Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    11/01/2012    3 recensioni
Forse lo scopo della nostra vita è il viaggio stesso, non la destinazione. Qualunque risposta mi attenda, oggi è l’inizio del mio viaggio.
La mia storia comincia qui.

Quell’occhiata avrebbe dovuto mettermi soggezione, probabilmente, ma in quel momento ero troppo preso dalla foga di quella che sperai sarebbe stata la mia prima avventura.
Di una cosa, però, ero sicuramente certo: non sapevo in che guaio mi ero cacciato.
[ Prima classificata al «Pirates Contest!» indetto da visbs88 ]
[ Vincitrice del Premio Coppia più originale al «Chi è normale non ha molta fantasia» indetto da Butterphil ]
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Curse of the sea'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Oceani_6 ATTO VI: CRUISES FEAR, PONTE DI COMANDO › MAR DEI CARAIBI, 1768
YO-HO-HO!
[1]
 
    Perdemmo il conto dei giorni che passammo in mare, nelle settimane che seguirono.
    L’ago della nostra bussola aveva continuamente girato a vuoto come se fosse impazzito, ed era stato difficile orientarsi senza avere una rotta esatta da seguire. Ovunque guardassimo c’era solo un’enorme distesa di acqua salata, e lo scorgere di un misero angolo di vegetazione mi sembrava ormai un’utopia. Mi massaggiai stancamente gli occhi con due dita, appostato nei pressi della polena; era ormai da parecchie ore che non abbandonavo quella postazione, forse nella vana speranza di scorgere almeno un lembo di terra su cui attraccare. Le provviste e l’acqua scarseggiavano, e non ero certo di sapere quanto tempo ancora avremmo potuto resistere in quelle condizioni.
    Cid aveva passato le ultime tre notti al timone e alla barra, incaricando Patrick di occuparsi delle vele ogni qual volta ne veniva richiesta l’occasione. Capitava difatti molto spesso che il clima variasse, e durante quella nostra traversata ci eravamo imbattuti in ben quattro temporali che avevano quasi rischiato di distruggere l’albero maestro e strappare le vele. Per quanto in quel momento il mare fosse una tavola piatta e calma che si increspava solo al nostro passaggio, sapevo che bisognava tenere gli occhi aperti per non rischiare di imbattersi in spiacevoli e improvvise sciagure. L’oceano non risparmiava nessuno.
    Lo stridente richiamo di un gabbiano mi fece alzare lo sguardo verso il cielo terso sopra di noi, riaccendendo un barlume di speranza in tutto il mio essere; non dovevamo essere ancora molto distanti dalla terra ferma se quell’uccello si era spinto a caccia fin lì. Dovevamo dunque cercare di resistere ancora per un po’, per quanto sembrasse che vagassimo alla cieca fra quei mari.
    Mi stavo finalmente apprestando ad allontanarmi da lì quando la nave compì una brusca virata, e poco ci mancò che finissi a gambe all’aria; riuscii a mantenermi appena in tempo alla balaustra e ad avere al contempo una visione piuttosto ravvicinata di uno dei cannoni sottostanti. Cid aveva insistito con il prepararli se mai la marina ci avesse inseguiti, e non me l’ero proprio sentita di dargli torto. Dopo l’ultima volta eravamo diventati tutti un po’ guardinghi quando si trattava di certe cose.
    La Cruises virò bruscamente ancora una volta e caddi rovinosamente all’indietro; rotolai sul ponte prima di andare a sbattere con la schiena contro l’albero di mezzana, imprecando a denti stretti. Che diavolo stava combinando quell’idiota di Cid? Mi rialzai a fatica e cercai di raggiungere la cabina al di sotto del cassero, così da potermi accertare io stesso delle condizioni del timone e della barra.
    Arrivato infine alla porta la spalancai di malagrazia, ed fui più che pronto a sbottare contro il mio vice degli insulti quando mi resi conto che non era lui a manovrare la nave, bensì Patrick: cercava di ruotare il timone lottando contro le correnti che trascinavano la Cruises, con la fronte imperlata di sudore e le sopracciglia aggrottate dalla concentrazione. «Che diamine stai facendo, ragazzo?» lo richiamai con uno sbuffo, vedendolo sussultare.
