomo dai capelli neri che non aveva mai visto prima di allora, con uno strano corvo sulla spalla, assisteva alla scena con un'espressione indecifrabile. Appena l'aveva vista, Lili aveva allungato le sue mani verso Karan, che l'aveva presa in braccio stringendola forte a sé.

 

"Non possiamo stare qui, dobbiamo allontanarci prima che arrivino le autorità." aveva sussurrato l'uomo con sollecitudine all'orecchio di Renka, posandole una mano sulla spalla. Karan vide Renka guardare l'uomo sorpresa, ma dopo aver letto la serietà negli occhi dell'altro, aveva fatto di sì con la testa. Karan aveva pensato che l'uomo avesse gli stessi occhi di Lili e di sua madre. Deve trattarsi di un loro parente.

 

Karan sentiva il corpo tra le sue braccia tremare. Mentre stringeva la bambina a se, le sembrò di vedere un insetto nero allontanarsi dal gruppo di persone. Un insetto in quel periodo dell'anno? Doveva essersi sbagliata. La bambina si strinse ancora di più forte a lei. Piangeva "Oba-chan, perché gridano così? Ho paura..." Karan la strinse di più accarezzandole i capelli per tranquillizzarla.

 

"Karan-san, allontaniamoci di qui." le aveva detto la donna con uno strano tono. Karan l'aveva guardata insicura per qualche secondo.

 

"Safu, è tardi ormai per tornare a Cronos, ti andrebbe di restare qui stanotte?"

 

Safu rimase in silenzio. Guardò il braccio di Karan che sembrava crearle qualche disagio mentre stringeva la bambina tra le braccia, ed abbassò il capo mortificata. La donna si era ferita per proteggerla. Lanciò uno sguardo alla donna dall'aspetto grottesco distesa sul pavimento. La sua bocca era spalancata, e poteva vedere le gengive ruvide e bucate, dove fino a pochi attimi prima erano incastonati i denti bianchi che ricoprivano adesso il marciapiede poco lontani dal capo della donna. La pelle del suo cranio era raggrinzita e piena di macchie scure, e sotto la luce dei lampioni rifletteva uno strano colore. Sembrava traslucida, quasi trasparente. Le ciocche dei capelli caduti al pavimento ricoprivano il marciapiede insieme ai denti e alla sua borsetta. Non sembravano bianchi, ma quasi trasparenti. Come se ogni traccia di melanina fosse stata risucchiata dall'interno. Sembrava che ogni pigmento di colore fosse stato risucchiato via dalla donna, insieme alla sua giovinezza e la sua linfa vitale. Safu rabbrividì, mentre il suo sguardo ricadeva sull'auto a poca distanza da loro. Immerso nell'oscurità dell'abitacolo, anche il guidatore sembrava aver incontrato la stessa sorte della donna.

 

Cosa era successo? Cosa?

 

Sion... cosa sta succedendo in questa città?

 

Fece su e giù con la testa, annuendo distrattamente alla domanda della donna. Renka aveva preso sua figlia nuovamente tra le braccia e i quattro iniziarono a seguire l'uomo dai capelli neri.

 

"Meglio non tornare a casa, la città è disseminata di telecamere,- se ci riconoscessero non so cosa potrebbe accaderci... Per il momento è meglio nascondersi." Aveva detto l'uomo, mentre apriva lo sportello della sua automobile nera e salivano tutti e quattro nell'auto. "Non si tratta del il primo caso. Sono già scomparsi diversi testimoni..." Aveva detto mentre stringeva lo sterzo della sua auto. In lontananza si udivano delle sirene.

 

Karan infilò una mano nella tasca, dove il piccolo topolino messaggero era rimasto nascosto per tutto questo tempo.

 

Sta accadendo qualcosa di davvero strano... Sion, riuscirò davvero a rivederti?

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Sion accarezzò leggermente la testa del cane e dopo avergli detto grazie richiuse la porta. Tra le mani stringeva il sacchetto con un po' di carne secca e pane che aveva comprato di passaggio dal mercato, come gli aveva ordinato Nezumi.

Ormai era passata una settimana da quando aveva cominciato a lavare i cani per Inukashi, e salvo i primi giorni in cui il ragazzo non aveva fatto che lamentarsi per la sua lentezza e la sua "Abitudine di imbambolarti fissando l'aria", il suo lavoro si era fatto piacevole. Era vero, si trattava di un lavoro stancante, - di gran lunga più stancante di qualsiasi lavoro avesse mai fatto in no.6, - ma anche così non gli dispiaceva.

 

Sion si fissò le mani. Erano piene di cicatrici, la pelle era ruvida, e nel complesso erano diventate piuttosto scarne. Avevano perso tutta la morbidezza e la levigatezza che possedevano quando viveva all'interno della città, eppure era convinto che le sue mani mostrassero più forza adesso. Mani piene di vita, che si impegnavano per avere una presa salda su ciò che lo circondava e desiderava. Non gli dispiaceva lavorare. Era stancante, pensate, tornava alla sera con le spalle dolenti per essere rimasto tutto il giorno prono o aver trasportato numerosi secchi d'acqua, ma quel dolore, quella stanchezza, lo facevano sentire in qualche modo vivo. Sono vivo e lavoro giorno dopo giorno per continuare a vivere, tenendo stretta questa vita con gli artigli e con i denti.

 

Guardalo. Mister-Élite di No.6 che gioisce per un lavoro come domestico e dog-sitter. Sarà interessante vedere fino a che punto cadrai in basso.”aveva detto Nezumi qualche giorno prima, quando aveva manifestato la sua felicità perchè Inukashi gli aveva chiesto di continuare a prendersi cura dei cani e aiutarlo a pulire le stanze dell'hotel. Ma lui era felice per davvero. Lavorare lo faceva sentire libero, e anche la più piccola entrata che potesse sgravare un peso dalle spalle di Nezumi era più che benvenuta.

 

Io non credo che quello che sto facendo sia abbassarmi,” gli aveva risposto. “Ed anche tu sei d'accordo con me, non è forse così? Non credi affatto che tutto questo significhi 'abbassarsi'.”

 

Nezumi ovviamente aveva cambiato discorso, come tutte le volte in cui si era trovato in un angolo, e gli aveva affidato il compito di comprare il cibo con i suoi soldi. Dopo il primo fallimentare tentativo, in cui era stato derubato da un gruppo di ragazzini, e la loro cena si era ridotta a un terzo della razione originale, - con un Nezumi terribilmente irritato per contorno -, gli altri giorni erano risultati più fortunati.

 

Fortunatamente imparava in fretta, e per quanto gli facesse male vedere la gente affamata per le strade, sapeva di non poter fare nulla, Nezumi glie lo aveva ripetuto fino alla nausea...

 

"Cosa pensi poter fare con quella tua tiepida compassione? Salveresti solo per breve tempo una manciata di bambini dalla fame. Lascia che ti dica una cosa, Sion. Niente è più duro della fame dopo la sazietà. Questi bambini non conoscono cosa significa essere sazi. Ecco perché riescono ad andare avanti anche così. Lo capisci? Non c'è nulla che tu possa fare qui, assolutamente nulla.”

 

Avrebbe tanto voluto fare qualcosa, ma non gli era possibile, non ne aveva il potere... la sola vista di quei bambini, di quelle persone lo addolorava, gli stringeva il cuore, e l'impotenza che provava era ancora più dolorosa. Quella visione lo tormentava ogni volta che attraversava le strade affollate e brulicanti di vita del West Block. Aveva scelto di vivere in questo luogo, sentiva di desiderarlo per davvero, anche se gli fosse offerta l'opportunità di tornare nella città che lo aveva scacciato, eppure il dolore che provava alla visione di quei volti sofferenti, di quegli occhi supplicanti che lo guardavano ogni volta che usciva da un chiosco stringendo tra le mani la loro cena, lo colpivano con forza. Aveva chiesto di poter conoscere la verità, di poterla vedere con i propri occhi e ascoltarla con le proprie orecchie. E così era stato. Era ancora una parte infinitamente piccola della realtà del mondo in cui era nato, eppure non riusciva ancora ad abituarvisi. Tutto quello che riusciva a fare era provare dolore e dispiacersene. Ma intanto avrebbe continuato per la sua strada, stringendo al petto il sacchetto con il suo pane, stringendo al petto quel cibo che avrebbe permesso di vivere lui e Nezumi per un altro giorno. Non poteva fare altro.

 

La mia, verso quei bambini, è solo una falsa pietà? Un modo ipocrita per adulare la mia autostima?

 

Nezumi lo aveva accusato spesso di una cosa simile. In quest'occasione così come quando aveva cercato di offrire qualcosa ai due bambini che vivevano nella casa al di sotto della collina, Karan e Rico. I due bambini si univano spesso a lui per la lettura, quando Inukashi lo lasciava tornare a casa dopo aver terminato il suo lavoro e non era troppo tardi o prossima l'ora in cui sarebbe tornato Nezumi, avrebbe letto loro un libro. La sua vita ormai era caduta in una certa quotidianità. Lui e Nezumi avrebbero fatto colazione insieme, poi lo avrebbe accompagnato a metà strada fino all'hotel di Inukashi, nonostante il prestacani gli avesse lasciato il cane come guardia del corpo. Sarebbe rimasto all'hotel fino al primo pomeriggio. Tornato a casa avrebbe letto un po' per i bambini, e rimasto solo sarebbe andato nella piccola stanza di legno per continuare la lettura del libro che aveva scoperto. Aveva terminato la lettura proprio il giorno prima. Alcune pagine sembravano mancare - un intero capitolo strappato impietosamente per celarlo alla vista di qualunque lettore. Si chiedeva cosa avesse contenuto, ma oltre quello, il resto lo aveva trovato abbastanza comprensibile.

