Anime & Manga > Shugo Chara!
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Autore: _Pikadis_    15/01/2012    3 recensioni
Attenzione! Questa storia è sospesa.
I tuoi genitori non ti considerano?
I tuoi compagni di classe ti evitano?
La tua unica amica sta per partire?
Non sarebbe bello poter scappare da tutto questo e andare in un'altro posto, chessò, l'universo di Shugo Chara?
Sarebbe bello, vero? Si,ma...se succedesse sul serio?
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scusate l’enorme ritardo, ma in questo periodo la scuola e altri vari impegni mi stanno assorbendo completamente -.-‘!!! Vabbè vi lascio alla storia!

 

-Quindi se Cavour non avesse aiutato i francesi nella guerra di…

Non le importava granché sulla argomento di quella lezione, in fondo il risorgimento italiano lo aveva studiato in estate, visto che per tre mesi non sapeva che fare. Sospirò in silenzio e girò lo sguardo sulla classe, il ritratto dell’attenzione in un improvviso attacco di sonnolenza. Quella professoressa aveva la straordinaria capacità di stordire i suoi alunni. "Non sarò per caso che ha un Pokemon sotto la cattedra?". Rise fra se. Se qualcuno in quella stanza avesse avuto il dono di leggere nella mente si sarebbe sorpreso, non era normale che una studentessa modello come lei fosse interessata a certe cose, se lo avesse detto a qualcuno si sarebbe sparsa la voce e la sua reputazione sarebbe andata a quel paese. "Ma a te che importa, almeno ti prenderebbero un po’ in simpatia, no?" ecco che ricominciava di nuovo, quella vocina, quell’odiosa vocina che le diceva sempre la cosa giusta da fare, ma che lei si rifiutava di seguire: era terribilmente perfettina. "Quasi quanto me" pensò tristemente. Intanto i suoi pensieri volarono a Reiko, che non era in classe con lei. Erano capitate in sezioni diverse all’inizio delle medie, ma erano rimaste amiche lo stesso. Però a pensarci bene, lei non era proprio l’unica amica che aveva, anche in quella classe c’era una ragazza che sin dalla prima aveva cercato di avvicinarsi a lei, e, diciamo, che c’era riuscita. Infatti era la sua compagni di banco, ora. Si chiamava Grazia, e, le stava piuttosto simpatica, visto che era lei che la trascinava per le varie feste di compleanno dei suoi compagni, che, loro malgrado erano costretti ad invitarla, giusto per essere educati. "Ma dico, se non volete che io vengo, cosa mi invitate a fare?" si chiedeva ogni volta. Eppure c’era sempre Grazia pronta a buttarla nella mischia. Anche se oltre a questo, non si frequentavano poi tanto. Le aveva dato il suo numero di telefono, ed ogni tanto si facevano una chiacchierata . Le sembrava come in quei film depressi in cui un medico prende particolarmente a cuore un paziente, prefissandosi come obbiettivo quello di guarirlo.

-Zita psssss. Zita psssss!!!

Si girò verso Grazia che le porgeva un foglio. Una delle sue passioni era il disegno, in cui riusciva particolarmente bene.

-Allora, che te ne pare?

Sul foglio che le aveva dato c’era la sua versione manga (che si riconosceva per i capelli ricci e per la cenerentola) e quella di Grazia (che invece aveva una frangia piuttosto lunga e uno chignon) mentre si abbracciavano e facevano il segno di vittoria. "Ma è possibile che tutte le persone che conosco sono appassionate di manga?"

-Zita, allora?- Grazia era impaziente. Aveva un carattere un po’ infantile, che le ricordava Yaya Yuiki, ma era molto meno esagerata. Scrisse con la matita un bel dieci in uno spazio vuoto del foglio e glielo passò. Era euforica.

-Davvero ti piace cosi tanto?