    Rischiò di mollare il timone ma si affrettò a rinserrare la presa, riconcentrandosi sulla navigazione come avrebbe fatto un vero timoniere. «Cid non riusciva più a tenere gli occhi aperti, quindi l’ho sostituito», mi informò, asciugandosi il sudore con la manica della camicia. «Però è più difficile di quanto pensassi».
    Alzai lo sguardo al soffitto, avvicinandomi a lui per scansarlo di malo modo e afferrare il timone con una mano. «La prossima volta che succede vieni a chiamarmi, ragazzo», borbottai, gettandogli una rapida occhiata. «Potevamo rischiare grosso». E l’oscillazione della Cruises ne era stata la prova lampante. Lo vidi annuire con la coda dell’occhio e ficcarsi le mani nelle tasche, non prima di essersi grattato dietro la nuca in preda all’imbarazzo.
    Sbuffai. Quel ragazzino faceva sorgere un lato di me che odiavo, forse perché, in fondo in fondo, rivedevo me stesso alla sua età. Ma di cosa mi stupivo? Seppur da poco, avevo scoperto che Patrick era in realtà mio fratello, per quanto ancora non riuscissi a credere davvero a ciò che io stesso avevo formulato nell’ascoltare la sua testimonianza. «Va’ immediatamente a svegliare quell’idiota invece di ciondolare, Patrick», gli ordinai in tono schietto, così da provare al tempo stesso ad allontanare la sensazione che mi aveva investito. «Digli di occuparsi delle vele e poi sali di vedetta; appena scorgi anche un solo sputo di terra, urla con tutto il fiato che hai nei polmoni».
    Non ne fui realmente certo, ma i suoi occhi sembrarono illuminarsi di un qualcosa che non riuscii a comprendere appieno. «Signorsì, signor Capitano!» esclamò raggiante prima di scattare fuori dalla cabina, e la cosa mi lasciò interdetto. Chi l’avrebbe mai detto che persino i lavori più insignificanti e umili l’avrebbero mandato in fermento; dava proprio l’impressione di essere un mocciosetto alla continua ricerca di qualche avventura e modo per rendersi utile, poco importava che dovesse raggiungere il suo scopo in modi ben poco ortodossi.
    Sorrisi appena e scossi il capo, ruotando il timone di altri venticinque gradi. Le cose sarebbero state diverse se il nostro villaggio non fosse stato attaccato, ne ero certo: crescendo, forse, Patrick avrebbe deciso di intraprendere la vita del pirata come avevo fatto io seguendo le orme di mio padre, e mio nonno prima di lui; ci saremmo imbarcati insieme e avremmo avuto un luogo a cui fare ritorno, non un cimitero costellato da sentieri impervi e rocce appuntite. Ma ben sapevo che continuare a rimuginare sul passato era inutile, dunque dovevo mettermi il cuore in pace; niente sarebbe stato più come un tempo, forse nemmeno se avessi raccontato a Patrick la verità sulla sua identità.
    «Capitano!» La voce improvvisa di Patrick, che tra l’altro aveva fatto un po’ troppo in fretta a tornare su, sembrò penetrarmi nel cervello, e pochi attimi dopo entrò in cabina come una furia, sbattendo la porta senza rendersene pienamente conto. Respirava a fatica e sembrava trafelato, quasi avesse corso fin lì senza fermarsi un attimo.
    «E adesso che cosa c’è, ragazzo?» sbottai, ruotando il timone di settanta gradi senza prendermi la briga di voltarmi. «Ti avevo dato degli ordini, mi sembra».
    Si grattò un braccio, come se fosse incerto sul da farsi. «Riguarda Cid, Capitano», mi informò in un mormorio sordo, e forse fu a causa dell’urgenza che avvertii nel tono della sua voce che stornai bruscamente lo sguardo su di lui.
    Mi accigliai. «Cid?» ripetei, vedendolo umettarsi le labbra.
    «Non so che cos’abbia, ma appena gli ho sfiorato una spalla per svegliarlo si è lamentato», esalò tutto d’un fiato, mordicchiandosi il labbro inferiore.
    Dal canto mio, imprecai a denti stretti non appena assimilai con esattezza quelle parole. Se avevo visto giusto, c’entrava qualcosa lo scontro che aveva avuto con il Commodoro un po’ di tempo addietro. «Quel dannato idiota», borbottai fra me e me, allontanandomi. «Tieni il timone, Patrick, e cerca di mantenere costantemente questa rotta», gli intimai senza preamboli. «Se siamo fortunati è quella giusta».