 

La Dea... era sicuro si trattasse delle vespe parassite.

Però non si sentiva ancora pronto per chiedere a Nezumi se fosse al corrente di qualcosa riguardo l'intera faccenda. Era sicuro si sarebbe arrabbiato, lo conosceva fin troppo bene ormai per non immaginare quale potesse essere la sua reazione. Glie ne avrebbe parlato, ma sentiva c'era ancora qualcosa che lo attendeva, qualche mistero irrisolto che non si era ancora manifestato...

 

Finito di sistemare la spesa sul tavolo, si diresse verso la piccola stanza accanto al bagno. Un topolino corse dietro le sue gambe, sapendo che avrebbe iniziato a breve una lettura. Lo accarezzò sotto il mento e si sedette a terra accanto al nascondiglio del libro. Fortunatamente Nezumi non si era ancora reso conto di nulla, né della trave spostata, né delle sue letture. Daltronde era comprensibile: se non ci fosse praticamente inciampato sopra, non avrebbe mai scoperto dell'esistenza di quel nascondiglio.

Aprì la piccola botola, prendendo delicatamente il libro con le mani, e restò a fissarne la copertina di pelle per qualche secondo. Il simbolo inciso sulla sua copertina gli metteva una certa inquietudine addosso. Si toccò istintivamente la base del collo, là dove una piccola cicatrice faceva si presentava al tatto. Era la cicatrice dell'incisione che aveva fatto Nezumi il giorno in cui gli aveva salvato la vita.

 

Le vespe parassite. Una divinità.

 

Rabbrividì nuovamente.

 

Non poteva farci nulla. Il solo ricordo era qualcosa di terrificante. Non era simile ad alcuna esperienza che avesse mai provato in vita sua. Nemmeno il terrore di avere una pistola puntata in faccia era stato pari a quel terrore folle e cieco che aveva provato in quei momenti. Ricordava ancora con quanta forza e disperazione si era aggrappato alla mano di Nezumi in quel momento, mentre la sua stessa vita sembrava venire risucchiata da dentro il suo corpo.

 

Nezumi...

 

Gli occhi grigi che ho ritrovato quando ho aperto i miei occhi in quei momenti di disperazione, la mia àncora di salvezza... meravigliosi come il cielo poco prima dell'alba. Come quel cielo capace con la sua radiosità di infondere speranza. Una benedizione per coloro che sono determinati a vivere un nuovo giorno. Meravigliosi.

 

Quante volte, quegli occhi meravigliosi mi hanno dato speranza?

 


Mi piacerebbe riuscirti a comunicare almeno in parte quanto importante sia stato quello che hai fatto per me, ma per quanto mi sforzi non riesco a trovare le parole. Mi vengono in mente solo parole banali, troppo semplici e ordinarie per esprimere quanto importante sia stato il segno che hai lasciato dentro di me...

 

 

Sollevò il libro, portandolo parallelamente davanti al suo volto ad altezza d'occhi, le braccia estese davanti a sé. Fissò il libro con curiosità, come se si aspettasse di veder comparire tutte le risposte ai suoi interrogativi semplicemente continuando a fissarlo.

 

"Allora, cosa mi nascondi? Cosa mi sfugge ancora?"

 

Come se avesse ascoltato le sue parole, un tud attirò la sua attenzione mentre qualcosa di leggero cadeva planando al pavimento. Era.... un foglio?

 

Lo prese tra le mani. Un foglio ingiallito con una scrittura dalla calligrafia molto confusa si trovava tra le sue mani in quel momento. Lo avvicinò di più agli occhi per ispezionarlo meglio. Doveva essere stato scritto in fretta, poiché la scrittura sembrava molto confusa, come se fosse stato scritto con urgenza.

 

Cercò di interpretare la calligrafia ma era molto rovinata. Il foglio sembrava abbastanza vecchio e mal conservato, al contrario del libro, che per quanto fosse palesemente più antico, doveva essere stato realizzato per durare nel tempo.

Dopo alcuni tentativi riuscì a individuare il modo in cui leggere il foglio. Era palesemente una lettera. Sembrava rivolta da una donna verso suo figlio.

 

 

 

--

Bambino mio,

Mi dispiace infinitamente di tutto quello che è accaduto. Il villaggio ormai è distrutto, così come la vita tranquilla e serena che avevamo costruito in quella foresta.

Ci sono tante cose che non conosci, e tante cose che non capirai, che ti ritroverai un giorno ad affrontare senza che qualcuno abbia avuto il tempo di spiegarti come era giusto. Quello che dovrai fare... quello che ti verrà chiesto... quello che sei capace di fare.

-Ciò di cui sei capace solo tu.-

Queste parole ti sembreranno strane, lo capisco, ma quando leggerai il nostro libro sacro spero ti sarà tutto più chiaro. Spero che la vecchia sciamana si prenderà cura di te. Mi spiace, io non ho potuto farlo, non posso restarti accanto. In quanto cantrice, - ed anche tu ne possiedi il potere, - non posso permettere che la nostra Dea cada in mano a coloro che hanno attaccato il nostro villaggio. Loro vogliono utilizzare la grande Divinità che ci protegge, impadronirsi del suo potere e usarlo per sottomettere la natura. Io lo so, perchè è tutta colpa mia... sono stata io a parlare a quell'uomo di Lei. Gli ho raccontato del patto tra noi, gli ho raccontato della Sua rinascita e di come ci protegge. Perdonami, è colpa mia se sarai costretto a vivere in un mondo incerto e insicuro, irto di pericoli. Non ho saputo proteggerti...

figlio mio, mi dispiace tanto....

 

Se penso che nel momento in cui starai leggendo questa lettera probabilmente non ricorderai nemmeno più il volto tua madre...

 

Ciò che per te è importante, ciò che per te oggi è il mondo, non sarà altro che un lontano ricordo, un giorno...

 

Mi dispiace, mi dispiace tanto...

 

è colpa mia se dovrai portare una cicatrice così grande nel cuore. Così come la cicatrice dell'ustione sulla schiena che ti sei fatto tentando di proteggermi.

 

Figlio mio... anche se non la ricorderai... anche se per te sarò poco più che un'estranea... ricorda... la mamma ti ha amato tanto, più della sua stessa vita.

 

Eve.

 

 

Sion rimase in silenzio a fissare il foglio. La sua mente sembrava completamente sgombra da ogni pensiero.

 

Cosa era questo? Cosa aveva appena letto adesso? Cosa significava tutto questo?

 

Cercò di fare chiarezza nei suoi pensieri, tirando un profondo respiro.

 

Calmati Sion, devi procedere con calma.

 

Innanzitutto...

 

Fissò la lettera davanti a sé, cercando di placare il battito del cuore che sembrava andare a mille all'ora. Tirò un lungo sospiro e rilesse velocemente le parole della lettera.

 

Dunque...

 

Il villaggio era stato attaccato? Da chi?

 

Sion strinse la lettera al petto, mentre alcune parole udite nei primi giorni in cui si era trasferito qui nel West Block riaffiorarono alla sua mente. La voce di Nezumi che pronunciava quelle parole, sembrava invadere la sua mente con insistenza, non lasciandogli scampo se non quello di guardare la realtà con il suo carico di crudeltà e spietatezza.

 

La città dove sei nato e cresciuto – quello è il parassita più grande. Si attacca all'ospite, ne succhia tutti i nutrimenti e lo divora per intero. Questo è il tipo di città di cui si tratta. Una città parassita... "

 

 

 

Possibile...

 

 

...no.6?

 

 

Lo aveva visto con i suoi stessi occhi ormai. Anche se faceva male, anche se sembrava quasi impossibile da accettare, non poteva più chiudere gli occhi e fare finta di nulla.

 

"Una volta che hai scoperto la verità non c'è modo di tornare indietro. Non puoi più tornare in dietro e essere come prima, felice e libero da preoccupazioni."

 

Sion chiuse gli occhi, cercando di respirare. L'aria sembrava si fosse fermata in petto e non avesse più intenzione di circolare per i suoi polmoni. Sì... è inutile mentire a me stesso... ormai so di cosa sarebbero capaci...

ho visto con i miei stessi occhi la terribile realtà che vivono le persone da questa parte del muro. Ed è impossibile che i dirigenti di No.6 non siano consapevoli della miseria in cui lasciano degli esseri umani da queste parti.

 

"Diritti? Pensi davvero di averne?"

