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Autore: ElyTheStrange    11/01/2012    2 recensioni
Quando una persona cara viene a mancare, è possibile provare diversi sentimenti: tristezza, disperazione, angoscia, frustrazione, paura. George Weasley non provava nulla di tutto questo. A dirla tutta, da due mesi a quella parte, non provava più niente.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Eccomi qui ad aggiornare, chiedo scusa per l'abominevole ritardo, ma mancava tempo ed ispirazione e ora -pare- siano tornate. Spero che il capitolo valga l'attesa, intanto vi auguro: buona lettura.

 

 

CAPITOLO 2 -FREEDOM-


 

Anche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno. (Hermann Hesse)

 

 

 

George si concesse qualche istante per riprendere fiato, mentre dalla strada poco distante arrivavano il frastuono delle automobili e gli schiamazzi dei passanti. Ripreso il controllo, il ragazzo si diresse verso la strada principale e quando capì dov'era sorrise, amaro. Malet Street. . Qualche anno prima lui e Fred erano andati lì in un pomeriggio estivo per dare un’occhiata ad un negozio di scherzi babbani. Avrebbero fatto di tutto per il loro progetto, per il loro negozio. George a quel pensiero strinse forte i pugni e sentì come se un’enorme blocco di ghiaccio gli fosse scivolato nello stomaco. Riprese a respirare affannosamente e decise di mescolarsi alla folla nel tentativo di riprendere il dominio di sé. Camminò senza una vera meta per circa mezz’ora e si rese conto che tutti quegli estranei che gli camminavano accanto ignorandolo lo facevano sentire stranamente al sicuro. Lì in mezzo era solo uno dei tanti. Non era né il gemello sopravvissuto, né il pazzo senza un orecchio. A dirla tutta se solo avesse voluto avrebbe potuto essere chiunque volesse e non più soltanto l’avanzo di un’entità perfetta solamente se completa. Non c’era dolore, e anche se ci fosse stato nessuno lo avrebbe compatito, nessuno avrebbe cercato di farlo sentire meglio. Per quanto potesse sembrare strano, tutto questo scatenò in George una travolgente sensazione di libertà.

Camminò ancora per un po’, ma ad un tratto si fermò di colpo. Dall’altro lato della strada suo padre stava camminando a passo svelto nella sua direzione, guardandosi attorno come se stesse cercando qualcuno. George però non era pronto ad essere trovato, non proprio ora che dopo mesi sentiva nuovamente la vita scorrere pigramente nelle sue vene, così si infilò nel primo negozio che vide. Rimase qualche istante sulla porta in attesa che suo padre si allontanasse, ma la voce stridula di una donna lo fece voltare verso l’interno della piccola bottega.

- Signorina, è più di un’ora che proviamo abiti su abiti, o lei è un’incompetente o questi vestiti sono davvero orrendi! Guardi come cade male!

Una grassa signora sulla cinquantina, stava urlando contro la giovane commessa mentre una bambina che somigliava incredibilmente ad un piccolo elefante strillava di sdegno strizzata in un abito decisamente troppo stretto per lei. La giovane commessa sospirò esasperata.

- Signora non è il vestito ad essere orrendo, il problema è che sua figlia è troppo grassa!!

La signora ululò di rabbia e la bimba prese a piangere, ma George dal canto suo non poté fare a meno di scoppiare a ridere. La commessa si voltò verso di lui, accorgendosi solo ora della sua presenza. La giovane aveva il volto dai lineamenti affusolati, occhi castani e i capelli neri, corti e spettinati.

- Oh, salve! Posso darti una mano?

George scosse il capo, ma non fece in tempo a rispondere perché la signora grassa aveva ricominciato ad inveire.

- Come si permette! Mi rivolgerò al direttore!

La ragazza scosse le spalle.

- Come vuole lei.

La signora si gonfiò di rabbia e a George ricordò moltissimo la Umbridge durante la loro fuga da scuola.

- Andiamo Meredith, non voglio stare in questo negozio un minuto di più.

Così dicendo svestì e rivestì la figlia che protestava a gran voce scalciando e uscì dal negozio urlando “avrà presto mie notizie”. La commessa fissò  la porta per un istante, poi riportò l’attenzione su George che non era ancora riuscito a togliersi il ghigno divertito dalle labbra.

- Le chiedo scusa, non sono sempre così scortese.

Il sorriso di George si allargò ancor di più.

- Io l’ho trovata spassosissima.

La ragazza sorrise divertita.

- Grazie. Comunque… posso darle una mano nella scelta o vuole dare un’occhiata?

Lui scosse il capo.

- Nessuna delle due.

La giovane inarcò entrambe le sopracciglia, in attesa di capire che cosa volesse quel ragazzo tanto misterioso quanto carino.