    Ciò detto lasciai tutto nelle sue mani e mi affrettai a raggiungere la cabina sottocoperta, sicuro più che mai che Cid si fosse rintanato lì per riposare. Avanzai a grandi falcate nel lungo corridoio in penombra, giungendo a destinazione così in fretta che quasi faticai ad avvedermene; spalancata la porta trovai il mio vice seduto sulla branda, con il petto nudo coperto di graffi e lividi. Una sottile linea di sangue gli correva lungo il braccio destro, e, sebbene l’avesse lavata con dell’acqua e del rum, la ferita frastagliata provocata dal colpo di pistola appariva gonfia e rossa, come se stesse andando in suppurazione. «Avrei dovuto immaginarlo», sbottai, richiudendomi la porta alle spalle.
    Cid non si degnò di guardarmi, limitandosi soltanto a bagnare la ferita con un panno. Stringeva i denti dal dolore, e con essi si mordeva il labbro inferiore per non lasciarsi sfuggire nemmeno il più piccolo lamento. «Non è niente», rimbeccò, abbandonando il panno sulla branda prima di allungare l’altro braccio verso i suoi piedi, dove aveva riposto ago di balena, spago e bende. «Ho incassato colpi peggiori di questo».
    La cosa avrebbe forse dovuto rassicurarmi? Sollevai un sopracciglio con aria scettica, sbuffando e poggiandomi contro il muro di legno della cabina. «Och, non ne dubito. L’ho sempre saputo che hai la pellaccia dura», ironizzai.
    «Allora fammi il favore di piantarla», replicò immediatamente senza cogliere il sarcasmo delle mie parole, infilando lo spago nella cruna prima di farci un nodo all’estremità; portò poi la punta dell’ago verso la candela accesa sulla cassa riposta alla sua destra, sterilizzandolo ben bene. Quando tempo addietro avevamo viaggiato a bordo della Conqueror aveva imparato dal medico di bordo le basi della medicina, ed era stata una vera e propria fortuna, a ben pensarci. Non ci saremmo mai aspettati un ammutinamento da parte della ciurma, e quei giorni passati da soli su quella sottospecie di barchetta sarebbero stati un sicuro inferno se uno di noi due si fosse ammalato senza che l’altro sapesse cosa fare.
    Decisi di non prestargli attenzione, andando a prender posto sulla cassa ormai vuota delle vivande. Osservai, poi, Cid apprestarsi a suturare la ferita, infilando la punta dell’ago nella carne per ricucire i lembi; imprecò a denti stretti lanciando insulti a mezza voce, ma fu difficile dire a chi o che cosa si stesse riferendo e soprattutto contro chi li stesse lanciando. Quando alla fine terminò, raccattò le bende e bofonchiò, «Non guardarmi in quel modo, Gale. Mi fascio la ferita e torno al timone; la nave balla che è una meraviglia», soggiunse, e fui più che certo che il suo fosse sarcasmo. Beh, se riusciva a scherzare significava che tutto sommato stava alla grande.
    Alzai lo sguardo e sbuffai. «Non cambierai mai, razza di idiota», replicai esasperato. «Tu e il tuo fottutissimo orgoglio».
    Per la prima volta da quando avevamo preso il largo, Cid sorrise. Sembrava che il buon umore fosse tornato sul suo viso come se qualcuno ce l’avesse appena appiccicato sopra, visto il repentino cambiamento che aveva avuto. «Non ti piaccio forse per questo?» scherzò, distogliendo la sua attenzione da me per applicare la fasciatura; ne afferrò un lembo con i denti e strinse il più possibile, così da evitare che potesse sciogliersi.
    Io restai lì per lì scombussolato da quanto aveva appena detto, sbattendo persino le palpebre con fare perplesso. Bofonchiai poi qualcosa fra me e me, forse vagamente imbarazzato, affrettandomi a dargli le spalle e a riaprire la porta. «Non sparare cazzate, pirata», sbottai al suo indirizzo, uscendo dalla cabina con la sua risata al seguito. Ero appena salito per raggiungere Patrick quando quella furia del mio vice mi sorpassò in fretta - senza che io me ne rendessi conto, tra l’altro -, e lo sentii esclamare «Virare a prua!» nel momento esatto in cui mi affrettai ad entrare anch’io; forse fu di riflesso che Patrick eseguì e ruotò il timone velocemente, sebbene avesse brevemente sussultato. Di certo non si era aspettato quell’ordine improvviso, e neanch’io, a dirla tutta.