 

la voce di Rashi, l'ispettore che lo aveva interrogato quattro anni prima, e che era stato lo stesso ad arrestarlo dopo la morte di Yamase-san, incolpandolo per l'omicidio del suo collega e dell'uomo trovato nel parco, riaffiorò alle sue orecchie. Nezumi lo aveva detto, le persone che lo avevano arrestato in quel momento non avrebbero esitato un attimo a schiacciarli come vermi. Durante la sua fuga non si era soffermato a pensare con esattezza a cosa tutto questo implicasse, e gli eventi successivi, la vespa parassita in primis, avevano completamente rimosso dalla sua attenzione quei ricordi, eppure quelle parole le aveva udite.

 

Ma cosa significava con esattezza? Se le autorità ben sapevano in che condizioni versavano i residenti del west block ma non agivano, allora... le autorità cittadine non consideravano gli abitanti del West Block esseri umani come chi abitava entro le mura. Le autorità cittadine erano corrotte. Nezumi lo aveva sempre detto, eppure l'odio del suo salvatore non si fermava alle autorità. Era rivolto anche ai suoi cittadini.

 

Eppure i cittadini non sapevano, se lo avessero saputo allora avrebbero fatto qualcosa per intervenire, non avrebbero permesso che esseri umani morissero di fame e di freddo agli angoli delle strade a pochi passi dalle loro case. Non lo avrebbero mai accettato, sarebbero intervenuti, avrebbero fatto qualcosa, avrebbero...

 

Ignoranza... non sapere e non cercare di sapere. Ecco il peccato dei residenti di No,6. Vivere la loro vita nella pace e nella spensieratezza e non domandarsi quale è il prezzo che altri hanno dovuto pagare per permettere loro di vivere in quel modo.

 

Da quando aveva posato i suoi occhi sul West Block per la prima volta, era già troppo tardi. Non poteva girare il capo e far finta di nulla ormai, ignorare quale era la natura del luogo in cui era cresciuto, delle persone con cui era cresciuto.

 

Sono anche io così? È questo che hai cercato di dirmi di continuo, Nezumi?

 

Aveva sempre sentito parlare di West Block, aveva sentito voci secondo cui si trattava di un posto dove regnavano povertà, malattie, violenza. Ricordava una volta, tanto tempo fa, di aver sentito che i bambini in quel luogo bevessero acqua contaminata, e che chiunque vi abitasse sarebbe stato capace di uccidere anche per un semplice pezzo di pane. Aveva sentito quelle voci, eppure quando aveva visto per la prima volta quelle strade, quelle terre, era come se fosse stato qualcosa di nuovo e completamente inaspettato per lui. Perché?

 

Perché siamo sempre stati solo concentrati su noi stessi, su quello che accadeva entro quelle mura di acciaio speciale. Tutto quello che avveniva al di fuori, per quanto fosse in una terra estremamente vicina, era come se accadesse in una galassia distante anni luce da noi. Nezumi mi ha aperto gli occhi per la prima volta, facendomi comprendere cosa era lo strano disagio e il sospetto che provavo nei confronti della città, eppure... anche io sono un cittadino.

 

Posso abitare fuori dalle mura, eppure quell'arroganza, quell'autocompiacimento, l'amore verso il sentirmi lodato e anche invidiato verso la posizione d'elite che ricoprivo, le ricordo benissimo. Quei sentimenti erano miei, non sono stati provati da altri che da me. Non posso nascondermi dietro una scusa, dietro il fatto che sia stata la città ad impormi di ragionare, desiderare e sperare nel modo in cui era per essa consona. Mi è stato imposto, ma quello che ha peccato sono io.

 

Sion guardò ancora una volta la lettera. Un villaggio di gente innocente, che viveva in armonia con la natura era stato distrutto. Tutto questo per appropriarsi del potere della loro divinità.

Questo significava solo una cosa. No.6, i sopravvissuti di quell'umanità che aveva finito per distruggere se stessa e la terra che era stata donata loro dalla natura, aveva occupato le terre del popolo della foresta, che avevano protetto questa foresta e questa terra da tempi immemori.

No, non è ancora corretto.

L'arrogante umanità, dopo aver giocato a fare dio, aver controllato ed abusato della natura in modo inappropriato, ed aveva quasi completamente annientato se stessa e il mondo in nome di scienza e ideali. In seguito, in nome di una presunta ricostruzione, si erano appropriati di questa terra, che come un fiore in mezzo a delle rovine, era rimasto integro e incontaminato grazie alla protezione di un popolo che aveva vissuto per proteggere, non per sfruttare la natura.

 

Più le parole si formavano nella sua mente, più il cuore si stringeva in una morsa dolorosa. Come può la natura umana essere così arrogante, così spietata?

 

In seguito... questi uomini, o forse sarebbe corretto già chiamarla no.6, hanno scoperto l'esistenza del popolo della foresta e della sua divinità. Così hanno attaccato e massacrato gente innocente, in nome del loro progresso e della loro brama... ancora una volta.. ancora una volta, ciò che ha distrutto una volta l'umanità è quello che ha portato alla distruzione di un intero popolo.

 

Sion scosse la testa. È assurdo.

L'uomo aveva rinunciato una volta a razza, nazionalità, barriere nazionali, giurando di mantenere la pace, per continuare a vivere con semplicità. Dopo la morte di più della metà della popolazione mondiale, le persone si erano raccolte in queste regioni, costruendo lentamente le rispettive metropoli.

 

Desideravano vivere con semplicità, eppure si erano lasciati prendere nuovamente dai desideri, dalla brama.

 

La ricerca di più sviluppo, il potere, le ricchezze hanno creato come risultato no.6?

 

E così l'esercito di No.6 aveva attaccato quella tribù. Per appropriarsi della loro divinità, per il potere che deteneva e le permetteva di protrggere e regnare su quella foresta, per poter salvare e ristabilire il mondo come lo conoscevano.... no, qualunque sia stata la motivazione che ha spinto no.6 a farlo, nulla giustificherebbe le atrocità che ha commesso. Ha distrutto delle vite di persone innocenti, non so quando sia successo, ma quella città che proclama di vivere in pace e di rinnegare le guerre, uccide e depreda alle spalle dei suoi cittadini. No, non è corretto.

Uccide e depreda in nome dei suoi cittadini.

 

Sion si sentiva nauseato, gli sembrava di dover vomitare da un momento all'altro. Strinse forte il pugno, mentre gli occhi gli bruciavano pizzicati da lacrime che minacciavano di cadere. Come può l'uomo essere disposto a spingersi fino a questo punto? Dopo aver quasi distrutto tutto ciò che possedeva, e metà della stessa umanità, possibile che continuava a cedere al fascino dell'arroganza e della ricerca affannosa di potere e ricchezza?

 

Seduto a terra, con il pugno stretto in petto, fissava nel vuoto. La testa gli martellava, il mondo sembrava girare freneticamente intorno a lui, come se non fosse più intenzionato a fermarsi. Era nauseato dall'essere un cittadino di no.6, nauseato dall'essere un essere umano. Se la loro natura era quella, se avrebbe finito per sbagliare ancora ed ancora, per quante volte compisse gli stessi errori anche a costi terribilmente alti, allora avrebbe preferito non essere un essere umano affatto.

 

Dove... dove abbiamo sbagliato?

 

 

"Ohi, si può sapere che ci fai lì?"

 

All'improvviso suono della voce alzò la testa. Nezumi si trovava in piedi poggiato allo stipite della porta, braccia conserte e sguardo interrogativo. Le labbra di Sion si mossero, ma nessuna parola lasciava la sua bocca. Non riusciva a rispondergli, non sapeva nemmeno cosa avrebbe potuto rispondergli. La testa era piena di interrogativi, di pensieri, di domande. Gli sembrava di voler gridare, di voler piangere, di voler fuggire via dalla stanza o di voler scomparire, o semplicemente di voler chiedere a Nezumi di ucciderlo lì, perché quello che aveva scoperto era troppo da sopportare persino per lui.

 

Ma l'unica cosa che si limitò a fare fu fissare Nezumi, con la bocca aperta e i grandi occhi sgranati. Non sapeva davvero cosa dire. Sperava quasi che Nezumi si inginocchiasse davanti a lui, gli posasse una mano sulla spalla e gli dicesse non preoccuparti, riuscirai a superarlo, ma sapeva piuttosto che quelle che lo aspettavano, sarebbero state parole dure, il rimando che era proprio quella la sua natura, la sua origine, la forma del suo animo, i suoi veri colori. Tu fai parte di quel mondo, sei nato dallo stesso grande grembo che ha generato quell'arroganza, quell'ipocrisia, quella spietatezza, la sconsideratezza che spinge i tuoi simili a ripetere all'infinito gli stessi errori.

 

Il suo stomaco si contorceva e divincolava convulsamente. Abbassò gli occhi, incapace di reggere lo sguardo dei due occhi grigi che lo scrutavano. Nezumi, tu lo sapevi? Sapevi che No.6 ha commesso tutto questo? Sapevi fino a che punto si spinge la crudeltà della città in cui sono nato e cresciuto?

 

All'improvviso, il nome della persona che aveva firmato la lettera gli tornò alla mente. 'Eve'.

 

Quel nome, è solo una coincidenza?e se così non fosse? E se fosse legato alla ragione per cui odi così tanto no.6? E se ti avessero fatto del male? E se...

 

"Sion?"

 

Incapace di ascoltare la voce che lo chiamava, continuava a fissare il vuoto.

