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Autore: My Pride    27/01/2012    2 recensioni
Forse lo scopo della nostra vita è il viaggio stesso, non la destinazione. Qualunque risposta mi attenda, oggi è l’inizio del mio viaggio.
La mia storia comincia qui.

Quell’occhiata avrebbe dovuto mettermi soggezione, probabilmente, ma in quel momento ero troppo preso dalla foga di quella che sperai sarebbe stata la mia prima avventura.
Di una cosa, però, ero sicuramente certo: non sapevo in che guaio mi ero cacciato.
[ Prima classificata al «Pirates Contest!» indetto da visbs88 ]
[ Vincitrice del Premio Coppia più originale al «Chi è normale non ha molta fantasia» indetto da Butterphil ]
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Curse of the sea'
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Oceani_7 ATTO VII: ST. GEORGE’S, PIAZZA CITTADINA › MAR DEI CARAIBI, 1768
SCOURGE OF THE SEVEN SEAS
[1]

    Giungere sulla terra ferma mi era parso come un sogno.
    Dopo tutto quel tempo passato in mare, e con le scorte di cibo ormai ridotte all’osso, l’unica cosa che riuscivo a pensare era il poter rifornire la stiva. La testa mi doleva ancora a causa di tutto il liquore che mi ero scolato, ma gli effetti della sbronza erano fortunatamente scomparsi. Di quel che avevo fatto o detto non ricordavo assolutamente nulla, ma l’espressione di Gale mi aveva fatto capire che qualsiasi cosa fosse stata non gli era per piaciuta per niente. Chi sembrava rilassato e tranquillo, invece, era Patrick. Con il sorriso sulle labbra e quell’aria divertita dipinta in viso, si guardava intorno assorto e meravigliato, assimilando ogni dettaglio della nuova città in cui ci eravamo ritrovati.
    Dal canto mio, invece, quello era uno scenario già visto e rivisto, forse perché per me ogni città appariva uguale alla precedente. Ognuna di esse rappresentava semplicemente un luogo dove poter rifornire la nave, nient’altro, e non avevo dunque bisogno di ricordare con l’esattezza ogni minimo particolare.
    «Cerchiamo di passare il più inosservati possibile», disse d’un tratto Gale, e gettandogli una rapida occhiata lo vidi guardarsi intorno con fare guardingo, quasi stesse controllando i dintorni. Si era persino liberato di quel suo ridicolo cappello piumato, lasciando che qualche ciuffo di capelli castani ricadesse a nascondergli parzialmente gli occhi.
    Mi passai una mano sulla testa, scompigliandomi la zazzera bionda. «Siamo ricercati, non credo sarà così facile», gli tenni presente, e, per quanto il fatto che avessi ragione gli desse fastidio, si ritrovò ad annuire. «Vediamo di comprare l’essenziale e di svignarcela».
    In risposta ricevetti solo qualche vago suono d’assenso prima che cominciassimo ad incamminarci nel centro della città, dove le strade pullulavano di mercanti che strillavano a destra e a manca, nel tentativo di richiamare le persone che passeggiavano fra quelle vie. Ovunque si guardasse c’erano mercanzie d’ogni tipo, esattamente come a Porto Rico, ma non ci feci caso poi più di tanto, poiché la cosa mi interessava relativamente poco.
    Ciò che catturò la mia attenzione fu invece un gruppetto di donne che guardava con aria assorta una di quelle bancarelle trasandate, ridacchiando fra loro per motivi astrusi. Una di esse intercettò il mio sguardo e mi sorrise, scostandosi i capelli rossi dal viso per ravvivarseli dietro alle orecchie in un gesto invitante e provocatorio, giacché nel farlo aveva scoperto una buona porzione di pelle all’altezza del seno.
    La salutai con un gesto della mano e ricambiai il sorriso, ricevendo subito dopo una gomitata nelle costole. «Ricorda l’avvertimento che ti ho fatto a Porto Rico, Cid», disse Gale con voce divertita, ma si vedeva lontano un miglio che in realtà non stava affatto scherzando. L’avrebbe fatto sul serio, ed era dunque meglio non dargli nessun incentivo per fargli mettere in atto quella minaccia. Fu quindi con un certo dispiacere che mi costrinsi a distogliere lo sguardo, vedendo però Patrick gettare un’occhiata in direzione della combriccola e soffermarsi soprattutto sulla bionda. Quel moccioso aveva decisamente capito tutto della vita.