    «Che succede?» gli chiesi quindi trafelato, vedendolo sporgersi quel tanto che bastava per osservare il mare. Alzò di sfuggita lo sguardo verso lo scorcio di cielo che si vedeva e, umettandosi un dito, controllò con esso la direzione del vento, scoccandomi un’occhiata.
    «Torno al timone, tu occupati delle vele, Patrick», disse semplicemente, afferrando da una tasca un qualcosa che solo in seguito capii essere una bussola. «L’ago finalmente indica una direzione, però punta a nord-ovest; dobbiamo cambiare rotta, o rischiamo di continuare a vagare in mare senza una meta».
    Patrick si scansò immediatamente e lasciò tutto nelle mani di Cid, annuendo per un breve istante prima di scattare ed eseguire gli ordini appena ricevuti. Lo seguii con lo sguardo finché non sparì del tutto dalla mia visuale, tornando a fissare il mio vice: l’ebrezza che l’aveva sempre animato era tornata prepotentemente sul suo viso, rendendolo luminoso come quello di un bambino che aveva appena ricevuto un nuovo giocattolo; nonostante la ferita appariva pimpante e pieno di energie, e fu sorridendo che mi invitò a svolgere i miei incarichi di Capitano prima di tornare a concentrarsi sulla navigazione.
    Calò la sera senza che ce ne rendemmo conto, presi com’eravamo dalle nostre rispettive mansioni. Il livello del mare sembrava essersi abbassato, simbolo che non mancava molto al raggiungimento della terra ferma; il cielo si era tinto di un cupo violetto frammentato solo dal grigiore di alcune nuvole di passaggio, e il solo suono che si udiva era il lieve cigolare della chiglia della Cruises. Avevamo lasciato che fosse il vento a guidare la nave a dritta, e ci eravamo finalmente concessi qualche attimo di riposo. Cid aveva persino trasportato sul ponte l’ultimo barilotto rimasto e quel poco cibo avanzato, insistendo con il dire che c’era bisogno di festeggiare. E per una volta eravamo stati pienamente d’accordo con lui.
    Tra risate e schiamazzi avevamo consumato la cena e bevuto, dilettando Patrick con i racconti delle nostre avventure. Gli avevamo parlato di quella volta in cui ci eravamo ritrovati ad affrontare una flotta di navi pirata nel Golfo del Messico, e di come avevamo rischiato di lasciarci le penne a causa delle lame avvelenate con cui l’equipaggio ci aveva fronteggiati; di quando eravamo giunti per la prima volta nei pressi del porto di Tortuga, godendo dei mille piaceri che essa riservava prima di rifornire i nostri bastimenti truffando un vecchio commerciante d’armi nei guai con la marina; gli avevamo parlato persino di quando avevamo solcato le coste del lontano Adriatico con la nostra Conqueror, che aveva infranto più onde di quante ne ricordassimo e affrontato più viaggi di quanto non fosse possibile. Patrick ci aveva ascoltati con stupore e meraviglia, assimilando quelle informazioni e chiedendoci maggiori dettagli, gli occhi luminosi e vogliosi di sapere. Appariva come un bambino a cui stavano narrando una fiaba, e la cosa mi aveva fatto sorridere non poco. Mi rammentava i giorni in cui, quando il nostro villaggio era ancora un luogo rigoglioso e pieno di vita, era la nostra compianta madre a raccontare le gesta di nostro padre, facendo sì che la leggenda che era stato continuasse; Jim, il cui nome era adesso Patrick, aveva in viso la stessa espressione che mi stava mostrando in quell’esatto momento.