 

Io non so nulla di te. Non hai mai voluto dirmi nulla del motivo per cui odi no.6. Non so dove sei nato, non so nulla dei tuoi genitori, non so per quanto tempo hai vissuto in questa casa, o perché quel giorno di quattro anni fa eri fuggito dal penitenziario. Non conosco nemmeno il tuo nome. Non hai mai voluto dirmi nulla di te, non mi permetti nemmeno di essere nella stessa stanza nel momento in cui ti cambi....

 

I meccanismi del suo cervello sembravano ormai girare fuori controllo. Le parole della lettera gli tornarono alla mente. Parole di una madre che chiedeva perdono a suo figlio per una cicatrice sulla schiena, fatta per proteggerla.

 

"è colpa mia se dovrai portare una cicatrice così grande nel cuore. Così come la cicatrice dell'ustione sulla schiena che ti sei fatto tentando di proteggermi."

 

 

Se fosse stata questa la verità, Eve, l'odio verso no.6. Possibile che Nezumi non gli avesse mai mostrato la schiena perchè nascondeva una cicatrice? Se era così allora...

 

Si sentì afferrare rudemente il mento, e alzò gli occhi per incontrare due occhi grigi furenti. Nezumi si era accovacciato davanti a lui e lo guardava impaziente.

 

"è mezz'ora che ti chiamo, si può sapere che hai da imbambolarti in quel modo?"

 

Automaticamente, con una mano tremante, Sion allungò il braccio verso Nezumi. Senza dire una parola, con uno strattone, Nezumi lasciò il mento di Sion che ricadde verso il basso come senza vita, e gli prese la lettera dalle mani. Sion non sapeva quale espressione avesse il viso di Nezumi mentre prendeva la lettera o lasciava scorrere i suoi occhi lungo i fogli, ma al suono di Nezumi che schioccava la lingua sollevò la testa.

 

Nezumi, ancora accucciato, lo guardava con un sorriso sarcastico e uno sguardo crudele. "E allora?"

 

Sion lo guardò per qualche secondo ad occhi sgranati, come se l'altro gli avesse parlato in una lingua incomprensibile, poi scosse leggermente la testa.

 

All'improvviso si sentì più leggero, come se un grosso peso gli fosse stato sollevato dalle spalle.

 

Ma certo, Nezumi non poteva sapere cosa passava per la sua testa in quel momento. Aveva dato per scontato che l'altro conoscesse il contenuto del libro o della lettera, che sapesse qualcosa di tutta quella storia, ma forse erano davvero semplici congetture. Il nome su quella lettera, il fatto che Nezumi era sembrato a disagio a spogliarsi davanti a lui, dovevano essere tutte coincidente, tutte sue mere congetture. Nezumi non centrava nulla col popolo della foresta, la città dove Sion era nato e cresciuto non aveva ucciso l'intera famiglia della persona che era per lui più importante. No, non lo aveva fatto, era impossibile, se fosse stato così non se lo sarebbe mai riuscito a perdonare, mai.

 

Mai.

 

"Dunque? Sei commosso per questa storiellina toccante della mammina che dice addio al figlioletto e sei rimasto senza parole?"

 

Non me lo perdonerei mai...

 

Sion guardò Nezumi negli occhi. Era quasi impercettibile, ma c'era una strana luce in quegli occhi grigi. Una luce che non gli aveva mai visto. Sembrava... tristezza.

 

No, mi sto sbagliando, Nezumi non centra nulla con questa storia, non può aver subito un destino così crudele, se così fosse io non avrei nemmeno il diritto di stargli vicino, perchè farei parte degli assassini che avrebbero sterminato la sua famiglia, e io non potrei sopportarlo, non potrei....

 

Nezumi si sollevò, avvicinandosi alla porta. Poco prima di uscire, si girò appena, guardandolo. I suoi occhi avevano un'espressione più gentile.

 

"Sion. Non ti stai sbagliando, quelli che hai avuto modo di vedere sono proprio i veri colori della città dove sei nato."

 

L'eco delle sue parole fu sostituito da quello dei passi che si allontanavano. Pochi secondi più tardi, solo il silenzio regnava nella stanza.

 

 

Se fosse così non dovresti essere così gentile con me, non avresti dovuto nemmeno salvarmi così tante volte. Dovresti odiarmi, pressarmi per avere risposte, farmi del male, punirmi, dirmi che il mio peccato è imperdonabile....

 

Non dovresti essere così gentile con me, perchè io altrimenti... non mi sentirei nemmeno degno di amarti così tanto....

 

 

Per diversi lunghissimi minuti, piccoli singhiozzi sopiti furono l'unico suono ad echeggiare nella stanza.

 

***

 

Tornato nella stanza principale, trovò Nezumi intento a leggere un libro. La pentola fumante sulla stufa emanava un profumo che aveva riempito l'intera stanza. Il solo odore di cibo fece muovere qualcosa nel suo stomaco in disgusto. Era completamente bloccato. Non mangiava dall'ora di pranzo, ma era sicuro che se avesse mandato giù anche solo un boccone avrebbe finito per riversare l'intero stomaco sul pavimento. Scosse la testa, pensando che non doveva essere uno spettacolo che Nezumi era così impaziente di vedere, e decise che era meglio saltare completamente la cena per quella sera. Si avvicinò allo scaffale prendendo un libro, mentre il suo coinquilino gli lanciava uno sguardo falsamente distratto. Sapeva che Nezumi era ben consapevole del fatto che avesse passato almeno l'ultima mezz'ora a piangere, ma anche così gli stava dando i suoi spazi. Si trattava di un discorso che avrebbero affrontato di sicuro, le ultime parole di Nezumi prima di lasciare la stanza erano state oltremodo chiare. Ma in quel momento gli stava lasciando i suoi spazi, attendendo che Sion fosse stato pronto per parlare.

 

Parli freddamente, dici che non possiamo che essere estranei, che sei sicuro diventeremo nemici, eppure riesci a mostrarmi questa gentilezza nei momenti in cui sento di aver più bisogno di te... Nezumi...

 

Nezumi si alzò dalla sua sedia, ed andò a mescolare la zuppa nella pentola. Guardò Sion con un'espressione leggermente preoccupata e tornò alla zuppa.

 

"Hai fame? Dovrebbe essere pronta a breve. Se non te la senti di mangiare ora potrei lasciartela sul fuoco, la mangerai più tardi."

 

Sion lo ringraziò distrattamente e chinò la testa sul libro. Non riusciva a capire nulla di quello che leggeva, ma in quel momento non riusciva a trovare il coraggio di portarsi a guardare Nezumi negli occhi. Non riusciva a togliersi dalla testa che ogni qual volta Nezumi lo guardava, non doveva vedere altro che un arrogante egoista assassino... membro del popolo della foresta o meno, Nezumi conosceva bene cosa era capace di fare la città in cui era nato. Lo sapeva bene, così come tutte le persone che vivevano da questa parte delle mura. Nezumi, Inukashi, Rikiga-san, la piccola Karan o il piccolo Rico, le persone che incontrava ogni giorno nel mercato. Negozianti, mendicanti, i clienti di Inukashi, i poveri che morivano ai bordi delle strade di freddo o di fame. Ogni singolo residente di questa parte del muro era una vittima della città in cui era nato.

 

Squit squit.’

 

Sion alzò la testa, guardando verso Nezumi. Il ragazzo era accovacciato a terra, e stava sollevando tra le mani un piccolo topolino marrone. Nella sua bocca c'era una piccola capsula. Una lettera di sua madre?

 

Senza dire una parola, Nezumi prese la capsula tra le mani e la lesse. La sua espressione si fece sempre più indecifrabile. Terminata la lettura si alzò in piedi, e camminò verso Sion. Gli si fermò davanti, aprendogli davanti il palmo della mano. Un bigliettino dove poteva vedere una scrittura appartenente chiaramente a sua madre si trovava al centro di esso.

 

Sion allungò la mano con esitazione, mentre continuava ad evitare lo sguardo dell'altro. Non sapeva perchè ma aveva uno strano presentimento. Nezumi attese immobile che prendesse il piccolo biglietto tra le mani, poi restò davanti a lui con le braccia conserte. Sion trattenne il respiro mentre leggeva il biglietto.

 

Sion. Qui sta accadendo qualcosa di strano. L'ho visto con i miei occhi, la gente invecchia all'improvviso e muore nel giro di un attimo. La città è nel panico, è scoppiato il caos. Spero tu stia bene, ti voglio bene e spero di rivederti presto. Karan.

 

Sion fissò il biglietto ad occhi sgranati. La gente invecchiava e moriva nel giro di un attimo...

 

"Le vespe parassite, sono attive ancora adesso...."

 

"Già. Allora, cosa pensi di fare?"

 

Sion alzò il viso di scatto, guardando l'altro negli occhi. Cosa pensava di fare?

Il ricordo delle parole di quella lettera tornarono alla mente. Il popolo della foresta, il modo disumano in cui no.6 li aveva attaccati per inseguire la propria bramosia...

e ora le vespe parassite stavano riscuotendo la vendetta per tutto quello che quel popolo bieco e senza scrupoli aveva compiuto, eppure....