-Si, certo!- le sorrise con un entusiasmo mal celato, se avesse saputo un po’ di giapponese l’avrebbe chiamata "onee-sama", "sorellona", anche se sarebbe stata piuttosto fredda come sorella maggiore, nei sui confronti. Altro che la sua vera sorella minore, Alice(che chissà perché aveva un nome normale, a dispetto del suo), che a nemmeno undici anni compiuti, già entrava in camera sua per rubarle qualche trucco, di quei pochi che aveva, e cercava di estorcere a sua madre il permesso di tornare alle undici di sera, suscitando il suo stupore. Ok che a quest’età si iniziano a sviluppare le prime voglie di indipendenza, ma la sua era un’esagerazione, anche se programmata: lo aveva scoperto un’giorno che era andata a cercare in camera sua una trousse che iniziava a dare per dispersa. Aveva trovato sulla scrivania un quaderno, un normalissimo quaderno, che aveva sfogliato per curiosità, e che aveva scoperto essere il suo diario. In una nota di qualche mese prima c’era scritto: "Non voglio che continuino a comportarsi cosi, devo farli preoccupare talmente tanto da fare in modo che gli ritorni il sale in zucca", era stato un po’ come ricevere uno schiaffo dritto in faccia. Lei cercava da…da…da quando aveva imparato a parlare di far rinsavire i suoi genitori, e non ci era mai riuscita, invece sua sorella, sua sorella, che le sembrava stesse sempre di più per fare la sua fine, aveva avuto il coraggio di rovinarsi, pur di cercare di risolvere qualcosa. Ma la preoccupava di più la fine che avrebbe fatto, se avesse continuato su quella strada, ma le era passata subito, leggendo qualche nota più avanti in cui capiva che sua sorella non si sarebbe fatta corrompere dal mondo che stava per affrontare.

Così aveva deciso di aiutarla, facendo finta di non aver letto niente, e anzi, avrebbe recitato bene il ruolo della sorella esasperata. "Sei una codarda, ti rendi conto che stai lasciando in balia del mondo un’undicenne?" però questa volta la vocina si sbagliava, aveva sempre vegliato sulla sorella, anche se recitava talmente bene che risultava fin troppo credibile…va bè era meglio non pensarci. Girò ancora un po’ lo sguardo sulla classe e questa volta lo posò su un moretto seduto all’altra estremità della stanza, che per una strana congiunzione di astri si era girato verso di lei proprio in quell’momento. Non che non riuscisse a sostenere lo squadro di un ragazzo, ma il suo in particolare era particolarmente penetrante, e così, dopo nemmeno due secondi di duello, aveva finito con il cedere, abbassando il capo con rabbia. Quella specie di ipnotizzatore che aveva sfidato si chiamava Davide: alto, moro, fisico da atleta e un carattere da gentiluomo, se non fosse stato per il fatto che tutti lo consideravano una specie di inavvicinabile, avrebbe avuto una schiera di ragazze pronte a servirlo in tutto e per tutto, anche se ora come ora non gli mancavano affatto. Naturalmente vi starete chiedendo: "Ma sta tipa come fa a sapere tutte ste’ cose?" bè , dovete sapere che Davide era stato un suo vicino di casa per quasi tutta la sua infanzia, e che molto spesso, quando i suoi genitori andavano a lavoro, era rimasta a casa sua, a volte anche a dormire. Per questo semplice motivo, Zita sapeva cosi tante cose sul suo conto. Però non era solo per questo che si interessava a lui. Da quanto aveva cambiato casa, lo aveva visto rare volte alle scuole elementari, disinteressandosi quasi completamente di quello che faceva, ma, quando lo aveva rivisto alle scuole medie, e aveva scoperto che erano in classe insieme, bè…qualcosa dentro di lei, sembrava essere andato in tilt. Dall’ora i loro rapporti erano migliorati, tanto che quei duelli di sguardi erano piuttosto frequenti, e, di tanto in tanto, quando si incontravano per strada, o di fronte alla scuola, o all’uscita della scuola di danza(sua sorella era un piccolo prodigio del balletto) si fermavano e parlavano del più e del meno, a volte, si confidavano l’un l’altra i propri pensieri. Sembravano quasi migliori amici, ma a parte quelle occasioni di incontro, e di felicità per Zita, non avevano molti altri contatti. Aveva cercato di nascondere il più possibile quella sua particolare amicizia perché le dava fastidio che altri sapessero quello che faceva. Era un tipo di persona che fa tutto di nascosto. Anche se aveva dovuto dirlo per forza a Reiko, che aveva notato, come sempre, il suo stato d’animo. Chissà come avrebbe fatto senza di lei! Il suono di una campanella distrasse il filo dei suoi pensieri. La giornata a scuola era finita. Sistemò i quaderni e libri nella cartella e uscì, ma non fece in tempo a mettere il piede fuori dalla porta che un proiettile umano gli piombò addosso, facendola quasi cadere. Era un ragazzino di prima, un tappetto dai capelli biondi, che, accortosi di aver fatto un attentato alla sua vita, si era fermato a qualche passo di distanza, indeciso se chiederle scusa o se scappare a gambe levate.