    Il momento migliore della serata - o peggiore, a detta di Patrick stesso - fu quando Cid, dopo essersi bevuto ben più di metà barilotto ed essersi alzato in piedi con fare ciondolante, ebbe la brillante idea di intrattenerci con delle canzoni. Stonato come una campana e con il boccale colmo fino all’orlo ben stretto in una mano, Cid cominciò ad intonare “Hoist the colours
[2]” con voce gracchiante, ridendo come un matto a causa del liquore ormai in circolo sebbene quella canzone fosse tutt’altro che allegra. «Yo, ho, haul together, hoist the Colors high. Heave, ho, thieves and beggars, never say we die [3]!» Il suo schiamazzare sguaiato si diffuse nel silenzio della notte, perdendosi nella vastità dell’oceano. «E voi perché ve ne state zitti? Cantiamo e balliamo fino alla fine del viaggio!»
    Beh, aveva decisamente bevuto troppo. Però per una volta lo lasciai fare, comprendendo l’entusiasmo che lo animava. Il nostro viaggio stava andando a gonfie vele, dunque non avrei frenato quella sua voglia di festeggiare né avrei permesso che lo facesse qualcun altro. Andava bene anche così.
    «Quando beve sembra un’altra persona», costatò Patrick, lo sguardo fisso su Cid come se il boccale che aveva in mano non esistesse. Sorrideva, come se, in fondo in fondo, quella situazione lo divertisse. E dovevo ammettere che divertiva parecchio anche me.
    Gli diedi una pacca su una spalla, tornando a guardare il mio vice. Non aveva smesso un secondo di cantare quella dannata canzone, a parte quando si bagnava la gola con il liquore. Ancora mi chiedevo come facesse a non riversarlo completamente sul ponte, visto il modo in cui continuava a sbracciarsi. «Tranquillo, è uno spettacolo che fortunatamente non si ripete spesso», lo informai, sentendolo sospirare di sollievo. «Quell’idiota preferisce essere vigile e sobrio».
    «E scommetto che lo fa soprattutto per il suo bene, Capitano», replicò semplicemente, al che io mi accigliai non poco per quelle sue parole. Riuscii a vedere l’espressione sgomenta che mi si era dipinta in viso riflessa negli occhi di Patrick, che mi osservava con estrema attenzione. «Quando eravamo a Roseau e ha visto che lei non tornava... si è agitato talmente tanto che non ci ha pensato due volte a correre a cercarla. Cid ha piena fiducia in lei, Capitano. E’ un uomo che farebbe di tutto per proteggerla».
    Boccheggiai come un pesce fuor d’acqua, probabilmente stupito da quelle sue costatazioni. Con poche e semplici parole aveva colto i passaggi essenziali del legame che avevo con Cid, rapporto che andava ben oltre a quello che mostravamo agli altri e persino a noi stessi. Feci dunque per rispondere, ma il peso di una grossa mano sulla mia testa richiamò la mia attenzione; il cappello piumato che portavo mi venne schiacciato sul capo e una risata mi riempì le orecchie, prima che quell’idiota di Cid si chinasse verso di me e mi cingesse le spalle con un braccio. «Fatti un bel goccio», parve ordinarmi con voce gracchiante, agitando il proprio boccale e facendo sì che la maggior parte del liquore in esso contenuto gli si riversasse addosso. «Allenterà anche i tuoi nervi, credimi».
    Lo allontanai da me con uno sbuffo sotto lo sguardo parecchio divertito di Patrick. «Vedi piuttosto di piantarla tu, idiota ubriacone», ironizzai, sentendo il suo fiato caldo sul collo e il suo ansimare; raggelai nell’avvertire la pressione delle sue labbra contro la pelle e il suo insistente avvicinarsi, ma fu soprattutto nel vedere l’espressione incuriosita e al contempo stralunata del ragazzo che mi sentii sbiancare. Aveva sollevato un sopracciglio e incurvato un po’ le labbra verso il basso, come se si stesse domandando cosa diavolo stesse succedendo.
    Mi alzai così in fretta che Cid, che nel frattempo aveva provato ad accostare il suo petto alla mia schiena, crollò con la faccia sul ponte della nave, lamentandosi per la botta ricevuta e imprecando al mio indirizzo; aveva anche lasciato andare il boccale di liquore, che era rotolato sulle assi di legno rovesciando il poco contenuto rimasto. Non diedi minimamente peso all’espressione contrariata con cui mi osservò, dando le spalle ad entrambi per dirigermi a grandi falcate verso il ponte, sentendo però i passi di qualcun altro far eco ai miei.