    La giornata cominciò a farsi uggiosa mano a mano che le ore passavano. L’umidità nell’aria era diventata intensa, quasi pesante, molto simile ad una gelida coperta che si posava lievemente sulla pelle; le persone che avevano affollato avevano cominciato a disperdersi a poco a poco, urtando l’una contro l’altra per raggiungere in fretta le proprie abitazioni. Le nuvole sopra di noi erano cariche di pioggia, e avrei scommesso che, se non subito, avrebbero sicuramente riversato sulle nostre teste tutta l’acqua che trasportavano. Forse era soltanto una mia impressione, ma quell’improvvisa precipitazione non mi piaceva per niente. Sapevo che il tempo, in quel periodo dell’anno, era instabile, ma avevo come l’impressione che ci fosse sotto qualcos’altro. Scossi il capo, cercando di allontanare da me quegli stupidi pensieri. Tutto ciò che era successo mi aveva rimescolato il cervello, non c’era altra spiegazione.
    Superammo una taverna già chiusa nonostante l’ora, e ci dirigemmo verso la piazza cittadina, convinti che avremmo così trovato altre locande per rifocillarsi e un negozio per alimentare le scorte della stiva. Avevo anche la ferma intenzione di comprare da bere, ma mi sarei ben guardato dal tracannare un barilotto intero di liquore, stavolta.
    Quando la raggiungemmo, trovammo la piazza quasi completamente vuota, e la cosa mi apparve quanto meno strana. Per quanto il tempo promettesse pioggia, essa non era ancora caduta ad abbattersi sulla città, dunque non vedevo il motivo di quello sfollamento. Giusto qualche madre indaffarata si intratteneva ancora in essa, tirandosi dietro i figli. Un bambino di circa tre anni dai vivaci capelli rossi ci venne in contro e, regalandoci una linguaccia, ci sorpassò come se nulla fosse, lasciando dietro di sé la genitrice che lo richiamava e lo inseguiva. La donna corse verso di noi, ma non si degnò di gettarci neanche un’occhiata, pensando probabilmente che fosse più saggio non immischiarsi; raggiunto il figlio lo riacciuffò in fretta e lo trascinò via, ignorando i suoi piagnistei per aumentare soltanto il passo.
    Non ci volle molto prima che la piazza fosse del tutto sgombra, e fu sbuffando che Gale ci fece cenno di seguirlo in direzione delle stradine laterali, più che intenzionato a sbrigare le nostre faccende ed andarcene. E, beh, su quel punto ero perfettamente d’accordo con lui. Non avevamo tempo da perdere, e finalmente quell’idiota l’aveva capito. Fu nello svoltare l’angolo che sentii correre un brivido lungo la schiena, poi un fruscio e un veloce suono di passi. «Credevate di potermi sfuggire, pirati?»
    Mi si gelò il sangue nelle vene nel capire a chi appartenesse quella voce. Mi voltai nella direzione da cui proveniva quasi a rallentatore, aprendo la bocca senza che da essa uscisse alcun suono. Il Commodoro Waine, per quanto apparisse deperito e pallido in viso, era esattamente a pochi metri di distanza da noi, con il volto stravolto da una tale soddisfazione che mi ricordò un falco che aveva appena adocchiato la sua cena. Come poteva essere possibile che fosse ancora vivo? Sgranai gli occhi quando lo vidi puntare la pistola verso Gale, e non ci pensai due volte: mi parai dinanzi a lui a braccia spalancate, sentendo un dolore lancinante bruciare al fianco destro. Mi accasciai su me stesso, sentendo nelle orecchie le grida di Patrick e i suoi passi veloci; un altro colpo di pistola risuonò nell’aria, e non ci misi molto a rendermi conto che era stato proprio Gale a sparare verso il Commodoro.
    «Dannazione!» imprecò, facendo fuoco ancora una volta. Premendomi una mano sul fianco mi rialzai faticosamente in piedi, vedendo il Commodoro armeggiare con la propria arma; sembrava che la pistola gli si fosse inceppata, ma anche Gale non se la passava meglio.
    Pronto a lanciarsi contro l’ufficiale munito solo d’arma bianca, mi frapposi nuovamente davanti a lui e drizzai la schiena, ansimando. «Vattene, Gale», soffiai a bassa voce, osservando ogni minimo movimento del Commodoro. Aveva estratto a sua volta la spada e, sebbene faticasse a respirare, appariva più che determinato a non farsi scappare l’occasione di ammazzarci.
    «Non ti lascio qui, idiota», sbottò, ma nel vedere con la coda dell’occhio il viso stralunato di Patrick, che se ne stava in disparte per non restare coinvolto, non ci pensai due volte; afferrai Gale per il colletto del giaccone e lo allontanai di malo modo, ignorando le sue imprecazioni per sguainare la mia spada.