 

"Spero tu stia bene, ti voglio bene e spero di rivederti presto. Karan."

 

Mamma....

 

Un popolo arrogante e presuntuoso, ma in mezzo a quel popolo c'era pur sempre sua madre.... le persone a lui care.

 

"Nezumi... anche così..." chinò il capo, stringendo il suo pugno contro il petto. "Non ci riesco..."

 

Nezumi schioccò la lingua e si voltò di spalle, tornando alla pentola che bruciava sulla stufa.

"Mi sembra di avertelo detto, Sion. Se anche dopo aver saputo la verità resterai dalla parte di No.6, noi saremo nemici."

 

Sion fissò le spalle di Nezumi, le cui nocche stavano diventando bianche dal modo in cui stava stringendo il cucchiaio di legno. Sion sospirò e lanciò uno sguardo nella stanza in silenzio.

 

...tornare solo in questa stanza... Non ti conosco ancora bene ma penso che qualcosa di te sto cominciando a capirla... Nezumi... nemmeno tu vorresti tornare solo.... non è forse così?

 

All'improvviso vide Nezumi ondeggiare lievemente, e prima di rendersene conto, il suo corpo stava già scattando in avanti gridando il nome dell'altro.

"NEZUMI!"

 

Era successo all'improvviso. Un attimo prima Nezumi si trovava davanti alla stufa che mescolava lo stufato, l'attimo successivo lo aveva visto collassare al pavimento. La stufa era caduta con lui, lo stufato sparpagliato sul pavimento insieme al cucchiaio di legno che era sfuggito dalle mani del ragazzo svenuto.

 

Sion era scattato subito verso di lui, afferrandolo un attimo prima che toccasse il pavimento ricoperto di zuppa bollente. Lo aveva afferrato da sotto le ascelle, il volto terribilmente pallido e un'espressione che sembrava ansiosa e spaventata. Il corpo di Nezumi era pesante, completamente abbandonato, le palpebre chiuse e la frangia che gli ricopriva gli occhi sul capo accasciato. Appellandosi al tutta la forza che riusciva a chiamare in raccolta, Sion cercò di trascinare il ragazzo lontano dalla zuppa, lasciandosi ricadere infine al pavimento.

 

No.

 

No. No. No. No.

 

Sion strinse forte al petto il corpo tra le sue braccia, affondando il capo nell'incavo del collo di Nezumi.

Il profumo di Nezumi...

L'odore del ragazzo che gli invadeva le narici sembrava l'unica cosa che impedisse al suo cuore di esplodere. Non riusciva a muoversi. In quel momento riusciva solo a restare in ascolto del suo respiro.

 

Nezumi respirava lentamente, mentre il suo corpo tremava tra i gemiti sopiti. Sion affondò maggiormente il viso nella sua spalla, circondandolo con braccia tremanti. Non sapeva cosa fare. La sua mente era vuota, completamente bianca e incapace di prendere qualsiasi decisione razionale.

 

Nezumi.... Nezumi...” Continuava a chiamare il suo nome come in una cantilena, le lacrime gli bagnavano il viso finendo assorbite dal collo della camicia dell'altro.

 

No....Non potrei sopportarlo... Se dovessi perderti non sarei in grado di mantenere la mia sanità mentale.... Io impazzirei completamente....

 

è troppo.... Cosa devo fare?

 

Il corpo di Nezumi aveva cominciato a scottare, e il suo sudore gli aveva inumidito le mani. Sion sentì Nezumi gemere lievemente, rendendosi conto solo in quel momento che lo stava stringendo forte. Avrebbe dovuto lasciargli spazio per respirare, si trattava di una delle prime nozioni di pronto soccorso che aveva imparato nel corso speciale. Ma dal momento in cui aveva visto il corpo di Nezumi cadere, tutte quelle nozioni sembravano completamente svanite dalla sua mente.

Devi muoverti. Datti una mossa, invece di piangere e singhiozzare. Non sei capace di fare altro all'infuori di tenerlo tra le tue braccia?

 

Sion tirò un lungo respiro, distendendo a terra Nezumi, sollevandogli leggermente il capo con il tessuto di superfibra.

 

Cercando di calmare il cuore che gli martellava in petto, con una mano tremante scostò una ciocca di capelli dal suo collo. Nella mente l'immagine del corpo di Yamase-san invecchiato e distorto per sempre in un espressione terrorizzata.

 

No... non anche tu...

 

Tastò il collo con le mani, il terrore di trovare una vescica sotto le punte delle sue dita gli gonfiava il cuore.

 

Non c'è nulla....

 

Solo dopo essersi accertato che non c'era alcun bozzo sul collo, si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento. Sion tirò un grosso respiro di sollievo, e guardò il corpo disteso al pavimento con uno sguardo determinato.

 

Calmo, devo stare calmo...

 

Inginocchiandosi a terra accanto a Nezumi, gli aprì la camicia, per controllare la presenza di cicatrici o strane macchie. Per diversi istanti rimase immobile, fissando come in trance quella pelle diafana. Per la seconda volta si era ritrovato a trattenere il respiro. Era la prima volta che gli capitava di vedere il corpo di Nezumi. La pelle era talmente liscia e priva d'imperfezioni da sembrare appartenere ad una bambola, una creazione artificiale frutto di mani esperte. Era liscia, candida, e scendeva lungo il suo corpo scolpendolo con maestria. I pettorali che salivano leggermente su e giù con il respiro, la delicatezza del ventre piatto, il giro vita sottile ma che lasciava intravedere i muscoli che gli scolpivano l'addome. Una statua, come quelle che aveva visto in quei libri di storia greca che aveva trovato nel mucchio di libri nella loro piccola stanza... Scosse vigorosamente il capo, cercando di riscuotersi dal suo stato di trance. Non era il momento di spaziare tra le nuvole. Raggiunse il polso dell'altro con la mano, sollevandogli delicatamente la mano con la sua, e tastò leggermente l'arteria con la punta delle dita. Poteva sentire il battito del cuore sotto la sua pelle.

 

È vivo...

 

Tenendo ancora la mano tra le sue, posò il palmo dell'altra sulla pelle nuda, a direzione del cuore. Chiudendo i suoi occhi, Sion si concentrò sul battito che avvertiva sotto la sua pelle.

 

Tum tum tum

 

Se ti avessi perso, io...

 

Tum tum tum

 

Rimase immobile per lunghi infiniti attimi. Con gli occhi chiusi, il suo intero corpo sembrava teso in ascolto di quello di Nezumi. Lo percepiva con le orecchie. Lo avvertiva con il tatto. Lo sentiva con il suo stesso cuore, concentrato su quell'unica esistenza. In quel momento l'intero mondo era composto solo da Nezumi.

 

Il suo battito. Il suo calore. I simboli della sua vita.

 

"Nhh"

 

Nezumi aveva emesso un gemito, girando leggermente il capo. Sion spalancò gli occhi, dandosi dello stupido quando si rese conto di quello che stava facendo esattamente. Se Nezumi avesse ripreso i sensi in quel momento e si fosse reso conto dell'imbarazzante posizione in cui si trovavano – Sion ad occhi chiusi inginocchiato davanti a Nezumi, quest'ultimo disteso sul pavimento con la camicia aperta. Con una mano nella sua e l'altra sul suo petto nudo -, lo avrebbe come minimo preso in giro chiamandolo maniaco, oppure...

 

"Nulla, questa stanza è davvero troppo stretta, vorrà dire che farò la mia doccia quando avrai finito. Stanza tutta tua, contento?"

 

Ma certo...

 

La mano di Sion scivolò sotto la camicia in direzione di un fianco del ragazzo disteso davanti a lui. Se vedessi la sua schiena in questo momento, potrei scoprire se è davvero lui.... potrei sapere se...

 

"Si...on..." Il viso di Nezumi si contrasse in un espressione sofferente, mentre il ragazzo chiamava il suo nome e stringeva inconsciamente la mano nella sua. La voce di Nezumi bloccò qualunque proposito Sion avesse avuto fino a quel momento.

 

No. non posso tradire la tua fiducia. Pensò stringendo delicatamente la mano tra le sue. La teneva come il gioiello più prezioso, accarezzandone gentilmente il dorso con la punta delle dita. Se questa è la verità e vorrai parlarmene, allora io aspetterò che sia tu a farlo. Si ripromise, mentre abbassava il proprio corpo per baciare leggermente il dorso della mano sollevata tra le sue. Io aspetterò... per tutto il tempo di cui avrai bisogno.

 

 

 

 

 

Nezumi!”
 