    «L’ha proprio messo di cattivo umore», mi disse in tono vagamente divertito Patrick. Gli gettai appena una veloce occhiata prima di stornare lo sguardo in direzione di Cid, che si era sdraiato sul ponte di schiena a braccia e gambe spalancate, gli occhi annebbiati rivolti verso il cielo sopra di lui.
    Giocherellando con il mio capello, replicai, «Che dormisse, quell’idiota. Almeno le nostre orecchie saranno salve fino alla sua prossima bevuta».
Patrick inclinò la testa di lato, grattandosi dietro al collo. «Non si arrabbi, Capitano. Non vede com’è ubriaco? Probabilmente non si rendeva nemmeno conto di ciò che faceva».
    Ah, beata innocenza. Quello stupido del mio vice lo sapeva fin troppo bene ciò che faceva, in qualsiasi momento e in qualsiasi modo. Era impensabile il contrario, piuttosto. E il modo in cui aveva tentato di agire parlava da solo.
    «Posso farle una domanda, comunque?»
    Bofonchiai qualcosa fra me e me, per niente propenso ad ascoltarlo. Però gli chiesi in tono scorbutico, «Sarebbe?»
    «Perché è diventato un pirata, Capitano?» Si poggiò a braccia conserte contro il parapetto della Cruises, guardando oltre esso. Sembrava assorto nell’osservare l’incresparsi del mare, che appariva come una vasta distesa nera illuminata solo parzialmente dalla luce della luna, i cui raggi facevano timidamente capolino dalle nubi che ci sovrastavano.
    «Per realizzare un mio sogno», risposi in tono schietto e immediato, vedendolo con la coda dell’occhio portare la sua attenzione su di me.
    «E si è avverato?»
    A quella domanda sorrisi inconsciamente, non sapendo cosa rispondere con l’esattezza. Forse si era avverato per davvero, quel mio sogno, sebbene io stentassi ancora a crederci. Optai dunque per una mezza verità, adagiandomi a mia volta contro la balaustra. «Chi lo sa».
    Patrick alzò un angolo della bocca, divertito. «Sa, Capitano, a volte stento a credere che lei sia davvero un pirata», buttò lì, richiamando la mia attenzione.
    «E cosa te ne fa dubitare?»
    «Il fatto che non avesse una nave e che quando l’ha ottenuta non ha neanche tentato di metter su un equipaggio», disse distrattamente, alzando finalmente lo sguardo verso il cielo. «Ha soltanto Cid, che ci fa da navigatore, cuoco e, purtroppo, anche da musicista», soggiunse, enfatizzando con tono ilare l’ultima mansione.
    Sbuffai appena, allontanandomi da lì il più in fretta possibile. «Un giorno capirai il perché della mia decisione. Credimi, ragazzo».
    Sentii il suo sguardo puntato sulla mia schiena, come se mille pugnali mi stessero trafiggendo senza pietà. «Un giorno, forse, ma non oggi».
    Non mi voltai, limitandomi solo a calcarmi il cappello sulla testa mentre mi incamminavo verso il cassero. «Già», replicai semplicemente. Però, dentro di me, qualcosa mi dava la certezza che il giorno in cui avrei dovuto spiegargli la verità si stesse avvicinando sempre di più
.
 

 

[1] Esclamazione tipicamente associata ai pirati.
La scelta sarà chiara andando mano a mano avanti con il capitolo, o almeno è questa l’intenzione.


[2] La traduzione letterale sarebbe “Issa i colori”, sebbene in questo contesto si intenda la bandiera; il titolo, dunque, diventa per l’appunto “Issa la bandiera”.
La canzone è il tema principale del film “Pirati dei Caraibi: Ai confini del mondo”, e oltre a rappresentare i pirati stessi e la loro ideologia di libertà, racconta di come Calypso venne imprigionata in un corpo umano dal Re dei Pirati.


[3] Strofa della canzone “Issa la bandiera”.
La scelta di lasciarla in inglese è voluta, e tradotta reciterebbe: “Yo, ho, trasportare insieme, issare la bandiera. Solleva, ho, ladri e accattoni, non dite mai che moriremo”.
C’è inoltre un altro motivo di fondo per cui è stata scelta proprio questa frase, ma esso sarà intuibile solo alla fine della storia, o almeno questa è l’intenzione.



Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: My Pride