-Non ti preoccupare, non mi sono fatta niente.- gli disse Zita con un sorriso affettuoso. Quello, invece di scusarsi diventò rosso come un pomodoro, e mormorò un timido "grazie" e corse via, mentre lei riprendeva a camminare per il corridoio, tra gli sguardi ammirati di tutti. Era strano. Nella sua classe nessuno la sopportava, ma quasi tutti la ammiravano. Succedeva in quasi tutto l’istituto, soprattutto tra i ragazzi di prima, che la chiamavano "l’angelo irraggiungibile". "Che nome stupido" aveva pensato la prima volta che lo aveva sentito "non sarebbe stato meglio "il candido angelo" o "la rosa intoccabile"?" inoltre era fastidioso, quando arrivava a scuola e passava vicino a gruppi di ragazzini sentirli mormorare sulla sua inarrivabilità o altro. Però cercava di essere cortese nei confronti di tutti, sperando che un giorno qualcuno oltre a Reiko e a Grazia si sarebbe interessato alla sua amicizia. Ancora una volta i suoi pensieri furono interrotti da un rumore fastidioso, anzi, da una voce fastidiosa.

-Ehi, Zitella! Ho saputo che la giapponesina se ne va, non ti sentirai sola e abbandonata senza la tua amichetta?

Si girò verso la voce, che ormai conosceva bene. Una ragazza alta, capelli biondi che avevano visto più di mille permanenti e dagli occhi di un azzurro sconvolgente, che non poteva sopportare nemmeno a vista. Si chiamava Agata, e cercava di eliminare completamente la sua popolarità, per motivi ai più sconosciuti.

-Ehi Zitella non rispondi?- le disse con un sorriso malefico. Zita, non rispose. Semplicemente si girò di nuovo e continuò a camminare, lasciando Agata con la bocca aperta a schiumare di rabbia. Mentre si allontanava, sapeva che gli sguardi stupiti e ammirati dei suoi compagni si stavano per l’ennesima volta posando su di lei.

Aveva raggiunto l’aula di Musica prima di uscire, come ogni giorno. Sapeva che Reiko si trovava lì, perché aveva avuto il permesso di usufruirne nell’ultima mezz’ora di lezione, grazie a una specie di concorso interno. Prima di entrare si era fermata a sentire la melodia che veniva dall’interno: Libertango. Reiko era una pianista, che secondo il modesto parere di Zita, superava di gran lunga il migliore degli insegnanti della scuola, anche se ogni volta che glielo diceva Reiko gli rispondeva-Dovresti sentire come suona mio cugino, allora si che rimarresti a bocca aperta!!!- ogni volta tirava in ballo quel cugino, chissà che aveva di speciale, sicuramente non poteva saper suonare meglio di Ikuto. Sorrise, al pensiero di un gatto che suonava il piano, e sentì che la musica all’interno dell’aula

era cessata. Bussò e aprì la porta

-Reiko, andiamo?

-Si vengo subito.

-Ti aspetto fuori.

Quando Reiko uscì aveva l’aria di chi stava appena uscendo da un funerale, cosi cercò di tirarle un po’ su di morale:

-Sai, oggi vado da Vale a ritirare l’ultimo volume, però mi dispiace che la serie sia finita, speravo di vedere Ikuto ancora per un po’…

A quel nome Reiko sussultò, non lo aveva mai fatto, aveva sempre condiviso la sua passione per Shugo Chara(anche se sembrava preferire Tadase a Ikuto, cosa alquanto strana).

-Dispiace anche a me, era divertente come serie!-dopo questa frase sfoderò un sorriso che tolse ogni preoccupazione a Zita. In fondo era normale che Reiko fosse triste, stava per lasciare la sua seconda casa per un anno. Ma il motivo non era solo questo.

Dopo aver accompagnato Reiko a casa, era arrivata davanti alla fumetteria. Di solito chiudeva a mezzogiorno, ma quando doveva passare lei restava aperta fino all’una e mezza.

-Eccomi Vale, sono 4,20 contati!

-Ecco a te! Allora questo è l’ultimo?

-Si purtroppo, ma forse collezionerò altri di manga in futuro, quindi ci rivedremo presto, ciao!