Le palpebre si aprirono lentamente, mostrando al mondo un paio d'occhi grigi. Nezumi cercò di mettere a fuoco quello che si trovava davanti, ma l'unica cosa che poteva vedere era una strana e meravigliosa tonalità di bianco. Sembrava risplendere di tinte cremisi che danzavano armoniosamente. Poteva anche vedere un lilla calmo e intenso. Non capiva perchè, ma questi due colori lo facevano sentire stranamente in pace. Se avesse potuto, avrebbe voluto restare così, a fissare quelle due tonalità per sempre. Nessuna preoccupazione, nessuna battaglia, nessuna paura e affanno per il domani e per la vita. Non c'era altro se non il bianco e il lilla, e quella serenità che avvertiva nel cuore. Lo sentiva sereno, caldo e leggero, la stessa sensazione che aveva provato in una notte tempestosa, dove oltre una finestra spalancata aveva trovato il calore di due braccia che lo avevano accolto sicure. Il lilla di un paio d'occhi che lo guardavano come se stessero guardando la cosa più sorprendente che avessero mai visto; e il bianco, candido e trasparente da cui si ritrovava incantato ogni qual volta vedeva i riflessi delle fiamme giocare tra le ombre e gli anfratti di quei capelli, quasi incapace di fermare la propria mano che sembrava impossessata da una forza incontrollabile che lo spingeva a lasciarvi scivolare in mezzo le proprie dita.

 

Sion.

 

Adesso ricordava. Stava pensando alle vespe parassite quando aveva cominciato a udire una canzone. C'era vento, un vento che...

 

Rispondimi, Nezumi!”


Una luce leggera si rifletteva nei suoi occhi, rendendo difficile distinguere i lineamenti del volto che aveva davanti. Poteva vedere solo le ciocche bianche oscillare, mentre incorniciavano il viso calato su di lui. Sotto di sé sentiva il pavimento rigido e duro, ma la sua testa era sollevata da qualcosa di soffice. “Sion.”

“Nezumi! Sei sveglio ora? Riesci a vedermi?” Sion lo fissava con un'espressione indecifrabile. La voce di Sion suonava incredibilmente preoccupata, e di tanto in tanto sembrava interrotta da un debole singhiozzo. Nezumi strinse gli occhi, mettendo finalmente a fuoco il viso del ragazzo davanti a sé. Gli occhi erano privi di lacrime, ma erano palesemente gonfi e arrossati. Poteva distinguere chiaramente i segni del passaggio delle lacrime lungo le guance.
Sei uno stupido... credevo di averti già detto di piangere solo per te stesso.


“Sì.” disse Nezumi tirandosi lentamente a sedere, mentre Sion si raddrizzava, rimanendo in ginocchio accanto a lui. Si sentiva ancora un po' frastornato, ma non avvertiva più il malessere che aveva causato il suo svenimento. Il vento è finalmente svanito...

 

Il suo sguardo ricadde sulla sua mano, sulla quale aveva intensificato impercettibilmente la presa, al ricordo di ciò che aveva visto poco prima. Era piacevolmente calda, al contrario del suo resto del corpo che sentiva freddo e sudato. Il calore che avvertiva non era altro che la mano di Sion. Si trovava nella sua, - anzi, era più corretto dire che la mano di Sion era stretta nella propria. - Poteva ancora sentire la sensazione della sua stessa mano aggrapparsi a lungo quella dell'altro. Vi si era aggrappato con una tale disperazione, come se si fosse trattata dell'unico appiglio per poter ritornare indietro.

 

Restò per qualche secondo in silenzio fissando le due mani congiunte. La mano di Sion, stretta tra le sue, appariva bianca. Doveva avergliela stretta incredibilmente forte.

Lasciò andare la presa, come se si fosse scottato all'improvviso, e non passò inosservata l'espressione delusa che attraversò per un attimo gli occhi di Sion.

 

Riesci a riconoscere dove ti trovi adesso?” Gli chiese Sion con una voce preoccupata mentre cercava di aiutarlo a mantenersi seduto, ma la sua mano venne scacciata immediatamente, - con un gesto che causò agli occhi viola di spalancarsi sorpresi (e addolorati).

Non si sarebbe appoggiato a lui, non intendeva appoggiarsi a nessuno. “Sul pavimento?” Disse guardando lo stufato rovesciato a poca distanza da loro. Se Sion non lo avesse afferrato in quel momento, a quest'ora si sarebbe ritrovato con una fastidiosa ustione sul volto, o se gli fosse caduta la stufa addosso, sarebbe potuto accadergli qualcosa di ben peggiore. Deglutì leggermente, guardando alle sue spalle seduto ancora a terra. Il tessuto di superfibra giaceva a poca distanza da lui. Sion doveva averlo usato per sollevargli il capo.


Sion lo guardava preoccupato. Ignorando la domanda che gli era stata appena rivolta, “Quanto fa tre più sette?” Continuò a chiedergli con impazienza.


Nezumi aggrottò le sopracciglia, sospirando pesantemente. “Cosa? Mi stai facendo degli indovinelli?”


“Rispondimi seriamente!" Disse Sion con urgenza. Sembrava sul punto di avere una crisi di nervi. "Quanto fa tre più sette?”


Nezumi sospirò, chiudendo leggermente gli occhi. Era di Sion che stava parlando, ottuso e testardo come pochi. Certe volte era più facile assecondarlo, anche solo per evitare un ennesimo mal di testa. “Dieci...”


“Si, corretto. Ora, quanto fa tre volte sette?”


“Sion, lo sai...” Si può sapere perchè sei così preoccupato... non ho bisogno di...


Sion lo guardava come se non ammettesse repliche. Non lo aveva mai visto così in preda al panico. Non quando era stato scacciato insieme con sua madre da Cronos e si era ritrovato a vivere in miseria, né quando aveva dovuto lasciare No.6 come un criminale, nemmeno quando era stato quasi ucciso dalla vespa parassita. E allora perchè lo era proprio ora? Noi siamo degli estranei, ricordi?

 

Tre volte sette, rispondimi seriamente.”


“Ventuno.” Smettila...

 

"Corretto. Ti gira la testa?”


“Per niente.” Smettila...


“Nausea?”


“Nada.” Non ho bisogno di qualcuno che nutra una apprensione così sincera per la mia salute. ...


“Mal di testa?”


“Nemmeno un minimo.” Non voglio una persona che si preoccupi seriamente per me.... Non ho bisogno di nessuno che tenga a me...


Sentimenti come apprensione, preoccupazione e premura ricadevano troppo facilmente in quello stato d'animo chiamato 'amore'. Non sentiva il bisogno di nulla di simile. Era perfettamente in grado di vivere senza, come aveva sempre fatto. Per lui erano qualcosa di non necessario.

 

Ma Sion non lo capiva.

 

Eccolo lì, gravato da ogni sorta di inutile bagaglio....

 

 

Esattamente cosa è successo..." La voce di Sion si era fatta bassa, quasi un filo di voce. Nezumi guardò il ragazzo davanti a lui, che sedeva al pavimento con il capo abbassato. Era quasi impercettibile ma vedeva le spalle di Sion tremare leggermente. Sembrava stanco, sfinito, quasi come se quello che era svenuto un attimo prima era stato lui. " Nezumi, " Continuò a domandargli con esitazione. "Quando sei svenuto, come ti sentivi? Riesci a descriverlo?”

 

Nezumi rimase un attimo in silenzio, mentre le immagini di quel 'sogno' – poteva chiamarlo così? - riaffioravano alla sua mente. Non lo ricordava più con precisione. Poteva ricordare solo un... “Vento... il vento soffiava.”


"Cosa?" Gli occhi sorpresi di Sion incrociarono i suoi, e Nezumi si trovò un attimo interdetto per l'intensità con cui lo guardavano. Come se stessero guardando l'unica cosa che conta al mondo....

 

Una debolezza, un peso che ti trascinerà giù fino ad annegarti....

 

"È questa la pesante pietra che porto al collo e che mi trascina a fondo, ma io amo questa pietra e non potrei viverne senza." La bocca di Nezumi si ripiegò in un sorriso amaro. "Sion, non avrai letto Chechov ultimamente, per caso?"

 

"Eh?" Sion guardò Nezumi come se fosse infine diventato pazzo, poi poggiò un dito sulle labbra, ed aggrottò le sopracciglia pensieroso. "Mhh--- penso di aver letto il 'Giardino dei Ciliegi' qualche settimana fa, perchè?"

 

"Niente,..." Nezumi scosse la testa, e il suo viso si fece di nuovo serio. Cosa era successo quando era svenuto? Non lo sapeva nemmeno lui. Stava pensando alle vespe parassite e a quella lettera. Ad una notte di dodici anni fa. Una notte che aveva rimosso dalla memoria, per quanto si fosse ripromesso che si sarebbe obbligato a non dimenticare un singolo ricordo che conservava del suo popolo. "Mantenere vivo il ricordo è l'unico modo per non lasciarli morire del tutto." Così si era ripetuto spesso. Parole recitate fino all'ossessione dalla vecchia che lo aveva cresciuto dopo quella fatidica notte. Era suo dovere ricordare. Pensava di ricordare, ed era convinto fosse così, eppure quella lettera lo aveva spiazzato. Non ne conosceva l'esistenza, non pensava che da qualche parte in quella casa ci fosse nascosto qualcosa di simile... le parole di sua madre. Non si aspettava di trovarle, eppure erano li, sbucate all'improvviso dopo 12 anni. La vecchia non gli aveva mai consegnato quella lettera, probabilmente in attesa che divenisse abbastanza grande per capire. Era morta quando lui aveva 10 anni. Lo aveva preso per mano, e lo aveva portato ad imbarcarsi in una missione suicida, con l'assurda convinzione di poter uccidere il sindaco in visita nel West Block per l'inaugurazione del penitenziario. Era stata uccisa davanti ai suoi occhi, e il segreto di quella lettera svanito per sempre insieme a lei. Almeno fino a quando Sion non l'aveva ritrovata.