    «Che diavolo stai aspettando, Gale?» dissi poi. «Porta via il ragazzo!» gli urlai contro, lo sguardo puntato ostinatamente sull’avversario che avevo dinanzi. Sapevo che se avessi distolto gli occhi anche solo per un secondo sarebbe stato tutto perduto.
    Con la coda dell’occhio, vidi il suo viso trasfigurarsi in una smorfia, ma fu socchiudendo gli occhi che imprecò a denti stretti e afferrò Patrick per un braccio, lanciandomi un grido d’avvertimento che, nonostante tutto, mi fece abbozzare un sorriso sarcastico. Quell’idiota. Era in pericolo quanto me e si preoccupava delle mie condizioni.
    Deglutii sonoramente, aggrottando la fronte con la mia arma in pugno. «E ora a noi, Commodoro».
    Intorno a me avevo notato che il silenzio era diventato così fitto da apparire quasi irreale, dovuto anche all’aria satura di pioggia che ci circondava. Non avevo ancora mosso un solo muscolo, troppo impegnato a tener d’occhio il mio avversario e a concentrarmi sui passi sempre più rapidi di Gale e Patrick, nella speranza che si allontanassero il più in fretta possibile da quel luogo.
    Puntavo la lama della spada verso il Commodoro, che brandiva a sua volta un’arma bianca di notevoli dimensioni. Aveva il respiro pesante e sembrava stare in piedi a malapena, ma neanch’io ero messo meglio: la ferita al fianco che mi ero procurato per proteggere Patrick e Gale mi doleva in modo pazzesco, e a causa della gran quantità di sangue che avevo perso la mia vista era sfocata. Ma non mi sarei mai fatto battere da quel marinaretto da quattro soldi, non con tutta l’esperienza che mi portavo dietro. Prima di conoscere Gale non mi era mai capitato di imbarcarmi in un’avventura del genere, e l’avrei vissuta fino all’ultima goccia prima del raggiungimento della nostra meta. Il momento era ormai giunto, e io non avevo il potere di rimandarlo ancora per molto.
    Trassi un lungo respiro e, sebbene sentissi il furente pulsare del sangue nelle orecchie e il respiro affannoso e irregolare, alzai il braccio con cui reggevo la spada quel tanto che bastava per portarmi la lama piatta dinanzi al viso, incurvando un po’ la schiena e allargando le gambe, così da mettermi in posizione d’attacco. Il Commodoro, seppur con movimenti più lenti, gettò via la propria pistola e mi imitò, squadrandomi con aria battagliera. Anche da quella distanza potevo leggere nei suoi occhi l’ira e la sfrontatezza, quasi avesse la certezza di uscire vittorioso da quel nostro scontro. Beh, si sbagliava di grosso. Non gli avrei permesso di fare più un passo, anche a costo di ammazzarci a vicenda.
    Prima ancora che potessi rendermene pienamente conto, però, mi fu addosso con una velocità sorprendente, compiendo un affondo nel tentativo di trapassarmi lo stomaco; riuscii a fermare quel colpo appena in tempo con la mia spada, e il cozzare delle due lame risuonò nell’aria come un sinistro tintinnio. Ci guardammo per un istante prima di scattare all’indietro nello stesso momento, sforzando l’aria con colpi che si susseguivano ad intervalli sempre più irregolari; con un grido rabbioso mi gettai contro di lui e lo costrinsi a scartare di lato, venendo subito contrattaccato prima di riuscire a colpirlo, anche se di striscio, alla guancia. Il viso del Commodoro si trasfigurò in una maschera iraconda e, con il sangue che cominciava a stillare dalla ferita, sporcandogli la pelle, mi colpì con il dorso della spada sulla schiena, facendomi barcollare; indietreggiai di qualche passo per cercare di ristabilire le distanze iniziali, ma il Commodoro mi venne dietro e, con una rapida scoccata, mi ferì al braccio, poco al di sotto del punto in cui settimane prima mi aveva centrato con la pistola. Sibilai dal dolore, e mi sarei anche portato una mano alla ferita se non fossi stato costretto a scartare velocemente di lato per evitare un altro affondo.
    Parai la lama che mirava al mio cuore con rapidità e scioltezza, ma ormai avevo come la netta sensazione che ciò non bastasse. L’acciaio delle lame cozzò ancora una volta, sprizzando scintille; l’umidità nell’aria sembrava appesantire i nostri vestiti e impedire i nostri movimenti, o forse era soltanto un’illusione provocata dalla stanchezza che dilaniava i nostri corpi.