-Ciao Zita!

Finalmente aveva tra le mani l’ultimo volume di una serie che aveva segnato la sua vita. Si perché, finché non aveva conosciuto Amu, aveva pensato alla sua vita come un qualcosa di molto monotono, che non le piaceva affatto. Poi, girando su internet, aveva trovato Shugo Chara e da lì era iniziata quella passione. Fece una giravolta per la contentezza, che la sua maestra di danza avrebbe definito come un souteniou stentato. Ora finalmente avrebbe scoperto cosa sarebbe successo alla fine della storia! Sperava vivamente in un finale chiuso, perché i finali aperti le sembravano una pura invenzione commerciale, anche se, qualsiasi fosse stato il finale lo avrebbe accettato, in fondo si stava parlando di Shugo Chara!

/Nel frattempo, all’aeroporto…/

-Reiko ricordati di telefonare, quando arrivi.

-Si mamma.

-E cerca di non far preoccupare gli zii.

-Si papà.- Aveva dovuto anticipare la partenza a quel pomeriggio per un problema con l’aereo. Le dispiaceva di non aver potuto salutare Zita, ma tanto l’avrebbe vista di li a poco.

-E quando si aprirà la finestra dimensionale cerca di non far atterrare Zita in un posto troppo scomodo.

-Si mamma. Ho fatto un sacco di pratica! Ora posso partire?

-Si certo, abbi cura di te!!!

/Tornando a Zita…/

Era sul suo letto, nella sua camera, nella sua casa. Aveva sbarrato la porta e aveva urlato a sua sorella di non disturbarla. Tutto era perfetto. Tutto, a parte quello che stava leggendo. Esattamente il finale, le ultime pagine. Aveva detto che avrebbe accettato qualsiasi finale aperto o chiuso he fosse stato, ma quello proprio no. Allora, alle nozze di Nikaidou era tornato il padre di Ikuto, ma non si sapeva se poi si riunirà alla sua famiglia. Le coppie che erano state mostrate all’interno dell’albo non si sapeva che fine avrebbero fatto, e, in più, non facevano capire Amu chi avrebbe scelto. Vada per il finale aperto, ma quello era troppo! Le Peach- pit avevano fatto un capolavoro, ma quel finale era…bè quel che era. Però era meglio non lamentarsi, la storia di Amu l’aveva fatta sognare, e questo bastava e avanzava. Si alzò dal letto, e andò a sistemare il volume cogli altri su una mensola. Quando ebbe completato la collezione, fece qualche passo indietro e ammirò quelle opere d’arte. Come sarebbe stato bello poter incontrare Ikuto, Amu e i guardiani, e scoprire come la storia sarebbe andata avanti. Come avrebbe voluto veder nascere il suo shugo chara e fare un chara change o una chara trasformation, e potersi liberare da tutti quei preconcetti che si era cucita addosso. Si sarebbe stato un sogno bellissimo, ma purtroppo irrealizzabile. -I sogni sono tutti realizzabili, basta crederci.- le tornarono in mente le parole di Reiko, come un sussurro, che poi crebbe fino a diventare una voce che sicura la incoraggiava a provare, a buttarsi e a provare a realizzare quell’utopia. Le sembrava di vedere una specie di porta luminosa sotto la mensola. La ragione le imponeva di restare ferma e non pensarci, ma, uno strano istinto le urlava di buttarsi e di attraversare la parete. Alla fine cedette, con tutta la forza che in quel momento aveva in corpo vi si lanciò contro: fu come attraversare una corrente di aria calda, circondata da una luce accecante. Poi le sembrò di perdere i sensi per un tempo indefinito, fin quando non si risveglio in un parco. La vista le tornò pian piano, ma quando si abituò alla luce, si accorse di non trovarsi in un parco qualsiasi. Era un parco che le sembrava di aver già visto, ma non fece in tempo a chiedersi dove fosse, o come ci fosse arrivata, perché una voce la fece trasalire:

-Ehi, ti sei fatta male?

Quando si girò non poté credere ai suoi occhi, tanto che, per lo shock risvenne.

 

P.s.a.:

Allora in questo capitolo ho voluto presentarvi un po’ gli altri personaggi che appariranno nella storia e, naturalmente, proprio qui, in codesto capitolo, inizia anche la storia vera e propria. Spero che vi sia piaciuta!

By Pika.

 

 

  
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