Era questo che stava pensando poco prima, al modo in cui era morta sua madre. Non ricordava un granché di quella notte, solo un grande tempio che non aveva mai visto prima di quella sera, e gli occhi di sua madre mentre diceva che era suo dovere proteggere la loro 'divinità'. Poi ricordava solo delle grotte, ed una mano che lo portava via nel buio, fino al momento in cui era caduto a terra privo di sensi per la febbre. Quando si era risvegliato, si trovava solo in una stanza, circondato da un mare di libri e dai tre topolini che correvano ansiosamente intorno a lui. Uno di loro gli aveva portato un pezzo di pane, il primo pezzo di pane ammuffito che avesse mai assaggiato in vita sua – il primo di infiniti. Dopo quel giorno, non aveva più rivisto sua madre, o le figlie della vecchia che erano rimaste indietro insieme a lei. La vecchia era ritornata dopo tre giorni, durante i quali era rimasto senza cibo o acqua in preda alla febbre, – e una dolorosissima ustione alla schiena, rabbrividiva ancora al ricordo, - e non gli aveva mai spiegato cosa fosse successo a sua madre o alle due giovani ragazze. Da quel giorno era diventata un'altra persona, almeno da quello che ricordava nei suoi ricordi da bambino, e la vecchia premurosa sciamana si era trasformata in una persona assetata d'odio e vendetta, che non si stancava di ripetergli di non aspettare gentilezza e felicità dal mondo, perchè il mondo non era quel tipo di posto. Non che si trovasse in disaccordo con un tale punto di vista, visti gli eventi e le persone che aveva incontrato poi. Dopotutto, l'unica mano estesa verso di lui senza chiedere nulla in cambio era stata....

Eppure gli eventi di quella lontana sera avevano cominciato a sbiadire, lasciando solo i contorni di un odio che aveva continuato ad ardere nel suo cuore come sua sola ragione di vita.

Odia. Ricorda. Non dimenticare. Non smettere per un solo istante di odiare.

 

Cosa significava quella lettera, le parole che non capiva ma che necessitava di comprendere. La divinità, il cantore, il fuoco. Ecco a cosa stava pensando quando aveva perso i sensi.

 

E poi....poi c'era stato il vento.

 

 

Il vento porta via le anime, l'uomo cattura il cuore.
La terra, gli elementi, il cielo, la luce.
Lascia che tutto questo resti qui.


La voce sembrava che cantasse qualcosa di simile a questo.
 

Aveva sentito una voce. Lo aveva chiamato per nome, il suo vero nome.

 

 

 

Si trovava in mezzo all'erba. Il vento soffiava gentile accarezzandogli il volto. Il sole era caldo. Sentiva l'odore dei fiori e degli alberi pieni di frutti. Doveva essere un sogno, ma il suo intero corpo sembrava esplodere di vitalità. La vista, il tatto, l'udito, l'olfatto, poteva sentire ognuno dei propri sensi gridare a gran voce che non si trattava di un sogno, ma di un'esperienza reale ed autentica. Si sentiva a casa, come mai si era sentito negli ultimi dodici anni. Poteva chiudere gli occhi e sentire le voci di tutta la natura parlare direttamente con il suo cuore. Le piante, gli alberi, le acque dei laghi in lontananza, gli animali, il sole, il vento. Sentiva distintamente le loro voci che gli parlavano chiare. Era come se fosse nato per questo, se fosse stato qualcosa per cui era destinato ancor prima della sua nascita. Il suo cuore sembrava far parte della natura stessa. Un tutt' uno con essa, in pace ed armonia con tutto quello che lo circondava. Il cielo era azzurro chiaro, di una limpidezza che gli sembrava di non aver mai visto in tutta la sua vita. I fili d'erba gli solleticavano i piedi nudi mentre camminava in direzione di quella voce. Erano piccoli, i piedi di un bambino. Il suo intero corpo sembrava essere tornato all'età dell'innocenza.

 

C'era un albero di faggio davanti a lui, e oltre il suo tronco si trovava la persona la cui voce sembrava accarezzare l'intera foresta, proprio come faceva il vento in quel momento. Il ronzio degli insetti ne accompagnava la melodia come in un'orchestra.

 

Allungò la sua piccola manina, posandola delicatamente contro il tronco scuro dell'albero. Poteva vedere dei lunghi capelli neri danzare nella brezza leggera. Numerose piccole ombre nere stavano danzando davanti ai suoi occhi.

Una, un'altra, un'altra ancora. Numerosi insetti fluttuavano contro il cielo azzurro, formando nell'aria disegni circolari.

Avanzò di un passo verso quella figura che sedeva di spalle ai piedi dell'albero. Al fruscio dell'erba che si piegava sotto i suoi piccoli passi, gli insetti si dispersero in tutte le direzioni, solo per riunirsi di nuovo in un altro luogo.

 

Stanno danzando.

Danzano al suono della voce che canta.

Vide una ciocca ribelle venire spinta da lunghe dita sottili oltre un orecchio, mentre una voce gentile proseguiva il suo canto. Avanzò di un'altro passo, e la voce si fermò. Non poteva vedere il suo viso, ma una mano si allungò verso di lui come in un invito gentile.


“Avvicinati.”

Era una voce estremamente dolce e gentile.

“Lascia che ti insegni come cantare. Lascia che ti insegni canti di cui hai bisogno per sopravvivere. Vieni accanto a me.”

 

Il vento porta via le anime, l'uomo cattura i cuori.

Ma io resterò qui.

Io continuerò a cantare.

Ti prego,

Lascia che la mia canzone ti raggiunga.

Ti prego,

Accetta la mia canzone.

 

 

Il suono del ronzio degli insetti si era fatto più intenso. Echeggiava incessantemente nelle sue orecchie, facendo vibrare l'aria. Le ombre nere danzavano frenetiche. La voce gentile gli sembrava nostalgica, come un dolce ricordo lontano ritrovato dopo tempo immemore. Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal canto, dal vento, dalla natura intera che vibrava al suono di quella voce. Si sentiva a casa, come non si era sentito da tempo.


Ah, questa scena...

 

Era sereno. Una serenità che solo chi gode dell'innocenza di un bambino può provare. Nessuna battaglia, niente fatiche per sopravvivere, nessun pericolo, nessuno che tradisce o pugnala alle spalle. Immemore del mondo e della sua crudeltà, consapevole solo di gioie e calore.

 

Calore....

 

Ma lui... non era più così.

 

Non c'è giorno in cui non debba combattere per continuare a sopravvivere...

 

Da tempo non viveva più nell'inconsapevolezza del mondo.

 

Non mi aspetto gentilezza e felicità dal mondo, perchè il mondo non è quel tipo di posto...

 

"Resta fermo, è inutile combattere senza risultato. Nessuno sarà disposta a salvarti... " Erano stati i suoi stessi pensieri un giorno, quando anche chi lo aveva cresciuto per due anni, dopo averlo accolto da una montagna di cadaveri, lo aveva consegnato al suo nemico.

 

Correre freddo e sanguinante in una fogna, ecco dove lo avevano condotto la sua fiducia nel prossimo, e poi....

 

poi....

 

 

"Ti curerò la ferita. Sei ferito, non è vero? Lascia che ti curi."

 

 

 

"Si...on."

 

 

Aveva riaperto gli occhi ritrovando Sion preoccupato accanto a sé. Gli aveva afferrato la mano mentre era incosciente, - mentre sentiva la sua anima venire lentamente risucchiata dalla forza di quel vento gentile ma incontrastabile. Non sapeva cosa significasse quello che aveva visto, ma non poteva fare a meno di pensare che fosse in qualche modo collegato a quella lettera.

 

Era molto strano. E quelle vespe poi...

 

"Sion."

 

"Si?"

 

"Quella lettera. Dove l'hai trovata?"

 

Sion aveva sgranato gli occhi, poi aveva abbassato il capo e senza una parola aveva lasciato la stanza. Terrore. Ecco cosa aveva visto in quel frangente nei suoi occhi. Nezumi rimase a guardare nella direzione verso cui era svanito Sion. Si fissò la mano con cui aveva afferrato quella di Sion inconsciamente. Poteva ancora sentire la sensazione di aver afferrato qualcosa con forza, e il calore dell'altro contro la propria pelle.

 

Non ho alcuna intenzione di appoggiarmi a te. Io non mi fido di te. Le persone svaniscono, lasciando dietro di sé solo un vuoto incolmabile. Io non posso... permettermi questi errori.

 

 

 

Sion entrò nella stanza e sollevò la trave di legno. Raccolse lentamente dal suo nascondiglio il libro rivestito in pelle con cui era ormai famigliare. Il simbolo a forma di vespa faceva mostra di sé al centro della copertina. Poteva ancora ricordare il sordo terrore che aveva provato al pensiero di vedere uscire una di quelle vespe dal collo di Nezumi da un momento all'altro. La paura di perderlo che aveva provato poco fa era ancora terribilmente tangibile dentro di lui. Sospirò chiudendo i suoi occhi, cercando di calmare il ritmo del suo respiro che aveva di nuovo cominciato ad accelerare.