- Ora veramente mi andrebbe un bel caffè…

Lei si mordicchiò il labbro inferiore, mascherando un sorrisetto imbarazzato.

- Io starei lavorando… e comunque, nemmeno si è presentato e già mi propone un’uscita? Deve essere molto sicuro di sé oppure molto stupido…

George sorrise divertito.

- Diciamo entrambi… io sono George… solo George.

E così dicendo le porse la mano. Lei lo studiò un istante, poi strinse la mano in quella del ragazzo.

- July Thompson e ora come ora avrei anche io voglia di un bel caffè.

Disse lei sogghignando.

- Ma non stai lavorando?

Ribattè lui. Lei scrollò le spalle.

- Tanto probabilmente mi licenzieranno comunque.

George annuì compiaciuto e si avviò all’uscita. July lo seguì recuperando le chiavi del negozio e chiudendo la porta.

Dieci minuti dopo erano seduti ad un piccolo bar.

- Qui fanno i migliori donuts di Londra, li hai mai provati?

George scosse il capo, a dirla tutta nemmeno sapeva che accidenti fosse un donuts, ma solo ora si rese conto di essere affamato come non mai. Ordinarono il caffè e due di quelle che si rivelarono delle deliziose ciambelle ricoperte di cioccolato.

- Allora, “solo” George… che fai nella vita? Oltre a importunare delle ingenue commesse ovviamente.

George ridacchiò divertito.

- Non credo proprio che tu sia così ingenua…

July annuì cercando di apparire innocente, ma quello che ne scaturì fu un’espressione tremendamente buffa che fece scoppiare a ridere entrambi.

- Se questa era la tua espressione innocente non ti consiglio di usarla se dovessero arrestarti, penserebbero che ti stai trasformando in uno gnomo da giardino.

Disse George senza smettere di ridere. Quanto gli era mancato ridere? Ridere sul serio, di cuore. Moltissimo. Si sentiva come se si fosse risvegliato da un lungo sonno e ora poteva assaporare, respirare, toccare davvero dopo tempi immemori di torpore assoluto. La risata cristallina di July lo faceva sentire dannatamente bene e per quanto fosse assurdo che ci volesse una perfetta estranea, George si sentì nuovamente vivo dopo mesi di apatia.

- Mi sento tremendamente offesa, per riparare devi almeno dirmi che fai nella vita.

Insistette July sorridendo furba.

- Sono una spia internazionale, ma non dirlo a nessuno: è un segreto.

La ragazzo si finse offesa, ma non riuscì a frenare una risata.

- e quindi sei scozzese...

Buttò lì George per cambiare discorso, la ragazza fece una faccia indignata.

- NO! Perché dovrei essere scozzese?

Lui abbozzò un sorriso.

- Beh, per il kilt...

July inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto.

- Innanzitutto è una gonna, non un kilt e poi cosa vuol dire? Tu sei forse romano?

Domandò con un ghigno, lui la guardò confuso.

- Perché?

La ragazza s'indicò l'orecchio, mentre il ghigno si allargava sulle sue labbra.

- Per il foro... il foro romano!

Concluse ridacchiando. George a quelle parole rimase pietrificato, il ricordo di Fred lo colpì con tanta violenza da togliergli il fiato. Per la prima volta, da quando suo fratello era morto, provava dolore. Un dolore molto più intenso di qualunque altro avesse mai provato e non gli piaceva per niente, l'unica cosa che desiderava in quel momento era ritornare a casa, al sicuro nella loro stanza. Senza nemmeno accorgersene, quasi fosse sotto Imperius, si alzò e scusandosi velocemente uscì dal locale, lasciando July da sola, a chiedersi che cosa fosse successo.

Giunto nel giardino della Tana entrò in casa il più velocemente possibile, ma quando arrivò in soggiorno, dovette fermarsi. Al suo ingresso, infatti, otto paia di occhi lo fissarono sconcertati. Ginny era seduta in poltrona, mentre Hermione le teneva la mano nella sua e le carezzava i capelli, Molly stava piangendo sul divano e Arthur le avvolgeva le spalle con un braccio cercando di confortarla. Il giovane arcuò entrambe le sopracciglia.

- Beh?

Domandò, confuso dalla situazione.

- George! Oh, George!

Esclamò Molly correndo ad abbracciarlo.

- Tesoro mi hai fatta morire di paura!

Disse cingendogli il volto con le mani per poi carezzargli amorevolmente i capelli. George si sentì infastidito da quelle attenzioni, indietreggiò di un passo e allontanò sua madre.

- Mamma, ho solo fatto un giro!

Bofonchiò irritato, Molly abbassò gli occhi, amareggiata per il suo l'atteggiamento. Le ultime due ore erano state un vero inferno e ora lui la tratta con freddezza, tornò a guardarlo con rancore.