    Flettendo le gambe provai a colpire il Commodoro ad un fianco, ma lui, ruotando il polso con cui sorreggeva la spada, parò facilmente il colpo e contrattaccò, piroettando di lato prima di piegare le ginocchia; non ebbi il tempo di rendermi conto delle mie intenzioni che sentii un dolore acuto alla coscia destra, cadendo riverso di schiena quando venni spinto in terra dal mio avversario.
    Tentai di rimettermi in piedi il più in fretta possibile, ma prima ancora che potessi farlo una manciata di terriccio mi accecò, costringendomi a strofinarmi furentemente gli occhi nel tentativo di vedere; le sagome intorno a me apparivano sfocate, e dovetti sbattere violentemente le palpebre per cercare di riacquistare la vista. Non riuscii a capire immediatamente cosa fosse ciò che mi si stava avvicinando a velocità sorprendente che un peso mi si poggiò sul petto, mozzandomi il respiro; con la coda dell’occhio catturai la fugace e distorta visione di una lama che veniva infilata nel terreno, tra l’altro molto vicino alla mia faccia, prima che il Commodoro piantasse lo stivale in mezzo alle mie costole, togliendomi quel poco fiato che mi era rimasto nei polmoni. «Sei stato un osso duro, pirata», sussurrò ansimante, e attraverso le palpebre socchiuse potei vederlo sorridere con fosca soddisfazione, «ed è per questo che ti renderò onore infliggendoti immediatamente il colpo di grazia. Un vero peccato che in questo modo la tua taglia sarà dimezzata, ma ci penserà quella del tuo amichetto a compensare il vuoto».
    Boccheggiai, afferrandogli la caviglia prima di stringere la presa intorno alla mia spada; provai ad alzare il braccio il più velocemente possibile, ma il Commodoro parve intuire le mie intenzioni e si allontanò compiendo un salto all’indietro, stupendomi. In vita mia non avevo mai visto tale abilità, e la cosa, seppur si trattasse di un nemico, riuscì a sorprendermi positivamente. «Sei più tenace di quel che credessi, pirata», disse con fare vagamente divertito, puntando la lama contro di me. «Ma questi giochetti non funzionano con il sottoscritto».
    «Va’ all’inferno!» biascicai, poggiando una mano a terra per rimettermi in piedi, ma nel momento esatto in cui ci provai il Commodoro ritornò all’attacco, approfittando della debolezza che stavo dimostrando. Riuscii a rotolare via per un soffio, sentendo il tonfo sordo della lama nel punto in cui pochi istanti prima mi ero trovato io; alzai la mia arma per fronteggiare il Commodoro da quella posizione, indietreggiando ogni qual volta mi era concesso. Più tentavo di scappare più gli affondi divenivano rapidi e precisi, e non ebbi più via di scampo quando la mia schiena andò a sbattere contro un muro.
    Alzai lo sguardo per puntarlo sul viso del Commodoro, scorgendo nei suoi occhi il mio riflesso. Apparivo teso e stralunato come non lo ero mai stato, e la cosa mi spaventava. Io, che avevo sempre avuto il controllo sul mondo che mi circondava e sulle mie azioni, mi sentivo adesso come un bambino sperduto... era impensabile. Non mi sarei però arreso, avrei combattuto fino alla fine senza risparmiare un solo colpo. E fu proprio a quei pensieri che tentai ancora una volta di colpire il mio avversario, mirando dritto al cuore; ebbi appena il tempo di vedere la sua espressione confusa prima che con un movimento fulmineo della sua spada intercettasse la mia e la scansasse, facendomi allentare la presa.
    Fu con orrore che la vidi roteare in aria prima che si piantasse a terra, esattamente a pochi metri di distanza da me. Inerme e disarmato, con il sangue che già cominciava a coagularsi intorno alle mie ferite, l’unica cosa che riuscii a fare fu stringere forte le palpebre e serrare le labbra nel tentativo di bloccarlo a mani nude, prima che la lama del Commodoro mi si conficcasse nelle carni, riducendo il mio mondo ad una macchia di sangue.
    L’ultima cosa che sentii fu «Ci sono già stato all’inferno», poi... più niente
.
 

 

[1] Letteralmente significa “Flagello dei sette mari”.
Rappresenta un pirata noto per la sua natura estremamente violenta e brutale.
La scelta del titolo sarà chiara mano a mano che si procederà con la lettura del capitolo, o almeno questa è l’intenzione.

 
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