La divinità, le vespe parassite. Informazioni che aveva trovato all'interno del libro. La Divinità, o Dominatrice, proteggeva la foresta e la tribù, e in cambio il Popolo della Foresta o Popolo di Mao forniva il Letto della Divinità, - l'ospite dove deporre le uova, composto a quanto pare da un cervello animale- alla Dea. Le uova della Divinità non erano altro che uova della vespa parassita, da cui ogni 10 anni ciclicamente sarebbe rinata la Dea stessa, in un ciclo di morte e rinascita. No.6, alla ricerca di tale potere, aveva distrutto il popolo protetto dalla Divinità. Ed in qualche modo le vespe parassite avevano cominciato ad attaccare i cittadini. Lo aveva visto con i suoi stessi occhi. Invecchiavano all'improvviso e morivano, e dal collo del cadavere una vespa sarebbe venuta fuori. Lui stesso ne era caduto vittima, ma Nezumi aveva estratto la vespa prima della sua nascita, anche sé, stando a quello che erano riusciti a comprendere, la vespa che lo aveva colpito non era riuscita a trasformarsi in Imago. Qualcosa era andato storto nella sua trasformazione. Era grazie a questo che si era salvato, ma in cambio i suoi capelli avevano perso tutto il loro colore, e sul suo corpo si era formata una cicatrice che lo percorreva dalla caviglia sinistra fino al collo. Nezumi diceva che la cicatrice non aveva intaccato nessuna vena ma era limitata a livello superficiale, tuttavia nessuno delle altre due vittime che aveva visto avevano subito la stessa sorte. Non conosceva i dettagli riguardanti l'uomo del parco, ma Yamase-san era invecchiato velocemente e morto in brevissimo tempo. Ricordava il suo collega appassire davanti a lui come un vecchio albero, prima di cadere a terra senza respiro né battito. Era morto nel giro di pochissimi istanti quasi senza soffrire. E di tali morti era stato accusato lui dalle autorità cittadine. Lo avevano arrestato, e senza nemmeno un processo lo avevano scortato al penitenziario quando Nezumi lo aveva liberato, portandolo poi con sé nel West Block. Aveva pensato di creare un siero, approfittando del periodo invernale in cui le vespe sarebbero state in letargo, eppure proprio oggi aveva ricevuto una lettera da sua madre in cui aveva appreso che le vespe parassite erano in azione, uccidendo diverse persone fino a scatenare il panico in città. Sua madre non sapeva nulla di quanto gli era accaduto, e se da cittadina comune era a conoscenza di quello che stava accadendo ed aveva sentito il bisogno di farglielo conoscere, doveva trattarsi di una situazione sfuggita del tutto al controllo delle autorità. Era terribilmente in ansia per sua madre e le persone che conosceva all'interno della città.

 

Strinse il libro al petto. Quella lettera si trovava proprio al suo interno. Sion fissò immobile la piccola botola dove più di una settimana fa aveva scoperto il libro, poi si girò per raggiungere Nezumi. Qualunque cosa questo libro significasse... qualunque fosse il motivo della sua presenza in casa dell'altro... qualunque fosse il significato delle strane coincidenze che indicava quella lettera... solo Nezumi avrebbe dovuto decidere. Qualunque cosa l'altro avesse deciso di dirgli o di fare, lui avrebbe accettato comunque.

 

Uscì dalla stanza, mentre la sua mente registrava a malapena la presenza di un oggetto con lo stesso simbolo che compariva sulla copertina del libro, all'interno della botola.

 

 

 

Sion richiuse la porta alle sue spalle, reggendo il vecchio tomo rilegato in pelle marrone contro il petto. Nezumi si trovava in piedi accanto al tavolo e stava versando un po' di acqua in un bicchiere. Gli occhi di Sion si spostarono sulla zuppa sparsa sul pavimento, dove la stufa ormai spenta era ancora riversa al pavimento. Un brivido, non solo di freddo, gli attraversò tutto il corpo, mentre uno strano presentimento gli appesantiva il cuore. La stanza era gelida, segno che era passato diverso tempo da quando la stufa si era spenta, e il vento che soffiava al di fuori filtrava attraverso le pareti, fischiando forte. I tre topolini avevano leccato parte della zuppa dal pavimento, ed ora si trovavano in cima ad una pila di libri stretti l'uno con l'altro, quasi impauriti dall'atmosfera tesa della stanza. Con esitazione, Sion si avvicinò a Nezumi. Era la prima volta che provasse tanta ansia e terrore nell'incontrare quei meravigliosi occhi grigi.

 

Nezumi lo fissava in silenzio, poggiato in piedi contro il tavolo. Sion gli porse il libro, il tono di voce triste ma determinato.

 

"Questo l'ho trovato in una specie di nascondiglio in quella stanza una settimana fa." Disse, mentre scrutava il volto di Nezumi, cercando di cogliere ogni minimo cambio d'espressione nei due occhi grigi. Aveva deciso di accettare qualunque conseguenza, ma desiderava spiegare tutto dal principio, sentiva di doverlo fare. "L'ho trovato per caso... non pensavo fosse importante ed ho pensato di non dirti nulla al principio. Doveva essere un gioco.... Poi mi sono reso conto che ciò di cui parlava per davvero-" proseguì, ma la sua voce si faceva sempre più insicura ed esitante. La mano che reggeva il libro, immobile a mezz'aria, tremava impercettibilmente. " - non erano altro che le vespe parassite."

 

Nezumi lo guardava in silenzio, il libro ancora tra le mani di Sion. Attendeva di ascoltare le spiegazioni dell'altro. Aveva intenzione di ascoltare le sue parole una per una.

 

"Q-quando mi sono reso conto che parlava proprio di loro, ho pensato che avrei dovuto aspettare a dirtelo, che te lo avrei detto di sicuro, ma dovevo aspettare.... avrei potuto trovare un modo per salvare i cittadini. "Un lampo d'ira balenò negli occhi di Nezumi. Sion si affrettò a continuare. "P-però non ho trovato nulla, e prima che lo sapessi avevo già finito il libro." Gli occhi di Sion si spostarono sul simbolo sulla copertina.

 

"È tutto qui. Ciò che ho trovato è la storia di un popolo che viveva in pace e armonia con la natura. -che ha fatto tutto quello che l'arroganza del resto degli uomini ha sempre impedito di fare... e da quella lettera ho scoperto che quel popolo è stato spazzato via da nessun'altro che No.6... " Sion strinse il libro con forza, le nocche delle mani persero tutto il loro colore. "A-Avevi ragione... credevo di sapere ma in realtà non sapevo ancora nulla... e la prima cosa che ho fatto è stato giustificare gli altri, giustificare me stesso." Gli occhi gli bruciavano, ma non voleva piangere, non poteva permettersi di farlo. Ci sono casi in cui piangere per qualcuno è la più grande mancanza di rispetto che si possa avere per questa persona. E poi, queste lacrime non sarebbero state per le vittime di No.6, ma per il suo stesso ego di cittadino, colpito duramente in quell'immagine della città nel suo cuore che non voleva cadere, nemmeno sotto i più duri colpi dei cannoni della realtà. Diceva di conoscere ormai la realtà, ma eccolo sul punto di piangere, incapace di accettare una verità scomoda. Fuggire e rinnegare, le uniche cose che riusciva a fare meglio.

 

Nezumi strappò il libro dalle sue mani e senza aggiungere una parola lasciò la stanza.

 

Per tutta la notte, Sion restò sveglio nell'attesa di un suo ritorno.

 

 

Continua...

 

 

 

-NOTE-

La cascata l'ho inventata io, ma la fonte con i fiorellini rosa è vera ><.

Nella novel Nezumi non ha mai mostrato a Sion la cicatrice. Lo viene a scoprire solo quando il vecchio della caverna racconta del popolo della foresta, parlando anche dell'incendio (e stiamo parlando di dopo essere entrati nel penitenziario. Sion si domanda come ha fatto a non accorgersene mai.).

Qui mi sono riferita al tempo che hanno vissuto insieme come circa 3 mesi. Non è possibile stabilirlo con esattezza: gli unici dati sono un "tardo autunno" ad un mese da quando Nezumi salva Sion (La scena del mercato in pratica); e inverno inoltrato. Questa storia comincia una settimana prima (circa) del finale della novel in pratica (basta pensare che dalla fine del 4 libro al 9 si dovrebbe svolgere tutto in un giorno o due... ovvero dalla loro cattura a quando escono dal penitenziario). Poco dopo il rapimento di Safu, c'è una signora che pensa che l'holy celebration è tra una settimana. E questa scena avviene 3 giorni dopo il rapimento di Safu. Il topolino di Nezumi impiega 1 giorno intero per arrivare da no.6... in pratica dalla scena scegli me o no.6 alla fine della novel dovrebbero intercorrere 8/10 giorni, non di più.

 

Rose-street vero nome della città originale dove sorge ora il West Block. Città di cui sono originari Karan, Rikiga, il vecchio delle grotte (Rou) e altri.

 

La citazione dal giardino dei ciliegi, il pezzo non è stato scelto a caso, è una citazione di apertura di uno dei capitoli della novel (vol 2 capitolo 4)

 

  
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