- Perché non mi hai avvertito? Potevi almeno lasciare un biglietto... Harry e Ron sono in giro a cercarti, abbiamo pensato al peggio...

Rispose, sforzandosi di non tornare a piangere, al solo pensiero di perdere anche George. Il ragazzo inarcò un sopracciglio.

- Al peggio? Pensavi che fossi andato da qualche parte a farla finita? Non sono ancora così disperato, ma ti prometto che se andrò a suicidarmi ti lascerò un biglietto.

Ribatté ironico, sua madre arretrò di qualche passo, spaventata da quelle parole così dure. Hermione, dal canto suo, si alzò di scatto, furiosa.

- Non è divertente George!

Lui si girò a guardarla con sufficienza.

- Hai ragione, Hermione, non è divertente... è patetico, proprio come il fatto che uno non possa farsi una passeggiata senza che sia allertato l'intero Ordine!

Soffiò adirato, tornando a guardare sua madre con risentimento. Arthur, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, s'infiammò di sdegno.

- Chiedi immediatamente scusa a tua madre!

Urlò diventando paonazzo dalla rabbia. George lo fissò un istante, non aveva voglia di scusarsi e non trovava nemmeno un motivo per doverlo fare, ma capì che era l'unico modo per essere lasciato in pace, così si voltò verso Molly.

- Scusa.

Mugugnò, senza troppa convinzione.

- Ora posso andare in camera mia? O volete portarmi davanti Ministero della Magia per un processo in piena regola?

Continuò rivolto a suo padre, il quale gli si avvicinò sempre più furibondo e gli afferrò l'avambraccio con forza.

- Non essere così insolente, George!

Il ragazzo si liberò dalla sua presa con un gesto esasperato. Era la prima volta che suo padre si rivolgeva a lui in quel modo e non era per niente piacevole. Il dolore per il ricordo di Fred e la rabbia verso Arthur si mescolarono aumentando a dismisura la frustrazione di George.

- Ti abbiamo riaccolto in casa e abbiamo sopportato per due mesi i tuoi continui sbalzi d'umore, ma non ti permetto di mancare di rispetto a tua madre, non in casa mia!

Continuò urlando. Gli occhi di George si ridussero a fessure, quindi lui era solo un peso? Si allontanò da suo padre e guardò i volti mortificati di Molly, Ginny e Hermione provando un fastidiosissimo senso di disagio.

- Bene, vorrà dire che toglierò il disturbo!

Decretò, uscendo a grandi passi dalla stanza. Molly si affrettò a seguirlo e lo fermò a metà della scala che portava al piano superiore.

- Non andare George, papà è arrabbiato, ma sai che non pensa quelle cose...

Il ragazzo guardò negli occhi castani di sua madre e non poté fare a meno di sentirsi sconfitto. Annuì e riprese a salire le scale, ma arrivato all'ultimo gradino sentì il bisogno di voltarsi nuovamente verso Molly, che lo guardava allontanarsi, ancora una volta, da lei. In quegli occhi c'era tutto l'amore del mondo, ed era per lui. Era come una mano tesa a salvarlo dal baratro in cui era caduto, ma se uscirne, voleva dire provare il dolore che aveva sentito meno di un'ora prima, George non era sicuro di volerlo fare. Rimase fermo alcuni istanti, combattuto tra il desiderio di cancellare la distanza che li divideva e lasciare che sua madre si prendesse cura di lui, e la voglia di tornare al buio della sua stanza, in cui era libero di non provare assolutamente nulla se non il solito, rassicurante senso di vuoto.

- Mamma... io... scusa...

Disse infine abbassando lo sguardo e rientrando velocemente nella sua stanza, sperando che sua madre potesse capire che quelle scuse non si limitavano all'atteggiamento avuto poco prima, ma alla sua mancanza di coraggio nell'affrontare il dolore.

Chiusa la porta alle sue spalle, si buttò sul letto incapace di articolare un pensiero concreto. Si sentiva esausto e frastornato per aver provato tante emozioni dopo mesi di totale apatia.  Si girò su un fianco facendo vagare lo sguardo sul letto vuoto accanto al suo, mentre lo stesso dolore di quel pomeriggio tornava a trafiggerlo a tradimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*SPAZIO AUTRICE*

RINGRAZIO SENTITAMENTE COLORO CHE L'HANNO MESSA TRA LE SEGUITE, PREFERITE E RICORDATE E SOPRATTUTTO CHI HA AVUTO LA VOGLIA DI PERDERE UN PAIO DI MINUTI PER FARMI SAPERE CHE NE PENSAVA. UN BACIO E  A PRESTO!!!

   
 
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